TOLEDOT 5784: 7 LEZIONI PRECEDENTI

15 Novembre 2023 2 Di HaiimRottas

Questo Shabbàt 18 Novembre 2023, 5 del mese di KISLEV 5784 leggeremo la Parashà di Toledòt Gen. 25,19-28,9.

Si legge l’Haftarà di Mal. 1, 1-2, 7

In memoria del mio carissimo amico Rav Haim Moshe Mordechai Shaikevitz ben Dovber 

UN FIUME CHIAMATO PARADISO 

Uno dei numerosi insegnamenti che impariamo dalla parashà di questa settimana Toledòt (Genesi 26, 19) è che Isacco ha scavato una serie di pozzi per ottenere l’acqua dal terreno: “E i servi di Isacco scavarono nella pianura e trovarono un pozzo di acqua viva [cioè una sorgente zampillante]”. Questo è rilevante per noi anche oggi, così come ogni aspetto della Torà. Una delle lezioni che possiamo imparare dal versetto è collegata al commento del Talmud su un passo precedente che si trova all’inizio del libro della Genesi (2, 14): “E il quarto fiume è (chiamato) ‘Peràt’”. Nel Talmud (Bekhoròt 55b) è scritto che questo fiume è la sorgente di tutti gli altri fiumi che sgorgano nel mondo. Il fiume Peràt, conosciuto come EUFRATE, è infatti identificato come la falda acquifera sotterranea che è la fonte di tutti i pozzi e le sorgenti. Quando si scava l’acqua e si raggiunge la falda freatica del fiume Peràt, un pozzo di acqua viva sgorga in superficie. Per apprezzare il significato allegorico di questo, dobbiamo prendere i versi nella loro sequenza, a partire da Genesi 2, 10, dove è scritto che “un fiume” (senza specificare il nome) usciva dall’Eden per irrigare il giardino, dividendosi in quattro flussi. I tre versetti successivi identificano i nomi dei tre torrenti: Pishòn (Nilo), Ghikhòn e Khidèkel e poi al verso 14 è scritto: “E il quarto fiume è Peràt”. Tuttavia, secondo il Talmud, il fiume Peràt è in realtà il primo dei quattro fiumi, che è “innominato” nel versetto 10: “…usciva dall’Eden per irrigare il giardino.” 

Riconoscere il Re 

Uno degli obiettivi più importanti dell’essere umano è quello di raggiungere una reale consapevolezza dell’unità di Dio, fino al punto di giungere a percepire come Lui pervade tutta la creazione e che tutto ciò che esiste non è altro che una manifestazione della divinità. Una tale consapevolezza poi dovrebbe concretizzarsi nel fatto che ogni azione umana sia motivata da essa: ogni propria azione (anche nelle attività quotidiane) dovrebbe essere fatta per il bene di Dio, piuttosto che per motivi personali ed egoistici. Il raggiungimento di questa consapevolezza dell’unità onnicomprensiva di Dio, fa naturalmente desiderare alla persona di essere unita a Lui e di non fare altro che la Sua volontà. Per questo motivo questo concetto è indicato nella Torà come: “Accettare [su se stessi] il giogo del Regno dei Cieli”, poiché la persona desidera ora procedere nella sua vita, non come un’entità egocentrica e indipendente, ma come qualcuno che segue disinteressatamente il suo Maestro, Dio. Questa riverenza verso Dio, che dovrebbe portare a un agire altruistico, non è solamente una fondamentale guida etica per le nostre vite, ma è anche, in senso mistico, l’espressione dell’unicità di Dio: tale consapevolezza è un elemento essenziale per realizzare il piano divino della creazione. L’importanza di questo concetto può essere meglio compresa pensando a Dio che ha creato l’universo fisico in modo che la Sua sovranità possa essere espressa anche nei limiti della materia. Ad esempio pensiamo a un Re, maestoso, potentissimo, ricchissimo saggio ecc.., ma se non ha sudditi che seguono la Sua volontà, perché non lo riconoscono come sovrano, che re può essere? Se la sua sovranità non è riconosciuta o rispettata c’è ovviamente qualche cosa che non funziona. Pertanto è in qualche modo possibile dire che Dio ha deliberatamente creato il mondo e vi ha messo l’umanità con la facoltà, il “libero arbitrio”, di eseguire o meno la Sua volontà. In questo modo una persona che volontariamente “accetta su di sé il Regno dei Cieli”, come discusso sopra, fa in modo e ha il merito che la volontà di Dio venga espressa e riconosciuta in questo mondo. Pertanto, riuscire a raggiungere una tale consapevolezza della Divinità è un elemento fondamentale della vita di ogni persona, poiché ogni atto che lui o lei compie sarà poi trasformato in un atto santo, un atto spirituale, anche in un contesto altrimenti ordinario, banale: mangiare, lavorare ecc.. Per questo motivo nell’ebraismo i saggi della Torà hanno composto il servizio di preghiera mattutina in modo tale da far emergere questa consapevolezza della sovranità di Dio, fin dalle prime ore del giorno. La maggior parte delle preghiere del mattino contengono versetti che raccontano la grandezza di Dio, così che meditando profondamente sul significato di esse, facilita il raggiungimento del livello di coscienza di cui sopra. Il culmine di questo tema, nell’ebraismo, è la ben nota preghiera dello Shemà, che proclama l’unicità di Dio. Ora, tutto quanto sopra va bene, ma ci troveremmo di fronte a un problema insormontabile se non fosse per la benevolenza di Dio: la Sua vera unità, anche se può essere meditata a lungo nella preghiera, è dopo tutto un concetto mistico così profondo che semplicemente non dovrebbe essere contenibile nella mente o nel cuore di nessun essere creato! Pertanto come può un “comune mortale” anche solo avvicinarci ad apprezzare l’unità di Dio? 

Solo con l’Unione si Vince

La risposta è che Dio stesso vuole che sia possibile non solo apprezzarlo e lodarlo, ma addirittura arrivare effettivamente e concretamente a ottenere una qualche forma di unione con Lui. E solo per questo scopo Dio ha dato la Torà all’umanità. Sebbene non sia possibile relazionarsi direttamente con Dio è comunque possibile relazionarci con la Torà, nella quale, in senso mistico, è effettivamente “contenuta l’unità di Dio”. Non a caso vi è l’antica pratica nell’ebraismo di indulgere nello studio della Torà subito dopo la preghiera. Una persona che prega dovrebbe riflettere a lungo sulle sue preghiere e su come esprime la grandezza di Dio, e sviluppare dentro di sé il desiderio di unirsi nientemeno che a Lui nella sua essenza. Dopo aver accettato su di sé il regno dei cieli, con la preghiera dello Shemà, poi, subito dopo, la persona sarà in uno stato molto più ricettivo per raggiungere un certo grado di effettiva unione con Dio stesso. A quel punto, è possibile placare questa “sete di spiritualità” con lo studio della Torà, poiché si è pronti a ricevere il pieno beneficio della Divinità all’interno della Torà che è un livello maggiore, poiché rappresenta l’essenza di Hashèm. Ma questo a condizione che lo studio con intenzione disinteressata, ossia senza doppi fini: non per diventare un “grande saggio”, per essere ammirato apprezzato o per far denaro, ma solo al fine di unirsi a Dio tramite lo studio. 

