YITRO 5784:8 LEZIONI

28 Gennaio 2024 Off Di HaiimRottas

Questo Shabbàt 3 Febbraio 2024, 24 del mese di Shevàt 5784 leggeremo la Parashà di Yitrò Es. 18, 1-20, 23.

Si legge l’Haftarà di Yesha’yà:
Italiani/Ashkenaziti: Is. 6, 1-7, 6; 9, 5-6
Torino/Sefarditi: Is. 6, 1-13

La Parashà di Yitrò è composta da 72 versetti.

La Parashà di Yitrò contiene 3 comandi e 14 divieti.

VESTITI EMPATICI
Yitrò Il Dono della Torà
Esodo da 18, 1 fino a 20, 23 

Concordi per Hashèm
Il primo tratta dell’importanza dell’unità e della concordia tra le persone. Addirittura, questo aspetto è stato un requisito fondamentale per la ricezione della Torà. Dire che bisogna essere uniti e concordi tra le persone è un pensiero bellissimo, tuttavia rimane la domanda su come raggiungere un tale stato. A volte si sente spesso dire “bisogna fare questo o quest’altro: essere buoni, bravi ecc..”, più difficile è sentirsi dire come fare. La risposta la troviamo nel brano di questo libro che ci spiega come l’unico modo che l’essere umano ha per riuscire a essere solidale e concorde con il prossimo è quello di “uscire da se stesso”! Per meglio dire l’unica maniera per esse al contempo “esistenti” come individui e uniti e concordi con il prossimo è quello di concentrarci su Hashèm e la sua Torà. Solo se cerchiamo di fonderci e confrontarci con i valori e gli insegnamenti eterni della Torà possiamo riuscire a creare una società, una comunità o un ambiente unito, solidale e fraterno (vedi questo fantastico video di JLI che riassume questo concetto https://youtu.be/aVKcf6b1VY4).

Vestiti alla Meta
Il secondo brano del libro ci spiega un requisito fondamentale anche per raggiungere quanto detto sopra. E il modo in cui la torà vuole darci questo insegnamento è a dir poco “eccentrico”. Questo brano ci spiega come i sacerdoti, salendo i gradini dell’altare, non dovevano mostrare le loro nudità a delle pietre. Difficile immaginare che questo concetto possa essere, in qualsiasi forma, utile per noi nelle nostre vite? Difficile, anche capire come questo centri con quanto detto sopra, circa il fatto che occorre cercare di fuoriuscire dal nostro io e guardare verso Hashèm, ossia di farci condurre da Lui nella nostra quotidianità giornaliera. Tuttavia, come possiamo pretendere anche solo di immaginare di iniziare un simile percorso se non abbiamo rispetto per il prossimo? E per spiegare il tipo di rispetto richiesto la Torà, il libro, pone l’esempio delle pietre. Come a dirci: “se bisogna avere rispetto per una pietra tanto più occorre essere rispettosi con un essere umano”.
E che rispetto? Verrebbe da domandarsi! Un rispetto non solo formale, freddo e distaccato, ma il rispetto fattivo e consapevole derivato dall’empatia per il prossimo, dai suoi problemi (veri, falsi, esagerati… che appaiano ai nostri occhi) in maniera di arrivare a rispettare il suo onore e non solo a “non offenderlo”. Inoltre, aggiunge il pensiero cassidico del Rebbe, dobbiamo ricordarci che questo tipo di rispetto è il prerequisito FONDAMENTALE per poterci collegare ad Hashèm e alla sua volontà.
Buona lettura e un caro saluto.

Il pensiero cassidico ha la capacità di illuminare gli insegnamenti, a volte criptici e a volte poco comprensibili, della Torà svelando la loro dimensione più profonda, ma al contempo in maniera comprensibile ad ogni persona. Oggi, la chassidùt ci spiega due concetti fondamentali per le nostre vite che troviamo nella parashà di Yitrò.

La quinta sezione del libro dell’Esodo inizia con il racconto di come il suocero di Moshè si unisce a Israèl sul monte Sinày. Continua con il momento culminante di tutta la storia umana fin dalla creazione: il Dono della Torà. Inserita tra questi due racconti è la narrazione di come Yitrò consiglia a Moshè, dopo la sua discesa dal monte Sinày, di istituire un sistema giudiziario

*
Shemòt 19, 1–6
La Torà ritorna agli eventi successivi all’apertura del mare, alla guerra con Amalèk e all’arrivo di Yitrò sul monte Sinày. Israèl arriva ai piedi del monte Sinày il 1° di Sivàn, nel 2448.

Amore Fraterno
Israèl si accampò là [come un popolo unito] di fronte al monte. (19, 2)

La presenza di Hashèm non si sofferma dove regna discordia e disarmonia. Solo quando gli israeliti erano profondamente uniti gli uni con gli altri poterono raggiungere l’armonia necessaria con Hashèm per ricevere la Sua Torà.
Lo stesso vale anche oggi. Chiunque può studiare la Torà, naturalmente, ma l’ispirazione divina che ci concede ulteriore intuizione e ci consente di percepire la presenza di Hashèm nella Torà è nostra, solo quando siamo attivamente interessati ai nostri simili. C’è una lezione aggiuntiva qui. Gli israeliti erano in grado di unirsi sul monte Sinày perché erano “di fronte alla montagna”, cioè focalizzati sulla Torà. Dato che tutti noi abbiamo diverse facoltà intellettuali, emozioni, tratti caratteriali e punti di vista, non esiste un modo naturale in cui possiamo mantenere la nostra individualità e continuare a funzionare come un corpo unico. Solo se ci concentriamo su Hashèm, le nostre differenze, improvvisamente, cessano di essere ostacoli all’unità. Le nostre differenze esistono, almeno per ora, perché sono tutte necessarie per compiere la nostra missione divina collettiva. Tuttavia, solo la nostra devozione nei Suoi confronti trasformerà queste differenze in pietre miliari verso il nostro obiettivo, piuttosto che ostacoli verso di esso.

*
Shemòt 20, 15–23
Dopo il dono dei dieci comandamenti, Hashèm dice a Moshè di salire sul monte Sinày e di rimanere lì per quaranta giorni a imparare il resto della Torà. Alcune delle leggi che Egli insegna a Moshè riguardano la costruzione di un altare per i sacrifici. Una di queste leggi è che l’Altare deve essere asceso per mezzo di una rampa, piuttosto che per mezzo di scale.

