Questo Shabbàt 3 Maggio 2024, 5 IYAR 5785 leggeremo le Parashot di Tazria e Metzorà
Lev 12, 1 – 15, 33
HAFTARÀ
II Re 7: 3-20; 13: 23
2° Pirke Avot
due mesi fa si è tenuta una super conferenza al Bet Chabad di Milano su temi di scienza e Torà chiamata: Dall’Universo all’Atomo
siamo riusciti a fare il video della conferenza con il prezioso aiuto di Elia Bassous. Consiglio vivamente di sentire la conferenza molto interessante.
Perché la NATURA è un miracolo?
Natura è solo il modesto velo che Dio stende sulla creazione per non “costringere” l’uomo a credere in Dio.
Una conferenza imperdibile che dimostra scientificamente come la natura e i suoi fenomeni non sono originati da un processo evolutivo, ma da una intelligenza primordiale, la mano di Dio nascosta dietro un guanto che si chiama NATURA.
https://youtu.be/rg2B-8wtvds
Sotto la nuova riflessione sempre collegata al tema Scienza e Torà e il pdf:
PDF PER STAMPARE QUESTA NUOVA RIFLESSIONE PER LA TAVOLA DI SHABBAT
L’ORIGINE DELLA MEDICINA OLISTICA
https://virtualyeshiva.it/wp-
PDF https://virtualyeshiva.it/
La porzione della Torà di Tazria, Vayikrà capitolo 13, tratta le leggi della tzara’àt, una malattia insolita, identificabile dalla comparsa di una macchia bianca sulla pelle di una persona con i peli interni che diventavano bianchi. Questa era sintomatica di una macchia interiore, morale e spirituale, che poteva determinare l’impurità di una persona, la quale era tenuta a separarsi dalla comunità e sottoporsi a un intenso programma di introspezione e guarigione (Talmud Erkhìn 15b).
La Torà descrive le procedure per determinare la condizione di tzara’àt/lebbra:
“Il sacerdote esaminerà la piaga sulla pelle del suo corpo; se i peli della piaga sono diventati bianchi e l’aspetto della piaga è più profondo della pelle del suo corpo, è una piaga di tzara’àt; il sacerdote lo esaminerà e lo dichiarerà impuro”.
La Torà afferma che solo un Cohèn (un sacerdote), discendente di Aronne, il Sommo Sacerdote, era autorizzato a diagnosticare una lebbra tzara’àt e a dichiarare conclamata la malattia. Anche nel caso in cui tutti i sintomi della malattia siano chiaramente presenti e una moltitudine di studiosi la riconosca come tzara’àt, la persona non può essere diagnosticata come affetta da questa malattia a meno che un Cohèn non lo dichiari esplicitamente (Maimonide di Tumàt tzara’àt 9, 2. Likuté Sikhòt vol. 27).
Ma c’è una palese e strana ridondanza nel versetto qui sopra. Riuscite a vederla? Il versetto afferma: “Il Cohèn guarderà l’afflizione sulla pelle del suo corpo… il Cohèn la guarderà e lo renderà impuro”. Perché viene ripetuta la stessa frase? La Torà avrebbe dovuto dire: “Il Cohèn guarderà l’afflizione sulla pelle del suo corpo… e lo renderà impuro”. Perché dice di nuovo: “il Cohèn la guarderà”?
Uno dei grandi rabbini dell’ultima generazione ha offerto una spiegazione magnifica. A quanto pare, le origini di quella che oggi chiamiamo “medicina olistica” e “approccio integrato” affondano nella Torà. Il rabbino Meir Simcha HaKohen di Dvinsk (1843–1926), autore del commentario della Torà Mèshekh Khokhmà, fu uno dei più importanti saggi e leader dell’Europa orientale all’inizio del XX secolo. Egli stesso era un Cohèn, e quindi questa intuizione è ancora più personale.
Due Valutazioni
Il Mèshekh Khokhmà suggerisce che la Torà ci sta insegnando una legge e una lezione profonde. Ci sono due distinte valutazioni da fare. Si noti che la prima volta la Torà afferma: “Il Cohèn esaminerà la piaga sulla pelle del suo corpo…”, mentre la seconda volta dice “Il Cohèn lo esaminerà e lo renderà impuro”.
Queste, suggerisce Reb Meir Simkhà, sono due valutazioni distinte. Una riguarda la malattia; l’altra la persona. In primo luogo, il Cohèn deve esaminare la malattia e verificare se essa tecnicamente rientra nella definizione di tzara’àt. Deve esaminare i sintomi i colori della pella e dei peli e determinare la diagnosi corretta in base alla natura della malattia. Ciò che sta esaminando è la malattia.
Ma questo non basta, deve guardare anche qualcos’altro, deve guardare la persona: “e il Cohèn guarderà LUI”, e valutare se è appropriato dichiarare l’impurità. I sintomi possono essere presenti, ma la persona potrebbe non essere in uno stato tale da doverla dichiarare impura.
