Questo Shabbàt 22 Febbraio 2025, 24 del mese di SHEVAT 5785 leggeremo la Parashà di
Mishpatìm
PARASHÀ
I° Sefer Mishpatìm: Es 21:1 – 24:18
HAFTARÀ
Geremia 34: 8-22; 33, 25-26
Si annuncia Rosh Chòdesh
La Parashà di Mishpatìm è composta da 118 versetti.
La Parashà di Mishpatìm contiene 23 comandi e 30 divieti.
Nella parashà di questa settimana troviamo una fantastica riflessione di psicologia su come raggiungere un rapporto sano con le emozioni.
Iniziamo con un racconto che ci introduce l’argomento.
Un uomo che frequentava un bar di notte aveva l’abitudine di lanciare ogni volta bicchieri di vetro al barista e alle persone sedute attorno a lui a bere. Eppure, si assicurava sempre di far seguire alla sua violenza una richiesta di perdono: “Soffro di rabbia incontrollata, me ne vergogno profondamente; per favore perdonatemi per il mio comportamento imbarazzante e inscusabile”, diceva. “Sono così imbarazzato; mi odio per questo… Per favore, perdonatemi”.
Alla fine, il barista gli lanciò un ultimatum: “Non potrai tornare nel mio bar finché tu non ti sottoponga a una terapia per un anno intero”.
L’uomo acconsentì e non si presentò più al bar. Passato l’anno di terapia, l’uomo si presentò al bar una sera. Ed ecco che prese un bicchiere e lo lanciò dritto al barista.
“Ma che fai?! Non ti sei curato?” tuonò il barista. “Beh, come tu mi hai suggerito, sono andato in terapia”, rispose l’uomo, “e ora non mi vergogno più”.
COME AFFRONTARE LE EMOZIONI DIFFICILI
Mai Più Avari
L’“avarizia emotiva” che un tempo ha afflitto i nostri genitori e nonni, ora è stata guarita con successo. Sono finiti i giorni in cui “chiusura”, era un termine usato solo per le cerniere dei pantaloni e quando “negazione” era solo un fiume in Egitto (un gioco di parole di origine anglosassone, usato per indicare che qualcuno è in uno stato di negazione psicologica).
Benvenuti nella nuova era dell’ansia in cui le “cattive abitudini sono state trasformate in ‘malattie’, le debolezze sono ‘afflizioni’ e i peccati sono ‘sindromi’, come spiegato da Jhon Winokur nella sua “Encyclopedia Neurotica”, una guida irriverente al mondo delle nevrosi e delle fobie. In essa, Winokur si scontra con le “psicobaggianate” (bufale psichiche) che hanno trasformato i delinquenti minorenni in ragazzi affetti da “disturbo della condotta” e i ghiottoni in “mangiatori compulsivi”.
Uno psicoanalista una volta osservò che durante i primi 20 anni della sua carriera, negli anni ‘50 e ‘60, ogni paziente era convinto di amare i propri genitori. “Ci ho messo cinque anni per dimostrare loro che, sepolto sotto l’amore e la tenerezza, c’era un risentimento irrisolto”.
Durante il secondo ventennio del suo lavoro, negli anni ‘70 e ‘80, lo psicoanalista osservò l’inversione di questa tendenza. La maggior parte dei pazienti ora entrava nel suo studio, giurando di odiare veementemente i propri genitori, che i loro padri erano “bestie insensibili” e le loro madri delle pazze disfunzionali. “Ci ho messo cinque anni per dimostrare loro che sotto l’odio e la rabbia si nascondeva un bambino che desiderava ardentemente amare la sua mamma e il suo papà”.
In questo clima che, in un modo o nell’altro, ci tocca tutti, vale la pena prestare ascolto a un semplice versetto trascritto più di tremila anni fa nella Torà, nella 18° porzione di questa settimana, Mishpatìm.
L’Asino del Tuo Nemico
“Se vedi l’asino di colui che odi accovacciato sotto il suo carico, ti asterrai forse dall’aiutarlo? Dovrai aiutarlo!” (Shemòt 23, 5).
Il linguaggio sembrerebbe superfluo. Perché la Torà ritiene necessario discutere il possibile pensiero che una persone potrebbe avere nell’aiutare o meno il suo nemico, scrivendo “ti asterrai forse dall’aiutarlo?”, invece di enunciare questa legge come di norma in modo succinto, chiaro e diretto del tipo: “Se vedi l’asino di qualcuno che odi accovacciato sotto il suo carico, lo aiuterai sicuramente!”.
La risposta è semplice, la Torà sta sottolineando che dobbiamo riconoscere l’istinto di astenersi dall’aiutare l’asino del proprio nemico come un sentimento legittimo e umano. È perfettamente normale pensare che non ci importi di aiutare la persona che detestiamo, anche se il “suo animale” sta soffrendo.
Eppure, nonostante questa emozione naturale, la Torà ci invita a sfidare il nostro istinto e ad assistere “l’asino del nostro nemico” in ogni caso. Il senso è che questo istinto perfettamente umano di detestare un nemico non deve necessariamente dettare le nostre azioni.
Riconoscimento Vs. Dominio
Ci sono due lezioni significative qui, particolarmente rilevanti in un’epoca come la nostra dedicata all’analisi della propria sfera emotiva. Per prima cosa, la Torà non crede nel metodo di negare e reprimere le emozioni negative; nel far credere che non esistano. Simultaneamente al dovere di assistere l’animale di colui che odiamo, la Torà ritiene importante menzionare il fatto che potremmo nutrire anche un sentimento di astensione nel tendere la nostra mano verso “l’asino del nostro nemico gravato da un peso”.
Inoltre, il fatto che le nostre emozioni non siano sempre in sintonia con i nostri ideali e valori non ci riduce a “fallimenti morali”. Più di otto secoli fa, il grande filosofo ebreo medievale Moshè Maimonide catturò questa verità nel suo codice di legge ebraica (Leggi della Conoscenza 6, 6): “Quando una persona fa un torto a un’altra, quest’ultima non dovrebbe reprimere il suo risentimento e rimanere in silenzio… piuttosto gli viene comandato di fargli sapere [i suoi sentimenti] e chiedergli: ‘Perché mi hai fatto questo? Perché mi hai fatto un torto riguardo a questa questione?’. La Torà ci mette in guardia contro l’odio [nascosto] nei nostri cuori”.