L’Importanza delle Cose Semplici
Non salire sul Mio Altare mediante gradini, affinché la tua nudità non sia scoperta. (20, 23)

I sacerdoti indossavano pantaloni sotto le loro tuniche in modo che i loro corpi non sarebbero stati esposti all’Altare, nemmeno su una scala. Tuttavia, dal momento che salire su una scala dà l’impressione di esporre il proprio corpo è più semplice usare una rampa. Se Hashèm ci impone di rispettare i “sentimenti” delle insensibili pietre, tanto più ci richiede di rispettare i sentimenti dei nostri simili.
L’obbligo di mostrare rispetto per le pietre dell’Altare ci insegna a salvaguardare l’onore delle altre persone, anche quando non sono consapevoli di non essere rispettate e non si offendono e anche quando non intendiamo offenderle. Quindi, quest’ultimo versetto di questa sezione della Torà riassume il messaggio della rivelazione di Hashèm sul monte Sinày: Egli si trova anche nelle cose più banali. Le nostre relazioni con altre persone sono parte integrante della nostra relazione con Lui.

Pertanto, in senso positivo, AMARE LE ALTRE PERSONE significa, in realtà, AMARE IL NOSTRO CREATORE.

VESTITI EMPATICI
Anche oggi, nel nostro consueto appuntamento settimanale, vi proponiamo due brani estratti dal libro
“Saggezza Quotidiana”. Opera che spiega ogni parashà della Torà sulla base degli insegnamenti
cassidici del Rebbe e dei suoi predecessori. Il pensiero cassidico ha la capacità di illuminare gli
insegnamenti, a volte criptici e a volte poco comprensibili, della Torà svelando la loro dimensione
più profonda, ma al contempo in maniera comprensibile ad ogni persona. Oggi, la chassidùt ci spiega
due concetti fondamentali per le nostre vite che troviamo nella parashà di Yitrò.
Concordi per Hashèm
Il primo tratta dell’importanza dell’unità e della concordia tra le persone. Addirittura, questo aspetto
è stato un requisito fondamentale per la ricezione della Torà. Dire che bisogna essere uniti e concordi
tra le persone è un pensiero bellissimo, tuttavia rimane la domanda su come raggiungere un tale stato.
A volte si sente spesso dire “bisogna fare questo o quest’altro: essere buoni, bravi ecc..”, più difficile
è sentirsi dire come fare. La risposta la troviamo nel brano di questo libro che ci spiega come l’unico
modo che l’essere umano ha per riuscire a essere solidale e concorde con il prossimo è quello di
“uscire da se stesso”! Per meglio dire l’unica maniera per esse al contempo “esistenti” come individui
e uniti e concordi con il prossimo è quello di concentrarci su Hashèm e la sua Torà. Solo se cerchiamo
di fonderci e confrontarci con i valori e gli insegnamenti eterni della Torà possiamo riuscire a creare
una società, una comunità o un ambiente unito, solidale e fraterno (vedi questo fantastico video che
riassume questo concetto https://youtu.be/aVKcf6b1VY4 ).
Vestiti alla Meta
Il secondo brano del libro ci spiega un requisito fondamentale anche per raggiungere quanto detto
sopra. E il modo in cui la torà vuole darci questo insegnamento è a dir poco “eccentrico”. Questo
brano ci spiega come i sacerdoti, salendo i gradini dell’altare, non dovevano mostrare le loro nudità
a delle pietre. Difficile immaginare che questo concetto possa essere, in qualsiasi forma, utile per noi
nelle nostre vite? Difficile, anche capire come questo centri con quanto detto sopra, circa il fatto che
occorre cercare di fuoriuscire dal nostro io e guardare verso Hashèm, ossia di farci condurre da Lui
nella nostra quotidianità giornaliera. Tuttavia, come possiamo pretendere anche solo di immaginare
di iniziare un simile percorso se non abbiamo rispetto per il prossimo? E per spiegare il tipo di rispetto
richiesto la Torà, il libro, pone l’esempio delle pietre. Come a dirci: “se bisogna avere rispetto per una
pietra tanto più occorre essere rispettosi con un essere umano”.
E che rispetto? Verrebbe da domandarsi! Un rispetto non solo formale, freddo e distaccato, ma il
rispetto fattivo e consapevole derivato dall’empatia per il prossimo, dai suoi problemi (veri, falsi,
esagerati… che appaiano ai nostri occhi) in maniera di arrivare a rispettare il suo onore e non solo a
“non offenderlo”. Inoltre, aggiunge il pensiero cassidico del Rebbe, dobbiamo ricordarci che questo
tipo di rispetto è il prerequisito FONDAMENTALE per poterci collegare ad Hashèm e alla sua
volontà.
Buona lettura e un caro saluto a tutti voi.
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Yitrò Il Dono della Torà
Esodo da 18, 1 fino a 20, 23
La quinta sezione del libro dell’Esodo inizia con il racconto di come il suocero di Moshè si unisce a
Israèl sul monte Sinày. Continua con il momento culminante di tutta la storia umana fin dalla
creazione: il Dono della Torà. Inserita tra questi due racconti è la narrazione di come Yitrò consiglia
a Moshè, dopo la sua discesa dal monte Sinày, di istituire un sistema giudiziario
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Shemòt 19, 1–6
La Torà ritorna agli eventi successivi all’apertura del mare, alla guerra con Amalèk e all’arrivo di
Yitrò sul monte Sinày. Israèl arriva ai piedi del monte Sinày il 1° di Sivàn, nel 2448.
Amore Fraterno
Israèl si accampò là [come un popolo unito] di fronte al monte. (19, 2)
La presenza di Hashèm non si sofferma dove regna discordia e disarmonia. Solo quando gli israeliti
erano profondamente uniti gli uni con gli altri poterono raggiungere l’armonia necessaria con Hashèm
per ricevere la Sua Torà.
Lo stesso vale anche oggi. Chiunque può studiare la Torà, naturalmente, ma l’ispirazione divina che
ci concede ulteriore intuizione e ci consente di percepire la presenza di Hashèm nella Torà è nostra,
solo quando siamo attivamente interessati ai nostri simili. C’è una lezione aggiuntiva qui. Gli israeliti
erano in grado di unirsi sul monte Sinày perché erano “di fronte alla montagna”, cioè focalizzati sulla
Torà. Dato che tutti noi abbiamo diverse facoltà intellettuali, emozioni, tratti caratteriali e punti di
vista, non esiste un modo naturale in cui possiamo mantenere la nostra individualità e continuare a
funzionare come un corpo unico. Solo se ci concentriamo su Hashèm, le nostre differenze,
improvvisamente, cessano di essere ostacoli all’unità. Le nostre differenze esistono, almeno per ora,
perché sono tutte necessarie per compiere la nostra missione divina collettiva. Tuttavia, solo la nostra
devozione nei Suoi confronti trasformerà queste differenze in pietre miliari verso il nostro obiettivo,
piuttosto che ostacoli verso di esso.
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Shemòt 20, 15–23
Dopo il dono dei dieci comandamenti, Hashèm dice a Moshè di salire sul monte Sinày e di rimanere
lì per quaranta giorni a imparare il resto della Torà. Alcune delle leggi che Egli insegna a Moshè
riguardano la costruzione di un altare per i sacrifici. Una di queste leggi è che l’Altare deve essere
asceso per mezzo di una rampa, piuttosto che per mezzo di scale.
L’Importanza delle Cose Semplici
Non salire sul Mio Altare mediante gradini, affinché la tua nudità non sia scoperta. (20, 23)
I sacerdoti indossavano pantaloni sotto le loro tuniche in modo che i loro corpi non sarebbero stati
esposti all’Altare, nemmeno su una scala. Tuttavia, dal momento che salire su una scala dà
l’impressione di esporre il proprio corpo è più semplice usare una rampa. Se Hashèm ci impone di
rispettare i “sentimenti” delle insensibili pietre, tanto più ci richiede di rispettare i sentimenti dei
nostri simili.
L’obbligo di mostrare rispetto per le pietre dell’Altare ci insegna a salvaguardare l’onore delle altre
persone, anche quando non sono consapevoli di non essere rispettate e non si offendono e anche
quando non intendiamo offenderle. Quindi, quest’ultimo versetto di questa sezione della Torà
riassume il messaggio della rivelazione di Hashèm sul monte Sinày: Egli si trova anche nelle cose
più banali. Le nostre relazioni con altre persone sono parte integrante della nostra relazione con Lui.
Pertanto, in senso positivo, AMARE LE ALTRE PERSONE significa, in realtà, AMARE IL
NOSTRO CREATORE.