In sintesi, la Torà istruisce il Cohèn a valutare due fattori indipendenti: (a) se la macchia sia effettivamente tzara’àt; e (b) se in quel momento sia appropriato trasformare la persona in un metzorà, ossia afflitto da tzara’àt. A meno che entrambi i fattori non siano presenti, il Cohèn non dovrebbe dichiarare la persona impura.
Diagnosi Posticipata
Come esempio di ciò, Reb Meir Simkhà cita la seguente legge talmudica: “Se il lebbroso si è appena sposato, gli vengono concessi sette giorni di banchetto (prima di dichiararlo impuro), e lo stesso vale per le festività” (Mo’èd Katàn 7b). In altre parole, se uno sposo o una sposa novelli sviluppano i sintomi della lebbra, il Cohèn non li esaminerà e non li dichiarerà impuri, anche se tutti i sintomi sono palesemente presenti, fino a quando non sarà trascorsa un’intera settimana dalle nozze. Lo stesso vale per i sette giorni delle festività, Pèssakh e Sukkòt. Per evitare di rovinare la celebrazione del matrimonio o la gioia della festa (Yom Tov), il Cohèn ha la facoltà di ritardare la proclamazione della persona come metzorà (lebbroso), anche se sa benissimo che la condizione della sua pelle si qualifica come lebbra tzara’àt (Likuté Sikhòt vol. 37).
Come possono i rabbini inventare una legge così innovativa? Se la Torà dice che qualcuno è lebbroso e ha bisogno di una certa cura, rimandarla è sbagliato. È come rimandare le cure mediche a un paziente nel bel mezzo delle festività, per non irritarlo! Non gli si fa un favore. Come possono allora i rabbini inventare questa legge che ci permette di ritardare l’intero processo di visita, diagnosi e cura?
I Saggi derivarono questa legge dal seguente versetto: “E nel giorno in cui sarà visto”. Perché il giorno è menzionato qui? Il versetto avrebbe potuto dire “e quando sarà visto”. Le parole “e nel giorno” ci insegnano che ci sono giorni in cui il Cohèn non esaminerà la tzara’àt. Il Cohèn deve controllare se è il momento giusto per dichiararlo impuro, oppure bisogna aspettare un altro momento. Da ciò, il Talmud deduce che certi momenti sono off-limits per esaminare i sintomi della lebbra e ragionano su quali giorni sarebbero stati considerati off-limits.
Questo per quanto riguarda i tempi. Il Mèshekh Khokhmà sostiene brillantemente che il significato nascosto dalla ridondanza nel versetto sopra riportato ci insegna qualcosa di ancora più potente: a volte la persona non è pronta per questo verdetto. La Torà istruisce il Cohèn non solo a osservare i sintomi, non solo a osservare l’ora, ma anche a osservare la persona. Non solo a esaminare la malattia, ma anche a scrutare l’essere umano. La persona può avere la malattia, ma se non è pronta a diventare impura, non dovrebbe considerarla impura. Questa è un’idea innovativa del Mèshekh Khokhmà. Il Cohèn ha il diritto di ignorare i sintomi per qualsiasi motivo che gli faccia ritenere che sia sbagliato dichiararlo impuro. Ad esempio, se questa persona con i sintomi deve trovarsi in compagnia di altre persone, e segregarla in quarantena fuori dall’accampamento ebraico sarebbe pericoloso e controproducente, allora questa persona non si trova in uno stato tale da poter essere visitata e diagnosticata come impura.
Una Nuova Medicina
È affascinante come questo approccio, formulato millenni fa nella Torà, si rifletta nella medicina contemporanea. Esistono due approcci alla medicina, e la decisione su quale modello utilizzare per la diagnosi e il trattamento del paziente ruota attorno alla seguente domanda: il medico cura con l’obiettivo di migliorare i sintomi del paziente o con l’obiettivo di riequilibrare l’intero paziente, curando la persona e non solo la malattia? Con l’obiettivo di arrestare il dolore o il disagio il medico deve considerare la terapia più rapida, meno complicata, meno costosa e più efficace, nonché l’approccio con il minor numero di effetti collaterali.
Se invece il suo obiettivo è promuovere l’equilibrio e il benessere generale, il medico deve scegliere un protocollo di trattamento che tenga conto al meglio delle caratteristiche del paziente, della sua costituzione e della sua storia clinica, inclusi gli squilibri biochimici, biomeccanici e bioelettrici, nonché considerazioni non fisiche: il suo stato emotivo, mentale, psicologico e spirituale.
La Torà ci suggerisce che l’approccio di un guaritore non dovrebbe limitarsi a concentrarsi e a eliminare i sintomi, ma piuttosto considerare e curare la “persona nella sua interezza”, perché altrimenti non guarirà completamente. O si manifesterà un’altra patologia, o la patologia inizialmente trattata si ripresenterà. La Torà promuove un “approccio olistico”, che comprende tutti gli aspetti della vita di una persona e comprende come tutti gli aspetti della nostra vita siano integrati, piuttosto che limitarsi a sopprimere i sintomi locali.
