Panoramica di Mattòt
La parashà di Mattòt tratta tre temi principali: le leggi relative ai voti e ai giuramenti, la guerra contro Midyàn e l’insediamento delle tribù di Reuvèn e Gad.
Il secondo e il terzo di questi tre argomenti si adattano bene al flusso storico della Torà. La guerra contro Midyàn è il terzo e ultimo atto nel dramma dello scontro di Israèl con l’alleanza Moabita – Midyanita la cui storia è iniziata nella parashà di Balàk. L’insediamento delle due tribù di Reuvèn e Gad coincide con la fase successiva alla conquista della Terra di Israèl, iniziata alla fine della parashà di Khukkàt e che continua attraverso il libro di Yehoshù’a e oltre.
In questo contesto cosa c’entrano le leggi dei voti e dei giuramenti? Parimenti agli altri passaggi legali della Torà, ci aspetteremmo di trovare queste norme in Esodo o Levitico. Allora perché sono qui? Perciò è necessario che queste leggi abbiano una particolare rilevanza per il tema della conquista e della colonizzazione della Terra di Israele. Ciò sarà chiaro quando esamineremo gli eventi che hanno preceduto questa parashà e che hanno portato a essa.
Come abbiamo spiegato in precedenza, la caduta del popolo ebraico nell’idolatria di Pe’òr e la sua prostituzione con le donne moabite – midyanite, in realtà inizia come un fraintendimento circa la tipologia di rapporto da stabilire col mondo fisico. Israèl sapeva che la generazione dei suoi genitori era stata condannata a vivere nel deserto per quaranta anni (dopo l’incidente delle spie), perché aveva preferito evitare le sfide del mondo terreno. Ora, stando sulla soglia della Terra Promessa, Israèl era pronto ad accettare questa sfida e aveva deciso di non ripetere gli errori dei suoi genitori: era pronto ad affrontare la materialità del mondo fisico e a pervaderla della coscienza di Dio, poiché questo è lo scopo della redenzione dall’Egitto e della creazione del mondo.
Tuttavia, l’impetuoso entusiasmo degli israeliti li portò a sbagliare e ignorarono la necessità di essere cauti. Come l’errore che avevano fatto Eva e Adamo con il frutto dell’albero della conoscenza, quando caddero nella trappola di sopravvalutare la loro santità, pensando che la loro sublime coscienza spirituale e il loro fervore per Hashèm li avevano resi invincibili e immuni dalle macchinazioni del male.
Israèl sapeva che lo scopo della vita era di trasformare tutta la realtà in una casa per Hashèm, e poiché aveva imparato dalla conversione di Yitrò e dalle profezie di Bil’àm che, affinché ciò accadesse, anche gli elementi più bassi e profani della realtà dovevano essere elevati in santità (vd. panoramica di Balàk). Quindi ragionarono sul fatto che anche loro dovevano sperimentare queste pericolose, ma potenti energie di passionalità e di spiritualità profana allo scopo, naturalmente, di elevarle nella santità.
Ma ovviamente si sbagliavano, perché togliere ogni barriera e rischiare tutto non è la strada vincente. Per combattere il male si deve avere un orientamento totalmente opposto a questo, proprio come Pinekhàs ha dimostrato efficacemente. Anche se non dobbiamo evitare la sfida di confrontarci con la materialità (come le spie), dobbiamo, tuttavia essere adeguatamente consapevoli del suo potenziale nel deviare e corrompere le nostre intenzioni.
Da qui la pertinenza delle leggi dei voti e dei giuramenti: attraverso queste norme una persona può stabilire dei confini per se stesso, dove sente di averne bisogno, come spiegheremo più avanti.
Il successivo argomento di questa parashà, la guerra contro Midyàn, può ora essere visto come un logico seguito dalle leggi dei voti e dei giuramenti, le cui norme sono la correzione spirituale dell’errore di Pe’òr e la battaglia con Midyàn è lo sforzo per sradicare la fonte di questo errore.
Anche la fine della parashà con l’insediamento delle tribù di Reuvèn e Gad è uno sviluppo dello stesso tema. Queste tribù desideravano stabilirsi nel territorio che Moshè aveva conquistato da Sikhòn e ‘Og, sul lato orientale del fiume Giordano. Hashèm non voleva che gli ebrei si stabilissero in questa terra a questo punto della storia. Tuttavia queste tribù arrivarono alla conclusione che la santità della Terra di Israele vera e propria fosse superiore a quella della terra fuori dai suoi confini; perciò, era cruciale elevare anche la terra profana. La loro argomentazione era quindi una variazione sullo stesso tema di prima. Questa volta, però, avevano parzialmente ragione, come si accorse Moshè. La loro visione è per noi una lezione importante, in merito alla nostra relazione con il mondo fisico.
Tutti e tre i temi della parashà Mattòt, quindi, sono importanti per l’imminente ingresso nella Terra di Israele. Anche sul piano personale, essi sono rilevanti individualmente per ciascuno di noi sia a livello micro, nel nostro incontro con il mondo materiale che, in particolare, per la nostra generazione, poiché siamo alla fine della rettificazione della materia e sulla soglia della Redenzione messianica, in procinto di entrare eternamente in Israèl.