In memoria del mio carissimo amico Rav Haim Moshe Mordechai ben Dovber Shaikevitz

PREPARARE IL TERRENO PER RICEVERE LA TORÀ
https://www.facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10159004906350540

Nello Zòhar si afferma che Dio non diede la Torà finché non venne Yitrò a lodarlo. Quando Yitrò arrivò e disse: «Sia benedetto Dio che vi ha liberati… ora so che Dio è più grande di ogni altra divinità…» (Shemòt 18, 10-11), allora Yitrò fece scendere la gloria di Dio che, proprio grazie a questo, in seguito darà la Torà e tramite essa Israèl porterà il monoteismo nel mondo.
Tuttavia è obbligatorio chiedersi come sia possibile che la santità di Moshè, di Aharòn e di almeno 600.000 ebrei non bastasse? Perché la Torà è stata data solo dopo che anche Yitrò ha lodato Dio?

La Parashà inizia affermando: Yitrò, il suocero di Moshè, cohèn di Midyàn, sentì tutto ciò che Dio aveva fatto. La posizione di Yitrò in quanto cohèn (sacerdote) di Midyàn era duplice: era la guida sia secolare che religiosa di Midyàn, avendo conosciuto e servito tutti i culti idolatri del mondo.
Perché la Torà descrive Yitrò usando il titolo apparentemente non lusinghiero di “cohèn di Midyàn”, quando avrebbe potuto descriverlo semplicemente come suocero di Moshè?
In effetti, descrivendolo come “cohèn di Midyàn” si evidenziano i suoi risultati passati, sia in campo politico (come guida secolare di Midyàn) che in campo intellettuale (come guida religiosa suprema di tutto il popolo di Midyàn). Questo, tuttavia, sottolinea la grandezza di Yitrò che era disposto ad abbandonare la sua vecchia gloria per diventare ebreo e studiare la Torà.

La Logica Inganna
Adesso possiamo capire meglio il motivo per cui la Torà si rivolge a Yitrò come “cohèn di Midyàn” e il rapporto che intercorre tra la sua conoscenza di tutti i culti idolatri del mondo e i suoi conseguimenti intellettuali.
Il Ràmbam spiega che l’errore che conduce la gente all’idolatria è principalmente di natura intellettuale: Dicono, «Poiché Dio ha creato vari intermediari (gli astri e costellazioni) con cui guidare il mondo… è giusto che siano esaltati, lodati e che ricevano onori. Questo è ciò che Dio desidera» (norme di Avodà Zarà).
È sbagliato pensare che questi intermediari abbiano scelto di agire poiché tali e che, poiché hanno scelto di agire da intermediari, gli siano dovuti gli onori. Invece, non hanno affatto libera volontà in quanto sono semplicemente come “un’ascia nelle mani del taglialegna (Dio)”.
Quindi, la conoscenza di tutti i culti idolatri di Yitrò significa che egli comprendeva tutti i livelli di intermediari sia in questo mondo, sia nei regni spirituali, ovviamente, questo comporta da parte sua un’ampia comprensione.
Alla luce di quanto spiegato, si può comprendere l’affermazione dello Zòhar, secondo cui abbiamo ricevuto la Torà solo grazie alle lodi di Dio fatte da Yitrò.
Lo Zòhar, infatti, spiega questo concetto interpretando un versetto del Kohèlet (2, 13): Ho visto la superiorità della sapienza sulla (letteralmente, “dalla”) stupidità. La superiorità della “sapienza”, ovvero, un aspetto superiore di sapienza santa, si consegue solo attraverso l’affinamento e l’elevazione della “stupidità”, ovvero la sapienza profana.
Perciò, quando Yitrò (che conosce a fondo la sapienza profana) arriva a studiare la Torà e dichiara che «Dio è più grande di tutte le altre divinità», ne consegue un affinamento della sapienza profana e la sua definitiva trasformazione in santità. Questo apporta un’ulteriore misura di illuminazione divina alla sapienza santa, e ne consegue il dono della Torà – la sapienza di Dio – in basso. Infatti, affinché la Torà possa scendere, deve derivare da una fonte autenticamente elevata e questo avviene solo attraverso la misura ulteriore di illuminazione proveniente dall’affinamento della sapienza profana realizzata da Yitrò.

Il Basso Sale in Alto
È ben risaputo che qualunque cosa funga da preparazione per un determinato evento debba essere in qualche modo simile a ciò che sta preparando. Quale aspetto dell’affinamento della sapienza profana ha fatto in modo che potesse fungere da precursore alla consegna della Torà?
Prima di dare la Torà, Dio ha decretato che “I cieli sono del Signore, ma la terra ha dato ai figli dell’uomo” (Tehillìm 115, 16). Quando Hashèm ha dato la Torà, ha annullato il decreto originale della totale separazione tra spirito e materia e ha dichiarato: Da adesso coloro che sono in basso possono salire in alto e coloro che sono in alto possono scendere in basso (Midràsh Shemòt Rabbà 12, 3).
In altri termini, all’epoca in cui fu data la Torà ci fu una commistione tra “alto” e “basso”: l’elemento fisico poté salire ed essere circondato dall’elemento spirituale e l’elemento spirituale poté scendere e avvolgere l’elemento fisico e trasformarlo in un oggetto santo.
Ciò assomiglia in modo sorprendente all’affinamento della sapienza profana – il livello inferiore – e alla sua elevazione e trasformazione in sapienza santa. Questo affinamento, verificatosi grazie a Yitrò, funge perciò da fondamentale preparazione alla consegna della Torà.
Analogamente, quando verrà il Mashìakh, tutti (e in particolare chi possiede molte conoscenze secolari) utilizzeranno la propria sapienza, anche quella secolare, per servire Dio, elevandola e trasformandola in santità – kedushà. Che ciò possa avvenire presto, ai nostri giorni.

