KI TETZE 5782: 5 LEZIONI
Questo Shabbàt 10 Settembre 2022, 14 del mese di ELUL 5782 leggeremo la Parashà di Ki Tetzè
Deuteronomio 21: 10 – 25: 19
HAFTARÀ ITALIANI:
1° Samuele 17: 1-37.
HAFTARÀ Milano/Torino/Sefarditi/Ashkenaziti:
ISAIA 54,1 – 10
KI TETZE
Nel Maftìr (la parte finale della parashà settimanale) di questa settimana, la parashà di Ki Tetzè, ci viene ordinato di ricordare Amalèk, l’acerrimo ed eterno nemico di Israèl. Tuttavia, non si tratta solo di un semplice ricordo, ma addirittura la Torà ordina di cancellare il ricordo di Amalèk. Nel proseguo di questo scritto approfondiremo l’argomento, ma adesso “una domanda sorge spontanea”, o almeno dovrebbe… Ki Tetzè è piena di regole di vita, di etica e di comportamento ebraici, molto pratici e concreti. Tutta la parashà tratta, ad esempio, di argomenti quali “Diritti del figlio primogenito”, della “Cura della proprietà altrui”, dei “Matrimoni proibiti o della “Garanzia per un Prestito”. Argomenti che hanno a che fare con il modo che un ebreo dovrebbe affrontare la vita quotidiana secondo i dettami della Torà.
Poi alla fine si introduce un argomento denso di significato ma, al contempo, almeno apparentemente, completamente estraneo a quelli trattati per tutto il resto della parashà. Cosa c’entra Amalèk con tutto questo? Una risposta la possiamo trovare in questa lettera che il Rebbe scrisse ad un gruppo di giovani accademici in occasione della festa di Purìm:
MEGLIO UNA MITZVÀ OGGI CHE UN AMALÈK DOMANI
“Lettere Dal Rebbe”
7 Adàr 5713 – Brooklyn, NY
La storia di Purìm, raccontata nel Libro di Estèr, ci offre un’analisi chiara del cosiddetto “Problema Ebraico”.
Gli ebrei erano sparpagliati in 127 provincie e paesi e le loro case erano in rovina. Di conseguenza, essi erano indiscutibilmente diversi gli uni dagli altri per usi, abbigliamento e lingua che variavano a seconda del luogo, come succede oggi. Nonostante ci fossero ebrei che nascondevano la loro identità Hamàn, il loro nemico, ne riconosceva le qualità e le caratteristiche basilari che li rendevano membri di un unico popolo, indipendentemente dalla loro volontà. La caratteristica specifica era: le loro leggi sono differenti da quelle di ogni altro popolo (Meghillà Estèr 3,8).
Nel suo malvagio desiderio di sterminare gli ebrei, Hamàn cerca di distruggere tutti gli ebrei, giovani e vecchi, donne e bambini. Nessuno, a quel tempo, poteva sfuggire all’etichetta di appartenere a quel popolo; il decreto crudele di Hamàn comprendeva tutti: dagli ebrei che osservavano strettamente la Torà e i Comandamenti, agli ebrei con legami più fragili, a quelli che cercavano di assimilarsi.
Gli Hamàn sono vissuti in ogni tempo, ma, grazie a Dio, siamo sempre sopravvissuti. Dove è il nostro segreto?
La risposta sarà fornita dagli esempi seguenti: quando uno scienziato cerca di accertare le leggi che governano un determinato fenomeno, o di scoprire le proprietà essenziali di un determinato elemento in natura, deve condurre una serie di esperimenti per scoprire quelle proprietà o leggi che si ottengono in condizioni simili. Nessuna vera legge scientifica può essere dedotta da un numero minimo di esperimenti, o da esperimenti fatti in condizioni simili o quasi: in effetti, il risultato di ciò che è essenziale e di ciò che è secondario o non importante non sarebbe conclusivo.
