AKHARE MOT KEDOSHIM 5781 : 6 LEZIONI
Questo Shabbàt 24 Aprile 2021, 12 del mese di Iyàr 5781 leggeremo le Parashot di Acharè Moth Kedoshìm
Levitico 16, 1 – 20 , 27
HAFTARÀ
Italiani: Ez 20, 1-20
Sefarditi: Ez. 20, 2-20
Ashkenaziti: Amos 9, 7-15
Pirqè Avot 3° capitolo
Acharè Moth
e Kedoshìm
A seguito della morte di Nadav e Avihù, Hashem ammonisce di non accedere nel luogo Santissimo dove è conservata l’Arca. Solo una persona, il Cohen Gadol (sommo sacerdote) può entrarvi una volta all’anno, per Yom Kippur, ed offrire il sacro Ketoret a D-o.
Una caratteristica del servizio nel Giorno dell’Espiazione è la selezione tra due capri per scegliere quale offrire a D-o e quale portare nel deserto, per allontanare i peccati di Israel.
La Parashà mette in guardia anche dal portare korbanot (offerte di animali o farina) in luoghi che non siano il Santuario, proibisce di nutrirsi del sangue e dettaglia le leggi relative all’incesto e ad altre relazioni sessuali deviate.
Kedoshìm
La Parashà (Levitico 19:1–20:27) comincia con l’affermazione “Santi dovete essere, perché Santo sono Io, il Signore vostro D-o”, da cui seguono decine di mitzvot attraverso le quali l’ebreo santifica sè stesso, relazionandosi con la santità di D-o.
Tra queste: la proibizione all’idolatria, la mitzvà della carità, il principio di uguaglianza davanti alla legge, lo Shabbat, la moralità sessuale, l’onestà nel proprio lavoro, l’onore e il rispetto verso i genitori e la sacralità della vita.
In Kedoshim viene riportato anche il principio, definito dal grande saggio Rabbi Akiva come un principio cardine della Torà e del quale Hillel disse, “questa è l’intera Torà, il resto è solo un commento”, AMA IL TUO PROSSIMO COME TE STESSO.
Questo Shabbat ci riporta alla solennità di Yom Kippur poiché quasi tutta la parashà che leggiamo è incentrata su tale giorno, il più santo dell’anno.
Nel giorno di Kippur non beviamo, non mangiamo, non ci laviamo e non indossiamo scarpe di cuoio. Non è difficile sentirsi santi in questo giorno speciale, in cui molte cose sono così diverse dagli altri giorni.
Da notare che il titolo della parashà è Akharè significa “in seguito”. Un ebreo deve rendere tutta la sua vita “santa” e tutte le sue azioni coerenti con questa santità, non solo il giorno di Kippur ma anche dopo, durante qualsiasi altro giorno dell’anno, quando mangia, dorme ecc.
L’Onestà negli Affari
מֹאזְנֵי צֶדֶק אַבְנֵי צֶדֶק אֵיפַת צֶדֶק וְהִין צֶדֶק יִהְיֶה לָכֶם וגו׳: (ויקרא יט, לו)
[Hashèm istruì a Moshè di dire a Israèl] «Dovete possedere [solo] pesi giusti e misure veritiere». (19, 36)
Altrove nella Torà siamo solo messi in guardia dal prendere denaro che non è nostro (attraverso il furto, la rapina, l’imbroglio, ecc.). Qui, ci viene comandato di non possedere nemmeno false misure, anche se non le useremo mai. Questo perché, quando un commerciante utilizza misure false sta fingendo di comportarsi correttamente. Sta effettivamente misurando le sue merci, apparentemente per addebitarle correttamente al suo cliente; tuttavia, allo stesso tempo, lo sta ingannando. Questo inganno è la radice di ogni disonestà che alla fine porta a un furto manifesto o peggio ancora.
