SHEMINI PARÀ 5782: 6 LEZIONI

25 Marzo 2022 0 Di HaiimRottas

Questo Shabbàt 26 Marzo 2022, 23 del mese di Adar Bet 5782 leggeremo la Parashà di

Sheminì Lev 9,1-11,47 e di Parà Num 19: 1-22

HAFTARÀ
Milano/Torino/Sefarditi: Ez. 36: 16-36
Italiani/Ashkenaziti: Ez. 36: 16-38

Si annuncia Rosh Chodesh

NO ESTASI SI PARTY
Anche questa settimana vi proponiamo un estratto del libro “Saggezza Quotidiana” edito da Mamash.
Libro che ha il grande pregio di contenere in forma sintetica gli insegnamenti del Rebbe e dei suoi
predecessori che commentano e spiegano ogni singola sezione della Torà.
Oggi affrontiamo l’argomento della trascendenza e del miracolo. Il modo in cui Hashèm si manifesta
in questo mondo non sempre segue le vie naturali. A volte, come nel caso dell’inaugurazione del
Tabernacolo, nell’ottavo giorno, Hashèm si rivela miracolosamente, tanto che le regole normali, che
governano il mondo, sono state ignorate in quel giorno.
Tuttavia, la chassidùt ci insegna che l’ottavo giorno miracoloso è stato possibile solo grazie ai sette
giorni “normali” precedenti. Hashèm, infatti, subordina il Suo intervento miracoloso nella natura in
base al nostro comportamento. Il motivo è che la Sua volontà, lo scopo della creazione che Hashèm
ha voluto, è che l’uomo riveli la Sua presenza in questo mondo di materia seguendo le vie normali
della natura. In altre parole, quando riusciamo a dimostrare a noi stessi e al prossimo che seguendo
la volontà di Hashèm, senza interventi miracolosi, possiamo modificare il mondo che ci circonda e
realizzare la sua volontà, noi compiamo la missione affidataci da Hashèm.
Questo concetto è dimostrato dalla lezione dei figli di Aharòn, Nadàv e Avihù, che trascinati
dall’estasi del momento, nel loro intenso desiderio di legarsi ad Hashèm, si elevano nelle più alte
vette spirituali, anche quando sentono che le loro anime li abbandonano. Tuttavia, non dobbiamo
imitare il loro esempio, poiché, al contrario, è espressamente vietato perseguire un tale trasposto
spirituale suicida. Sebbene sia necessario cercare l’ispirazione e rinnovarla costantemente, il vero
scopo di raggiungere piani sempre più elevati di conoscenza divina è quello di portare la coscienza
che acquisiamo nel mondo, per renderlo sempre più consapevole di Hashèm e trasformarlo nella sua
dimora.
Buon prosieguo di lettura a tutti
*
Sheminì
La Conclusione dei Riti Inaugurali; Kasherùt
La terza sezione del libro di Levitico si apre con la descrizione dell’“ottavo” (sheminì, in ebraico) e
ultimo giorno dei riti inaugurali. Dopo questo, elenca quali animali sono consentiti per il consumo
ebraico.
*
Vayikrà 9, 24 – 10, 11
Dopo la benedizione di Aharòn e la preghiera di Moshè, un fuoco scende dal cielo e consuma le parti
dei sacrifici posti sull’Altare. Israèl rimane estasiato nel vedere la presenza di Hashèm apparire
nuovamente e così apertamente. I loro sforzi nel donare materiale per il Tabernacolo, il lavoro
diligente fatto per costruirlo e il “lavoro” interiore di pentirsi per l’incidente del Vitello d’Oro hanno