Lo stesso principio deve essere applicato al popolo di Israèl, uno dei più antichi del mondo: la sua storia ha infatti inizio con la Rivelazione del Monte Sinai 3.333 anni fa. Nel corso dei secoli, è vissuto in condizioni estremamente diverse, in epoche differenti e in svariati posti, in tutto il mondo. Quando desideriamo scoprire quali siano gli elementi essenziali che costituiscono il nucleo, il fondamento e la forza dell’esistenza di Israèl, dobbiamo concludere che questi fattori non sono costituiti da caratteristiche fisiche, mentali, o linguistiche; non contano nemmeno gli usi e i costumi (nel senso lato della parola) e la purezza della razza (ci sono stati periodi all’inizio della storia del nostro popolo, nel Medio Evo e addirittura recentemente in cui gruppi etnici e tribù sono diventati proseliti e parte di Israèl).
La Torà e le mitzvòt sono gli elementi essenziali che uniscono il nostro popolo disperso e sparpagliato e lo rendono un popolo a dispetto del tempo e della diaspora: il modo di vivere ebraico è rimasto invariato attraverso le epoche e i luoghi. La conclusione è dunque chiara e certa: sono la Torà e le mitzvòt che rendono il nostro popolo indistruttibile, che gli hanno permesso di fronteggiare massacri e pogroms che miravano alla nostra distruzione fisica. La Torà e le mitzvòt fanno sì che il nostro popolo abbia fatto fronte a carneficine spirituali e a culture estranee il cui obbiettivo era la nostra distruzione spirituale.
La fine della nostra sezione di Ki Tetzè ci trasmette l’insegnamento che esiste un popolo la cui forza e spiritualità è qualcosa di irrazionale, un insegnamento che Amalèk non può sopportare.
Solo l’esistenza di un popolo con leggi diverse, con valori diversi sono un disturbo per Amalèk, perciò, attacca subito Israèl fin dalla sua nascita. Così i discendenti di Amalèk da Hamàn a Hitler cercano di realizzare il sogno del loro capostipite, ma Purìm ci insegna la vecchia storia verificata, con nostro grande dolore, anche recentemente: nessuna assimilazione, nemmeno quella che si estende a diverse generazioni, ci offre una scappatoia dagli Hamàn e da Hitler. Un ebreo non può recidere il legame col proprio popolo nemmeno tentando questa via d’uscita. La nostra salvezza e la nostra esistenza dipendono soprattutto dal fatto che la (nostra) legge è diversa da quella degli altri popoli.
Purìm ci rammenta che la forza di Israèl risiede nella stretta osservanza della nostra eredità spirituale, che contiene i segreti di una vita armoniosa, sana e felice. Tutte gli ostacoli devono essere liberati da ogni contraddizione.
Coi migliori auguri… e con la speranza di poter vivere per vedere un mondo libero dai vari Hamàn ed Amaleciti, i nemici degli ebrei, dei loro corpi, della loro anima e della loro fede”.
Con la creazione Dio ha riservato all’uomo e in particolare al popolo ebraico il compito di celebrare il coinvolgimento umano nella realtà fisica della creazione divina. In altre parole, ogni oggetto materiale e non è imbevuto di spiritualità, poiché immerso nel contesto del servizio di Dio e della relazione tra Lui e l’uomo. La materialità dovrebbe essere sublimata dallo scopo divino. In particolare, ogni regola e dettato della Torà, anche quelli meno comprensibili o “complicati”, manifestano l’intrinseca unicità dell’universo, radicata nell’Unicità del Creatore.
Questo in verità è il fine ultimo della creazione: manifestare la propria origine divina, trasformando il mondo in una residenza adatta alla Divinità. Questa è la missione per cui l’uomo è stato creato, lo scopo da perseguire specialmente in tempo di Galùt, di diaspora. Il raggiungimento di tale fine è la suprema benedizione dell’era messianica durante la quale “la terra sarà piena della conoscenza divina, come le acque che coprono il mare…” (Isaia 11, 9, e 40, 5). I nostri sforzi affretteranno il raggiungimento della meta e della benedizione e faranno sì che si verifichino velocemente durante i nostri giorni.
Adesso è forse possibile comprendere meglio il legame esistente tra le regole pratiche e il dettato di sconfiggere e cancellare la memoria di Amalèk, che è il filo conduttore della 49° sezione della Torà di questa settimana. Inoltre, andiamo ad approfondire il legame che intercorre tra quanto detto fino ad ora, le nostre vite, Purìm e Amalèk.
Buona lettura.