D’altra parte, la Torà ci sta informando che non ogni emozione è sacra. Quando l’animale di qualcuno sta soffrendo, dobbiamo tendere la mano verso il proprietario dell’asino, nonostante le emozioni negative che albergano nei nostri cuori nei confronti del proprietario dell’asino. Il Talmud afferma: Se [l’animale di] un amico richiede si essere scaricato [da un peso] e quello di un nemico di essere caricato (quindi è meno urgente), dovresti prima aiutare il tuo nemico, solo per sopprimere l’inclinazione al male (Baba Metzi’à 32b).
Uno dei problemi tipici della nostra epoca, infatti, è che per molti le emozioni sono diventate gli unici “barometri” che determinano il bene dal male. Abbiamo trasformato le nostre emozioni in divinità, adorandole come se incarnassero verità assolute e senza tempo, una sorta di “nuovo dio”. Suggerire a qualcuno che potrebbe trascurare un’emozione, sottomettere un sentimento, ignorare uno stato d’animo è diventata una forma di eresia, perché la psicologia moderna ci insegna così.
Le nostre emozioni sono diventate divinità e dobbiamo obbedire loro a tutti i costi, anche se questo può essere dannoso per le nostre relazioni, i nostri matrimoni, i nostri figli e i nostri progetti a lungo termine. Nell’ethos biblico, c’è una distinzione fondamentale che deve essere fatta tra riconoscere le proprie emozioni e consentire loro di dettare il nostro comportamento, poiché ogni comportamento preso all’estremo diventa uno squilibrio.
Il Nostro Bambino Interiore
Nella letteratura cabalistica, le nostre facoltà cognitive sono comunemente chiamate “genitori”, mentre le nostre facoltà emozionali sono descritte come “bambini” (Tanya cap. 3). Il significato di questa metafora è fondamentale: la relazione tra la mente e il cuore, suggerisce la cabala, deve riflettere una sana relazione tra “genitori e figli”, ossia tra mente e cuore.
Quando il “nostro bambino” interiore inizia a urlare, dobbiamo riconoscere la sua situazione difficile ed esaminare la causa del suo sfogo. Tuttavia, non possiamo correre a chiamare “l’ambulanza” semplicemente basandoci sulle urla di un bambino, senza esaminare prima la situazione in sé, dal punto di vista oggettivo, utilizzando così anche la nostra mente e non semplicemente l’istinto emozionale.
Bisognerebbe, infatti, sempre cercare di fare una netta distinzione tra delegittimare le lacrime dei propri figli, il che è crudele, e permettere a queste lacrime di dettare legge nella propria casa e vita, poiché questo porterebbe il caos.
Una relazione simile dovrebbe esistere tra la mente e il cuore. Emozioni, istinti, stati d’animo e sentimenti, come i “bambini”, sono carini, spontanei, vibranti, immaturi e selvaggi. A volte lo sono su qualcosa di molto reale e serio, altre volte sono esagerati o distorsivi della realtà. Non dovremmo delegittimarli, sopprimerli o negarli. Tuttavia, dobbiamo essere profondamente consapevoli della loro esistenza dentro di noi. Proprio come con i “bambini”, dobbiamo sempre cercare di educarli e affinarli, ma non dovremmo mai arrivare al punto di adorarli e concedere loro il diritto esclusivo di definire la nostra vita.
Per quanto preziose siano le emozioni, il senso morale del “giusto e dello sbagliato” deve avere la precedenza sul “non me la sento di fare questo o quello”. Anche se ciò comporta andare contro al nostro desiderio di non aiutare “l’asino del nostro nemico”.
Tratto da uno scritto di Y. Y. Jacobson
|
|
|
OLTRE IL VESTITO, TUTTO
Come di consueto vi proponiamo due brani tratti dal libro “Saggezza Quotidiana”, basati sugli
insegnamenti del Rebbe e dei suoi predecessori. Oggi vogliamo parlare di due argomenti correlati
tra loro, utili ad ognuno di noi per migliorare il servizio divino.
Due ma Sempre Uno
Il primo brano del libro tratta della differenza tra le due principali “manifestazioni” di Hashèm:
quando opera dentro i limiti della natura e quando trascende tali limiti. Tale differenza è messa in
relazione con un versetto della Torà (Esodo 23, 25) che “avverte” il popolo ebraico di servire
Hashèm, invece che gli idoli. Perché la Torà dovrebbe soffermarsi su una simile relazione, in fondo
ovvia e comprensibile? Come dire a una persona, che deve percorrere una lunga distanza, di fare il
viaggio in automobile, invece che percorrere la strada a piedi, perché così impiagherà meno tempo!
Quale messaggio ci vuole insegnare la Torà? E cosa c’entrano le due manifestazioni di Hashèm con
il discorso dell’idolatria?
Una delle risposte si fonda sul presupposto che tra i compiti dell’essere umano in questo mondo vi è
quello di comprendere che tutto viene da Hashèm. Se raggiungiamo tale consapevolezza il
successivo livello è quello di capire che non vi è un posto, un oggetto o una situazione o
accadimento che, per quanto banale o importante, è slegato da Hashèm.
L’idolatria, nella sua essenza, infatti, non è altro che una mancanza di consapevolezza che da
Hashèm “deriva, è creata e formata” ogni cosa che esiste in questo mondo. Arrivare a pensare o
percepire, ad esempio, che un giorno di sole è “bello” e quindi “Dio esiste”; mentre un giorno di
pioggia è “brutto” e quindi non è opera di Dio, non è altro che il “frutto” di una mancanza di questa
consapevolezza. In questo modo noi “separiamo” Hashèm dal creato. Un tale falso concetto è una
forma sottile di idolatria.