Il Fiume di Dio 

A questo punto, possiamo iniziare a vedere l’applicazione allegorica dei versetti sopra menzionati all’argomento in questione. Il versetto: “E un fiume scorreva dall’Eden per irrigare il giardino/gan”, allude proprio all’argomento di cui abbiamo discusso. Nella letteratura mistica, il termine “Eden” è spesso usato per alludere a Dio. La parola ebraica per “giardino” (Gan) allude alla Torà, poiché, secondo le regole della lettere ebraiche, le quali ognuna esprime un numero, la parola Gan – גן ha il valore di 53: lo stesso del numero delle porzioni/parashòt in cui è divisa la Torà. Infine, un fiume è un altro simbolo, comune nel misticismo ebraico, per rappresentare, comprensibilmente, un flusso o una progressione da un luogo all’altro. Il nostro verso può quindi essere interpretato come un riferimento al fatto che quando una persona attira su di sé il regno dei cieli questo livello è rappresentato dal “fiume” che scorre dal cielo, da Dio, che annaffia il gan/giardino, ossia che facilita l’unione della persona con Lui attraverso lo studio della Torà, in tutte le sue 53 porzioni, paragonata al Giardino. Il Talmud interpreta il versetto successivo indicando come questo fiume, che scorre dall’Eden, diventi il fiume Peràt: la sorgente sotterranea di ruscelli scalpitanti e pozzi zampillanti. Anche questo è rilevante per il nostro servizio quotidiano a Dio ed è anche un messaggio di incoraggiamento. Adesso, cerchiamo di vedere il significato di tutto ciò per le nostre vite. 

Una Mitzvà al Giorno Toglie il Medico di Torno! 

Finora abbiamo parlato della situazione ideale, quando un individuo può perseguire senza difficoltà la sua naturale “sete di Dio” durante la preghiera ed è quindi in grado di soddisfarla immediatamente attraverso lo studio della Torà. Tuttavia, è davvero raro che una persona possa permettersi di sedersi e studiare la Torà tutto il giorno. La maggior parte delle persone deve impegnarsi nel mondo materiale e nelle sue preoccupazioni mondane, ben lontane dalla spiritualità del servizio mattutino, per guadagnarsi da vivere. Tuttavia, spesso accade che una persona si preoccupi così tanto delle proprie faccende quotidiane da perdere la propria consapevolezza, almeno momentaneamente, a volte, del regno celeste e della sua missione in questo mondo. È proprio per questo motivo che Dio ha dato le mitzvòt da eseguire durante il giorno. Le mitzvòt, in realtà, derivano da una fonte spirituale molto sublime e non richiedono la preparazione o un elaborato impegno mentale, come quando si studia la Torà. Anche se, a volte, si esegue una mitzvà senza pensarci affatto, questo gesto “inconsapevole” porta, comunque, un grande beneficio spirituale alla persona. Ovviamente, migliore è l’intenzione e maggiore sarà il risultato, quindi è bene impegnarsi per raggiungere questo obiettivo. Per questo il motivo per cui le mitzvòt devono essere osservate, già a partire dalle prime ore del giorno, è che in quel momento ne abbiamo più bisogno, poiché a volte siamo lontani dal nostro solito livello spirituale proprio al mattino – poco dopo esserci svegliati dal sonno della notte – e le mitzvòt ci aiutano a riguadagnarlo in una certa misura. Questa stato assomiglia proprio a un pozzo zampillante di acqua: una sorgente si forma scavando nel terreno che copre la falda freatica, fino a quando l’acqua sepolta sgorga in superficie e viene utilizzata. Sebbene le nostre faccende quotidiane possano aver “coperto” o addirittura seppellito il nostro “fiume” di amore per Dio e la vicinanza a Lui che abbiamo sviluppato ogni mattina, possiamo ancora attingere a quella riserva nascosta di spiritualità durante il giorno eseguendo le mitzvòt. Quindi, proprio come una vera sorgente diventa schiumosa e frizzante nella sua lotta per spingersi verso l’alto attraverso la terra, così l’osservanza della mitzvà assume per una persona il significato di una nuova vita, una scintilla di vitalità: come risultato della sua consapevolezza, ottenuta attraverso queste mitzvòt osservate nella mondanità, lui o lei è in grado di penetrare negli strati della “terra”, dove è stato momentaneamente “sepolta”. Possiamo così apprezzare meglio l’allegoria presente nelle figure dei servitori di Isacco che scavano pozzi per attingere da un “pozzo di acqua viva”. Adesso è più comprensibile l’affermazione del Talmud secondo cui la falda acquifera per eccellenza e la fonte di tutte le sorgenti è il fiume Peràt: acqua viva, disponibile per essere attinta tutto il giorno, anche se a volte è nascosta, poiché essa non è altro che la divina vitalità che scorre dall’Eden stesso, da Hashèm. Tratto da un Maamàr del Torà Or di Rabbi Shneur Zalman             

Un caro Shabbat Shalom     Rav Shlomo Bekhor

Questa settimana leggiamo la parashà Toledòt dove è descritta le discendenze (toledòt, in ebraico) di Yitzkhàk e dei suoi figli: il giusto Ya’akòv e il malvagio Essàv, colui che vende il suo diritto di primogenitura a Ya’akòv.
Anche oggi, alla vigilia di Shabbàt, vi proponiamo un brano della Torà, tratto dal libro “Saggezza Quotidiana”, commentato sulla base degli insegnamenti cassidici del Rebbe e dei suoi predecessori. Il brano scelto è particolarmente significativo poiché rappresenta un chiaro esempio del fatto che l’eterna saggezza della Torà è sempre attuale. Una “eternità” che si adatta “miracolosamente” sia ai concetti più astrusi e complicati di ogni branca del sapere umano, sia ai concetti più semplici su cui abbiamo a che fare ogni giorno. Il tutto basato su personaggi le cui storie risalgono agli albori dell’umanità.
Ed ecco che dalla storia di questi due “gemelli opposti” Ya’akòv e Essàv possiamo trarre spunto, riflessione e consiglio su molteplici aspetti della vita: l’eterna lotta, sia come individui, sia come umanità, per non farci sopraffare dai nostri istinti e pulsioni egoistiche. Dualismo che nel corso dei secoli è stato archetipizzato e sublimato in miti, legende, favole, filosofie e in generale in ogni branca e ripostiglio dell’azione umana frutto del pensiero creativo dell’uomo.
Tuttavia, la Torà e il pensiero chassidico non si limitano a porre la questione ma, attraverso una sintetica e verace analisi di tale dualismo, propongono anche la soluzione.