Eterni Modelli Nel Tempo
Amalèk: il Nemico Perpetuo del Popolo Ebraico
Motivi Ricorrenti
Il conflitto tra Hamàn e Mordekhai, che termina col miracolo di Purìm, affonda le radici negli avvenimenti verificatisi molti secoli prima. Hamàn fa risalire la sua discendenza ad Agàg, Re di Amalèk (Targùm Shenì su Estèr 3,1); Mordekhai ed Estèr erano esponenti della famiglia reale di Shaùl, il primo re di Israele. Quando gli Ebrei lasciarono l’Egitto, Amalèk fu il primo ad attaccarli. Conseguentemente fu ordinato: “… di cancellare la memoria di Amalèk di sotto al cielo.” (Devarìm 25, 19).
Molti secoli dopo, quando Shaùl fu incoronato, il Profeta Samuele ordinò di adempiere al comando divino in questo modo…: «Va a colpire Amalèk e distruggi tutto quello che gli appartiene, senza nessun riguardo, mettendo a morte tutti, uomini e donne, bambini e neonati, bovini e ovini, cammelli ed asini» (Samuele 1; 15, 3).
Shaùl radunò gli Ebrei e fece guerra agli amaleciti, sterminando la popolazione e distruggendone i beni. In ogni caso “Shaùl ed il popolo risparmiarono Agàg ed il meglio degli animali…” (Samuele 1, 15, 9) riportandoli indietro con loro. Samuele rimprovera severamente Shaùl per questo: “Poiché tu hai disprezzato la parola divina, il Signore ti considera indegno di essere re”. (Samuele 1, 15, 23) Shmuel uccise quindi Agàg, ma questi fu in grado di generare un figlio nell’intervallo tra la cattura e la morte. Il bimbo era un antenato di Hamàn (Meghillà 13°, Khokhmat Enosh su Samuele 15, 32).
L’Amalèk Interiore
Il Tanàkh non è un semplice libro di storia. Al di là della cronaca degli eventi passati, ci permette una introspezione che può migliorare l’attuazione del servizio verso Dio.
Il nome Amalèk si riferisce ad una popolazione realmente esistita, ma descrive anche un tratto presente in noi. Così come Amalèk era in aperto conflitto col popolo di Israele, il tratto rappresentato da lui sfida i fondamenti del nostro rapporto con Dio.
Il Midràsh (Tankhumà, parashà Ki Tetzè, sez 9) descrive la natura di questa caratteristica nel suo commento al versetto: “ricordati ciò che…” (Devarìm 25, 17-18). Il Midràsh spiega che la parola ebraica… (che ti venne incontro) può anche essere resa come “ti raffreddò”: Amalèk rappresenta la fredda razionalità che ci fa mettere in discussione tutto ciò che facciamo o sentiamo (cf Sèfer Ha Maamarìm 5679 p. 294).
Oltrepassare l’Intelletto
Per servire Dio pienamente dobbiamo trascendere i nostri limiti intellettuali. Gli ebrei, quindi, prima di ricevere la Torà dichiararono “Naassè Venishmà” – “faremo ed ascolteremo” (Shemòt 24:7). “Faremo si riferisce al desiderio di esaudire la volontà divina, mentre “ascolteremo” sottintende la volontà di capire i comandamenti divini a livello intellettuale. L’affermazione dei nostri padri “faremo” prima di “ascolteremo” indica il loro desiderio di esaudire la volontà divina senza dubbi o esitazioni, capendola o meno. Il nostro impegno verso la Torà deve essere dello stesso tipo: bisogna oltrepassare i limiti della nostra comprensione.
Un impegno di questa portata è sfidato dal nostro Amalèk interno che ripete: “Accetta in ogni caso la Torà, ma aspetta, considera con attenzione quanto puoi studiare, quali mitzvòt puoi adempiere. Non pretendere troppo”.
Da questo contesto si può capire l’equivalenza numerica tra la parola Amalèk e la parola safèk – il vocabolo ebraico “dubbio”: (Sèfer Hamaamarìm 5679, loc. cit) Amalèk fa sorgere i dubbi ed esitazioni che raffreddano l’ardore nel servire l’Onnipotente. Vincere la nostra guerra interiore contro Amalèk, significa mettersi al servizio divino senza riserve, osservando la Torà con diligenza ed entusiasmo non limitati dalla ragione.