Come Diagnosticare le Persone
Il messaggio per tutti noi è il modo in cui giudichiamo noi stessi e gli altri. Prima di poter definire impura una persona, bisogna vederla nel complesso, non bisogna limitarsi ad analizzare solo il suo problema.
So riconoscere la differenza tra male e trauma? Tra egoismo e paura? Tra essere cattivi ed essere feriti? Un mio insegnante una volta mi disse: non rispondere alla domanda; rispondi alla persona. Qualcuno potrebbe venire a chiederti: perché mia madre è morta giovane? Potresti essere furbo e dire perché aveva un cuore debole. Forse hai risposto alla domanda, ma non alla persona. Non stava facendo una domanda medica, stava facendo una domanda emotiva. Sta soffrendo, gli manca sua madre.
La Mishnà nell’Etica dei Padri ci dice (Avòt 1, 6) di “Giudicare ogni persona in maniera positiva”. Ma una traduzione più precisa è che “si dovrebbe giudicare L’INTERA persona come meritevole”. Ossia, che prima di giudicare qualcuno, è necessario considerare tutti i fattori che compongono la persona. È necessario guardare “KOL HAADAM – l’intero essere umano”, prima di fare una diagnosi. Non giudicare mai qualcuno senza conoscere l’intera storia e l’intera persona. Potresti pensare di capire, ma non è così.
Due Terapeuti
Esistono anche due tipi di terapeuti: quelli che adattano ad ogni paziente una terapia standard e quelli che si sintonizzano sulla personalità unica e sulle difficoltà del singolo paziente. Non lo adattano ai loro schemi, ma piuttosto utilizzano i loro modelli e prendono spunto da modelli diversi per adattarsi alla persona che hanno in cura.
Quando Tuo Figlio Ti Rifiuta
Tuo figlio, o il tuo studente, potrebbe comportarsi in modo irrispettoso. Potrebbe dire cose offensive. In un momento del genere, saresti tentato di guardarlo e dirgli: “Sei un tame! Sei impuro. Vattene da casa mia”. Tecnicamente, potresti avere ragione. Ha tutti i sintomi. I suoi comportamenti sono mal concepiti e odiosi. Ma la Torà ci dice: Aspetta! Non devi solo guardare il comportamento effettivo, le parole che escono dalla sua bocca, ma anche all’essere umano nel suo complesso, valuta la sua intera storia. Nella vita, non dobbiamo cercare di sopprimere i sintomi, ma piuttosto cerchiamo di capire la persona.
Chiamare questo bambino “impuro”, “contaminato”, “macchiato” lo aiuterà davvero? È questo ciò di cui ha bisogno? Servirà davvero i suoi interessi? Lo aiuterà a riabilitarsi? È possibile che ci sia un profondo dolore nel cuore di questo bambino che non è in grado di affrontare e che gli sta causando profonda angoscia e rabbia? Forse questo è un momento in cui ha più bisogno di più di suo padre, piuttosto che allontanarlo da casa? Ha bisogno di più empatia, non di meno. È proprio in questo momento che ha bisogno dei genitori, molto più di quanto riesca ad esprimerlo!
Vedo il Tuo Cuore
Il rabbino Aryè Levin, noto come lo Tzaddìk di Gerusalemme, stava camminando per strada quando vide un suo ex studente, che aveva abbandonato lo stile di vita ebraico, dirigersi verso di lui. Quando lo studente si accorse che stava andando dritto verso il suo ex maestro, attraversò la strada per evitarlo. Reb Aryè lo seguì e gli disse con un sorriso: “Sono così felice di vederti! Perché mi stai evitando?” Lo studente rispose: “Sarò perfettamente onesto. Mi vergogno di vederla, perché non ho la kippà in testa…” Reb Aryè lo guardò e disse: “Mio caro studente, non ti rendi conto che sono basso? Riesco a vedere solo fino al tuo cuore, alla testa non arrivo”.
Esistono due tipi di educatori e insegnanti. Alcuni vedono solo le regole e le deviazioni dalle regole, ma altri riescono a scrutare il cuore e a vedere un’anima.
Non Vincere le Discussioni
Nel 1963, il professor Velvel Green era una stella nascente dell’Università del Minnesota. Green era un pioniere nel campo della batteriologia, essendo stato invitato dalla NASA a studiare gli effetti dei viaggi spaziali sulla vita umana. Il giovane scienziato visitava e teneva lezioni in decine di università americane ogni anno. Il 1963 fu anche l’anno in cui il professor Green incontrò per la prima volta il rabbino Moshè Feller, emissario del Rebbe di Lubàvitch a Minneapolis. Fino a quel momento, Greene, come molti ebrei americani della loro generazione, avevano dato poca importanza alla loro eredità ebraica; osservanze come lo Shabbàt, la kasherùt e i tefillìn li sembravano antiquate, se non primitive. Ma nella Chassidut, il professor Green vide una prospettiva e uno stile di vita vibranti e appaganti, che avrebbero potuto colmare il profondo vuoto nella sua vita di successo ma senza radici.