Doppia Identità

Hashèm le disse: «Ci sono due popoli nel tuo ventre e dalle tue viscere si dirameranno due nazioni; una nazione sarà più forte dell’altra e il grande servirà il [più] giovane». (25, 23)

Metaforicamente, Ya’akòv ed Essàv rappresentano le due anime e le loro opposte pulsioni, che esistono dentro ognuno di noi. Nell’uomo vi è un Ya’akòv interiore, l’anima divina con le sue pulsioni divine; ma anche un Essàv interiore, l’anima animalesca con le proprie pulsioni egoistiche. Quando la nostra anima divina si afferma, indebolisce le tendenze materialistiche dell’anima animalesca. L’anima divina vince quella animalesca nello stesso modo in cui la luce vince il buio. La luce non deve agire attivamente per dissipare le tenebre: l’oscurità, infatti, semplicemente cessa di esistere in presenza della luce. Allo stesso modo, non appena lasciamo brillare la santità e la bontà delle nostre anime divine, studiando la Torà e osservando i comandamenti, l’egoismo dell’anima animalesca scompare.

Un caro Shabbàt Shalom

Rav Shlomo Bekhor

NUOVA MISTICA LEZIONE ATOMICA (27mn)

https://www.facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10158786496700540

VALORE ALIMENTAZIONE!
Perché Yaakòv da a Suo Fratello Anche il Pane?

Yaakov diede a Esàv pane e stufato di lenticchie (Genesi 25, 34)

Molte persone sono attenti alla qualità del cibo che sia bio, ma dimenticano della qualità spirituale del cibo e si dovrebbe fare altrettanto.

Una super lezione di vita dagli insegnamenti del padre di Rebbe, Reb Levi Yitzchok זצ״ל
A) Perché Yaakov ha dato – anche – pane, a suo fratello Esav quando ha chiesto solo lenticchie?
B) Tutto nella Torà ha una ragione, perché il nome Esav-עשו, ha tre lettere?
C) Perché immergiamo il Pane לחם nel Sale מלח (stesse lettere) – TRE volte?


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Un giorno due persone si recarono da Rabbi Yosef Chayim di Bagdad, soprannominato Ben Ish Chay, perché li aiutasse a risolvere una disputa di carattere finanziario. Quello che negava di dovere all’altro del denaro, disse di essere disposto a giurare di aver ragione; però Rav Yosef Chayim, che era dotato di grande intuito, percepì che costui era un bugiardo e stava per fare un falso giuramento. Perciò gli disse: “Credevi che ti avrei fatto giurare su un semplice Rotolo della Torà? Ti farò giurare sulle Shnè Lukhòt Habrìt!” Chiese al suo assistente di immergersi in un mikvé e poi di portargli le Shnè Lukhòt Habrìt. Nell’udire queste parole il disonesto si spaventò perché credette che Rav Yosef Chayim stesse per farlo giurare sui Dieci Comandamenti originali, non avendo capito che il Rav si riferiva all’opera di Shelà che si intitola così. Immediatamente l’uomo gridò: “Pagherò il mio debito!”, e ammise che poco prima egli aveva mentito. Rav Yosef Chayim fece uso di una strategia contenente un’affermazione ingannevole, ma la sua intenzione profonda era far emergere la verità e in questo caso agì correttamente.
Quando ‘Essàv andò da suo padre Ya’akòv per ricevere la sua benedizione, questi gli disse: “Tuo fratello è venuto bemirmà-inganno e ha preso la tua benedizione!” (Bereshìt 27, 35).
Rashì spiega che il termine bemirmà, che di solito si traduce “con l’inganno”, in questo caso significa “con saggezza”. Rabbi Yeruchem Levovitz commenta che esistono molte azioni che vanno classificate in base alle motivazioni di coloro che le compiono. Se l’intenzione è indirizzata al bene, l’azione è da considerare buona. Qualcosa che, in circostanze diverse, avrebbe potuto essere disonesto, in questo caso è saggio. La stesso cosa vale per il contrario; se l’intenzione che sta dietro ad essa è cattiva, l’azione va considerata deplorevole e classificata come inganno. Ya’akòv ebbe solo intenzioni oneste e quindi il suo comportamento fu considerato positivo (Daat Torà, Bereshìt-Genesi ed. Mamash p. 174)
Questo concetto spiega l’importanza dell’essere onesti con sé stessi riguardo alle proprie effettive motivazioni. Talvolta una persona riesce a rendere ragionevole la propria disonestà, ma dentro di sé sa di avere degli intenti riprovevoli. Quando si sta per compiere un’azione che rasenta i limiti del lecito, chiediamoci quale sia il vero motivo per cui lo si fa; le buone intenzioni non autorizzano a fare qualcosa che non è permesso (nel caso di Ya’akòv c’erano fattori che avevano reso giusto il suo comportamento). Invece, molte delle cose che facciamo nella vita dipenderanno dalle nostre segrete intenzioni; impariamo a essere onesti con noi stessi e comprenderemo i motivi del vostro comportamento.

Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.

Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor

Virtual Yeshiva
se il talmid non va dal rabbi, il rabbi va dal talmid!

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Per informazioni: www.virtualyeshiva.it
TOLEDOT

NUOVA LEZIONE ATOMICA DI VITA

parasha 6°: MUSICA DELLO SQUILIBRIO

Come Acquisire l’Equilibro tra Trascendenza e Immanenza!

youtube: https://youtu.be/89uxiKclZmw

https://www.facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10157639941710540

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Al seguente link troverai la lezione sulla nostra parashà in formato mp3:
http://www.virtualyeshiva.it/2009/11/19/toledot-5770-larte-di-scavare-i-pozzi/
Al seguente link potrai scaricare la lezione della Parashà di questa settimana sul tuo mobile:
http://www.virtualyeshiva.it/files/09_11_19_toldot5770_yitzkhak_pozzi_bersheva.mp3

L’ARTE DI SCAVARE I POZZI

Avrahàm e Yitzkhàk, acqua e fuoco. Personalità e valori a confronto. Una profonda riflessione
che ci porta ad analizzare il rapporto difficile tra individuo e società.