Un Errore Storico
Basandoci su questo ragionamento, possiamo capire come l’errore di Shaùl, che permise ad Agàg ed al suo bestiame di vivere, sia collegato al tratto personificato da Amalèk. Shaùl non intendeva trasgredire gli ordini divini. Era un uomo sommamente giusto “Scelto da Dio”. (Samuele 1,10:24). Descrivendo la sua personalità distinta, i Saggi (Yomà 22b) commentano il verso “Shaùl…” (cit. 13:1) come “Shaùl era come un bimbo di un anno, ignorante del peccato”.
L’errore di Shaùl nel trattare Amalèk è da imputarsi all’avere seguito la ragione; ad esempio, risparmia il bestiame per offrirlo in sacrificio a Dio, pensando erroneamente di compiacerle ad Hashèm. Portando il bestiame di Amalèk in sacrificio, Shaùl voleva dimostrare che addirittura gli elementi che sembrano contrari alla volontà divina possono essere usati a fine di bene.
La razionalità, anche se valida, ha contravvenuto in questo caso all’esplicito comandamento dato da Dio al profeta. Così Shemuèl replica a Shaùl: “Obbedire è meglio che offrire grasso di montoni”. (Samuele 1, 15, 22). Dio e la sua volontà sono infiniti e non afferrabili dal nostro limitato intelletto. Avvicinarsi a Dio con la sola ragione lascia spazio all’errore. Anche se non si commette alcuno sbaglio, il nostro servizio è difettoso, perché le limitazioni della nostra comprensione ci impediscono di collegarci alle infinite dimensioni della divinità. L’unico modo di connetterci con questi livelli divini è il liberare il nostro potenziale interiore, ugualmente sconfinato.
Accettare il Giogo Divino
Possiamo ottenere un legame più profondo con Dio solo attraverso la kabalàt ol, l’accettazione pura ed incondizionata della sovranità del giogo divino. La kabalàt ol ci porta al di là dei nostri esseri limitati, facendo emergere la potenzialità infinita della nostra anima divina.
Questa qualità fu rappresentata al meglio da David, successore di Shaùl, che descrive il proprio approccio al divino con questo verso “Ho imposto calma e silenzio alla mia persona” (Tehillìm 131, 2). La Chassidùt fa notare come la parola “calma” di questo salmo abbia la radice in comune con una parola che indica un “oggetto inanimato”. In altre parole, David trascese la propria dimensione naturale così profondamente da essere abbassato ad un oggetto inanimato al servizio di Dio. In altre parole, David era diventato incapace di azioni egoiste.
Correggere il Passato
La qualità della Kabalàt Ol si riflette anche nella narrativa di Purìm. È infatti l’impegno verso la kabalàt Ol che conduce alla sconfitta di Hamàn, discendente di Amalèk. Si allude a questo nella descrizione di “Mordekhai Ha Yehudì” (l’Ebreo) (Estèr 2:5): letteralmente la parola significa “Discendente della tribù di Giuda”, la tribù di David; Mordekhai apparteneva in realtà a quella di Beniamino ed era imparentato a Shaùl. In maniera similare, durante tutta la Meghillà, (Ibid. 3.6; 4:13-14,16; 8:9,11,13,16,17) tutti gli Ebrei sono chiamati Yehudìm, senza distinzioni tribali. In effetti, una delle derivazioni di questa parola ha una radice comune con …che significa “riconoscimento auto- annullante”: servire Dio con la kabalàt Ol.
Mordekhai ed Estèr mostrarono un impegno completo ed incondizionato verso Dio anche nei momenti più difficili, incoraggiando gli altri ebrei a fare penitenza e a rafforzare la loro osservanza della Torà anche sotto la minaccia del decreto di Hamman.
Il loro esempio ha per noi un effetto stimolante. Anche noi viviamo in esilio; il nostro impegno nei confronti della Torà e delle mitzvòt è sfidato da voci di disaccordo esterne e dall’ “Amalèk” interiore che parla dolcemente, insinuando dubbi ed incertezze. Tuttavia, tramite la kabalàt ol possiamo superare questi ostacoli e migliorare il nostro servizio divino. Come al tempo di Purìm, la kabalàt ol portò “luce e gioia, allegria ed onore” (ibid.8:16) al popolo ebraico, così ai nostri giorni porterà al successo ed alla benedizione, migliorando la nostra esistenza terrena.
COME EDUCARE I FIGLI CON SUCCESSO!