Lo stesso vale per il nostro rapporto con Hashèm. La nostra inclinazione al male, – consapevole che qualsiasi tentativo di convincerci a ribellarci apertamente contro il nostro Creatore fallirà – indubbiamente, tenterà di intrappolarci attraverso l’inganno. “Sono d’accordo”, esso inizia, “che ogni azione deve essere ‘misurata’, condotta nel pieno rispetto della legge ebraica. Tuttavia, cosa ci sarebbe di così terribile se le ‘misure’ fossero leggermente alterate? Anche se insisti a mantenere una misura onesta”, continua, “mantienine anche un’altra: applica le leggi di Hashèm alla tua vita pienamente, quando si tratta di questioni spirituali; ma quando si interagisce con il mondo materiale o si fanno affari, sicuramente c’è spazio per il compromesso”.
La scrupolosità nel mantenere misure accurate, così come in tutti i rapporti d’affari, è il prerequisito per soddisfare l’intera Torà. Con le parole di Hilèl, uno dei grandi saggi talmudici: “Ciò che è odioso a te, non farlo ai tuoi simili – questa è l’intera Torà il resto è un commento. Vai e studia !”.
tratto dal nuovo libro in uscita Saggezza Quotidiana
Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.
Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
“Siate santi perché Santo sono Io, il Signore vostro Dio”. (Vayikrà 19,1)
La parashà di questa settimana comincia con il comandamento a tutto Israèl di essere “santi”.
Rashi spiega che questa santità è, di fatto, un prerequisito per adempiere alla maggior parte dei comandamenti della Torà. Questo è il motivo per cui andava detto di fronte all’intera nazione.
Subito dopo questo comandamento, la Torà procede dando una lista di diversi precetti – mitzvot da osservare. Se esaminiamo con attenzione tali mitzvot, vediamo che esse sono riconducibili a due distinte categorie: comandamenti tra uomo e Hashèm (verticali), come osservare le leggi concernenti lo Shabbat, e comandamenti tra uomo e uomo (orizzontali), come per esempio quello di non desiderare intensamente i beni del proprio vicino.
Molte persone, erroneamente, ritengono che la santità riguardi solo la relazione tra uomo e Hashem, dimenticandosi così delle altre relazioni che si costruiscono nella vita. Nell’ebraismo si ritiene che, poiché Hashem è Santo, tutte le nostre interazioni con Lui devono a loro volta avvenire con santità.
Tuttavia, proprio quando si giunge ai comandamenti tra uomo e uomo, si tende a pensare che la santità non sia più necessaria: gli uomini sembrano diventare così solo persone non perfette, non meritevoli della Santità. Di conseguenza spesso non ricevono quello che meritano.
La Torà ci insegna il motivo per il quale a noi tutti è comandato di essere santi: se ciascuno mantiene un livello di santità nella propria vita, allora ognuno deve trattare il proprio vicino come qualcuno di santo. Se le cose stanno così, allora come può una persona santa anche solo pensare di rubare, offendere, o maltrattare un altro?
Per questa ragione il verso della porzione settimanale ci insegna che “siamo santi” perché dobbiamo santificare la nostra vita materiale, il nostro corpo fisico, che altro non è se non l’involucro che ospita la Forza vitale Divina. Perciò bisogna rispettare gli uomini come si rispetta Dio e la sua Divina forza vitale che scorre in tutti.
La storia di due amici
Amare il nostro prossimo porta santità nel mondo, come spiegato nel seguente midrash.
Due uomini erano legati da una profonda amicizia ma la vita li mise a dura prova. Vivevano infatti in due stati diversi, tra loro in conflitto. Il cui confine tra gli stati passava proprio nei due villaggi in cui abitavano e, a cause della guerre e delle vicissitudini quotidiane, i due amici si separarono per molti anni.
Uno dei due decise un giorno di partire per andare a trovare l’amico, superando il confine pericoloso.
Ma le cose presero anche questa volta una brutta piega e presto, vista lo stato di guerra, cominciarono a spargersi nel paese di destinazione delle voci riguardo alla missione dello straniero venuto in visita. Presto egli venne arrestato con l’accusa di spionaggio e ritenuto colpevole venne condannato a morte dal re in persona.