dato i loro frutti. Tuttavia, in seguito, due dei quattro figli di Aharòn, Nadàv e Avihù, offrono un po’
d’incenso di loro iniziativa. Con orrore di tutti il fuoco divino discende di nuovo, ma questa volta
sotto forma di due coppie di fiamme che penetrano nelle narici di Nadàv e Avihù, uccidendoli
all’istante.
Gestire l’Estasi
Un fuoco uscì al cospetto di Hashèm e li consumò. (10, 2)
Nadàv e Avihù sono stati trascinati dall’estasi del momento. Nel loro intenso desiderio di legarsi a
Lui, attraverso la loro offerta d’incenso non autorizzata, si elevano nelle più alte vette spirituali, anche
quando sentono che le loro anime li abbandonano. In questa prospettiva, la loro morte non è stata una
punizione, ma il compimento del loro desiderio di dissolversi nell’essenza di Hashèm. Tuttavia, non
dobbiamo imitare il loro esempio, poiché, al contrario, è espressamente vietato perseguire un tale
trasposto spirituale suicida. Sebbene sia necessario cercare l’ispirazione e rinnovarla costantemente,
il vero scopo di raggiungere piani sempre più elevati di conoscenza divina è quello di portare la
coscienza che acquisiamo nel mondo, per renderlo sempre più consapevole di Hashèm e trasformarlo
nella sua dimora.
*
Moshè conforta Aharòn e i suoi figli, per la morte di Nadàv e Avihù. Anche se è normalmente vietato
per un sacerdote che è in lutto officiare, Moshè ordina ad Aharòn e ai suoi due figli sopravvissuti,
El’azàr e Itamàr, di continuare il servizio sacrificale – compreso il mangiare le loro parti designate
dei sacrifici – come eccezione rispetto alla norma.
Destare il Sovrannaturale
[Moshè disse ad Aharòn e ai suoi figli] «Dovete mangiare… [le vostre parti dei sacrifici] perché è
così che mi è stato comandato [da Hashèm]». (10, 13)
Le regole normali, che governano il comportamento dei sacerdoti, sono state ignorate in quel giorno.
Il messaggio essenziale di questo è che Hashèm può trascendere le regole, da Lui stabilite, che
governano la natura. Hashèm ha scelto di rivelare la Sua presenza infinita l’ottavo giorno dei riti
inaugurali, poiché il numero sette indica l’ordine naturale, mentre il numero otto indica la
trascendenza miracolosa dell’ordine naturale.
Tuttavia, sebbene vi sia un salto di qualità da sette a otto, quest’ultimo è anche il risultato e la
continuazione dei sette precedenti. Quindi, non poteva esserci un ottavo giorno “miracoloso”
nell’inaugurazione del Tabernacolo, senza i precedenti sette giorni non miracolosi. Hashèm, infatti,
rende il Suo intervento miracoloso nella natura subordinato al nostro comportamento: dobbiamo fare
tutto il possibile secondo le regole della natura, per prepararci alla rivelazione soprannaturale di
Hashèm.
L’ultima trascendenza dell’ordine naturale avverrà nell’era messianica. Dove, le miracolose
rivelazioni future saranno il risultato dei preparativi che facciamo ora, durante l’era dell’ordine
naturale. Mentre continuiamo a perfezionare il mondo con mezzi naturali, dovremmo tenere a mente
che i risultati dei nostri sforzi saranno al di là di qualsiasi cosa possiamo immaginare, in questo
presente.