Basato su Likuté Sikhòt, Vol XI, pp. 74-76

* YITRO***
UNA STORIA ATOMICA DA NON PERDERE!!
COME UN LIBRO HA CAMBIATO LA VITA DI UNA PECORA SMARRITA!

https://youtu.be/2Q1b607ugJY
facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10159004304475540
*
PERLE DI SAGGEZZA della 17° PARASHA DI QUESTA SETTIMANA:
COME ANDARE D’ACCORDO CON LA SUOCERA!

https://www.facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10159000839210540
*
Grande lezione di VITA
DONO TORA: VOLONTARIO O FORZATO?
Perché Hashèm Ha Messo la Montagna Sulla Testa di Israèl?

https://www.facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10157860211100540

un principio Talmudico ci insegna che: “sentire non è come vedere” (Rosh Hashanà). Questo vuole dire che anche se una persona ha tutte le informazioni ESATTE di una certa cosa, questo non è comunque paragonabile a vedere la cosa con i propri OCCHI. Ovviamente ciò non vuole dire che non si può avere una totale certezza sulla base di informazioni riportate da altre persone. Ad esempio è ammissibile che un tribunale rabbinico emetta una sentenza, anche di morte, basata sulla testimonianza di terze persone. Tuttavia esiste un livello di convinzione tale che solo la VISTA ci può concedere.

Un esempio lo possiamo trovare nel comportamento di Yitrò all’inizio della porzione settimanale (Esodo 18, 11) di questa settimana, quando Yitrò riconosce il DIO UNICO affermando: “Ora so che Hashèm è più grande di qualunque divinità…”.
La Torà ci descrive questo processo di riconoscimento legato agli eventi dei grandi MIRACOLI che sono successi al popolo di Israèl: l’esodo, l’apertura del mare, la vittoria contro Amalèk.
Tuttavia, tutto ciò non è stato sufficiente per far ricevere il dono della Torà. Solo quando Yitrò è arrivato all’accampamento di Israèl ai piedi della montagna del Sinày, dopo aver testimoniato con i PROPRI occhi il profondo rapporto di Israèl con Dio SOLO allora disse la famigerata frase che ha cambiato il mondo per sempre: “ADESSO SONO SICURO CHE DIO È PIU’ GRANDE DI TUTTI I DEI”.
(continua sotto)

Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.

Shabbat Shalom

Rav Shlomo Bekhor

Come ho scritto il mio portale delle email è saltato e sto cercando di ripartire con un altro portale e ho raccolto alcune email ma ne mancano ancora tante.

Se non desideri ricevere la riflessione sulla Torà della settimana provvederò a disinserirti  dalla mia email (che mando anche via whatsapp e FaceBook: https://www.facebook.com/shlomo.bekhor).

Se la email in uso non è aggiornata prego di comunicarmi.
Se si conoscono delle persone che la vogliono ricevere per favore di farmelo sapere o registrarsi al link in basso.

Virtual Yeshiva
se il talmid non va dal rabbi, il rabbi va dal talmid!600 Shiurim online divisi per argomenti.
Non perdere l’appuntamento con la parashà mistica e psicologia nella Torà
Per informazioni: www.virtualyeshiva.it
****YITRO****
nuova lezione di VITA
DONO TORA: VOLONTARIO O FORZATO?
Perché Hashèm Ha Messo la Montagna Sulla Testa di Israèl?

https://youtu.be/coBrmBjPPec
https://www.facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10157860211100540

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FARE LA DIFFERENZA!

Al seguente link la pagina web della lezione sulla nostra parashà in formato mp3:
http://www.virtualyeshiva.it/2010/01/28/beshallakh-5770-i-quattro-gruppi-del-mare/

Al seguente link potrai scaricare la lezione della Parashà di questa settimana sul tuo mobile:
http://www.virtualyeshiva.it/files/10_01_28_beshalakh_4gruppi_buttarsimare.mp3

Per ascoltare le altre lezioni sulla parashà:
http://www.virtualyeshiva.it/2020/02/01/beshallakh-e-yud-shvat-5772-5-lezioni-precedenti/

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Virtual Yeshiva non fa pagare nessuna iscrizione al sito perché la Torà sia accessibile a TUTTI e SEMPRE.
Se ascolti le lezioni è doveroso dedicare parte della decima a mantenere viva questa grande opera di divulgazione di Torà.
Aiutando Virtual Yeshiva si diventa soci nella diffusione della parola di Hashèm ed è un segno di riconoscenza per chi insegna e così potremo diffondere insieme molti più valori di vita e insegnamenti.

Per saperne di più si può scrivermi una mail o collegarsi al seguente link:
http://www.virtualyeshiva.it/voglio-aiutare/

VEDERE PER CREDERE

(continua da sopra)

Ci sono altri passi nella Torà da cui questo principio può essere dedotto prima della storia dei Yitrò. Per esempio, nel capitolo 45 della Genesi leggiamo come i figli di Giacobbe dissero al padre che Giuseppe era ancora vivo in Egitto, dopo che erano trascorsi ventidue anni da quando egli lo aveva visto per l’ultima volta, convinto oramai della sua morte.
In un primo momento, non credeva loro; ma dopo che gli hanno fornito la prova conclusiva delle carrozze mandate da Giuseppe e cosa aveva detto loro che nessun altro avrebbe potuto sapere, “lo spirito di Giacobbe è stato rianimato”. Tuttavia, solo quando Giacobbe vide Giuseppe con i propri occhi disse: “Ora posso morire in pace, dopo aver visto la tua faccia, perché sei vivo”. La consapevolezza di Giacobbe circa il fatto che Giuseppe era vivo, prima di aver visto il suo volto, era su un livello completamente più basso.

Ora possiamo capire come mai solo quando Yitrò vide la Shekhinà, la presenza di Dio, poté affermare che solo Hashèm era l’unico vero Dio. Eppure, c’è qualcosa in più nel caso di Yitrò. La sua esperienza consente di apprezzare meglio la regola che afferma come: “Udire non è paragonabile a vedere”. I nostri saggi ci dicono che Yitrò era stato un ricercatore, un erudito che per tutta la vita aveva studiato a fondo ogni filosofia, idolatria e teologia sulla faccia della terra, fino a diventare il capo supremo, un capo religioso. Yitrò, in poco tempo, capì dove stava la verità e abbandonò ogni idolatria solo dopo che arrivò alla Torà e alla verità di Dio.