Hashèm è sia dentro che fuori la natura o per meglio dire, Hashèm ha creato la natura come
nascondimento per il genere umano, perché per il suo bene ha permesso che il Suo essere infinito si
manifestasse anche in un mondo finito e limitato: il nostro. In altre parole, Hashèm, pur rimanendo
infinito e illimitato – in un modo tale da trascendere ogni evento o fenomeno naturale – non solo è la
fonte di tutta la creazione, ma Lui è la sola e unica esistenza. Per quanto una situazione ci possa
apparire distante da Dio, in realtà, non esiste un posto “buio” dove non vi è la presenza di Hashèm,
tutto per Lui è luce e quindi anche per noi tutto è luce.
Per comprendere meglio questo profondissimo e impegnativo concetto, ci viene in soccorso la parte
esoterica della Torà. Attraverso la ghematria noi possiamo vedere come la parola “la natura”, HaTeva – הטבע ,in ebraico, abbia lo stesso valore numerico della parola “Recipiente di Hashèm”, kli –
Hashèm, ה -ו- ה-י כלי ,ossia 86. In sostanza la natura, la parte di Hashèm che opera secondo i limiti
di essa, non è altro che un “travestimento, una maschera”. Come se un nostro caro amico o nostro
padre si travestisse un giorno da pompiere e l’altro da medico, ad esempio, ma nell’essenza e nella
sostanza rimarrà la stessa persona, solo che a noi sembra diverso. Lo stesso accade in questo
mondo, dove Hashèm si è nascosto, dove in verità tutto è Lui, tutto viene da Lui. Il nostro compito è
proprio quello trovare la verità e rivelarla, di guardare al di là delle apparenze, sia nelle cose che ci
piacciono o che ci sembrano belle e buone; sia nelle cose che ci sembrano negative.
Oppure, paradossalmente, anche di evitare la “trappola” opposta: di pensare che quando abbiamo
ottenuto un successo è merito nostro, mentre quando ci capita qualcosa che non ci piace è “colpa di
Dio”.
Detto questo occorre rispondere ad una domanda! Cosa c’entra Matàn Torà?
Consapevolezza Unificata
Nel secondo brano si parla proprio del dono della Torà sul monte Sinày. Dove il popolo ebraico
all’unisono ha esclamato: “Eseguiremo e obbediremo a tutto ciò che ha detto Hashèm” (24, 7).
Dicendo “Eseguiremo” prima che “obbediremo”, Israèl dichiara di essere pronto ad adempiere alla
volontà di Hashèm e di accettare incondizionatamente i Suoi comandamenti, ancor prima di sapere
cosa siano. Il pensiero convenzionale potrebbe, ad esempio, ritenere irrazionale impegnarsi in un
contratto, prima che i suoi termini siano specificati.
In sostanza in quell’occasione Israèl ha aderito ad una logica “innaturale che trascendeva i limiti
della natura, perché? Perché Hashèm si è “rivelato” nella sua manifestazione più elevata, la sua
essenza (sempre in modo relativo, poiché altrimenti tutta l’esistenza si sarebbe annullata), in un
modo tale da rivelare cosa c’è dietro ai limiti della natura. Durante il dono della Torà, tutte le
persone presenti hanno assistito a cose incredibili: vedevano ciò che normalmente si sente e
sentivano ciò che normalmente si vede; le loro anime uscirono dai loro corpi per poi ritornarci; tutto
il mondo gli uomini e gli animali sentirono l’effetto della promulgazione dei comandamenti ecc. Il
popolo ebraico ebbe una sorta di “anticipo” del mondo futuro.
L’insegnamento per noi oggi è che se riusciamo a comprendere, anche solo in parte, che Hashèm
regna in ogni livello e manifestazione delle nostre vite, possiamo avere anche noi un “anticipo” del
mondo futuro, un “nostra personale” Matàn Torà. Questo ci permetterà di agire oltre i limiti di
questo mondo e di compiere al meglio la nostra missione divina.
Un caro saluto e buona lettura.
*
Mishpatìm
Leggi
Esodo da 21, 1 fino a 24, 18
Dopo aver dato la Torà a Israèl, Hashèm dice a Moshè di salire di nuovo sul monte Sinày – questa
volta per quaranta giorni – per insegnargli i dettagli delle leggi della Torà. La sesta sezione del libro
dell’Esodo è principalmente una selezione delle “leggi” (mishpatìm, in ebraico) che Egli insegna a
Moshè mentre è sul monte Sinày.
*
Shemòt 23, 20–25
Hashèm espone le leggi che governano la conquista della terra di Israele e lo sradicamento
dell’idolatria.
Vita Soprannaturale
[Piuttosto che servire idoli] Servirete Hashèm il vostro Dio. (23, 25)
Hashèm ha stabilito le leggi della natura quando ha creato il mondo; quindi, a volte agisce
all’interno di queste leggi e talvolta le trascende. I due Nomi di Hashèm, usati in questo versetto, si
riferiscono a questi due modi in cui Egli si relaziona con le leggi della natura.
Il primo Nome (ה ָ֣וֹ ה ְי ( si riferisce a Lui quando ignora i limiti della natura, il secondo (ם ֶ֔ יכֵ הֹֽ לֱ א ( si
riferisce a Lui quando lavora all’interno della leggi delle natura.
In questo versetto, Hashèm ci sta chiedendo di perfezionarci spiritualmente (“servire”), in modo che
il soprannaturale diventi, per noi, naturale, come una nostra “seconda natura”. Quando ci eleviamo a
questo livello di consapevolezza, vediamo ogni cosa della vita dalla prospettiva di Hashèm e
comprendiamo come tutto ciò che accade ed esiste è parte della Sua onnicomprensiva provvidenza.
*
Shemòt 23, 26 – 24, 18
Dopo aver concluso la narrazione, su come Hashèm insegna a Moshè le leggi della Torà sul monte
Sinày, la sezione riprende il racconto del Dono della Torà. Questa volta concentrandosi sull’alleanza
che Lui ha forgiato tra Se stesso e Israèl quando, il giorno prima della consegna della Torà, Moshè
informa il popolo come ricevere la Torà implichi sia lo studio, sia l’esecuzione dei comandamenti di
Hashèm.