Questo spiega come il nome della parashà Mattòt, possa essere usato come nome per l’intera parashà. Il termine in sé significa “tribù”, ma nella Torà ci sono due parole utilizzate per “tribù”: una è mattòt e l’altra e shèvet. È interessante notare che entrambi i sinonimi di “tribù” sono anche sinonimi di “ramo d’albero”. Proprio come i rami derivano da un tronco d’albero, ogni “tribù” è un ramo o una divisione del popolo ebraico radicato nel suo antenato comune (in questo caso Giacobbe).
La differenza tra i due sinonimi è che, mentre shèvet si riferisce a un ramoscello morbido e pieghevole, mattè (il singolare di mattòt) si riferisce a un bastone rigido e duro. Lo shèvet deve la sua flessibilità al fatto che è stato tagliato dall’albero di recente (o meglio ancora è collegato a esso), in contrasto con il mattè, che è stato da tempo tagliato dall’albero e ha quindi perso la sua elasticità. Così shèvet si riferisce alla tribù di Israèl (e a ogni singolo membro) quando è coscientemente connessa alla sua fonte, mentre il “mattè” si riferisce alla stessa tribù (e a ogni singolo membro) quando non è così consapevolmente connessa.
Spiritualmente, lo shèvet si potrebbe riferire all’anima prima che scenda nel corpo, quando essa è pienamente consapevole della divinità e della sua stessa connessione con la sua fonte. Quindi mattè si riferisce all’anima quando entra nel corpo e perdendo questa connessione cosciente – almeno temporaneamente – è incaricata di elevare il corpo e la porzione del creato che è sotto la sua competenza.
Proprio attraverso la sua discesa nella materialità (entrando nella terra promessa, oppure quando l’anima entra nel corpo) e l’allontanamento apparente dalla sua origine divina, l’anima scopre di avere una forza molto più grande che le permette di rimanere connessa alla sua fonte, anche nel buio. Questo livello di connessione incondizionata di solito è nascosto e si manifesta solo quando si ha bisogno di esso. Questa forza di volontà nella nostra devozione ai principi e nella resistenza al male, è simboleggiata con l’inflessibilità di un bastone indurito che non si fa condizionare dall’esterno. Non a caso, proprio quando Israèl sta per scendere nella materia, in questa parashà troviamo il nome Mattòt.
Se avremo successo, potremo affrontare con sicurezza le sfide della vita e procedere nel realizzare il nostro scopo sulla terra e trasformare la realtà in una casa per Lui, come era stato voluto da Hashèm
[1].
[1] Basato su
Reshimòt 51 e
Likuté Sikhòt vol. 18 p. 382; vol. 28 p. 281, ecc.
(estratto dal nuovo libro della Torà Bemidbàr che ha bisogno di tanti soci per essere pubblicato)
All’inizio della parashà di Mattòt si parla di voti e dell’importanza di onorarli (vedi lezione online ampiamente) una volta assunto l’impegno. I primi versetti parlano infatti delle leggi concernenti la formulazione di un voto e il suo annullamento. Mentre una persona non può sciogliere un proprio voto, in alcuni casi altri possono farlo per lui. In particolare, il padre può prosciogliere la figlia minorenne e il marito può annullare il voto della moglie.
Ti riporto un famoso racconto narrato nel Talmud che ci fa capire l’importanza dei voti e delle spiacevoli conseguenze alle quali si può andare incontro se non si rispettano.
Un giorno una ragazza, facendo ritorno alla propria casa, cadde in un pozzo. Disperata comincia ad urlare per chiedere aiuto. Finalmente arriva un giovane che dice di essere disposto a salvarla, ma solo alla condizione che lei prometta di sposarlo (proprio un opportunista ndr). Pur di uscire dal pozzo la ragazza accetta ed entrambi giurano di volersi sposare reciprocamente prendendo come testimoni un ratto che era li di passaggio e lo stesso pozzo. Diventano così “Promessi Sposi”.
Con il passare del tempo la ragazza rimane fedele al giuramento non accettando proposte da alcuno, il giovane invece si comporta con più leggerezza e finisce per sposare un’altra donna (proprio un classico ndr).
La coppia ha un primo figlio che tuttavia muore morso da un ratto. Successivamente ne ha un secondo, che però muore cadendo in un pozzo.
La moglie si rivolge al marito sospettando che vi sia qualcosa di strano. A quel punto egli si ricorda dell’accaduto e del giuramento fatto alla ragazza. La moglie decide che è meglio divorziare e che lui sposi la ragazza del pozzo per tener fede al giuramento fatto.
Solo mantenendo il suo voto precedente il ragazzo riesce a creare una famiglia e avere una vita serena. Spesso eventi o promesse del passato possono disturbare il nostro equilibrio di vita e, senza che noi ce ne accorgiamo, farci del male. Per risolverlo dobbiamo andare a scovare la radice del problema: il fuoco si può spegnere solo dalla radice!!! (Talmud Taanit pag 8)