Lo Shelà Hakadòsh, un grande maestro e commentatore della Torà, ci ricorda il famoso assioma del Talmùd basato su un verso della parashà di questa settimana: “Rendetevi santi e sarete santi” (Vayikrà 11, 44). Nel Talmùd (Yomà 39a) è scritto che una persona che provi a santificarsi quaggiù in questo mondo viene aiutata a santificarsi molto di più dall’Alto, sia in questo mondo che nel mondo a venire. “Santificatevi un poco da quaggiù” si riferisce ad attività relativamente futili del corpo. “Santificatevi molto più dall’Alto” si riferisce al dono dell’eternità dell’anima.

Il nome della parashà, Sheminì, ovvero “Ottavo”, si riferisce all’ottavo giorno dall’edificazione del Tabernacolo – che costituì dunque il primo giorno di servizio effettivo –, giorno in cui il popolo ebraico si prostrò vedendo il fuoco divino che scendeva e consumava le offerte a Dio. Fu un momento di autentica elevazione, un’eccezionale rivelazione divina.

Poco dopo questo evento morirono i due figli di Aharòn, due sacerdoti la cui attrazione verso Dio, causata della grande rivelazione dell’inaugurazione del Tabernacolo, era talmente forte da provocare la dipartita della loro anime. La loro scomparsa fu una successiva dimostrazione che, a quell’epoca, il livello spirituale del popolo ebraico era elevatissimo, tanto che il resto del popolo dovette sforzarsi per impedire alla propria anima di sfuggire dal corpo a causa della forte sete spirituale. 

Dopo la narrazione di questi eventi la Torà impartisce le regole alimentari, tra le quali si nota il divieto di mangiare “esseri striscianti”. 

Apparentemente, quindi, questa porzione della Torà racchiude in sé due estremi spirituali: dalle rivelazioni divine straordinarie e dall’elevata sensibilità spirituale si passa alle scelte alimentari più basse.

Che collegamento c’è tra queste cose? Il Rebbe spiega come l’accostamento di questi due estremi venga a insegnarci alcuni concetti chiave.

7 OPPURE 8?

Dopo sette giorni di duro lavoro per installare il Tabernacolo con tutte le sue funzioni, all’ottavo giorno (sheminì) Israèl merita che la presenza di Dio si riveli in esso. Che cosa si può imparare da questo che possa migliorare il nostro rapporto con Dio? Il Rebbe scrive che il numero sette corrisponde al mondo nel senso più completo, paragonabile all’ordine reiterato dei sette giorni della settimana. Il numero otto – uno in più di sette – è collegato alla trascendenza, a ciò che è più in alto dell’ordine della natura. 

Inoltre, il numero sette è collegato alla rivelazione di Dio limitata alla natura, mentre l’otto è considerato come la rivelazione divina non limitata dalle leggi della natura, come avviene in occasione di un miracolo. Tuttavia, così come non vi può essere un valore di otto senza il sette che lo precede, allo stesso modo il livello dell’otto è, di fatto, collegato con il sette che è la dimensione della natura. Ciò è analogo al nostro stesso rapporto con Dio. Sebbene i nostri sforzi siano limitati dalle nostre forze naturali, quando siamo completamente assorbiti dallo sforzo (sette) facciamo sì che un livello di santità illimitato e superiore alla natura (otto) risplenda fino a noi. 

In altre parole la dimensione dell’otto non è solo il livello che trascende la natura (come di solito viene spiegato), bensì è il livello che è staccato dalla natura ma allo stesso tempo penetra profondamente in essa.

Questo appare evidente con il Tabernacolo nel deserto: gli sforzi compiuti durante i sette giorni della costruzione costituirono la preparazione necessaria per la rivelazione dell’ottavo giorno. Quindi, qual è l’idea di fondo? 

E quella di essere consapevoli che i nostri sforzi in questo buio esilio sono, effettivamente, la preparazione all’imminente redenzione. Tuttavia soltanto attraverso i nostri sforzi attuali in questo mondo la luce divina potrà risplendere in seguito. Per questo quando ci sarà l’imminente evento messianico la settimana sarà di otto giorni, perché allora nel mondo si rivelerà il livello “otto”.

In modo analogo vi è una profonda relazione tra lo Shabbàt (il settimo giorno) e Sheminì. Questa relazione allude a due livelli di servizio divino. Shabbàt è il settimo giorno e costituisce il completamento del processo di creazione. Tuttavia, nonostante ne sia l’apice, lo Shabbàt fa sempre parte di questo processo naturale. Sheminì, che deriva dalla parola ebraica “otto”, indica un livello che trascende la natura e la creazione. L’otto, infatti, non è limitato dalla realtà del mondo. E questo Shabbàt Sheminì rappresenta la combinazione di questi due livelli. La lezione che ne traiamo è che, dopo aver servito Dio con tutti i mezzi naturali (già un’impresa in sé), bisogna sforzarsi di servire Dio oltre alla realtà naturale e non permettere che le limitazioni del mondo ostacolino il nostro rapporto con il divino.