Dietro ogni precetto è celato un messaggio di vita. Scaviamo all’interno del precetto di Ben Sorèr Umore e scopriremo uno dei concetti basilari dell’educazione dei figli!
Si tratta di una storia coraggiosa e la sua origine è nel testo fondamentale della Cabalà: lo Zohar.
Essa racconta di un momento in cui Moshè discuteva con Dio su una particolare legge della Torà MOLTO STRANA.
Come è noto, i cinque libri del Pentateuco furono dettati da Dio a Mosè, che li ha trascritti. Ciò spiega gli infiniti livelli di significato contenuti in ogni parola, legge ed episodio della Bibbia, poiché riflettono l’infinita mente del loro “AUTORE”.
Eppure, dice lo Zohar (testo alla base di tutta la mistica ebraica), a un certo punto, Dio dettò una legge a Moshè, ma lui si rifiutò di trascriverla nella Torà.
La legge in apparenza dolorosa è riportata nella porzione di Torà di questa settimana di Ki Tetzè (Deuteronomio 21, 18-21).
«Se un uomo ha un figlio ribelle che non obbedisce alla voce del padre e alla voce di sua madre, e non li ascolta quando lo disciplinano; allora suo padre e la madre lo prenderanno e lo portano ai Saggi e al cancello della sua città e gli diranno: “Questo nostro figlio è ribelle. Non obbedisce alla nostra voce. È un profligato e un ubriaco”.
Allora tutti gli uomini della sua città lo lapideranno a morte. Devi eliminare il male da te. Tutto Israele sentirà e temerà».
Lo Zohar ci racconta un importante retroscena. Dice Dio a Moshè: “Scrivi!” E Mosè risponde: “Maestro dell’universo possiamo togliere questo precetto: ci sarà mai un padre che ucciderà suo figlio?!”.
Dio gli risponde: “Capisco la tua opinione, ma devi scrivere e sarai ricompensato. Sai molto, ma so [molto] di più. Moshè non riesce ancora a muoversi, non accetta questa legge apparentemente insensata e orribile.
Solo dopo che Dio mostra a Moshè la più profonda interpretazione mistica di questa legge, in quanto descrive la drammatica storia del popolo ebraico, Moshè accetta. Egli trascrive la legge nel testo biblico solo dopo aver appreso che questa trasmette verità mistiche, piuttosto che letterali. Solo allora Moshè trova il conforto per procedere.
Condizioni Impossibili
È interessante notare che questi sentimenti di Moshè sono echeggiati secoli dopo dai saggi talmudici del secondo secolo dell’era volgare.
La complicatezza e durezza del precetto BEN SORER UMORE ha portato i saggi a concludere che: “Non c’era mai né mai ci sarà un figlio ribelle”. Ci sono così tante condizioni per rientrare nella categoria di un “figlio ribelle” che la sua applicazione pratica diventa impossibile. Cioè questa legge della Torà era una questione di teoria piuttosto che di pratica.
Per citare solo alcuni esempi:
• Entrambi i genitori devono dichiarare che il loro figlio come “BEN SORER UMORE “ e ricevere la pena di morte.
• L’età del ragazzo deve essere all’interno dei tre mesi dal suo Bar Mitzvà (13 anni) per ricevere questa sanzione, non un giorno più giovane o più vecchio (più giovane sarebbe un minore, più vecchio, non sarebbe più un bambino).
• Deve aver rubato i soldi dai suoi genitori, averli usati per comprare una quantità enorme di carne e vino ITALIANO, notoriamente di eccelsa qualità (e non francese), mangiare e bere tutto in una sola volta e in un posto diverso dalla casa dei suoi genitori…
E tutto ciò non è ancora abbastanza! Per applicare questa legge, afferma il Talmud, nella Torà orale (sempre citando i versi biblici come prova), occorre che entrambi i genitori debbano avere voci identiche, un aspetto simile e avere la stessa altezza.
Dal momento che è praticamente impossibile avere tutte queste condizioni (a meno che il padre e la madre fossero due fratelli gemelli, cosa che vieterebbe loro di sposarsi in ogni caso), di fatto questa particolare legge non potrà mai essere applicata nel mondo reale.