Alcuni Punti della Lezione:

1. Perché lo stesso luogo viene chiamato sia da Avrahàm che da Yitzkhàk con lo stesso nome?
2. Come mai è proprio il nome dato alla città di Beer Sheva da Yitzkhàk ad essere tramandato fino ad oggi?
3. Perché la Torà dedica tanto spazio all’attività di scavare pozzi di Yitzkhàk?
4. Ti risulta più facile iniziare un progetto o saperlo continuare nel tempo?
5. Sei in grado di trovare la forza interiore per continuare un progetto nel tempo?
6. Perché alcuni personaggi storici dotati di grandi ideali non hanno lasciato un segno concreto nella storia?
7. Nella vita è più importante sapersi relazionare con il prossimo e con la società, oppure è meglio costruire una forte personalità? Possono coesistere entrambe le situazioni?

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L’ABITO NON FA L’EBREO…!
Come ha fatto Rebecca a ingannare suo marito e iniziare il percorso
per “avvicinare chi è lontano”?
Quando Isacco diventa anziano la sua vista si oscurò. Lui esprime il desiderio di benedire suo figlio primogenito e prediletto Esaù, prima di morire. Mentre Esaù va a caccia per procurare il cibo preferito del padre, Rebecca prende i suoi abiti “speciali” e li impresta al fratello minore Giacobbe e gli copre le braccia e il collo con pelli di capra, per simulare la peluria di Esaù. Rebecca, inoltre prepara dei cibi prelibati per Isacco e poi manda Giacobbe da suo padre con il cibo. Giacobbe riceve le benedizioni da suo padre: “Dio ti darà la rugiada del cielo e la parte migliore della terra; dominerai su tuo fratello”. Giacobbe vestito con gli abiti di Esaù prende anche le sue benedizioni CAMBIANDO LA STORIA FINO AD OGGI.
Le stranezze di questa storia sono numerose e una domanda non può essere ignorata: Rebecca si è comportata correntemente nel pianificare astutamente questo piano contro il marito? Se Rebecca aveva buone ragioni per giudicare Esaù immeritevole delle benedizioni di Isacco, perché non ne ha parlato direttamente con suo marito e non ha seguito la “gloriosa” tradizione delle mogli ebree che cercano sempre di spiegare ai mariti i propri errori?
Oltretutto, Rebecca avrebbe avuto ottimi argomenti contro la concessione delle benedizioni a Esaù, ragioni che Isacco avrebbe certamente compreso. La Torà descrive Giacobbe come un “Uomo retto che studia nelle tende”, in palese contrasto con suo fratello gemello Esaù che è invece descritto come un “Esperto cacciatore, un uomo della campagna”.
Rebecca favori Giacobbe per buone e giuste ragioni. Esaù, “Il cacciatore” è l’uomo che ha “disprezzato la sua primogenitura” che ha venduto per un piatto di lenticchie, era essenzialmente una persona legata alla materia e alle cose mondane, non destinato ad essere un fedele seguace di un Dio invisibile e trascendente. “Il patto di Abramo”, la sua alleanza con Dio, doveva sicuramente passare attraverso Giacobbe, “L’uomo retto che studia nelle tende”. I suoi discendenti formeranno la nazione di Israele, che darà a tutto il mondo la visione etica del monoteismo; mentre Esaù sarà il capostipite della nazione edomita e in ultima analisi della civiltà romana, con la sua cultura spietata fondata sul “culto” della materialità, al fine di ottenere dei benefici fisici. Allora, perché Rebecca non condivide questa sua idea con il marito, invece di manipolare la situazione?

Molto inchiostro è stato versato sull’argomento. Oggi, però vorrei condividere con voi un pensiero, di uno dei più grandi maestri cassidici dell’ebraismo, del rabbino Yitzchak Meir, il primo Rebbe di Gur.