Su suggerimento del rabbino Feller, il professor Green scrisse al Rebbe di questo “vuoto” e del suo interesse per l’ebraismo; la calorosa e coinvolgente risposta del Rebbe non si fece attendere. I due instaurarono una fitta corrispondenza e il giovane scienziato fu presto conquistato dalla mente fenomenale e dalla devozione appassionata del Rebbe. Con ogni lettera, Green si sentiva ulteriormente incoraggiato nel suo percorso spirituale e nel suo impegno per la Torà. Ben presto tutta la famiglia Green resero kashèr la loro cucina e iniziarono a osservare lo Shabbàt.
Un giorno il professor Green si imbatté in una lettera che il Rebbe scrisse a uno scienziato riguardo al resoconto della Torà sulla creazione dell’universo e al rifiuto della teoria dell’evoluzione. Il dottor Green scrisse al Rebbe una critica senza esclusione di colpi. “Poiché nutrivo un profondo rispetto per il Rebbe”, ricorda il professor Green, “abbandonai il tono indulgente che gli scienziati spesso usano con i profani, rivolgendomi al Rebbe come se fosse un collega di cui respingevo le idee. Dichiarai senza mezzi termini che aveva torto, specificando ciò che consideravo errato e non scientifico. Conclusi la mia lettera dicendo che il Rebbe avrebbe fatto meglio a concentrarsi sul suo campo di competenza, la Torà, e a lasciare la scienza agli scienziati”.
Ma la lettera successiva del Rebbe riprese la loro corrispondenza da dove era iniziata: nella ricerca spirituale di Greene e nella sua identità ebraica. Sulla questione dell’evoluzione, nemmeno una parola. Il professore presumeva che il Rebbe ammettesse che, in questioni di fatto empirico, la Torà dovesse rimettersi alla ragione scientifica. Con ciò, considerò la questione chiusa.
I progressi del professor Greene verso una vita fedele alla Torà continuarono e, nel corso dell’anno e mezzo successivo, riferì al Rebbe ogni tappa fondamentale del suo cammino ebraico: la completa osservanza dello Shabbàt, l’osservanza della purezza familiare, ecc. Il Rebbe rispose con parole di incoraggiamento e benedizione e, in un’occasione, gli regalò un paio di tefillìn che Green iniziò ad avvolgere regolarmente.
Poi arrivò la lettera in cui i Green comunicavano al Rebbe la loro decisione di mandare i figli in una yeshivà per ricevere la più completa educazione ebraica possibile. La risposta del Rebbe fu particolarmente calorosa e incoraggiante, come si addiceva alla svolta decisiva nelle loro vite che tale decisione indicava. Poi, alla fine della lettera, il Rebbe aggiunse: “A proposito di ciò che mi avete scritto riguardo all’argomento della evoluzione e creazione nella Torà…” e procedette a confutare, punto per punto, alle obiezioni del professor Green circa il presunto trattamento “non scientifico” dell’argomento da parte del Rebbe.
“Probabilmente ti starai chiedendo”, concluse il Rebbe, “perché ho aspettato così a lungo per rispondere alle tue osservazioni sull’argomento. Ma il mio compito nella vita non è vincere le discussioni. Il mio compito è avvicinare gli ebrei alla Torà e alle sue mitzvòt”.
NON CERCHIAMO DI AVERE LA MEGLIO NELLE DISCUSSIONI; CERCHIAMO INVECE DI AIUTARE LE PERSONE.
Tratto da uno scritto del Rebbe di Lubavitch Likuté Sikhòt vol. 37 Tazria e da Y. Y. Jacobson
וְהִנֵּה כִסְּתָה הַצָּרַעַת אֶת כָּל בְּשָׂרוֹ וְטִהַר וגו׳: (ויקרא יג,יג)
“Se la tzarà’at ha coperto tutta la sua carne, egli non è impuro”. (13, 13)
Nella lingua ebraica vi sono tante parole che possono assumere molti significati, ma ve ne è una in particolare che, come poche altre, dovremmo sempre tenere a mente: Sèfer. Questo termine significa “libro”, ma non solo! Da esso originano moltissime parole dense di significato, ma adesso basterebbe citarne solo una Safìr che significa “zaffiro”, sinonimo di oggetto prezioso e luminoso. Appunto come un libro il cui “prezioso” contenuto può illuminare dentro e fuori di noi.
Pertanto, in un periodo non facile, come questo che stiamo vivendo, fatto di tanti piccoli e grandi problemi d’affrontare quotidianamente, Saggezza Quotidiana che è la traduzione di un best seller americano DAILY WISDOM.