Impegno Incondizionato
[Il popolo] rispose: «Eseguiremo e obbediremo a tutto ciò che ha detto Hashèm». (24, 7)
Dicendo “eseguiremo” prima che “obbediremo”, Israèl dichiara di essere pronto ad adempiere alla
volontà di Hashèm e di accettare incondizionatamente i Suoi comandamenti, ancor prima di sapere
cosa siano. È ancora a condizione di questo impegno che Hashèm continua a darci la Torà oggi, cioè
rivelando Se stesso e la Sua volontà, mentre studiamo la Torà ed eseguiamo.
Il pensiero convenzionale potrebbe ritenere irrazionale impegnarsi in un contratto, prima che i suoi
termini siano specificati.
Possiamo davvero connetterci ad Hashèm quando Egli si rivela all’interno della creazione, senza
prima impegnarci a fare tutto ciò che Egli vuole. Tuttavia, l’unico modo in cui possiamo connetterci
ad Hashèm stesso (la Sua essenza è al di là della creazione e della razionalità) è elevarsi parimenti
al di sopra dei limiti della razionalità. Pertanto, al giorno d’oggi, proprio come quando la Torà è
stata data per la prima volta, il modo in cui ci connettiamo con Hashèm, è dedicandoci alla Sua Torà
incondizionatamente.
In memoria del mio carissimo amico Rav Haim Moshe Mordechai ben Dovber Shaikevitz
LA VERA CRESCITA È GRAZIE AI FALLIMENTI
Quando il tuo ladro interiore ti ruba la vita, puoi recuperarne una doppia porzione
https://mailchi.mp/35ea0d812e62/riflessione-di-vita-dalla-parasha-settimanale-10041504
https://www.facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10159023724465540
Il pappagallo ebreo
Dopo che sua moglie morì, un vecchio ebreo ricevette un pappagallo dai suoi figli per tenergli compagnia. Dopo un po’, scoprì che il pappagallo l’aveva sentito pregare così spesso da imparare a dire le preghiere. Il vecchio uomo fu così elettrizzato che decise di portare il pappagallo nella sinagoga durante Rosh Hashanà.
Il rabbino protestò quando entrò con l’uccello, ma quando il vecchio gli disse che il pappagallo sapeva pregare, il rabbino, sebbene fosse ancora scettico, mostrò un vivo interesse. La gente iniziò a scommettere se il pappagallo avrebbe pregato. Il vecchio ha felicemente preso scommesse per un ammontare di 5.000€. Le preghiere iniziarono, ma l’uccello tacque. Mentre le preghiere continuavano, non c’era ancora una parola dal pappagallo. Quando le preghiere finirono, il vecchio non fu solo mortificato, ma totalizzò 5.000 euro di debiti.
Mentre tornava a casa, rimproverò il pappagallo: “Perché mi hai fatto questo? So che puoi pregare. Perché hai tenuto il becco chiuso? Sai quanti soldi devo alla gente ora?” Il pappagallo gli rispose: “Usa un po’ di fantasia negli affari amico mio, ti aiuterà. Guarda avanti: immagina quanti soldi ci scommetteranno contro a Yom Kippur?”.
Doppia Compensazione
La parashà di questa settimana, Mishpatìm, si occupa principalmente di leggi civili: dei danni derivanti da fatti illeciti, della disciplina dei rapporti patrimoniali e delle norme sulla custodia. In questa porzione della Torà è disciplinata la seguente fattispecie (Shemòt 22, 6): “Se un uomo affiderà a un altro in custodia, denaro o utensili che verranno rubati dalla casa di quest’ultimo, se si troverà il ladro (questi) pagherà il doppio”.
In parole semplici, qui la Torà afferma che un ladro non deve solo risarcire la vittima per la perdita, ma deve anche subire una sanzione che lo obbliga a pagare il doppio della somma o del valore del bene sottratto.
Messa così la questione sembra semplice.
Tuttavia, un ben noto principio del pensiero ebraico è che ogni singolo passaggio della Torà contiene, oltre al suo significato letterale, anche interpretazioni psicologiche e spirituali nascoste.
La dimensione pratica di una mitzvà potrebbe non rilevare il suo messaggio mistico, ma l’aspetto metafisico permane comunque nei nostri cuori e nella nostra psiche. Detto questo, rimane da scoprire quale sarebbe il profondo significato psicologico della suddetta legge.
Custode Umano
“Se un uomo affiderà a un altro in custodia, denaro o utensili”: questa frase può essere intesa come una metafora di come il Creatore del mondo affida all’uomo “denaro e beni” da salvaguardare.
Dio concede a ciascuno di noi un corpo, una mente, un’anima, una famiglia e una piccola parte delle risorse del Suo mondo. Ci chiede di allevarli e proteggerli da una miriade di forze interne ed esterne che li minacciano. Eppure, ognuno di noi possiede anche un “ladro interiore” che si propone di rubare questi doni e usarli secondo la propria volontà. Questo “ladro” rappresenta la “inclinazione al male” o yètzer harà, come è chiamato nel gergo talmudico.
Questa sorta di “istinto animalesco” esiste all’interno della psiche umana e cerca costantemente di controllare i nostri corpi, anime e vite abusando della loro identità, violando la loro integrità e derubandoli dalla loro appropriata linea di condotta.
Ad esempio, quando una forte brama istintiva ci costringe a bere o consumare qualcosa di dannoso, per il nostro corpo o spirito, significa che il “ladro” interiore o “inclinazione distruttiva” ha appena “rapito” e danneggiato parte delle nostre esistenze. Allo stesso modo, quando mentiamo, per convenienza il “ladro” interiore, ancora una volta, è entrato e ha rubato le nostre “labbra” e “parole”, impiegandole per una funzione immorale, degradando così le nostre coscienze e anime. Ognuno di noi, in questo momento, potrebbe aggiungere decine di altri esempi.
Apatia e Colpa
In questo mondo potrebbero esserci quei pochi santi che non mancano mai di salvaguardare il loro spazio sacro, poiché non cedono mai all’istinto.