Secondo la sua autorevole opinione, Rebecca sapeva che i nipoti di Giacobbe si spoglieranno un giorno degli indumenti del loro nonno e metteranno quelli di Esaù: all’interno saranno ebrei, ma all’esterno cercheranno di apparire come Esaù. Rebecca ha capito, come solo una madre può fare, la confusione e l’ambivalenza che potrebbe consumare la sua discendenza nei millenni a venire. Rebecca comprende, profeticamente, la crisi identitaria che subirà l’ebreo dell’epoca moderna, il suo desiderio di integrarsi, o anche assimilarsi, tra le altre Nazioni e culture.
Rebecca avrebbe potuto persuadere suo marito a concedere le benedizioni direttamente e in modo lineare a Giacobbe, ma poi questa potente energia spirituale sarebbe stata trasmessa SOLO al “vecchio” Giacobbe: colui che sembrava Giacobbe interiormente ed esteriormente; il “retto” Giacobbe, “che abita nelle tende”.
Che ne dici – pensò, tra se, Rebecca – se questo Giacobbe, un giorno abbraccerà il secolarismo apparendo come Esaù, forse perderà il merito di avere la benedizione di Isacco? Questo ebreo/a completamente moderno e laico forse appartiene meno alla Torà e alla nostra fede?
Rebecca sapeva la risposta: NO, in nessun modo! Anche il Giacobbe che assomiglia a Esaù è parte integrante dell’Alleanza e dell’eredità di Abramo, Isacco e Giacobbe. Nel momento in cui Rebecca vestì suo figlio Giacobbe degli abiti di Esaù, per ricevere le benedizioni di Isacco, assicurò che la scintilla del giudaismo, l’essenza dell’anima ebraica, la fonte della fede ebraica, sarebbe rimasta nel cuore di ogni singolo ebreo per sempre. Persino nell’ebreo che tanti altri liquidano come un semplice Esaù.
L’Orso
Quanto detto finora mi ricorda l’aneddoto sull’ateo che cammina nel bosco: “Che maestosi alberi! Che fiumi potenti! Che animali meravigliosi!” e mentre camminava lungo il fiume, sentì un fruscio nei cespugli dietro di lui. Si voltò a guardare e vide un orso grigio di quattro metri correre contro di lui.
Iniziò a scappare più veloce che poteva, sul sentiero. Si guardò alle spalle e vide che l’orso si stava avvicinando a lui. Continuò a correre, poi guardò di nuovo, ma l’orso era sempre più vicino. L’ateo inciampò e cadde a terra. Si girò per rialzarsi, ma vide che l’orso era proprio sopra di lui, pronto a colpirlo con le sue zampe. In quel momento l’ateo gridò: “Oh mio Dio!”
Il tempo, improvvisamente, si fermò. L’orso si bloccò e la foresta divenne, tutto a un tratto, silenziosa. Mentre una luce brillava sull’uomo, una Voce uscì dal cielo e disse: “Tu rinneghi la mia esistenza, per tutti questi anni, insegni agli altri che non esisto e sei convinto che la creazione sia solo il frutto di un incidente cosmico. Ti aspetti che ti aiuti per tirarti fuori da questa situazione? Devo considerarti un credente?”
L’ateo guardò direttamente nella luce e rispose, “Sarebbe ipocrita da parte mia chiederti all’improvviso di trattarmi ora da credente, ma forse potresti far credere all’ORSO?”
Molto bene,” disse la Voce. La luce si spense. I suoni della foresta ripresero. E l’orso lasciò cadere la zampa destra, chiuse gli occhi, meditò per qualche minuto e poi disse lentamente: “Baruch Atà Hashem Elokeinu melech haolam hamotzi lechem min haaretz (benedizione sul pane).”
A volte non si sa cosa si nasconde dietro la veste da orso. Esternamente può essere vestito come un orso, ma se si ascolta attentamente si può sentire il “Baruch Atà Hashem …”
Ebrei Traditori
La storia riportata nasce da una intuizione Chassidica che interpreta un misterioso brano Talmudico, circa il racconto di Giacobbe che si veste come Esaù, per ottenere la benedizione di suo padre.
“Isacco odorava i suoi vestiti”, riferisce la Torà, e proclamò: “Vedi, l’aroma di mio figlio è come l’aroma del campo benedetto da Dio”. Poi Isacco iniziò a dare le benedizioni. Il Talmud, focalizza la nostra attenzione sul fatto che il termine usato per “i suoi vestiti” (begadav), potrebbe anche essere pronunciato e tradotto come “i suoi traditori” (bogdav). Il termine ebraico per vestito, può anche essere pronunciato “boghed”, che significa “tradire”. Questo perché i vestiti eclissano e “tradiscono” la personalità interiore di un uomo. Un ricco miliardario può vestirsi come un povero e, al contrario, il povero può vestirsi da aristocratico.
Dal momento che nel rotolo della Torà non ci sono vocali, si può leggere la storia come “Isacco odorò i suoi traditori e proclamò: l’aroma di mio figlio è come l’aroma del campo benedetto da Dio”.
Il Talmud sta affermando che Isacco “annusando i traditori” del popolo ebraico né apprezza la loro fragranza, come se lui fosse ispirato a benedire il progenitore di questi traditori, Giacobbe. Questo è profondamente inquietante! Cosa c’è di così piacevole nell’aroma dei traditori? E perché dovrebbero ispirare Isacco a benedire il loro capostipite Giacobbe? Le grandi anime e i giganti spirituali che sarebbero emersi dal seme di Giacobbe, nel corso della storia, non bastavano ad invogliare Isacco a conferire le benedizioni a lui? Solo i traditori lo hanno commosso così profondamente? Come è possibile?
Il ladro del tempio
Il Midrash, racconta una storia che illustra la natura dei “traditori” che Isacco “odorò”. L’episodio avviene a Gerusalemme, nell’anno 70 EV, durante la conquista romana della Città Santa e la distruzione del secondo Santuario.
Quando i Romani entrarono nel Tempio, incredibilmente grande e complesso, non sapevano come muoversi e non conoscevano la dislocazione degli oggetti di valore in quella moltitudine di camere e vani. Avevano bisogno di una “buona guida turistica”.
Un ebreo si offrì volontario. Il suo nome era Yosef Meshisa, ed era il traditore per antonomasia! L’uomo era pronto a svendere la sua anima e il suo popolo, al nemico crudele, solo per proteggere la sua stessa pelle. I soldati romani, hanno subito apprezzato le “nobili intenzioni” dell’ebreo, gli hanno promesso, come ricompensa per il “tour”, la possibilità di prendere ciò che desiderava dal Tempio Santo.
Yosef Meshisa, entrò nell’epicentro spirituale dell’universo e andò a prendere per sé la Menorà (lo splendido candelabro d’oro situato nella camera interna del Tempio), uno degli articoli più sacri, usati in questo Tempio Santo.
Questa storia, ci fa capire qualcosa sulla natura del ragazzo, Yosef Meshisa. Mentre Gerusalemme era inghiottita dalle fiamme, migliaia di ebrei venivano massacrati e il Tempio stava per essere distrutto, quest’uomo aveva l’audacia, la faccia tosta, di unirsi ai ranghi nemici e assisterli nel rimuovere la Menorà dal Tempio. Tutto ciò solo per il suo beneficio personale!
Tuttavia, all’uscita, i Romani si rifiutarono di lasciarlo andare via con la Menorà: “È inappropriato, per un uomo semplice come te, avere un oggetto così prezioso nella tua casa”, gli hanno detto. “Torna indietro e prendi qualcos’altro, qualsiasi altra cosa.”, ordinarono i romani. Ma, ecco! Contro qualsiasi logica, Yosef Meshisa rifiuta di rientrare nuovamente nel Tempio Santo, per rubare un altro oggetto. “Non è abbastanza”, proclama, “aver fatto arrabbiare il mio Dio e contaminato il suo Tempio una volta; volete che lo faccia anche una seconda volta? Non esiste!”
I Romani torturarono brutalmente questo ebreo. Posero il suo corpo su un tavolo da lavoro usato dai falegnami e ne perforarono il corpo, fino alla morte. Le ultime parole sulle sue labbra furono: “Guai a me! Ho irritato il mio Creatore”.
Il Meccanismo di trasformazione
Cosa è successo a quest’uomo? All’inizio è caduto al più basso livello, pronto ad assistere il brutale nemico del popolo ebraico, per il proprio guadagno finanziario. Poi, cambia idea improvvisamente e mette in gioco la sua vita, pur di non rientrare nel Tempio e rubare un altro oggetto sacro? Da dove proviene questa improvvisa trasformazione? Cosa ha potuto cambiare, così radicalmente, questo individuo da opportunista a grande patriota?
Risposta: tutto è cambiato perché è entrato nel Bet Hamikdash (il Tempio Santo) e tenuto in mano la santa Menorà! In quel luogo di santità, dove la presenza di Dio era sentita e vissuta, sentì, per la prima volta nella sua vita, la sua neshamà, la sua interiorità ebraica, la sua essenza più vera. All’improvviso, non era più Yosef Meshisa, il collaboratore dei romani, ma ora era Yosef Meshisa, un ebreo collaboratore di Avraham, Yitzchak, Yaakov, Moshe e Rav Akiva. Improvvisamente è diventato parte di una catena inviolabile di 4000 anni!
Non fatevi ingannare dagli indumenti
Questi sono i “traditori”, dice il Midrash, che Isacco odorava quando Giacobbe entrò nella stanza, poiché essi generarono uno straordinario aroma spirituale.
Ora possiamo vedere la brillante correlazione tra “vestire” e “traditori”. Giacobbe, vestito con abiti di Esaù, rappresentava, in quel momento, gli ebrei che possono apparire e comportarsi proprio come Esaù. Storie, come quella di Yosef Meshisa, di uomini e donne che potrebbero tradire la loro gente e la loro fede, in forme sfacciate o sottili. Eppure, nel momento della verità, la loro anima ebraica interiore emerge nel suo pieno profumo. Le benedizioni di Isacco furono ispirate, in particolare, da questi ebrei, perché sono loro che dimostrano la verità del fatto che l’essenza ebraica e la forza di Dio, sono nel cuore di OGNI ebreo, trincerato nel suo stesso DNA.
Questa trasformazione non deriva, unicamente, dal potere del Santo Tempio di Gerusalemme. Anche nei nostri tempi, esiste qualche luogo che possa trasformare, così istantaneamente, un individuo alienato, in un’anima appassionata. Come questa storia vuole dimostrare.
La storia narra di un ebreo di nome Franz Rosenzweig (1886-1929), influente teologo ebreo e filosofo in Germania, come raccontata nel suo libro, “La stella della redenzione”.
Franz Rosenzweig era un ebreo totalmente laico e assimilato. Fu un autore prolifico e un grande filosofo, ma viveva in Germania, in un’epoca in cui la filosofia e la scienza moderna si presentavano come un’alternativa razionale alla “farsa delle religioni”. Nel 1913 si stava preparando a convertirsi al cristianesimo.
Era la notte di Yom Kippur, l’11 ottobre 1913. Franz Rosenzweig, allora 27enne e già uno dei più brillanti filosofi del suo tempo, entrò in una sinagoga di Berlino con l’intenzione di fare un “atto finale” da ebreo. Alla fine di quelle 24 ore, sarebbe entrato nella chiesa dove il suo “sponsor”, Rudolf Ehrenberg, lo aspettava per il battesimo al cristianesimo. Solo e sconosciuto a tutti i presenti, il futuro convertito, andò a Berlino, in un Sinagoga piena di ebrei devoti, osservanti e sinceri.
Ma lì succede qualcosa. Franz Rosenzweig entrò nella sinagoga per vedere com’era, per curiosità e uscì da lì come un “Baal Teshuvà”, un “ritornato” all’ebraismo. Kol Nidre (preghiera che si recita prima di Kippur) e le successive 24 ore, sono state sufficienti per trasformare completamente questo giovane. Dopo Yom Kippur, scrisse una lunga lettera al cugino, che doveva sponsorizzare il suo battesimo: “Mi dispiace deluderti, ma sono rimasto ebreo”.
Ai giorni nostri è un fenomeno comune vedere ebrei diventare “Baal Teshuvà”, iniziare a rispettare le Mitzvot e riabbracciare l’eredità dei loro nonni. Nella Germania del 1913, questo era un fenomeno quasi sconosciuto vedere un ebreo laico ritornare osservante della Torà.
Cos’è la causa? Era la stessa di Yosef Meshisa. Fu esposto alla santità, alla realtà del sacro. Una persona che è totalmente laica, o anti-religiosa, o che è pronta ad adottare un’altra religione, va in Sinagoga, non per pregare e per partecipare, ma semplicemente per osservare…! Quando si è esposti a un luogo di santità, in una tale notte di santità (il giorno solenne di Kippur), questo può stravolgere l’anima. Può cambiarla radicalmente.
Perché la santità – kedusha è reale. La Torà è reale. Quando un ebreo dice “amen yehè shemè rabà” con tutto il suo cuore, questo è reale. Attraverso la sua esposizione a un momento di santità, Rozenzweig divenne una persona diversa. Questo non richiede l’esposizione al Santuario di Gerusalemme, ma basta solo una sinagoga dove si prega sinceramente il Maestro del Mondo. Questo può cambiare un uomo per sempre.
Quando Rebecca fece indossare le vesti di Esaù a suo figlio Giacobbe, assicurò questa verità per l’eternità. Anche se incontri un ebreo simile a Esaù, ricorda che lui o lei è in verità un Giacobbe, solo vestito come Esaù.
In quel momento, Rebecca piantò i semi dell’opera conosciuta oggi come “kiruv” o “shlichut”, la visione altissima della nostra generazione articolata dal Rebbe di Lubavitch: “Esci da te stesso e guarda con umiltà nel cuore di un altro ebreo, e incontrerai la fiamma e la santità di Giacobbe. Lo aiuterai ad accendere la sua fiamma, in modo che possa a sua volta accendere altre fiamme latenti, finché il mondo intero non sarà infiammato dalla luce di Dio”.
Questa lettura settimanale è proprio nel periodo del raduno mondiale dei Shluchim – messaggeri del Rebbe, sparsi in ogni angolo del globo per illuminare le anime sparse e perfezionare il mondo per la redenzione eterna.
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Il primo giorno di Kislev, commemoriamo l’anniversario di Rav Gabi e Rivki Holtzberg e degli altri uomini e donne ebrei assassinati nella sinagoga a Mumbai, in India.
Gabi e Rivki hanno trasformato la loro casa e il loro cuore in un luogo dove migliaia di ebrei, da ogni ambiente, si sentivano a casa.
Possa la loro memoria servire da ispirazione e rinvigorimento per tutti noi.