Yitrò era un vero scienziato, colui il quale la mente è il più alto arbitro della verità senza alcun condizionamento. Il vero scienziato non si fida per niente dei suoi sensi, basandosi invece su “dati concreti” dai quali era ammissibile dedurre logicamente ogni legge, ogni verità. Le “logiche conclusioni” possono tranquillamente contraddire ogni sentimento, ogni certezza dell’animo. Solo le deduzioni logiche della sua mente sono la “legge assoluta” che può dominare tutto, anche ciò che viene percepito o sentito come vero.
Si potrebbe quindi pensare che quando un uomo RAZIONALE come Yitrò deduce che qualcosa è vero, non ci può essere una maggiore convalida di più di quello che la sua mente gli ha dimostrato. Se ha capito che il vero Dio è il Dio di Israèl, nella sua mente è SICURO che Egli è il vero Creatore, e allora cosa può aggiungere il fatto di aver visto la presenza divina tra il popolo d’Israele ai piedi del Monte Sinày?

Eppure, quando Yitrò arriva ai piedi del Monte Sinày, ha proclamato: “Ora so che Hashèm è il più grande…”. Se fosse solo una questione “indiscutibile” basata sulla logica razionale, per un uomo come Yitrò, il vedere o meno non avrebbe fornito alcuna certezza in più rispetto a quello che aveva sentito sulle prodezze che Hashèm aveva compiuto per far uscire il popolo d’Israèl dall’Egitto. Tuttavia, la differenza è che vedendo un’esperienza diretta della cosa stessa si riesce a cogliere la sua essenza, mentre capire attraverso la logica consente solo di raggiungere l’aspetto superficiale di una cosa.

Quando sentiamo parlare di qualcosa o attraverso la deduzione da prove logiche, la mente raccoglie le prove pezzo per pezzo, dettaglio per dettaglio, e poi assembla i pezzi in una percezione del soggetto. Ma quando vediamo qualcosa, noi ci colleghiamo con la totalità della cosa stessa, prima ancora che siamo a conoscenza dei dettagli. I nostri occhi ci forniscono un contatto con l’essenza della cosa che ci assicura l’esistenza di quella cosa in ogni circostanza. Anche se avessimo tanti dubbi e quesiti sul come e perché tutto questo non ci fermerà dalla convinzione dell’esistenza di una cosa che abbiamo visto, perché è come se l’avessimo toccata con la mano.
Yitrò, che aveva provato in precedenza TUTTE le religioni diventandone il CAPO supremo quando esprime TRA TUTTI I CREDI c’è SOLO HASHÈM e dopo aver visto coi propri occhi l’ESSENZA della divinità, solo lui poteva fare l’affermazione per eccellenza, quella che ha cambiato il mondo per sempre.
Questo è il motivo per cui Hashèm vuole essere “visto” da tutto il popolo di Israèl sul monte Sinày e anche il perché i giorni del messia sono descritti come un momento in cui “ogni carne vedrà”.
Vedendo direttamente l’apparizione Divina del nostro Creatore questo ci ha fornito uno strumento di unione profonda superiore a qualsiasi altra cosa. Egli ci ha concesso la capacità di penetrare la profusione di dettagli che intasa la nostra realtà neurologica e che ci mette in relazione con la quintessenza delle cose, che è l’essenza dell’essere umano, l’essenza del mondo in cui viviamo e, in ultima analisi, l’essenza stessa di Dio.

Tuttavia, perché la Torà racconta il grande Dono della Torà proprio nella parashà che porta il nome di un idolatra, poi convertito? La risposta la troviamo nell’essenza stessa del Dono della Torà: ossia che da questo evento è stato possibile fondere lo spirito con la materia, elevandola e rettificandola.
Yitrò quindi è stato l’archetipo di questa nuova fase dell’umanità, l’iniziatore in qualche modo delle nuove potenzialità che Hashèm ci ha donato. Una volta che Yitrò ha ammesso l’esistenza del Dio unico e aver rigettato e abbandonato ogni forma di idolatria, lui il più grande sacerdote idolatra ha rettificato e elevato l’impurità e la materia infondendola di santità a livelli altissimi. Per questo è scritto nel Talmud che solo grazie alla teshuvà – pentimento, conversione di Yitrò l’umanità ha meritato di ricevere il Dono della Torà.
Un’altra domanda, tuttavia sorgerebbe spontanea, ma cosa centra la vista? Cosa centra il fatto che, come scritto sopra, Hashèm ha voluto mostrarsi, farsi vedere a Yitrò e ovviamente anche a tutto il popolo ebraico? La risposta è che, come scritto sopra, solo vedendo l’essenza di Hashèm, Yitrò ha elevato l’essenza della materia e ha permesso il Dono della Torà che iniziato la trasformazione del mondo. Così oggi noi possiamo continuare questa strada che presto sarà conclusa quando arriverà Mashiàkh presto nei nostri giorni.

Basato su un discorso del Rebbe, 29 Shevat 5740 (16 Febbraio 1980)

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Troviamo alla fine della parashà il seguente verso:
“Non salire sul Mio altare mediante gradini, affinché non vi sia scoperta la tua nudità” (Shemòt 20, 23)
Non salire… gradini… nudità: salendo all’altare su dei gradini, i cohanìm, con il naturale movimento delle gambe che ciò comporta, avrebbero rischiato di esporre ai gradini stessi le loro parti intime, che erano comunque coperte dai pantaloni che ogni cohèn era tenuto a indossare (28, 42). La Torà respinge però anche il più piccolo accenno all’impudicizia. Per questo motivo, i sacerdoti salivano sull’altare per mezzo di una rampa , SENZA GRADINI (Mekhiltà; Rashì). E oltretutto salivano con un particolare movimento: camminavano mettendo un piede dopo l’altro, senza lasciare spazi tra loro. In questo modo nessuna nudità poteva rimanere scoperta.
Gli ultimi due versetti di questa parashà, che concludono i DIECI COMANDAMENTI , la sintesi di tutta la Torà, contengono un’importante lezione di sensibilità: anche se un altare con dei gradini è un oggetto inanimato che non può scorgere la nudità dei sacerdoti, la Torà ci vieta comunque di mancare di rispetto e disonorarli.
A maggior ragione, comprendiamo quanto sia importante prestare attenzione a non causare vergogna o disagio a un essere umano, creato a immagine di Dio (Rashì). Questa è la conclusione , il culmine della promulgazione del patto con Hashem sul monte Sinay:
SOLO QUANDO SIAMO MOLTO SENSIBILI VERSO IL PROSSIMO POSSIAMO ESSERE UNITI A DIO!!!
(Commento tratto dal Khumàsh Shemòt, edito da Mamash, p. 327)

(continua sotto)

Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.
Shabbat ShalomRav Shlomo Bekhor
Nuova lezione video corta di questa settimana:
COME ANDARE D’ACCORDO CON LA SUOCERA!
Virtual Yeshiva
se il talmid non va dal rabbi, il rabbi va dal talmid!