Come è facilmente intuibile dal suo nome, questo nuovo testo si propone di diventate un piccola, ma importante “guida” durante il nostro cammino della vita. Esso è un concentrato di insegnamenti chassidici del Rebbe, pieni di riflessioni, illuminazioni e soluzioni su tanti aspetti della vita.
Attraverso una “rilettura” della Torà, di tutti i suoi cinque Libri, quest’opera, ne sono sicuro, riuscirà a raggiungere il suo scopo: dare un senso alla nostra vita, un perché alla nostra esistenza e farci riflettere al fine di migliorare sempre più in ogni nostro aspetto. Di seguito alleghiamo un estratto del nuovo libro sulla porzione di questa settimana della Torà, Tazri’a. In particolare, il brano affronta, con il solito acume cassidico, la “strana malattia” di cui parla ed è intitolata la porzione settimanale la tzarà’at.
Paradossalmente, la tzarà’at sulla pelle di una persona la rende ritualmente impura solo se copre una parte del suo corpo. Se invece si diffonde su tutto il corpo non è considerata ritualmente impura.
Uno dei segni dati dai saggi circa l’arrivo imminente del Messia è che “il governo è diventato eretico”, questa nozione è menzionata nella legge della tzarà’at: quando essa copre l’intero corpo, la persona non è impura.
Ci sono due modi in cui i governi del mondo possono essere considerati “eretici”. Il modo negativo è che l’eresia domina effettivamente su tutti i governi del mondo. Il modo positivo è che quando la verità della Torà sarà evidente a tutti, sarà universalmente riconosciuto come “eretico” qualsiasi governo che non si sottomette alle regole della Torà stessa.
La nostra speranza e preghiera è che la redenzione avvenga nel secondo modo. È quindi imperativo che Israèl incoraggi le nazioni del mondo ad adempiere ai comandamenti che la Torà obbliga loro di osservare. Riconoscendo la Torà – come unica base possibile per un vero comportamento etico e moralmente giusto – il mondo non ebraico giungerà a riconoscere e ad apprezzare Israèl come all’avanguardia della giustizia universale, della moralità e della pace; questo aprirà la strada alla definitiva Redenzione Messianica.
QUANDO FACCIAMO IL NOSTRO RESET?
E nella natura umana dare per scontato ciò che si è abituati ad avere, anche solo dopo poco
tempo ci abituiamo subito all’idea. Ad esempio dimentichiamo troppo facilmente dove
eravamo prima, e appena ci abituiamo a uno standard di vita più alto, ci arrabbiamo per
delle mancanze, perché ormai quello che abbiamo è lo diamo per scontato, per cui ci manca
sempre qualcos’altro rispetto al nuovo profilo di vita in cui ci si trova.
Nel Talmud troviamo tanti riferimenti a questo concetto come chi ha dieci vuole venti, chi
ha cento vuole duecento, chi ha mille vuole duemila…
Purtroppo è la natura dell’uomo! Ma non è la vera natura essenziale dell’uomo, perché
quando Dio l’ha creato non era questa la sua natura e la sua vera essenza. Solo dopo che
l’uomo ha mangiato dall’albero della conoscenza e ha iniziato a sentire la propria esistenza
ed ego, solo allora ha smesso di sentire come in realtà dipende dal Creatore e voler
pretendere sempre più materialismo per accontentare il corpo a scapito dei bisogni spirituali
dell’anima.
Alcuni esempi di vita:
Sei single e ti manca un partner, Sei in coppia e ti manca la libertà.
Lavori e ti manca il tempo, hai troppo tempo libero e vorresti lavorare.
Sei giovane e vuoi crescere per fare le cose degli adulti, sei adulto e vorresti fare le cose dei
giovani.
Sei nella tua città ma vorresti vivere altrove, sei altrove ma vorresti tornare nella tua città.
Forse è tempo di smettere col guardare sempre a ciò che ci manca e iniziare a vivere nel
presente, apprezzando davvero quello che abbiamo. Godiamoci il profumo della nostra casa
prima di aprire la porta ed uscire a cercare i profumi del mondo. Perché niente è scontato,
e ogni cosa è un dono. Diamogli valore! La base della fede ebraica è ricordare l’uscita
dall’Egitto ogni giorno e ricordare quando eravamo schiavi per costruire le piramidi in
condizioni di vita pietose e disastrate. Senza guardare il passato non potremo apprezzare il
presente e non potremo essere riconoscenti per tutto il bene che Hashèm ci dà.
La Torà ci insegna in tante occasioni che per ricevere benedizioni e successo bisogna essere
grati di quello che abbiamo, e dire sempre grazie ed essere sempre felici in ogni momento
e in ogni situazione. Ogni tanto bisogna fare un risettaggio dei parametri per avere ben
presente questa regola basilare della vita. Le nostre parashòt di questa settimana della
malattia della Tzara’àt sono un esempio di “reset” che Hashèm ci manda per riflettere su
questi temi e dove abbiamo sbagliato con la maldicenza che nasce dall’ego. Ogni tanto
dobbiamo fare un reset da soli e oggi che non abbiamo il Santuario e non abbiamo la
Tzara’àt, possiamo e dobbiamo farlo quando leggiamo questo Shabbat queste due parashòt.