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Questa settimana  ci siamo svegliati con una notizia orribile, un duro colpo dal quale facciamo fatica a riprenderci. Vedere le immagini dei corpi privi di vita, dei tallitot, dei tefillin e dei siddurim intrisi di sangue ha evocato in noi le immagini dell’Olocausto nei confronti del quale eravamo convinti che non si sarebbe mai più ripetuto. Per la prima volta un atto terroristico mirato SOLO su Rabbini e persone religiose e PROPRIO durante la preghiera e quando indossano i tefillin!!!
Questo scenario ci ha storditi e affranti ma non deve lasciarci paralizzati e incapaci di reagire.
Noi dobbiamo rispondere.
Non farlo significherebbe girare le spalle ai bambini e alle famiglie che in quella mattina si sono svegliate con un dolore insopportabile. Piangono per un marito, un padre, un figlio, un fratello (e per il coraggioso poliziotto druso che ha dato la sua vita in un eroico tentativo di salvare la loro; anche lui è ora un fratello) Possiamo rimanere seduti?
Essi non sono morti a causa delle loro convinzioni politiche, o  per un loro ideale nazionale. Non sono stati massacrati perché volevano pregare in un luogo  che i mussulmani considerano loro. Sono stati uccisi per un motivo e uno motivo solo, perché erano ebrei.
Essere uccisi perché  ebrei è stata una parte normale della nostra esistenza da tremila anni. Nonostante ciò, 3000 anni dopo siamo ancora qui, e siamo l’unica nazione al mondo che può dirlo. E siamo stati in grado di dirlo anche quando non avevamo un esercito o una nostra nazione.
Quando si verifica un orrore come  questo la nostra risposta deve essere: “Si può essere in grado di uccidere un ebreo, ma non si sarà mai in grado di uccidere gli ebrei!”.
L’unica costante della nostra esistenza negli ultimi tre millenni sono stati i tefillin, che i nostri fratelli avevano indosso nel momento in cui sono stati trucidati.
I tefillin, le candele dello Shabbat, la Mezuzà, e, naturalmente, la Torà e tutto ciò che è in essa: questo è ciò che unisce tutti noi, ed è per questo che  sentiamo il loro dolore come se fosse il nostro ed è anche per questo che oggi gridiamo come una sola famiglia.
Ed è così che dobbiamo rispondere.
Se sei un maschio ebreo e oggi non ti sei  ancora messo i tefillin, ferma quello che stai facendo e metti i tefillin adesso. Tutto ciò che devi fare dura cinque minuti. Se non hai i tefillin, rivolgiti al più vicino Rabbino Chabad o alla tua sinagoga  e sarà felice di aiutarti a farlo oggi.
Sei una donna ebrea ? Oggi pomeriggio, venerdì,  accendi le candele dello Shabbat.
Immaginate il piacere delle loro famiglie  sapendo che migliaia di persone e centinaia di migliaia di loro fratelli e sorelle stanno assicurano la continuazione della loro eredità. Il loro sacrificio non  chiede di meno, e non possiamo abbandonare essi stessi e le loro famiglie.
Naturalmente ci sono molti altri modi con i quali si può e forse si deve rispondere. Io non dico che questo è TUTTO ciò che possiamo fare. Io sostengo che questo è almeno l’inizio. Se hai già messo i tefillin o hai acceso le candele dello Shabbat  ora è il tempo per invitare qualcun altro a farlo.  Se non l’hai ancora fatto, cosa stai aspettando?