500 Shiurim online divisi per argomenti.
Non perdere l’appuntamento con la parash・ mistica e psicologia nella Tora
Per informazioni: www.virtualyeshiva.it
YITRO
GRANDE MERITO DI UN CONVERTITO!
Al seguente link troverai la lezione sulla nostra parashà in formato mp3:
http://www.virtualyeshiva.it/2006/02/16/yitro-5766-grande-merito-di-un-convertito/

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Al seguente link troverai la lezione sulla nostra parashà in formato mp3 e mp4 (video):
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Per vedere il video:
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HITLER E AHMADINEJAD
L’errore di separare il primo comandamento di destra dal primo di sinistra delle due tavole della Torà:
le sue conseguenze ha prodotto due grandi malvagi della storia.

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http://www.virtualyeshiva.it/voglio-aiutare/La lezione approfondisce questi punti, attingendo da fonti midrashiche, testi di mistica ebraica e khassidici, in una cornice unica, chiara e comprensibile per tutti, alla luce degli insegnamenti dei grandi Maestri dell’ebraismo.Per ascoltare le altre lezioni sulla nostra parashà cliccare al seguente link:

 UNO SGUARDO PER IL PARADISO!
(continua da sopra)
La prima mitzvà data agli ebrei dopo il Dono della Torà fu stranamente un divieto, qualcosa di NEGATIVO: non creare idoli d’oro o d’argento. La stessa è poi seguita immediatamente dalla mitzvà di costruire un altare di terra che, pur essendo un precetto positivo, racchiude una connotazione negativa: “essendo la terra calpestata da tutti”.
Questo ci insegna che il primo passo della crescita spirituale deve essere “negativo”: se l’uomo desidera avvicinarsi a Hashèm, deve scrollarsi di dosso i propri istinti animaleschi e il proprio ego, creando un “vuoto” spirituale che lasci penetrare la santità della Torà (Rebbe di Lubavitch).
LEZIONE DI UMILTÀ
La proibizione contenuta nel versetto (passuk) preso in esame è stata oggetto di molte interpretazioni. Una di queste, pone l’accento sul fatto che la Torà utilizza la parola “ma’alòt”, che generalmente si traduce con “gradini”, ma che può essere intesa anche come “buone qualità”. Quindi questo passuk potrebbe essere letto nel seguente modo: “Non salire sul Mio altare mediante le tue buone qualità, affinché non vi sia scoperta la tua nudità”.
In questo passo della Torà, Hashèm ci mette in guardia dal salire sull’Altare di Dio pavoneggiandoci delle nostre buone qualità, orgogliosi dei nostri traguardi raggiunti e sodisfatti di tutto ciò che sappiamo; in questo modo corriamo il rischio che la “nostra nudità” – ovvero debolezze, vulnerabilità e difetti importanti – vengano presto allo scoperto.
L’Altare non può essere una sorta di “vetrina” dell’autocompiacimento, la sede del culto religioso dalla quale permettiamo agli altri di venire a conoscenza della nostra grandezza. Se cadiamo in questa trappola, Hashèm ci dice che solo la “nostra nudità”, i nostri difetti – e non la nostra grandezza – verrà rivelata. Bisogna invece accostarsi all’Altare divino con un atteggiamento fondamentalmente umile che si deve tradurre nella sincera percezione della nostra inadeguatezza. È necessario curarsi che l’Altare non diventi per nessun motivo teatro di religiosa prevaricazione e arroganza.
La seguente storiella chassidica illustra bene tale concetto.
In una città dell’Europa vivevano due ebrei: uno era Reb Haim, un grande studioso; mentre l’altro, che si chiamava anche Haim, era un povero facchino a mala pena in grado di leggere le lettere dell’alfabeto ebraico. Lo studioso riuscì a contrarre un buon matrimonio, dato che il più ricco uomo della città scelse proprio lui, il più brillante studente della yeshivà, come suo genero. Grazie al supporto economico datogli dal ricco suocero, come consuetudine in quel tempo, lo studioso  si guadagnò ben presto il rispetto e l’ammirazione dell’intera città: grazie al fatto che oramai poteva trascorrere numerose ore giornaliere nel suo studio a incontrare e ricevere chiunque necessitasse di aiuto o consiglio.
Questi due uomini, così diversi si trovavano quotidianamente a confronto l’uno con l’altro. Accadeva che il facchino pregasse presto al mattino, per poter cominciare a lavorare il prima possibile, al fine di guadagnare il suo magro sostentamento. Precipitandosi fuori dopo la funzione in sinagoga, incrociava il grande Reb Haim che arrivava per il minyàn successivo, a quello del facchino, poiché passava gran parte della notte a studiare Torà. In tal modo essi si incontravano praticamente ogni giorno.
Reb Haim, lo studioso rivolgeva a Haim, il facchino un sorriso sdegnato e un ghigno di compiacimento compariva nelle sue labbra, mentre ringraziava Dio di poter trascorrere la giornata con la Torà e di non dover lavorare come lui.
Haim il facchino, a sua volta, rivolgeva allo studioso uno sguardo struggente, sentendosi triste e indegno di non poter trascorrere anch’egli la propria vita tra le sacre scritture.
Entrambi morirono lo stesso giorno e vennero giudicati dalla corte celeste. Per primo fu il turno dello studioso Haim. Tutte le sue buone azioni, lunghi anni di studio e atti caritatevoli vennero messi da un lato della bilancia, e dall’altro il suo quotidiano ghigno di autocompiacimento. Il ghigno sorpassò nel peso tutte le buone azioni.
Poi fu la volta di Haim il facchino. Su un piatto della bilancia vennero collocati tutti i suoi peccati, e dall’altro il suo quotidiano sguardo di rammarico e umiltà per non poter servire adeguatamente Dio.
Quando alla fine le bilance furono messe a confronto, lo sguardo sorpassò in peso i peccati del facchino e il ghigno e il vanito superò i meriti dello studioso.
SOLO L’EBREO UMILE ANDÒ DRITTO IN PARADISO!
Sappiamo che molti ebrei, soprattutto israeliani, vanno in India o in Estremo Oriente alla ricerca di “cibo spirituale” per l’anima. Questo piccolo esodo è in parte causato da coloro che, nel divulgare la parola di Ha-Shém, ignorano o nascondono il lato spirituale della Torà e mettono in risalto solo l’aspetto tecnico e formale dell’ebraismo costituito, secondo loro, solo da tante azioni materiali: le mitzvòt –precetti della Torà.
Queste vanno naturalmente onorate e osservate con rigore, come qualunque comandamento dato da Ha-Shém, ma non vanno applicate in modo freddo e meccanico. Lo scopo intrinseco delle mitzvòt non è certo quello di farci diventare dei “robot senz’anima”. Un ebraismo inteso in questo modo rischia di allontanare tutti coloro che cercano un profondo rapporto spirituale con Hashèm.
Mio padre disse: “Freddezza ed eresia sono separate solamente da una sottile paratia!” È detto: “Poichè l’Eterno, tuo D-o, è un fuoco che consuma”. La Divinità è una fiamma di fuoco. Lo studio della Torà e la preghiera devono essere fatti con un cuore appassionato, così che “tutte le mie ossa pronunzieranno” le parole di Dio, nella Torà e nella preghiera (Rebbe di Lubavitch, HaYom-Yom, Venerdì 16 Shvàt 5703).
Ecco perché il Rebbe di Lubavitch ci insegna che bisogna scaldare il compimento dei precetti con il “fuoco di Dio” che è la nostra anima. Dobbiamo riuscire ad “accendere l’anima”, con la parte più spirituale della Torà, senza che ciò venga ostacolato delle norme pratiche, delle azioni fisiche o dal nostro lato razionale. Come detto dal Rebbe occorre che le preghiere e lo studio “devono essere fatti con un cuore appassionato, così che “tutte le mie ossa pronunzieranno” le parole di Dio”.