Tazrìa
Nella Parashà di Tazria continua la discussione sulle leggi relative alla tumà vetaharà, impurità e purezza.
Una donna che ha partorito deve compiere un processo di purificazione, immergendosi nel Mikvè, e portare offerte al Santuario. Tutti i bambini maschi devono essere circoncisi nell’ottavo giorno dalla loro nascita.
Diverse norme relative alla Tzaraat, una piaga di origine sovrannaturale che può colpire abiti, abitazioni e le persone.
Metzorà
Viene descritta la purificazione di una persona affetta da Tzaraat.
Anche una casa può essere colpita dalla “lebbra”, con il manifestarsi di macchie rosse o verdi nelle pareti.
L’impurità può colpire anche le pareti di una casa, gli abiti e infine la persona stessa.
Ci sono diverse forme di impurità, che, si possono contrarre anche attraverso la perdita seminale nell’uomo o mestruali nella donna.
La purificazione richiede l’immersione in un mikvè (bagno rituale).
Nella lingua ebraica vi sono tante parole che possono assumere molti significati, ma ve ne è una in particolare che, come poche altre, dovremmo sempre tenere a mente: Sèfer. Questo termine significa “libro”, ma non solo! Da esso originano moltissime parole dense di significato, ma adesso basterebbe citarne solo una Safìr che significa “zaffiro”, sinonimo di oggetto prezioso e luminoso. Appunto come un libro il cui “prezioso” contenuto può illuminare dentro e fuori di noi.
Pertanto, in un periodo non facile, come questo che stiamo vivendo, fatto di tanti piccoli e grandi problemi d’affrontare quotidianamente, Mamash Edizioni ha il piacere di annunciare la imminente uscita di nuovo libro intitolato, Saggezza Quotidiana che è la traduzione di un best seller americano DAILY WISDOM.
Come è facilmente intuibile dal suo nome, questo nuovo testo si propone di diventate un piccola, ma importante “guida” durante il nostro cammino della vita. Esso è un concentrato di insegnamenti chassidici del Rebbe, pieni di riflessioni, illuminazioni e soluzioni su tanti aspetti della vita.
Attraverso una “rilettura” della Torà, di tutti i suoi cinque Libri, quest’opera, ne sono sicuro, riuscirà a raggiungere il suo scopo: dare un senso alla nostra vita, un perché alla nostra esistenza e farci riflettere al fine di migliorare sempre più in ogni nostro aspetto. Di seguito alleghiamo un estratto del nuovo libro sulla porzione di questa settimana della Torà, Tazri’a. In particolare, il brano affronta, con il solito acume cassidico, la “strana malattia” di cui parla ed è intitolata la porzione settimanale la tzarà’at.
Paradossalmente, la tzarà’at sulla pelle di una persona la rende ritualmente impura solo se copre una parte del suo corpo. Se invece si diffonde su tutto il corpo non è considerata ritualmente impura.
Uno dei segni dati dai saggi circa l’arrivo imminente del Messia è che “il governo è diventato eretico”, questa nozione è menzionata nella legge della tzarà’at: quando essa copre l’intero corpo, la persona non è impura.
Ci sono due modi in cui i governi del mondo possono essere considerati “eretici”. Il modo negativo è che l’eresia domina effettivamente su tutti i governi del mondo. Il modo positivo è che quando la verità della Torà sarà evidente a tutti, sarà universalmente riconosciuto come “eretico” qualsiasi governo che non si sottomette alle regole della Torà stessa.
La nostra speranza e preghiera è che la redenzione avvenga nel secondo modo. È quindi imperativo che Israèl incoraggi le nazioni del mondo ad adempiere ai comandamenti che la Torà obbliga loro di osservare. Riconoscendo la Torà – come unica base possibile per un vero comportamento etico e moralmente giusto – il mondo non ebraico giungerà a riconoscere e ad apprezzare Israèl come all’avanguardia della giustizia universale, della moralità e della pace; questo aprirà la strada alla definitiva Redenzione Messianica.
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GRAZIE ALLA TZARÀ’AT… UNA RIFLESSIONE DI VITA
NOACHISMO, EBRAISMO O ALTRO…?
Ognuno ha una propria missione nella vita, un suo compito, una direzione particolare da intraprendere, tuttavia, a volte succede che non la si accetti o non la si vuole seguire. Perché?
Come accennato sopra, la tzarà’at non è una malattia, ma è un “difetto” spirituale che si manifesta nel corpo di una persona. In estrema sintesi, essa origina da una mancanza di “bitùl-annullamento” delle emozioni umane (concetto legato proprio alla Saggezza di Dio, alla Torà), ossia esse non diventano un veicolo per adempiere alla volontà di Dio, annullandosi, ma acquisiscono una sorta di “vita propria e autonoma”.