Anche Se Non Capisco…  Obbedisco!

Tuttavia, una domanda “sorge spontanea”, ma quale sarebbe la strada migliore per far si che gli ostacoli di questo mondo, non impediscano il nostro rapporto con Dio o addirittura non ci portino in una direzione opposta?

Si potrebbe pensare che la strada più forte, sicura e buona sia quella di raggiungere un’elevata conoscenza e comprensione intellettuale che elevi il nostro spirito e quindi ci porti a servire Dio in uno stato alto ed elevato, come i due figli di Aharòn, Nadàv e Avihù. I quali, è bene ricordare, portarono un’offerta di fuoco (incenso) non autorizzata, ossia non obbedirono alla volontà di Dio e per questo furono consumati da fiamme provenienti dal Kòdesh Hakodashìm, Santo dei Santi.

Invece, il servizio a Dio più solido ed efficace, si basa solo su kabalàt ol – letteralmente “accettare il giogo (divino)”. Questo concetto supera di gran lunga l’obbedienza e la lealtà comunemente intese. Kabalàt ol è la nostra capacità di compiere le mitzvòt da un livello che supera la comprensione della divinità. Si potrebbe pensare che kabalàt ol sia il modo in cui serviamo Dio quando non ne siamo spiritualmente consapevoli, ovvero con un approccio al compimento delle mitzvòt indipendente dalla comprensione di esse. Non è affatto così! Kabalàt ol si applica anche a chi ha già raggiunto una certa elevazione spirituale, che comprende a fondo Dio e le cui emozioni sono pure. Tuttavia, le emozioni e l’intelletto elevati non sono sufficienti. 

Pertanto, ognuno si dovrebbe domandare se serve Dio e compie le mitzvòt solamente perché comprende che così facendo causa di grandi effetti cosmici e che risana la sua anima. Anche se questi motivi sono buoni, nonostante ciò, oltre e al di sopra di questo, occorrerebbe arrivare allo stato spirituale in cui si serve Dio e si compiono le mitzvòt solo perché Lui lo ha ordinato così. Infatti, quando una persona per fare qualcosa fa affidamento sul proprio intelletto e sulle proprie emozioni (a volte sinonimo di  instabilità e volubilità) corre un certo pericolo di cadere dalle proprie sommità spirituali a profondità impure, proprio come il “mangiare esseri striscianti”. 

D’altro lato, quando scegliamo kabalàt ol come causa ultima che ci spinge a compiere mitzvòt, ci poniamo in relazione con l’infinità volontà di Dio. In un certo senso si tratta della nostra “polizza di assicurazione spirituale”, che ci impedisce di andare alla deriva. Sheminì ci insegna che kabalàt ol è un processo obbligatorio. Quindi, perché non Iniziamo oggi?  Rendiamo kabalàt ol parte della nostra vita!

In memoria di mio padre Yaakov ben Shelomo
לעילוי נשמת אבי מורי ורבי ועטרת ראשי
יעקב בן שלמה ורחל