Perché allora ci è stata data? I Saggi rispondono: “Per esporre la legge e ricevere ricompensa”. Quello che sembra suggerire il Talmud è che spiegare in profondità questa legge sarà gratificante per i genitori e arricchirà le abilità genitoriali e didattiche.
Infatti, quando ci concentriamo su questi versetti, possiamo dedurre un’ampia guida psicologica, emotiva e pratica sugli obiettivi e sui metodi di un’educazione sana. Concentriamoci solo su uno di questi aspetti.
Quante Voci In Casa Tua?
Come di consueto nello studio biblico, una discrepanza nel testo mina i significati più profondi. Anche questo testo contiene una tale discrepanza. “Se un uomo ha un figlio ribelle che non obbedisce alla voce di suo padre e alla voce di sua madre”, è come il caso è introdotto nella Bibbia. I suoi genitori sono descritti come aventi due voci distinte: “la voce di suo PADRE e la voce di sua MADRE”. Ma più tardi, quando i genitori portano il loro figlio in tribunale per accusare il figlio, incontriamo una leggera, ma significativa, varianza: “Diranno agli anziani: questo nostro figlio è ribelle. Non obbedisce alla nostra voce”.
Non più “la voce di suo padre e la voce di sua madre”. Ora è diventato “la nostra voce”. Le loro voci distinte si sono unite in UNA. Qual è il significato di questo sottile cambiamento testuale, ogni lettera nella Torà è una miniera di insegnamenti? Il messaggio è fondamentale per l’istruzione dicono i commentatori.
La frase “Se un uomo ha un figlio ribelle che non obbedisce alla voce del padre e alla voce di sua madre”, suggerisce una possibile ragione per cui questo figlio diventa ostinato e ribelle. Nella sua casa non c’era una voce, ma due voci DISTINTE. La voce del padre non era la voce della madre. Ognuno di loro camminava in modo proprio. I genitori non sono mai riusciti a fondere le proprie “voci” per creare una visione unificata e integrata per se stessi e in particolare per i loro figli. Ognuno dei genitori stava “tirando la casa” in una direzione diversa, e i poveri bambini erano rimasti bloccati nel mezzo, lacerati dalla discordia di persone che amano profondamente.
E se questo fosse veramente il caso, questo bambino non è affatto ribelle e testardo. È una vittima del rifiuto ostinato dei suoi genitori di lavorare sulle loro emozioni e trovare la pace nella loro casa frammentata, di fondere le loro visioni in una nuova UNICA percezione. Il bambino non ha bisogno di subire le conseguenze per il disagio dei suoi genitori che non riescono a superare il proprio ego e costruire un ambiente di rispetto e di armonia reciproca, pur sapendo delle gravi conseguenze che si riflettono sulla casa che stanno costruendo insieme.
Potrebbero forse avere delle buone ragioni per le loro lotte, ma il bambino non può essere accusato delle conseguenze delle loro guerre che l’hanno portato ad avere testardaggine e ribellione. Che altro ci si aspetta da lui? Naturalmente, anche se non si cresce in una casa armoniosa, si è responsabili delle proprie azioni. Un essere umano può superare il suo passato. Tuttavia non si può chiamare questo bambino “testardo e ribelle”.
È risaputo che nell’educazione l’opinione di ogni coniuge deve essere un valore assoluto davanti ai figli e non deve mai essere messo in dubbio neanche dell’1% dall’altro coniuge: perché, un simile comportamento, andrebbe a lacerare le fondamenta sulla quale è cresciuto il bimbo. Se non si è d’accordo su una decisione presa dall’altro coniuge si discute in privato, davanti ai figli deve essere una DECISIONE INCONDIZIONATA.
Se dobbiamo punire questo figlio, dobbiamo essere sicuri che la sua predisposizione sia in realtà corrotta dall’interno. Così, nel descrivere la natura corrotta la Torà afferma: “Diranno agli anziani: questo nostro figlio è ribelle. Non obbedisce alla nostra voce”. Per determinare se questo figlio ha intrapreso un percorso disastroso, dobbiamo assicurarci che i genitori parlavano con UNA SOLA VOCE, che la casa era piena di serenità e dignità umana. Se due voci governavano, allora la casa era piena di divisione e di risentimento, la colpa doveva essere posta sui genitori, non sul bambino.
Poiché la sua distorsione è dovuta alla discordia del genitore, in questo caso il ragazzo può trovare un percorso di guarigione ed è esente di essere punito.