Uno dei motivi principali è proprio quanto detto sopra: a volte le nostre emozioni, il nostro IO, EGO ci domina e ci porta in strade solo apparentemente utili e soprattutto, apparentemente in linea con la nostra individuale “missione divina” in questo mondo. Quando si è presi dal proprio IO, l’amore per Dio e il desiderio di elevazione spirituale, sono indirizzati o possono esserlo, ad alimentare un insieme di certezze e desideri e aspirazioni “personali” che in realtà alimentano solo il proprio ego.
Per essere più concreti: Dio, attraverso la Saggezza della Torà, ha “progettato” che nel mondo vi siano ebrei e non ebrei. Ognuno con determinati, obblighi, doveri, oneri e onori. Niente di sbagliato in questo, anzi! Proprio GRAZIE a questa “divisione del lavoro” Dio ci sprona a migliorare questo mondo al fine di renderlo una dimora per Lui e in definitiva a rivelare e realizzare la Redenzione Messianica. La Torà ha stabilito che per gli ebrei vi sono 613 mitzvòt e per il resto del mondo i precetti noachidi (7 più derivati).
Tuttavia, vi sono singoli individui e/o gruppi che si illudono, illudendo anche le persone con cui vengono a contatto, che per redimere e migliorare questo mondo vi sia una “terza via”: quella del mix ebraico o cristiano o buddista o noachide o tutte le cose assieme.
Invece, le cose non stanno proprio così! E il motivo principale è che si rischia, nel modo sopra descritto, di perdere la propria strada, o perlomeno renderla più difficile, disperdendo inutilmente le energie per fare ciò che Dio non ha chiesto di fare e di tralasciare ciò che invece Dio ci ha chiesto di fare.
Pertanto, per tutti coloro che cercano, sinceramente e umilmente (bitùl), il PROPRIO servizio Divino la prima cosa è quella di cercare il “proprio Aharòn, un Sacerdote”, ossia colui che possa guidarci seriamente verso il percorso spirituale per redimere finalmente questo mondo. Uno dei requisiti dei sacerdoti erano due: conoscenza della Torà e soprattutto la APPLICAZIONE concreta in tutti gli aspetti della vita delle sue norme e leggi.
Riguardo alla osservanza dei precetti Nohachidi ho diverso materiale se qualcuno fosse interessato vi invito a scrivermi in privato.
In memoria di mio padre Yaakov ben Shelomo
לעילוי נשמת אבי מורי ורבי ועטרת ראשי
יעקב בן שלמה ורחל
In memoria del mio carissimo amico Rav Haim Moshe Mordechai ben Dovber Shaikevitz
e del mio maestro Rav Ghershon Mendel ben Haim Meir Garelik
I DANNI DELLA LASHÒN HARÀ – MALDICENZA
Doeg diffamò Davìd e la sua maldicenza provocò la morte di tre persone e di tutti gli abitanti di una città, come apprendiamo da questo racconto:
Doeg, che visse durante il regno di re Shaùl, era un uomo brillante e un grande erudito di Torà. Riuniva in sé le funzioni di capo del tribunale ebraico e di consigliere personale del re Shaùl. Nessuno, però, poteva immaginare il suo carattere malefico, perché lo mascherava mostrando un atteggiamento compassionevole. Sapendo che Davìd era geloso di Shaùl, ed essendo egli stesso invidioso della sua conoscenza della Torà e della sua fama, non perdeva occasione per diffamarlo.
Fuggendo da Shaùl, Davìd passò da Nov, una città di cohanm. Non aveva provviste e rischiava di morire di fame, così chiese al Sommo Sacerdote Akhimèlekh di dargli del pane. Gli fece credere che il re l’aveva inviato in tutta fretta per una missione molto urgente e che, di conseguenza, non si era munito di provviste. Quando Akhimèlekh gli rispose che l’unico pane disponibile in quella città di cohanìm era il sacro ‘lèkhem hapanìm’, Davìd gli spiegò che gli era permesso mangiarne, perché la fame stava mettendo la sua vita in pericolo.
Il Cohèn Gadòl ebbe fiducia in Davìd e gli diede il lèkhem hapanìm. Poi, consultò gli Urìm e Tummìm (lettere delle tribù sul pettorale del gran sacerdote) per sapere se doveva fornirgli altro aiuto e la risposta fu affermativa: affidò, quindi, a Davìd la spada del gigante Goliàt, che era custodita nel Mishkàn.
Doeg, che studiava la Torà poco lontano, scoprì che Davìd si era recato nella città di Nov. In quel tempo, il re Shaùl si sentiva costantemente minacciato da complotti immaginari, orditi contro di lui da Davìd, e accusava tutti i suoi ministri di parteggiare per lo stesso Davìd. Doeg colse, quindi, l’opportunità di nuocergli. Tornò a corte e, quando il re chiese ai suoi ministri di rivelargli i complotti di Davìd, lo denunciò: «A Nov, ho visto Davìd intrattenersi con il Cohèn Gadòl Akhimèlekh. Questi ha consultato per lui gli Urìm e Tummìm, poi lo ha rifornito di provviste e gli ha consegnato la spada di Goliàt».