L’ALTRO LATO DEL SIDDUR
Il famoso cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal, a 91 anni, partecipò a un Congresso di rabbini europei. Ringraziandoli per il premio conferitogli raccontò un episodio accadutogli a Mauthausen, poco dopo la liberazione del campo. Rabbi Eliezer Silver, un eminente rabbino del Nord America, era giunto a portare aiuto e conforto ai sopravvissuti. Dopo la visita al campo Rabbi Silver invitò i sopravvissuti a partecipare a un servizio religioso. Wiesenthal rifiutò di andare, spiegando che durante la prigionia un ebreo religioso, mettendo a repentaglio la propria vita, era riuscito a far entrare un Siddur nel campo di concentramento. Wiesenthal dapprima aveva ammirato il suo coraggio, ma era rimasto inorridito quando aveva scoperto che costui “noleggiava” il Siddur in cambio di cibo. Molti ebrei avevano rinunciato al loro ultimo pezzo di pane pur di avere tra le mani quel libro per un paio di minuti. «Se questo è il comportamento di un ebreo religioso, non voglio aver nulla a che fare con un libro di preghiere!», concluse Wiesenthal. Rabbi Silver gli toccò dolcemente la spalla e disse: «Uomo sciocco! Perché guardi l’ebreo che ha usato il suo Siddur per togliere cibo dalle bocche degli affamati, e non pensi ai molti che hanno dato il loro ultimo pezzo di pane per usare un Siddur? Questa è la fede. Questo è il vero potere del Siddur!». Wiesenthal abbracciò Rabbi Silver e da quel giorno partecipò al Servizio.
Anche questo periodo di quarantena può essere visto o come un nemico che ci ha tolto la libertà di muoverci, oppure come un mezzo per farci ritrovare noi stessi, il nostro equilibrio interiore e la nostra armonia famigliare e insegnarci il valore di tutto quello che abbiamo e che davamo per scontato…
Anche il peggio può essere un grande dono:
È SOLO UN QUESTIONE DI PROSPETTIVA!

SINTESI PARASHÀ

Questa riflessione possiamo trovarla nella parashà di questa settimana all’ottavo (Sheminì) giorno di iniziazione di Aharon e dei suoi figli viene inaugurato il Mishkàn, il santo Tabernacolo dove risiederà la presenza divina.
In un momento così importante, nel quale spirito e materia si uniscono, vorremmo fare una digressione al momento in cui Hashèm chiede ordinò a Moshe è di costruire il Tabernacolo, richiesta che avviene in Shemot 25, 8:

“E mi faranno un santuario e Io risiederò in mezzo a loro”

L’espressione ebraica “in mezzo a loro”, betokhàm, ha un doppio livello di lettura, infatti può essere interpretata anche come “DENTRO di loro”.
Da qui la tradizione evince la presenza di due santuari, uno materiale (esteriore) che l’essere umano è tenuto a erigere attraverso le opere delle proprie mani, poi vi è anche un santuario interiore, lo spazio sacro costruito attraverso la preghiera e lo studio della Torà.

Non è certo un caso che i mistici danno alle lettere ebraiche l’appellativo di avanim – pietre. Il tempio di Gerusalemme era fatto con l’opera delle mani dell’uomo ed era in pietra, allo stesso modo attraverso le parole della Torà, anch’esse fatte di “pietre incise su pergamena”, possiamo costruire un santuario interiore dove la presenza divina può dimorare.
L’anima ebraica è intimamente legata alle lettere della Torà e da queste può essere consacrata e risvegliata, questo è il profondo motivo per cui il Mishkàn viene inaugurato l’ottavo giorno (sheminì).

In ebraico la parola shemone – otto, ha le stesse lettere di shemen – olio, il sacro unguento con cui si ungevano i cohanìm e gli arredi del tabernacolo per consacrarli ad Hashèm, ma shemone possiede anche le stesse lettere di neshemà – anima. Inoltre, sempre le stesse lettere formano il nome ebraico di uno dei figli di Yossèf, Menashè, il cui significato è “dimenticare” le afflizioni che l’esilio portò a Yossèf.

Il Santuario interiore viene consacrato nel momento in cui poniamo le lettere che compongono la Torà “come sigilli sulla nostra mano e come frontali ai nostri occhi”, in quell’esatto momento la forza spirituale delle lettere ebraiche “unge” e consacra la nostra anima, le nostre afflizioni dovute all’esilio vengono così “dimenticate”, il nostro corpo materiale viene illuminato e permeato dallo spirito che rinnova ogni giorno, attraverso la preghiera, la sua unione con il creatore.