Però la maggioranza della società è composta da persone che ricevono frequenti visite di questo “piccolo ladro” che, a poco a poco, conquista pezzi delle loro vite. Di fronte a questo vero e proprio assalto, come ci comportiamo?
Alcune persone sentono che le loro battaglie contro il loro ladro interiore sono destinate al fallimento. Abbandonano la lotta e, poco a poco, permettono al ladro di prendere ciò che vuole, quando vuole. Di conseguenza sviluppano una vita frivola e cinica, piuttosto che un’esistenza profonda e dignitosa.
Altri, all’estremo opposto, diventano profondamente scoraggiati e tristi. I loro continui fallimenti gli instillano sentimenti di auto-disprezzo, mentre si crogiolano nella colpa e nella disperazione.
L’ebraismo respinge entrambe queste nozioni, poiché conducono l’essere umano all’abisso: il primo porta la persona all’incuria di sé e il secondo alla depressione (Vedi Tanya parte I inizio del cap 1 e la fine del cap 36).
Maestà Del Ritorno
Quando l’uomo sa di avere dalla nascita dei caratteri negativi non ha ragione di cadere nella depressione se non riesce a vincere il vizio dell’alcol, per esempio. Perché ognuno nasce con tendenze che lo possono portare a delle dipendenze, per cui non dobbiamo sorprenderci di queste soggezioni, perché sono lo SCOPO DELLA NOSTRA ESISTENZA.
Questo è ciò che la Torà ci consiglia di fare nella perenne lotta con il cattivo istinto: “Se un uomo affiderà a un altro in custodia, denaro o utensili che verranno rubati dalla casa di quest’ultimo, se si troverà il ladro (questi) pagherà il doppio”. Esci, suggerisce la Torà e trova il ladro! Quindi riceverai il doppio di ciò che possedevi in origine!
Qui veniamo introdotti, in modo sottile, nella squisita dinamica conosciuta nell’ebraismo come teshuvà o guarnigione psicologica e morale: invece di crogiolarci nelle nostre colpe e di rimanere nella disperazione; invece di arrenderci all’apatia e al cinismo; dobbiamo IDENTIFICARE e AFFRONTARE il NOSTRO “LADRO”.
In altre parole, dobbiamo scovare quelle forze, dentro le nostre vite, che continuano a derubarci. Dobbiamo reclamare la sovranità sui nostri comportamenti e modelli di vita. Solo così il ladro ci restituirà il doppio dell’importo che ci ha preso.
Dal punto di vista psicologico questo significa che l’esperienza di cadere e rialzarsi ci permetterà di approfondire la nostra spiritualità e dignità in maniera doppia rispetto a quello che avrebbe potuto essere senza il furto. Nel Talmud (Yomà 86b) è scritto: “GRANDE è il PENTIMENTO perché, come risultato di ciò, i PECCATI VOLONTARI si TRASFORMANO in VIRTÙ”.
Anche se falliamo e permettiamo alla nostra vita di andare in rovina, possiamo sempre riuscire ad affrontare il ladro e riprenderci il controllo della “macchina sbandata” e riportarla in carreggiata.
La lotta e la vittoria contro il nostro “istinto al male” ci permette di acquisire una nuova visione di noi, una nuova consapevolezza delle nostre potenzialità più profonde e una determinazione che altrimenti non avremmo mai potuto riscoprire. Solo Impegnandoci nello straordinario sforzo della teshuvà – ritorno, il peccato stesso viene ridefinito come mitzvà. Come può essere questo paradosso?
Perché proprio il fallimento e la conseguente frustrazione generano una profonda e autentica passione e apprezzamento per il bene e per la santità interiore che ogni uomo nasconde (Tanya capitolo 7). In altre parole è proprio la LONTANANZA che STIMOLA il DESIDERIO di TORNARE alla “PROPRIA VERA CASA”. Questo distacco ci fa apprezzare la nostra anima, che è una parte di Dio, ed è il più grande regalo che abbiamo, ma che dobbiamo saper rispettare.
Questo avviene solo a causa della lontananza che risveglia un’appassionata nostalgia. Perciò è proprio “l’istinto animalesco” che ci dà l’impulso per il ritorno e, proprio come ogni animale, questo istinto è molto più vigoroso di quanto ogni anima potrebbe essere. Dopo il “furto”, infatti, abbiamo l’opportunità di portare a casa il “doppio”, grazie al fatto di aver guadagnato la potenza dell’anima animale che è dentro ognuno di noi. Questa è la dinamica, spiegata nella porzione della Torà di questa settimana, che permette di trasformare il negativo in positivo.
La prossima volta che il ladro interiore dirotta la nostra vita morale, prendiamo la palla al balzo e capovolgiamo la caduta in un’opportunità, per riappropriarsi di noi stessi con una DOPPIA DOSE di LUCE e PUREZZA. In questo modo possiamo provocare un vero e proprio “sconvolgimento cosmico” dentro e fuori di noi: rivelando la Luce Infinita in questo mondo e accelerare la venuta di Mashìakh, adesso ai nostri giorni. Amen.
Albert Einstein dice:
CHI NON HA SBAGLIATO, NON HA MAI PROVATO QUALCOSA DI NUOVO!
—– —– —–
Questo saggio è basato su Or Hatorah Parshat Mishpatìm vol. 4 p. 1050. Sefat Emet Parshas Mishpatìm, nei discorsi dell’anno 5635 (1875). Or Hatorah fu scritto dal rabbino Menachem Mendel di Lubavitch, lo Tzèmakh Tzedek, terzo Lubavitcher Rebbe (1789-1866)
Roberto Benigni, che dire?
Il celebre comico Roberto Benigni, al recente festival di Sanremo, ha “portato in scena” nientemeno che il Cantico dei Cantici di Re Salomone. Intervento fin da subito, e non solo da me, giudicato malamente per tutte le imprecisioni, insinuazioni gratuiti e falsità profuse a milioni di italiani.
Se fosse stato toccato dal comico un qualsiasi altro argomento la cosa non mi sarebbe minimamente interessata, ma Benigni ha preso di mira uno dei testi più sacri, belli, criptici e interessanti di tutto il Tanàkh, il testo che come molti sanno racchiude i libri sacri dell’ebraismo.