L’uomo supplicò allora il re di esaudire un suo ultimo desiderio: essendo uno stimato uomo d’affari nel suo paese, e, come tale, ben conosciuto, faceva spesso degli affari a credito, tramite una semplice stretta di mano. In tal modo aveva accumulato una piccola fortuna, ma, poiché la maggior parte del suo denaro veniva dato in prestito alle persone senza contratti, egli chiese al Re di consentirgli un ultimo viaggio a casa per mettere in ordine i propri affari e dire addio alla sua famiglia. Diversamente, il re non lo stava semplicemente condannando a morte, ma condannava anche i suoi figli a una vita di povertà.
Il re incredulo e perplesso gli chiese di fornirgli delle garanzie sul fatto che sarebbe tornato. L’uomo rispose di avere un buon amico in città che avrebbe preso volentieri il suo posto fino al ritorno. Fu condotto l’amico che accettò prontamente dicendo: “Dopo tutto, a cosa servono gli amici?”
Il re incredulo del fatto che l’amico locale fosse pronto a morire per permettere al suo amico di tornare a casa, in terra nemica, allora decise di mettere alla prova i due e acconsenti alla partenza dell’uomo, per scoprire se sarebbe davvero tornato.
Giunto il giorno dell’esecuzione, tuttavia, l’uomo non aveva fatto ritorno, così il re diede ordine alle sue guardie di portare fuori l’amico e decapitarlo. Quando la lama stava per scendere sulla testa del pover uomo, si fece largo tra la folla l’amico: aveva fatto ritorno, fermamente pronto ad accettare il suo destino!
A questo punto ebbe inizio tra i due amici una insolita ed “accesa” discussione su chi dovesse essere giustiziato, poiché entrambi erano intenzionati a sacrificarsi l’uno per l’altro.
Il re osservò la discussione con grande STUPORE. Non riusciva a credere a quello che vedeva: non avrebbe mai immaginato che esistesse al mondo un’amicizia fraterna così vera e carica di rispetto e reciproca devozione.
Poi si rivolse ai due amici per la pelle, dicendo “Nessuno di voi due verrà ucciso, alla condizione che io diventi vostro amico! Se esiste un’amicizia così sincera e profonda anche io ne voglio fare parte.”
Da questo racconto apprendiamo il significato del verso “Amerai il tuo prossimo come te stesso, io sono l’Eterno” (Vayikrà 19,18). Il profondo messaggio ivi contenuto è che, se un uomo ama il suo prossimo sinceramente e di cuore, Hashem promette di amare entrambi ed essere costantemente loro socio, il terzo amico.
I comandamenti che valgono tra l’uomo e il suo prossimo includono anche Hashèm.
Inoltre il valore numerico di amare – ahava è 13. Quando due si amano a vicenda allora ci sono due ahava ovvero 13+13=26. Sappiamo che il valore numerico del Tetragramma è 26 (yud 10 – hei 5 – vav 6 – hei 5). Quando due si amano sinceramente portano la luce divina nel mondo poiché creano l’energia che corrisponde al Tetragramma il valore 26.
Quando agiamo con amore nei confronti del nostro prossimo, portiamo la Shekhinà (presenza divina) nel mondo.
AKHARE MOT 5770 – IL GIORNO DOPO IL DOMANI!
Quando si raggiunge la cima della montagna è ora di tornare casa!
KEDOSHIM 5769 – MANTENERE L’IDENTITA’ INTERIORE DURANTE MOMENTI STRESSANTI!
La logica del concetto “mechubar lo batil”: se il frutto è attaccato all’albero non si annulla?
KEDOSHIM 5768 – AMA IL TUO PROSSIMO COME TE STESSO!
Quattro spiegazioni su come si può amare il prossimo come sè stesso. Rabbi Akiva e Hilel hazaken affermano che questo precetto rappresenta tutta la Torà.
KEDOSHIM 5765 – RICONOSCERE SEMPRE L’IMPORTANZA DI HASHEM!
Ama il prossimo come te stesso, non attribuire due pesi e due misure, il quinto anno del raccolto.
[…] Per ascoltare le altre lezioni sulla parashà: http://www.virtualyeshiva.it/2020/04/30/akhare-mot-kedoshim-5772-5-lezioni/ […]