Rispetto Reciproco
Questo può essere il significato più profondo dietro la dichiarazione del Talmud che, per applicare questa legge, i genitori devono avere voci identiche, un’altezza simile e una somiglianza tra loro: solo se le voci della vita di questo figlio sono state integrate dai genitori che hanno condiviso un sistema di valori identici nella vita; solo quando questo bambino osservava un padre e una madre le cui altezze spirituali erano simili.
Solo un bambino che vedeva entrambi i genitori proiettati in una visione simile, SOLO in questo caso possiamo forse concludere che questo figlio, che ha dimostrato inclinazioni terribili e distruttive, si sta trasformando in un mostro. E solo allora il suo futuro può essere spacciato da meritare un verdetto così grave.
Poiché queste condizioni sono praticamente impossibili, visto che nessun genitore può essere perfetto, il Talmud sta suggerendo che non abbiamo mai il diritto di proclamare alcun bambino come “ostinato e ribelle”, anche se osserviamo in lui modelli distruttivi. Il bambino può rispondere, consapevolmente o inconsciamente, allo stress e alle turbolenze delle vite dei genitori.
I genitori non sono, né devono essere, perfetti. Tuttavia, finché si impegneranno a trasformare le voci distinte in una sola voce, rispettando veramente con altruismo la dolce metà per creare insieme un ambiente amoroso nelle proprie case, solo così riusciranno a crescere dei bambini che abbracceranno amorevolmente la morale ed i valori della vita e di pace che vivono in famiglia.
IL FRUTTO NON CADE LONTANO DALL’ALBERO!
Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
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Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
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( Umberto Veronesi )
Al seguente link troverai la pagina web della lezione in formato mp3:
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LA VERSIONE TALMUDICA DEL ROMANTICISMO
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QUALE È IL VERO AMORE?
Illustra, inoltre, le procedure giudiziarie e le sanzioni per l’adulterio, per lo stupro o la seduzione di una fanciulla non sposata e per un marito che accusa, falsamente, la propria moglie di infedeltà. Specifica coloro che non possono sposare una persona di discendenza ebraica: un mamzèr, un maschio di origine moabita o ammonita; un edomita o un egiziano di prima o di seconda generazione.
La parashà include anche le norme che disciplinano la purezza di un accampamento militare; il divieto di riconsegnare uno schiavo fuggitivo; il dovere di pagare un lavoratore puntualmente e di consentire a chiunque lavori per te – uomo o animale – di mangiare sul lavoro; il trattamento corretto di un debitore e il divieto di ricaricare interessi su un prestito; le norme riguardanti il divorzio (dalle quali derivano anche molte delle leggi sul matrimonio): a questo proposito si veda l’interessante approfondimento nella lezione on-line. La pena per la trasgressione di un divieto della Torà; e le procedure riguardanti yibbùm (matrimonio per levirato), di una vedova senza figli con il fratello del defunto; o khalitzà (rimozione della scarpa), nel caso in cui il cognato non voglia sposarla.
(continua sotto)
Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.
Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
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IRRAZIONALE PER ECCELLENZA
(continua da sopra)
Illustra, inoltre, le procedure giudiziarie e le sanzioni per l’adulterio, per lo stupro o la seduzione di una fanciulla non sposata e per un marito che accusa, falsamente, la propria moglie di infedeltà. Specifica coloro che non possono sposare una persona di discendenza ebraica: un mamzèr, un maschio di origine moabita o ammonita; un edomita o un egiziano di prima o di seconda generazione.
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KI TETZE 5771 – LA VERSIONE TALMUDICA DEL ROMANTICISMO
3 opinioni Talmudiche riguardo a quando è lecito divorziare, in realtà esistono 3 tipi di matrimonio. Qual è il matrimonio ideale?
KI TETZE 5768 – UN’ANIMA SMARRITA + GUERRA CONTRO ISTINTO NEGATIVO
Il significato allusivo della vita: come affrontarla e il segreto per vincerla!
KI TETZE 5765 – IL RIMEDIO SPIRITUALE PER I MOMENTI DIFFICILI!
Come affrontare la vita, quando ci si trova troppo immersi nella materialità. La cura spirituale per bilanciare quesiti momenti ed evitare di smarrire la propria strada!