Dopo un cerro stupore iniziale, ho deciso di intervenire pubblicamente per rispondere, nel mio piccolo e per quello che potevo, allo scopo di evitare, almeno tra i mie contatti Facebook e le persone che mi conoscono, il “diffondersi incontrollato” delle tante sciocchezze dette dal comico durante la sua performance.
Grazie a Dio , fin da subito, ho scoperto che moltissime persone condividevano le opinioni del mio post, ma soprattutto ho scoperto che altrettante persone erano a dir poco infastidite e stupite dal taglio dato da Benigni al “suo cantico”. In pochi giorni si è aperto un vero e proprio dibattito fatto di tanti interventi appassionati a difesa e a salvaguardia dei valori spirituali che il Cantico rappresenta da qualche millennio.
Nel ringraziare quelli che tra di voi hanno apprezzato, partecipato o che comunque sono venuti a conoscenza del mio, credo doveroso, intervento sul web approfitto dell’occasione alla vigilia di questo Santo Shabbat per invitare chi fosse incuriosito a leggere il posto e gli interventi spero interessanti: LINK…..
Un cordiale saluto e un caro Shabbat Shalom a tutti.
https://www.facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10157891039700540
IL VERO CANTICO DEI CANTICI!
—-
Nuova lezione bomba di ieri sera sui due tipi di rapporti uomo e Dio: razionale e irrazionale
youtube: https://youtu.be/y3UixB2qX1c
https://www.facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10157902738200540
COME OSSERVARE I KHUKKIM DOGMI?
Unione tra i Precetti Razionali e Irrazionali!
—–
LA VERA CRESCISTA È GRAZIE AI FALLIMENTI
Quando il tuo “ladro interiore” ti ruba la vita, puoi comunque recuperarne una doppia porzione
https://www.facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10157903941305540
Il pappagallo ebreo
Dopo che sua moglie morì, un vecchio ebreo ricevette un pappagallo dai suoi figli per tenergli compagnia. Dopo un po’, scoprì che il pappagallo l’aveva sentito pregare così spesso da imparare a dire le preghiere. Il vecchio uomo fu così elettrizzato che decise di portare il pappagallo nella sinagoga durante Rosh Hashanà.
Il rabbino protestò quando entrò con il volatile, ma quando il vecchio gli disse che il pappagallo sapeva pregare, il rabbino, sebbene fosse ancora scettico, mostrò un vivo interesse. La gente iniziò a scommettere se il pappagallo avrebbe pregato o meno. Il vecchio riuscì felicemente a racimolare scommesse per un ammontare di 5.000 euro. Le preghiere iniziarono, ma l’uccello tacque. Mentre le preghiere continuavano dal pappagallo neanche la parvenza di un suono. Quando le preghiere finirono, il vecchio non fu solo mortificato, ma totalizzò 5.000 euro di debiti.
Mentre tornava a casa, rimproverò il pappagallo: “Perché mi hai fatto questo? So che puoi pregare. Perché hai tenuto il becco chiuso? Sai quanti soldi devo a quella gente ora?” Il pappagallo gli rispose: “Usa un po’ di fantasia negli affari amico mio. Guarda avanti: immagina quanti soldi ci scommetteranno contro a Yom Kippur?”.
Doppia Compensazione
La parashà di questa settimana, Mishpatìm, si occupa principalmente di leggi civili, dei danni derivanti da fatti illeciti, della disciplina dei rapporti patrimoniali e delle norme sulla custodia. In questa porzione della Torà è dettata la seguente regola (Shemòt/Esodo 22, 6): “Se un uomo affiderà a un altro in custodia, denaro o utensili che verranno rubati dalla casa di quest’ultimo, se si troverà il ladro (questi) pagherà il doppio”.
In parole semplici, qui la Torà sta affermando che un ladro non deve solo risarcire la vittima per la perdita, ma deve anche subire una sanzione, che lo obbliga a pagare il doppio della somma o del valore del bene sottratto.
Messa così la questione sembra semplice. No…?
Tuttavia, un ben noto principio del pensiero ebraico è che ogni singolo passaggio della Torà contiene, oltre al suo significato letterale, anche interpretazioni psicologiche e spirituali nascoste. Questo è dovuto al fatto che mentre la dimensione pratica di una mitzvà potrebbe non rivelare il suo messaggio mistico, l’aspetto metafisico di essa permane eternamente nei nostri cuori e nella nostra psiche. Alla luce di questo principio qual è l’interpretazione psicologica della legge sul furto di un bene in custodia?
Il Ladro Interiore
“Se un uomo affiderà a un altro in custodia, denaro o utensili”: questa frase può essere intesa come una metafora di come il Creatore del mondo affida all’uomo “denaro e beni” da salvaguardare.
Dio concede a ciascuno di noi un corpo, una mente, un’anima, una famiglia e una piccola parte delle risorse del suo mondo. Ci chiede di allevarli e proteggerli da una miriade di forze interne ed esterne che li minacciano. Eppure, ognuno di noi possiede anche un “ladro interiore” che si propone di rubare questi doni e usarli secondo la propria volontà. Questo “ladro” rappresenta la “inclinazione al male” o yetzer harà, come è chiamato nel gergo talmudico.
Questa sorta di “istinto animalesco” esiste all’interno della psiche umana e cerca costantemente di controllare i nostri corpi, anime e vite abusando della loro identità, violando la loro integrità e derubandoli dalla loro appropriata linea di condotta.
Ad esempio, quando una forte brama istintiva ci costringe a bere o consumare qualcosa di dannoso, per il nostro corpo o spirito, il “ladro” interiore o “inclinazione distruttiva”, ha appena “rapito” e danneggiato parte della nostra esistenza. Allo stesso modo, quando mentiamo, per convenienza, il “ladro” interiore, ancora una volta, è entrato e ha rubato le nostre “labbra” e “parole”, impiegandole per una funzione immorale, degradando così le nostre coscienze e anime. Situazioni così ricorrenti nelle nostre vite quotidiane che ognuno, mentre sta leggendo questo breve scritto, potrebbe aggiungere decine di altri esempi.