La figura di Moshè ci permette di comprendere come la grandezza di un leader sta nel capire di quale acqua e cibo abbisognano le pecore del gregge.

Prima di diventare il leader di tutto Israèl Moshè era un pastore.
Il Midràsh racconta come un giorno, mentre Moshè stava facendo pascolare i greggi di Yitrò nel deserto del Sinày, un agnellino cercò di fuggire. Moshè lo inseguì, finché giunse a una sorgente e cominciò a bere. Quando Moshè raggiunse il piccolo pianse: “Oh, non sapevo che tu fossi assetato!” Cullò il piccolo fuggitivo tra le sue braccia e lo riportò nel gregge. Disse l’Onnipotente: “Tu sei misericordioso nell’occuparti di un gregge, perciò ti dedicherai al Mio popolo di Israèl”.
L’importante lezione dell’episodio è capire come il piccolo non era scappato dal gregge per malizia o malvagità, ma perché era semplicemente assetato.
Quando un uomo si allontana da Hashem, Dio non voglia, è solo perché egli è assetato. La sua anima ha sete dei veri significati della vita, della parte più profonda e spirituale della Torà (simboleggiata dall’acqua) che permette all’anima di accendersi. Di conseguenza c’è il rischio che egli vaghi in terre straniere, cercando di placare la propria sete.
Quando Moshè comprese ciò, fu in grado di divenire il leader di Israele. Solo un pastore che non si affretta a giudicare un fuggitivo e che si dimostra sensibile ai profondi motivi della sua diserzione, può sollevarlo misericordiosamente tra le sue braccia e ricondurlo a casa.
Psicologia Di Vita
Yitrò era sorpreso dal modo in cui suo genero, Moshè, giudicava le persone. Come poteva Moshè pensare di giudicare da solo l’intera nazione? Sembrava un modo molto inefficiente! Così Yitrò suggerì di creare un formale sistema giudiziario che avrebbe lasciato Moshè libero di trattare solo i casi davvero rilevanti. Da questo suggerimento nasce il famoso concetto di gestione aziendale “PIRAMIDALE”: alla base ci sono più pietre (persone) e man mano che si sale sempre di meno fino alla cima dove c’è solo una pietra. E in cima c’è Moshè che gestisce i problemi più complicati che ci sono.
Il piano di Yitrò era di creare una gerarchia di giudici. Alcuni giudici avrebbero avuto giurisdizione su dieci persone, altri su cinquanta, cento e mille.
Moshè non discusse con il suocero, accettò il suo suggerimento e cambiò il sistema giudiziario. Almeno in apparenza…!
Ma tutto questo sembra piuttosto semplicistico. Certamente Yitrò non stava suggerendo nulla di nuovo! Ogni nazione ha un sistema giudiziario. Com’è possibile che Moshè, il più grande leader che la storia abbia mai conosciuto, il profeta di tutti i profeti, non ci fosse arrivato da solo?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo comprendere quali erano i veri motivi che hanno spinto Moshè a dare attuazione al suggerimento di Yitrò.
Yitrò vedeva la procedura giudiziaria esclusivamente finalizzata alla risoluzione delle controversie di natura patrimoniale ed economica. Egli pensava che solo le dispute su terra e ricchezza fossero ciò che conducevano le persone nei tribunali. Yitrò pensava di “nutrire il gregge” con procedure formali e materialità. Quindi Yitrò suggerì a Moshè di allestire diversi livelli di giudici: “Tutti i casi minori essi giudicheranno e i maggiori li porteranno dinanzi a te”.
In altre parole, i casi monetari minori, le piccole rivendicazioni, dovevano essere gestite da altri giudici. Dal suo punto di vista, Moshè non doveva essere disturbato da rivendicazioni gestibili anche da giudici minori, poiché doveva gestire solo le GRANDI questioni monetarie, ovvero di grande QUANTITÀ (Es. 18, 22).
In questo ragionamento ci sono due errate concezioni:
Il sistema giudiziario visto solamente come strumento per risolvere problemi materiali e NON come uno strumento di EDUCAZIONE e crescita.
Il parametro di misura è la QUANTITÀ (grande o piccolo) e non la qualità.
Così quando Yitrò chiese a Moshè cosa stesse facendo, Moshè rispose che egli giudicava tra un uomo e il suo vicino e che in questo modo insegnava la legge di Ha-Shém. E conclude il verso che Moshè fece ESATTAMENTE quello che gli aveva insegnato suo suocero (Es. 18, 24).
Quindi formalmente Moshè accettò il suggerimento di Yitrò, poiché si rendeva conto che un solo uomo non poteva adempiere ad un simile incarico. Ma come mise in pratica i suggerimenti di Yitrò, pur mantenendo i suoi ideali?
Moshè apportò un cambiamento, apparentemente lieve, ma che faceva tutta la differenza del mondo! Moshè sapeva cosa un vero pastore doveva dare da “bere al gregge”. Soddisfare la sete che l’anima ha dei veri significati della vita, della parte più profonda e spirituale della Torà (simboleggiata dall’acqua) che permette all’anima di accendersi. Quindi Moshè utilizzò la procedura giudiziaria come uno strumento educativo, nel quale le persone potevano imparare la Torà e in tal modo comprendere l’origine dei loro problemi.
I “casi complessi”, per Moshè avevano un significato del tutto diverso da quello che avevano per Yitrò. Per il primo i casi più difficili erano quelli che richiedevano migliore conoscenza e familiarità con la Torà. Questi dovevano essere portati a Moshè, per la sentenza finale, poiché erano poche le persone che conoscevano tutte le leggi della Torà come lui.
E poi il parametro di misura per Moshè era la QUALITÀ, basata sulla complessità della causa e quindi sulle ripercussioni sociali, halakhike o psicologiche di una decisione (Es. 18, 26): ad esempio una banale disputa tra famiglie rischia di dividere tutta la comunità in due gruppi; oppure una decisione sbagliata sull’osservanza di un precetto può avere ripercussioni negative per generazioni.
Non a caso egli fu chiamato Moshè il profeta e “legislatore”!
Così Moshè usava il processo giudiziario come uno strumento d’insegnamento delle leggi della Torà scritta e orale, rivelata e nascosta. Tutti argomenti di grande difficoltà che presumevano anche immensa sapienza e conoscenza che non tutti i giudici potevano avere.
Tutto questo con grande saggezza e diplomazia, senza ferire i sentimenti del suocero, ma anzi facendogli credere che stava attuando alla lettera i suoi insegnamenti.
Impariamo la psicologia della vita da Moshè: parlare poco e fare tanto mettendo da parte il proprio ego senza troppi commenti!!!
Scelta Migliore!
Un famoso detto ebraico che dovremmo ripetere tutto il giorno:
TIYHE KHAKHAM, VEAL TIHYE ZODEK!
AGIRE CON SAGGEZZA È MEGLIO, CHE AGIRE NEL GIUSTO!
Essere nel giusto non sempre ci fa essere nel giusto assoluto. Può darsi che la nostra concezione del giusto sia appunto nostra e in quanto tale relativa, ma noi la trasformiamo “magicamente” nel  “GIUSTO PER ECCELLENZA”.
Ma anche se si è SICURAMENTE nel giusto non è detto che agire nel giusto ci dia il migliore risultato nella vita. È giusto pensare di non fermarsi a un incrocio dove si ha la precedenza e poi essere tamponati, perché chi doveva fermarsi, non l’ha fatto! Non aiuta sempre avere la ragione, essere nel giusto, specialmente se ci si trova in motocicletta o in una piccola vettura…!
Al massimo a questo “giusto” gli faranno in paradiso una bella corona con su scritto: MORTO CON LA RAGIONE DALLA SUA PARTE.
Perciò ricordiamoci da Moshè di cercare sempre il comportamento più saggio e non quello più giusto. Può sembrare giusto risolvere i problemi materiali considerati spesso i più urgenti, mentre si tralasciano le questioni spirituali che in fondo non danno da mangiare…
Non cerchiamo di difendere sempre la nostra tesi. A volte abbassare l’orgoglio e dire “si hai ragione te…” può farci solo bene.
Nuovo Mondo
Presto arriveremo a un mondo dove ci sarà più invidia e orgoglio, gli uomini si ameranno e rispetteranno senza limiti. Non dovremo più faticare per cercare la pace famigliare e nel mondo.
Facciamo gli ultimi sforzi e dimostriamo che il mondo è già rettificato e pronto alla redenzione, impegniamoci a seguire l’esempio di Moshè con amore e rispetto per lo suocero, anche se straniero, così potremo avere la rivelazione della pace eterna con Mashiakh. Presto nei nostri giorni, amen.