LUTTO o GIOIA?
Il primo giorno di Nissàn fu per Aharon un giorno di grande gioia, ma anche di grande tristezza. Gioia per l’inaugurazione del Mishkàn, tristezza perché quel giorno hanno perso la vita due dei suoi quattro figli.
Nel corso dei secoli, i nostri maestri hanno cercato una spiegazione per la morte di Nadav e Avihu. Secondo alcuni, entrambi i giovani sono morti per essersi avvicinati ubriachi all’altare. Per altri sono stati puniti per non aver purificato le mani e i piedi prima di compiere il servizio divino. Un’altra opinione sostiene, invece, che si trattò del castigo per aver voluto introdurre una nuova norma, mettendo così in discussione l’autorità di Moshè e Aharòn.
Al di là dei motivo della loro morte, tramandando questo episodio la Torà ci trasmette un profondo insegnamento. I figli di Aharòn andarono a offrire un fuoco “estraneo” che nessuno aveva loro ordinato. Il fine che essi perseguivano – avvicinarsi a Dio – era legittimo, ma il mezzo attraverso il quale agirono non lo fu. Essi tentarono di avvicinarsi più di quanto era stato loro ordinato e lo zelo eccessivo, costò loro la vita.
Attualmente nel mondo, ci sono persone sinceramente convinte di avvicinarsi a Dio, di cercare la propria strada, assumono atteggiamenti portati all’estremo. Oggigiorno basta aprire un giornale per rendersi conto del proliferare del fanatismo e delle sue disastrose conseguenze: si arriva a uccidere in nome di Dio. La Parashà di Sheminì ci insegna che il fanatismo è un atteggiamento sbagliato.
Dobbiamo cercare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le nostre forze; ma questa ricerca deve essere serena ed equilibrata, e soprattutto deve permetterci di sviluppare le nostre risorse migliori, in armonia con tutto ciò che ci circonda.
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SHEMINI

PUNIZIONE PARI ALLA COLPA!

Perché Iyov-Giobbe viene punito così fortemente?

SHEMINI: PUNIZIONE PARI ALLA COLPA!

Al seguente link potrai scaricare la lezione della Parashà di questa settimana:
www.virtualyeshiva.it/files/08_03_27_shemini5768_nadav_avihu_iyov_diplomazia.mp3

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Per ascoltare le altre lezioni sulla parashà:

SHEMINI 5772 : 5 LEZIONI


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La macellazione degli animali è da sempre un argomento di grande attualità che spesso ritorna. Si è parlato di metodologie crudeli in Italia per macellare gli animali.
Di recente nel Belgio hanno vietato la macellazione della carne e polli mettendo in crisi le comunità ebraiche europee, che compravano principalmente dal Belgio.
Alcuni anni fa, ad esempio, un gruppo di animalisti di Torino hanno protestato contro la macellazione kashèr degli animali da loro considerata una pratica crudele. Gruppi, partiti politici o singoli che prendono di mira la macellazione degli animali, e spesso proprio la pratica halakhica della sekhità, è un fenomeno purtroppo frequente.
Tuttavia, la shekhità, contrariamente a quanti molti pensano, è il modo migliore per non far soffrire l’animale. Per rendere la carne kashèr, la shekhità prevede un taglio alla gola che provoca un improvviso calo di liquidi circolanti, nel sistema venoso e arterioso, con conseguente crollo della pressione e del funzionamento del sistema cerebrale che determina una mancata percezione del dolore da parte dell’animale che così non produce adrenalina.
(continua sotto)
Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.
Shabbat Shalom

Rav Shlomo Bekhor

SHEMINI
Al seguente link troverai la lezione sulla nostra parashà in formato mp3:
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QUANDO LO STUDIO DELLA TORÀ

È SOLO A METÀ DEL GUADO!