Apatia e Colpa
Certo nel mondo esistono quei pochi santi che non mancano mai di salvaguardare il loro spazio sacro, poiché non cedono mai all’istinto negativo.
Però la maggioranza della società è sottoposta a frequenti visite di questo “piccolo ladro” che, a poco a poco, conquista pezzi delle nostre vite. Di fronte a questo vero e proprio assalto, come dovremmo comportarci? Iniziamo dalle prime due cosa da evitare ASSOLUTAMENTE:
a) RASSEGNAZIONE. La prima cosa è quello di pensare che le battaglie contro il nostro “ladro interiore” siano , alla fine, destinate al fallimento. Abbandonando la lotta, poco a poco, permettiamo al ladro di prendere ciò che vuole e quando vuole. In questo modo l’unica cosa che si ottiene è quella di condurre le nostre vite verso una frivola e cinica esistenza piuttosto che una vita profonda e dignitosa.
b) DEPRESSIONE. La seconda cosa da evitare assolutamente è quella di farsi scoraggiare e rattristare dai fallimenti, errori e cadute, a volte inevitabili purtroppo. Sentirsi dei “falliti” non fa altro che accrescere e rafforzare sentimenti di auto-disprezzo, mentre ci si crogiola nella colpa e nella disperazione.
L’ebraismo respinge entrambe queste “opzioni” , poiché conducono l’essere umano nell’abisso: il primo porta la persona all’incuria di sé e il secondo alla depressione (Vedi Tanya parte I inizio del cap 1 e la fine del cap 36).
Maestà del Ritorno
Quando l’uomo sa di avere dalla nascita dei caratteri negativi non ha ragione di cadere nella depressione se non riesce a vincere fin da subito tutti i suoi vizi. Perché ognuno nasce con tendenze che lo possono portare a delle dipendenze, come alcool e fumo ad esempio, quindi non dobbiamo sorprenderci di possedere dei limiti. E non solo! A dire il vero essi sono lo SCOPO DELLA NOSTRA ESISTENZA.
Pertanto cosa ci consiglia di fare la Torà nella nostra perenne lotta contro il cattivo istinto? Proprio quanto scritto in Mishpatìm nella nostra 18° parashà: “Se un uomo affiderà a un altro in custodia, denaro o utensili che verranno rubati dalla casa di quest’ultimo, se si troverà il ladro (questi) pagherà il doppio”.
Ma cosa ci vuole dire qui la Torà? Essa, in realtà, ci sta suggerendo una cosa semplicissima: quella di TROVARE il LADRO! Perché solo così riceverai il doppio di ciò che possedevi in origine!
Qui veniamo introdotti, in modo sottile, nella squisita dinamica conosciuta nel giudaismo come teshuvà o guarigione psicologica e morale: invece di crogiolarci nelle nostre colpe e di rimanere nella disperazione; invece di arrenderci all’apatia e al cinismo; dobbiamo IDENTIFICARE e AFFRONTARE il NOSTRO “LADRO”.
In altre parole, dobbiamo scovare quelle forze, dentro le nostre vite, che continuano a “derubarci”. Dobbiamo reclamare la sovranità sui nostri comportamenti e modelli di vita. Solo così il ladro ci restituirà il doppio dell’importo che ci ha preso.
Dal punto di vista psicologico questo significa che l’esperienza di cadere e rialzarsi ci permetterà di approfondire la nostra spiritualità e dignità in maniera maggiore , “doppia” , rispetto a quello che avrebbe potuto essere senza il furto.
Il Talmud (Yomà 86b) dice: “GRANDE è il PENTIMENTO, perché i PECCATI VOLONTARI si TRASFORMANO in VIRTÙ”.
Da quanto sopra possiamo capire come il fallimento stesso può darci la forza e la spinta interiore per affrontare il ladro e riprenderci il controllo della “macchina sbandata” in modo da riportarla in careggiata.
La lotta e la vittoria contro il nostro “istinto al male” ci permette di acquisire una nuova visione di noi, una nuova consapevolezza delle nostre potenzialità più profonde e una determinazione che altrimenti non avremmo mai potuto scoprire.
Il Peccato Che Diventa Un Merito
Il Talmud ci insegna anche che solo Impegnandoci nello straordinario sforzo della teshuvà – ritorno, il peccato stesso viene ridefinito come mitzvà, un merito. Come può essere questo paradosso?
Perché proprio il fallimento e la conseguente frustrazione generano una profonda e autentica passione e apprezzamento per il bene e per la santità interiore che ogni uomo nasconde (Tanya capitolo 7). In altre parole è proprio la LONTANANZA che STIMOLA il DESIDERIO di TORNARE alla “PROPRIA VERA CASA”. Questo distacco ci fa apprezzare la nostra anima che, essendo una parte di Dio, è il più grande regalo che abbiamo, ma che dobbiamo imparare a rispettare.
Questo avviene solo a causa della lontananza che risveglia un’appassionata nostalgia. Perciò è proprio “l’istinto animalesco” che ci dà l’impulso per il ritorno e proprio come ogni animale questo istinto è molto più vigoroso di quanto ogni anima potrebbe essere. Dopo il “furto” abbiamo l’opportunità di portare a casa il doppio, grazie al fatto di aver guadagnato la potenza dell’anima animale che è dentro ognuno di noi.
Questa è la dinamica, spiegata nella porzione della Torà di questa settimana, che permette di trasformare il negativo in positivo, in modo da contribuire all’arrivo di Mashìakh, presto ai giorni nostri Amen.
La prossima volta che il ladro interiore dirotta la nostra vita morale, prendiamo la palla al balzo e capovolgiamo la caduta in un’opportunità, per riappropriarsi di noi stessi con una DOPPIA DOSE di LUCE e PUREZZA.
Albert Einstein dice:
CHI NON HA SBAGLIATO, NON HA MAI PROVATO QUALCOSA DI NUOVO!