I famigliari delle vittime hanno mandato una lettera a tutti gli ebrei del mondo chiedendo di dedicare ai defunti questo Shabbat con maggiore unità e aumentando l’osservanza dello Shabbat in memoria di dei loro genitori.

Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.

Shabbat Shalom

Rav Shlomo Bekhor

Virtual Yeshiva
se il talmid non va dal rabbi, il rabbi va dal talmid!

500 Shiurim online divisi per argomenti.
Non perdere l’appuntamento con la parash・ mistica e psicologia nella Tora
Per informazioni: www.virtualyeshiva.it

TOLEDOT

Al seguente link troverai la lezione sulla nostra parashà in formato mp3:
http://www.virtualyeshiva.it/2009/11/19/toledot-5770-larte-di-scavare-i-pozzi/

L’ARTE DI SCAVARE I POZZI

Avrahàm e Yitzkhàk, acqua e fuoco. Personalità e valori a confronto. Una profonda riflessione
che ci porta ad analizzare il rapporto difficile tra individuo e società.

Alcuni Punti della Lezione:

  1. Perché lo stesso luogo viene chiamato sia da Avrahàm che da Yitzkhàk con lo stesso nome?
  2. Come mai è proprio il nome dato alla città di Beer Sheva da Yitzkhàk ad essere tramandato fino ad oggi?
  3. Perché la Torà dedica tanto spazio all’attività di scavare pozzi di Yitzkhàk?
  4. Ti risulta più facile iniziare un progetto o saperlo continuare nel tempo?
  5. Sei in grado di trovare la forza interiore per continuare un progetto nel tempo?
  6. Perché alcuni personaggi storici dotati di grandi ideali non hanno lasciato un segno concreto nella storia?
  7. Nella vita è più importante sapersi relazionare con il prossimo e con la società, oppure è meglio costruire una forte personalità? Possono coesistere entrambe le situazioni?

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Virtual Yeshiva non ha nessun finanziatore pubblico.
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La lezione approfondisce questi punti, attingendo da fonti midrashiche, testi di mistica ebraica e khassidici, in una cornice unica, chiara e comprensibile per tutti, alla luce degli insegnamenti dei grandi Maestri dell’ebraismo.

Per ascoltare le altre lezioni sulla nostra parashà cliccare al seguente link:

http://www.virtualyeshiva.it/2014/11/15/toledot-5773-4-lezioni-precedenti/

Per un Piatto di Lenticchie

Tutti ormai erano al corrente della triste notizia: il grande tzaddìk Avrahàm era mancato.
Per rispettare il lutto per l’amato padre, Yitzkhàk si sedette, mentre Ya’akòv si recò in cucina a preparare le lenticchie. Questi legumi, serviti a coloro che sono in lutto, ricordano, con la loro forma rotonda, che nel mondo la ruota della fortuna gira continuamente, talvolta colpendo alcuni e favorendone altri, talvolta il contrario.
In casa di Avrahàm vi era solo una persona che non era affatto toccata dalla triste perdita: ‘Essàv, che neppure quel giorno seppe rinunciare ad andarsene per i fatti suoi in campagna. Tra l’altro, proprio quel giorno si era impossessato di una ragazza fidanzata con un altro uomo e aveva assassinato Nimròd, il figlio dell’omonimo Nimròd, a suo tempo ucciso da Avrahàm.
Questo fu quanto accadde: mentre cacciava nella campagna, ‘Essàv scorse da lontano i soldati di Nimròd che lo circondavano. Quest’ultimo indossava i preziosi indumenti che Dio aveva fatto per Adàm su cui erano raffigurati degli animali e che avevano il potere di attirarli e di sottometterli. ‘Essàv, desiderando ardentemente la veste, pazientò finché i soldati si allontanarono. Si avvicinò quindi furtivamente e attaccò Nimròd alle spalle, mozzandogli la testa. Con i vestiti sottratti alla vittima se ne tornò a casa, esausto ma soddisfatto della proficua caccia, anche se un po’ preoccupato dalla possibile vendetta dei discendenti di Nimròd.
Entrato in casa, scorse Ya’akòv intento a cucinare. ‘Essàv lo apostrofò con il suo abituale cinismo: «Perché ti stanchi a preparare un piatto così complicato? C’è una magnifica varietà di cibi deliziosi che si possono cucinare con meno sforzi: pesce, insetti, carne di maiale…!».
«Avrai sicuramente sentito che nostro nonno Avrahàm è mancato e che nostro padre è in lutto» replicò Ya’akòv. «Gli sto cucinando le lenticchie».
«Oh! Il buon vecchio Avrahàm è stato strappato da questo mondo tanto bello ed eccitante? Beh… non ha vissuto centinaia e centinaia d’anni!?» ribatté ‘Essàv. «Se n’è andato per sempre, per non risorgere mai più! È morto, come è morto Adàm che non può più ritornare e proprio come il buon Nòakh che, anche se ha ricostruito il mondo, se n’è andato per una morte eterna!». ‘Essàv infatti rinnegava l’esistenza del Mondo a Venire e la Resurrezione dei Morti. Egli credeva che lo scopo dell’uomo fosse quello di vivere divertendosi il più possibile.
‘Essàv guardò le lenticchie e la bottiglia di vino sul tavolo. «Sono affamato! » esclamò rivolto a Ya’akòv. «Dammi solo un goccio di quel buon vino rosso che hai lì e fammi ingollare un po’ di quella pietanza rossa che hai cucinato!». Era infatti così stanco e debole, da non essere in grado neppure di sollevare il piatto e servirsi da solo.
‘Essàv aprì la bocca come un cammello. Ya’akòv lo guardò sconcertato: come avrebbe potuto un uomo che rinnegava il Mondo a Venire essere il futuro capo della famiglia? Meritava una persona come lui di esercitare il diritto di primogenitura e di offrire i sacrifici per la famiglia?
Ya’akòv decise di acquistare il diritto dei sacrifici al posto del fratello. Spiegò quindi ad ‘Essàv: «Io ho preparato questo piatto per mio padre e non intendo perdere la mitzvà di darglielo per colpa tua. Se ti va di aspettare un po’ te ne preparo un altro; se invece lo vuoi subito, ti darò ciò che ho preparato per lui ma… a condizione che tu mi venda la primogenitura! Posso rinunciare a questo piatto destinato a una mitzvà solo per un’altra mitzvà!».
«E che cosa me ne faccio della primogenitura? – rispose ‘Essàv con disprezzo. – Morirò comunque come tutti. Per che cosa ne avrei bisogno?». Così negò anche la Provvidenza di Dio.

(Tratto dal volume Bereshìt, Edizioni Mamash)

Questa Parashà tratta un argomento molto importante, la discendenza di Yitzkhàk, la sterilità di Rivkà, la preghiera di Yitzkhàk e Rivkà per avere figli. La nascita di due gemelli Ya’akòv e Essàv, dei loro caratteri e delle loro inclinazioni. Crescita dei ragazzi; Essàv vende la primogenitura al fratello.
Yitzkhàk e Avimèlekh. A causa di una carestia in Israele,Yitzkhàk si trasferisce da Avimèlekh re dei Pelishtìm. Yitzkhàk diventa molto ricco e potente e, per invidia, i Pelishtìm otturano i pozzi da lui scavati. Nascono diverse dispute, finchè Yitzkhàk lascia la loro terra e scava altri pozzi.
La Parashà narra inolte del trattato di pace con Avimèlekh a Beèr Shèva, del matrimonio di Essàv con due idolatre causando la pena dei suoi genitori.
La fuga di Ya’akòv presso Lavàn ed il nuovo matrimonio di Essàv con una figlia di Yishma’èl.

Si legge l’Haftarà di Mal. 1,1-2,7

MIDRASHIM

Per un Piatto di Lenticchie (Bereshìt 25,29-34)
Midrash Bereshìt Rabbà 25,29-34
(a pagina 649 del volume Bereshìt edizioni Mamash).

Yitzkhàk Benedice Ya’akòv (Bereshìt 27,26-29)
Midrash Bereshìt Rabbà 65-66; Tifèret Tziyòn 65, 18; Midràsh Tankhumà b.16;
Pirkè Derabbì Eli’èzer 32.
(a pagina 651 del volume Bereshìt edizioni Mamash).

SIKOT

Preparami una Vivanda Gustosa
(a pagina 717 del volume Bereshìt edizioni Mamash).

Ya’akòv e ‘Essàv: lo Tzadìk e il “Malvagio”
(a pagina 719 del volume Bereshìt edizioni Mamash).

L’Armonia della Torà
(a pagina 721 del volume Bereshìt edizioni Mamash).

TOLEDOT 5771: SOTTO IL VESTITO NULLA!
Rivkà si reca da Yaakov per suggerirgli di trasvestirsi da Essàv e rubare la benedizione del padre: uno strano comportamento, un grande insegnamento di vita ebraica. Una storia che parla alle attuali generazioni, che ci mostra il bene nascosto anche in una situazione irrecuperabile, attraverso i principi della chassidut.

TOLEDOT 5770: L’ARTE DI SCAVARE I POZZI
Dal segreto di scavare i pozzi, alle ragioni per cui fu il nome di Beer Sheva dato da Yitzkhàk a durare fino ad oggi, un profondo ed unico percorso nella psicologia, per esaminare le differenze nei comportamenti e nelle personalità di Avrahàm e suo figlio Yitzkhàk, al ruolo tra individuo e società, attingendo ai principi della tradizione ebraica.

TOLEDOT 5769: PATRIARCHI : UNA LUCE ETERNA
Le vite dei patriarchi, narrate nella Torà, sono di guida e insegnamento per tutte le generazioni. Yitzkhàk non va in esilio, a differenza di Avrahàm e Yaakòv, un comportamento e un approccio alla vita differente che ci insegna come vivere i diversi aspetti del vivere una vita ebraica. Alla luce degli aspetti cabbalistici e della Chassidut, vengono analizzate le diversità di comportamento insite nei concetti di rigore e bontà, di come poter meglio elevare spiritualmente la materia.

TOLEDOT 5766: LA NASCITA DI DUE NUOVI POPOLI
L’eterno vincolo che unisce i due popoli derivanti da Yitzkhàk: i discendenti di Yaakòv e quelli di Essàv. Le differenze profonde e il significato dei diversi comportamenti dei due uomini, ci portano a scoprire, alla luce dei ricchi insegnamenti della Torà e dei diversi commenti, le caratteristiche irrazionali e soprannaturali che connotano il popolo ebraico. Una lezione che ci guida alle origine spirituali di Israele.