“Ci sono solo due cose che sono infinite: l’universo e la stupidità umana” – Albert Einstein.

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PRIMO DIETOLOGO AL MONDO: LA TORÀ
La Torà di Hashèm è perfetta e ristora l’anima…
(Tehillìm 19,8)
NON FARE DIVENTARE LE MEDICINE LA TUA ALIMENTAZIONE. BENSÌ FAI DIVENTARE LA TUA ALIMENTAZIONE LE TUE MEDICINE…
Rabbi Moshè ben Maimonide.
L’alimentazione kashèr è un pilastro dell’ebraismo, perché condiziona la sanità del: nostro corpo, nostro carattere, la nostra anima e la nostra esistenza.
Un famoso detto afferma: “Noi siamo ciò che mangiamo”.
Nella parashà di questa settimana di SHEMINÌ troviamo le regole alimentari e questo è il momento di riflettere come possiamo migliorare la nostra alimentazione, per la nostra salute e anima.
La macellazione degli animali è da sempre un argomento di grande attualità che spesso ritorna. Si è parlato di metodologie crudeli in Italia per macellare gli animali.
Di recente nel Belgio hanno vietato la macellazione della carne e polli mettendo in crisi le comunità ebraiche europee, che compravano principalmente dal Belgio.
Alcuni anni fa, ad esempio, un gruppo di animalisti di Torino hanno protestato contro la macellazione kashèr degli animali da loro considerata una pratica crudele. Gruppi, partiti politici o singoli che prendono di mira la macellazione degli animali, e spesso proprio la pratica halakhica della sekhità, è un fenomeno purtroppo frequente.
Tuttavia, la shekhità, contrariamente a quanti molti pensano, è il modo migliore per non far soffrire l’animale. Per rendere la carne kashèr, la shekhità prevede un taglio alla gola che provoca un improvviso calo di liquidi circolanti, nel sistema venoso e arterioso, con conseguente crollo della pressione e del funzionamento del sistema cerebrale che determina una mancata percezione del dolore da parte dell’animale che così non produce adrenalina.
Quindi la carne kashèr risulta più buona, sana e rispettosa dell’animale rispetto ai metodi moderni considerati da molti più “politically correct”: come l’uso di un proiettile sparato nel cervello; o l’elettroshock, prima della macellazione. Metodi che invece fanno soffrire l’animale molto più a lungo e rendono la carne non kashèr e più cattiva poiché “inquinata” dall’adrenalina.
La Torà e le tradizioni ebraiche millenarie, da esse derivate, superano il tempo e le “mode”. Hashèm, nella sua infinita saggezza, ci chiede di rispettare la mitzvà della kasherùt , non solo per il bene della nostra salute, ma citando Re Davide, anche per “ristorare le nostre anime”.
Va sempre più di moda la ricerca della qualità del cibo e di conseguenza il cibo kashèr viene più acquistato. Tutta la procedura prevista dalla Torà è sinonimo di qualità, in particolare per la carne: prima di macellare un animale bisogna accertarsi che sia sano e non abbia subito interventi. Un animale malato, anche se sgozzato secondo la legge ebraica, comunque non è kashèr. Gli americani, anche i non ebrei, comprano sempre di più i prodotti alimentari con il marchio “kashèr”, spinti da motivazioni legate alla salute e dalla convinzione che carni e pollami – preparati secondo le strette regole della dieta alimentare ebraica – siano una scelta più sicura per difendersi dalla contaminazione batterica.
Manes Wiezel, il fondatore della City Glatt Inc. di Los Angeles, noto distributore di carni “glatt kashèr”, ha infatti riscontrato un costante e significante aumento delle vendite attribuibile alla domanda extra di compratori che non sono motivati dalla religione, ma da questioni di salute e di sicurezza del cibo.