—– —– —–
Questo saggio è basato su Or Hatorah Parshat Mishpatim vol. 4 p. 1050. Sefat Emet Parshas Mishpatim, nei discorsi dell’anno 5635 (1875). Or Hatorà fu scritto dal rabbino Menachem Mendel di Lubàvitch, lo Tzemach Tzedek, terzo Rebbe di Lubavitch (1789-1866).
—–
MISHPATIM:
CURARE LA RADICE CHE CAUSA IL MALE!
Al seguente link la pagina web della lezione sulla nostra parashà in formato mp3:
Al seguente link potrai scaricare la lezione della parashà di questa settimana sul tuo mobile:
Per ascoltare le altre lezioni sulla parashà:
http://www.virtualyeshiva.it/2020/02/16/mishpatim-5773-5-lezioni/
—–
Virtual Yeshiva non fa pagare nessuna iscrizione al sito perché la Torà sia accessibile a TUTTI e SEMPRE.
Se ascolti le lezioni è doveroso dedicare parte della decima a mantenere viva questa grande opera di divulgazione di Torà.
Aiutando Virtual Yeshiva si diventa soci nella diffusione della parola di Hashèm ed è un segno di riconoscenza per chi insegna e così potremo diffondere insieme molti più valori di vita e insegnamenti.
Per saperne di più si può scrivermi una mail o collegarsi al seguente link:
————————————————————————————————————————————————————————————————————————
La parashà di questa settimana, Mishpatìm, si occupa principalmente di leggi civili, dei danni derivanti da fatti illeciti, della disciplina dei rapporti patrimoniali e delle norme sulla custodia. In questa porzione della Torà è disciplinata la seguente fattispecie (Shemòt 22, 6): “Se un uomo affiderà a un altro in custodia, denaro o utensili che verranno rubati dalla casa di quest’ultimo, se si troverà il ladro (questi) pagherà il doppio”.
In parole semplici, qui la Torà sta affermando che un ladro non deve solo risarcire la vittima per la perdita, ma deve anche subire una sanzione, che lo obbliga a pagare il doppio della somma o del valore del bene sottratto.
Messa così la questione sembra semplice.
Tuttavia, un ben noto principio del pensiero ebraico è che ogni singolo passaggio della Torà contiene, oltre al suo significato letterale, anche interpretazioni psicologiche e spirituali nascoste.
La dimensione pratica di una mitzvà potrebbe non rilevare il suo messaggio mistico, mentre l’aspetto metafisico permane eternamente nei nostri cuori e nelle nostra psiche. Qual è l’interpretazione psicologica della suddetta legge?
La Parashà di Mishpatìm tratta in sintesi i seguenti argomenti:
La Parashà espone un gran numero di leggi civili concernenti, ad esempio, i doveri nei confronti degli schiavi, delle persone a cui si arreca danno fisico o materiale, delle vergini, delle vedove e degli orfani.
Le leggi relative ai custodi: retribuiti e non retribuiti e quali doveri ha ciascuno di loro. Segue l’esame della casistica concernente il prestito o l’affitto di oggetti o animali. Restituzione di oggetti smarriti.
Il dovere di concedere prestiti e non mettere a disagio il debitore.Divieto dell’usura e obbligo di non trattenere il pegno.
Leggi riguardanti l’anno sabbatico, lo Shabbàt, i pellegrinaggi e la separazione fra carne e latte.
Hashèm promette al popolo la Terra di Israèl, vietandogli, tuttavia, di lasciarsi trascinare dall’idolatria e ingiungendogli di distruggerne qualunque segno,
Hashèm stringe il patto con il popolo ebraico, che accetta di osservarnne la Legge ancor prima di venirne a conoscenza. Moshè sale sul monte per ricevere le Tavole della Legge e vi rimane per quaranta giorni e quaranta notti.
MIDRASHIM
Il servo al servizio del padrone.
(a pagina 679 del volume Shemòt edizioni Mamash).
Il divieto di mescolare latte e carne
(a pagina 681 del volume Shemòt edizioni Mamash).
Una giornata particolare
(a pagina 681 del volume Shemòt edizioni Mamash).
APPROFONDIMENTI KHASSIDICI
Fra obbedienza e comprensione
(a pagina 743 del volume Shemòt edizioni Mamash).
Non eliminare, bensì santificare
(a pagina 748 del volume Shemòt edizioni Mamash).
I custodi non custoditi
(a pagina 750 del volume Shemòt edizioni Mamash).
Ispirazione per la vita quotidiana
(a pagina 752 del volume Shemòt edizioni Mamash).
MISHPATIM 5771 – CURARE LA RADICE CHE CAUSA IL MALE!
Come Migliorare i Nostri Attributi! Il fuoco si spegne dalla radice. Ma qual è la radice? Come identificare l’animale che sta dentro di noi!Come assumerci le responsabilità e dominare il fuoco, il 4° tipo di causa!
MISHPATIM 5770 – I QUATTRO CUSTODI E LE CONSEGUENZE PSICOLOGICHE
Come ti consideri: un approfittatore? un goditore? un lavoratore? o un soldato? 4 modi di relazionarci con Hashem, con il proprio coniuge, con il prossimo. Le regole di questi quattro livelli e come si relazionano a Pèsach!
MISHPATIM 5768 – VEDOVE E ORFANI + ALLONTANARSI DALLE BUGIE
Non offendere e fare soffrire non è un procetto uguale per tutti? Dalla parasha di Mishpatim si impara che la punizione è proporzionale al tipo di persona che si riferisce. Allontanarsi dalla bugia, non fare azioni che portano a mentire. Un precetto che ci tutela da trovarci intrappolati nel peccato.
MISHPATIM 5767 – IL RISPETTO DEL CORPO
Gli insegnamenti innovativi del Baal Shem Tov sull’importanza di elevare il corpo per avvicinarsi ad Hashem, rispettandolo in ogni momento!
Comments
Una risposta a “MISHPATIM 5785: 7 LEZIONI”
[…] Per ascoltare le altre lezioni sulla parashà: https://virtualyeshiva.it/2021/02/06/mishpatim-5773-5-lezioni/ […]