Quelle di Doeg erano parole calunniose, che insinuavano un’alleanza tra Davìd e Akhimèlekh per cospirare contro il re. Riferire che il Cohèn Gadòl avesse consultato gli Urìm e Tummìm a favore di Davìd, era un fatto di enorme portata, poiché era vietato interrogarli per motivi di carattere privato. Solo il re in persona o un emissario della comunità poteva accedervi. Shaùl giunse alla conclusione – Doeg lo sapeva bene – che Davìd si fosse proclamato re davanti al popolo.
Shaùl convocò Akhimèlek e tutti i cohanìm della città di Nov, e accusò Akhimèlekh dicendo: «Perché hai aiutato Davìd, dandogli del pane e una spada? Evidentemente, lo riconosci come re; diversamente, perché avresti interrogato per lui gli Urìm e Tummìm? Tu cospiri con lui per togliermi il trono!».
Akhimèlekh si stupì per queste accuse e gli rispose con sincerità: “È la prima volta che mi rivolgo agli Urìm e Tummìm per Davìd. Ho pensato che, essendo il tuo devoto genero e l’emissario della comunità, egli meritasse che consultassi per lui gli Urìm e Tummìm! Khas veshalòm – Dio non voglia che io mi sia ribellato al re! Non capisco a cosa ti riferisci!».
Ma Shaùl rimase inflessibile. «Per aver attentato al mio trono, tu, Akhimèlekh, dovrai pagare con la vita» decretò, «tu e tutta la casa di tuo padre!». Poi ordinò ai suoi generali Avner e Amasà di passare a fil di spada tutti i cohanìm di Nov, per avere tradito il re cospirando con Davìd, crimine punito con la morte.
I due generali si rifiutarono di colpire i cohanìm, sapendo che, secondo la legge della Torà, occorre disobbedire anche al re se questi chiede di compiere un’azione che porti a trasgredire la Torà. L’uccisione dei cohanìm era, senza dubbio, un peccato perché il verdetto di Shaùl si basava sulla diffamazione, senza avere provveduto a un’inchiesta obiettiva.
Shaùl, allora, si voltò verso Doeg e gli disse: «Tu affermi che i cohanìm sono passibili di morte. È dovere del testimone partecipare all’esecuzione dell’accusato!».
Doeg acconsentì e uccise con le proprie mani ottantacinque cohanìm della città di Nov. Uomini, donne e bambini furono passati a fil di spada, mostrando a tutti quale fosse il destino riservato a coloro che sostenevano Davìd.
In Cielo, fu proclamato contro Doeg: «Rashà! Come osi parlare della Mia Torà, se essa non è nel tuo cuore? Cosa insegnerai ai tuoi allievi quando arriverai alle parashòt che trattano degli omicidi, dei bugiardi e dei racconta favole?».
La lashòn harà di Doeg ebbe come conseguenza la morte di tutti coloro che vi presero parte: Shaùl, che l’accettò, venne ucciso definitivamente dai filistei. Anche il generale Avner fu ucciso, poiché aveva assistito alla condanna a morte dei cohanìm senza protestare (secondo una diversa opinione della Ghemarà, egli protestò ma invano, e fu ucciso a causa di un altro peccato). La vita di Dòeg fu recisa dal Cielo prima che egli giungesse ai trentacinque anni di età, in base al principio secondo il quale “gli uomini sanguinari e ingannevoli non giungeranno alla metà dei loro giorni” (considerando che la piena misura dei giorni dell’uomo sia di settant’anni. Ne deriva che gli assassini e i bugiardi non vivono oltre i trentacinque anni, ossia circa la metà di una vita).
Mentre Doeg stava insegnando ai suoi allievi, Hashèm inviò tre angeli della Vendetta.
Il primo lo privò della memoria. Doeg disse ai suoi studenti che un certo oggetto era tahòr-puro, poi invertì le parole e lo dichiarò tamé-impuro. La confusione dei suoi giudizi aumentò e gli venne chiesto di lasciare il bet hamidràsh, ma egli rifiutò. I suoi allievi dovettero legarlo mani e piedi con delle corde, e portarlo fuori con la forza.
Il secondo angelo bruciò con il fuoco l’anima di Doeg, condannandola alla morte eterna. Doeg fa parte di coloro che non avranno parte nel Mondo a Venire.
Il terzo angelo disperse le ceneri delle sue spoglie mortali nelle sinagoghe e nei luoghi di studio, mettendole sotto i piedi dei studiosi di Torà.
Grazie alle sua straordinarie capacità, Doeg avrebbe potuto aspirare alla grandezza, ma la sua abitudine alla lashòn harà gli fece perdere la vita in questo mondo e nel mondo a venire.
Tratto dal Midràsh Racconta Vayikrà edizioni MAMASH
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