La parashà di questa settimana elenca le specie di cibi che gli ebrei possono o meno mangiare. Tale argomento rientra nelle leggi riguardanti la kasherùt.
Nel corso degli anni molte interpretazioni di carattere razionale sono state attribuite alle norme sulla kasherùt. Alcuni hanno asserito che esse erano solo una temporanea misura igienica. Ad esempio il maiale sarebbe stato proibito affinché gli ebrei non fossero colpiti da malattie come la trichinosi; mentre le regole sulla salatura della carne sono state intese come un modo di preservarla , prima dell’invenzione della refrigerazione. Pertanto, essi sostengono, che le norme sulla kasherùt non sarebbero più applicabili al giorno d’oggi, essendo tutto più igienico.
Tuttavia questo approccio è errato. Mentre è certamente vero che la Torà si preoccupa della salute e della pulizia delle persone, questa non è la spiegazione razionale delle leggi sulla kasherùt. La Torà infatti si preoccupa anche del nostro benessere fisico e spirituale e della nostra purità interiore. Di conseguenza, quando la Torà ci vieta determinati cibi, ha come scopo quello di provvede al nostro equilibrio tra anima e corpo e alla “pulizia spirituale”. Cibi che sono intrinsecamente sporchi e disgustosi, come la carne di animali morti di malattia, o quelli prodotti dagli insetti e l’antigienico maiale, non sono kashèr, e coloro che li mangiano hanno poco riguardo della propria anima, oltre che del proprio fisico.
Allo stesso modo, cibi di animali dalla natura cruenta, come uccelli rapaci e bestie selvagge, sono proibiti, mentre prodotti di animali domestici, come il pollo e la mucca, sono permessi. Siccome “NOI SIAMO CIÒ CHE MANGIAMO” , di conseguenza sarà importante basare la nostra alimentazione sugli animali “pacifici” che, non a caso, sono quelli permessi.
Le norme sulla kasherùt hanno delle fondamenta spirituali, in aggiunta a quelle legate alla salute, esse non sono limitate a una specifica era, ma sono “senza tempo”. Per questo motivo dobbiamo prestare molta attenzione al cibo che ingeriamo ed essere sicuri che gli ingredienti dei prodotti che acquistiamo non contengano elementi non kashèr. Dobbiamo accertarci che la carne che compriamo sia stata preparata sotto la supervisione di una riconosciuta autorità rabbinica e non dobbiamo prendere nulla per scontato basandoci solo sul nostro giudizio.
Un grande maestro si trovava un giorno in una terra lontana dove nessuno lo conosceva. Un semplice ebreo vedendo il rabbino dall’aspetto distinto pensò che egli potesse essere uno shokhèt e gli chiese di macellare per lui un pollo. Questi declinò poiché non era uno shokhèt. “Mi presteresti 1.000 dollari?” chiese il rabbino all’ebreo. “Non ti conosco, non sono sicuro che me li restituirai” fu la risposta. “Dal momento che non mi conosci, come potevi fidarti di me per macellare il pollo secondo la halakhà?” gli chiese il rabbino. E concluse:
I SOLDI NON SONO PIÙ IMPORTANTI DELLA SANITÀ DEL CORPO!!!

SHEMINI 5771 – QUANDO LO STUDIO DELLA TORÀ È SOLO A METÀ DEL GUADO!
“Ci sono solo due cose che sono infinite: l’universo e la stupidità umana” – Albert Einstein.

SHEMINI 5770 – LIBERO ARBITRIO O TELECOMANDATI?
Da una semplice regola di impurità dei liquidi che vengono in contatto impariamo un incredibile insegnamento del rapporto con Hashem.

SHEMINI 5768 – PUNIZIONE PARI ALLA COLPA!
Perché Iyov-Giobbe viene punito così fortemente?

SHEMINI 5765 – L’OTTAVO GIORNO E L’ERA MESSIANICA.
La prospettiva messianica del legame tra l’ottavo giorno, dopo l’edificazione del Santuario, e gli attributi di kasherut degli animali.