La Parashà di Yitrò tratta in sintesi i seguenti argomenti:

Il suocero di Moshè, Yitrò, viene a conoscenza dei grandiosi eventi che hanno accompagnato l’Esodo del popolo ebraico. Con la figlia Tzipporà e i due figli di questa, Yitrò decide di raggiungere il genero e di rallegrarsi con lui per i miracoli e i prodigi divini di cui gli ebrei sono stati protagonisti.
Riconosciuta la potenza e la grandezza di HaShèm, Yitrò Lo accetta come unico D-o. Di conseguenza si converte facendo la circoncisione e l’immersione in un bagno rituale. Insieme a Moshè, Aharòn e altri illustri esponenti del popolo, Yitrò offre sacrifici a HaShèm, per completare la conversione e per festeggiare la redenzione sua e di Israèl.
Vedendo il genero, giudice supremo, sopraffatto dall’onere del compito di trattare le cause di un intero popolo, Yitrò gli suggerisce di nominare dei magistrati minori, preposti su migliaia, centinaia e decine. I magistrati dovranno presentare caratteristiche morali esemplari. Moshè acconsente e mette in pratica il consiglio con grande umiltà. Yitrò si congeda dal genero e dal popolo e ritorna nella sua terra per convertire i suoi familiari.
Il popolo ebraico, giunto presso il Monte Sinày, si appresta a ricevere la Torà. HaShèm comunica a Moshè le modalità dell’evento e indica al popolo come deve prepararsi al momento del Dono della Torà.
L’evento tanto atteso ha luogo presso il monte accompagnato da tuoni e lampi che suscitano il timore reverenziale del popolo. Il Sinày è arroventato ed emana il fumo in virtù della Presenza Divina.
HaShèm proclama i Dieci Comandamenti che sintetizzano tutti i 613 precetti della Torà.
La parashà si conclude con l’emanazione di ulteriori leggi, fra le quali il precetto di costruire un altare di bronzo senza gradini per rispetto al pudore, e realizzandolo senza utilizzare attrezzi in metallo.

MIDRASHIM

I Dieci Comandamenti
(a pagina 676 del volume Shemòt edizioni Mamash).

APPROFONDIMENTI KHASSIDICI

Fra giusti e pentiti.
(a pagina 735 del volume Shemòt edizioni Mamash).

La preparazione al Dono della Torà.
(a pagina 741 del volume Shemòt edizioni Mamash).

YITRO 5771 – HITLER E AHMADINEJAD
L’errore di separare il primo comandamento di destra dal primo di sinistra delle due tavole della Torà: le sue conseguenze ha prodotto due grandi malvagi della storia.Riconoscere la non centralità dell’uomo, significa riconoscere che D-o esiste, che ha creato la vita e non abbiamo diritto di toglierla!

YITRO 5770 – RECINTO DI ROSE
Perché un recinto morbido è più efficace di un recinto di ferro? La Torà non è un codice di regole imposte sul corpo, bensì rappresenta il manuale del creatore del corpo ed è l’unico mezzo per estrapolare al meglio le potenzialità dell’uomo.

YITRO 5769 – IL NIPOTE DI MOSHE IDOLATRA?
Ebraismo contro Idolatria! Il giusto punto di vista in questo delicato argomento.
Quale deve essere il giusto e corretto approccio per un ebreo nell’ accostarsi alla spiritualità ed i pericoli insiti nell’utilizzare un approccio simile a quello di Yitrò.

YITRO 5768 – DIECI COMANDAMENTI, 2 CATEGORIE
Perché i primi due comandamenti sono stati detti da Hashem direttamente al popolo non tramite Moshè?
La Torà per tutta l’umanità: 10 comandamenti per am Israel, 7 precetti per l’umanità. L’unicità del legame con Hashem che non passa attraverso un uomo, ma avviene con una pubblica manifestazione!

YITRO 5766 – GRANDE MERITO DI UN CONVERTITO!
Chi era Yitrò? Dalla frase di Yitrò, in cui riconosce la grandezza di Hashem, consegue un’elevazione del mondo a livello tale, da meritarsi la diffusione del monoteismo. Il valore di una conversione sincera!