KI TAVO 5780 : 7 LEZIONI
Questo Shabbàt 5 Settembre 2020, 16 del mese di ELUL 5780
leggeremo la Parashà di Ki Tavò
Deuteronomio 26: 1 – 29: 8
HAFTARÀ ITALIANI:
Giosuè 8: 30 – 9: 27.
HAFTARÀ MILANESI, TORINESI, SEFARDITI e ASHKENAZITI:
Isaia 60: 1 – 22.
KI TAVO
avere un corpo sano ed equilibrato è una delle nostre missioni in questo mondo.
Ma non per metterci in mostra o per divinizzare la bellezza del corpo come gli elleni, quanto piuttosto per valorizzare il dono della vita che abbiamo ricevuto da Hashèm, per essere sani e realizzare al meglio la nostra missione in questo mondo.
Il Maimonide nella sua grande opera Yad Hakhazaka ci illumina su come mantenere un corpo sano, e tra queste regole ci sono due insegnamenti che mi hanno cambiato la vita e non smetterò di ripeterli:
1. Alzarsi da tavola quando si ha ancora spazio nello stomaco, ovvero mai riempirsi completamente. Paradossalmente ci si dovrebbe alzare quando si ha ancora un po’ fame. In inverno almeno il 25% della nostra capienza dello stomaco deve rimanere libera, in estate il 38% circa.
2. Non bisogna mangiare solo perché è l’ora di mangiare ma solamente quando si ha fame. In altre parole si deve fare in modo che quando sarà l’ora del pasto lo stomaco sia vuoto, evitando di mangiucchiare continuamente. Se non si è stati attenti meglio ritardare il pranzo o la cena finché si avrà fame.
Chi fa attenzione alla qualità dei cibi che mangia (bio etc.) deve fare ancora più attenzione alla loro quantità, che è più dannosa.
Promette il Maimonide che chi è attento alla quantità del cibo, che non sia eccessiva, non vedrà gran parte delle malattie.
Non a caso invece di augurare buon appetito si usa augurare nella tradizione ebraica idish: es gezunter heit, ovvero di mangiare con consapevole moderazione e BUONA SALUTE!!!
TENERSI IN BUONA SALUTE FA PARTE DEL NOSTRO SERVIZIO DIVINO (RAMBAM)
Se vivi nella terra di Israele e nel tuo frutteto è cresciuto uno dei frutti speciali con cui la terra è stata benedetta (uva, fichi, melograni, olive o datteri) devi adempiere al precetto, comandato dalla Torà nella porzione settimanale, di selezionare i frutti maturi, di metterli in un cesto e portarli al Tempio Santo come dono per il Cohen (sacerdote).
Una magnifica ed emozionante cerimonia ha sempre accompagnato la “performance” di questa tradizione annuale. La Mishnà, nel trattato di Bikurim, fornisce una rappresentazione molto dettagliata e folcloristica:
a) Come si separano i Bikurim? Una persona scende nel suo campo e se vede un fico, un grappolo d’uva o un melograno che sono maturi; li lega con una stringa e dichiara: “Questi sono Bikurim!”.
b) Come si portano i Bikurim? Tutti gli agricoltori che vivono nei villaggi circostanti si riuniscono in un unico villaggio e dormono nelle strade (essenzialmente era una sorta di festival all’aperto). Al sorgere del sole, un incaricato dichiara: “Saliamo a Sion, al Signore nostro Dio!” E quindi tutti partono verso Gerusalemme.
c) Durante l’intero viaggio cantano il verso dei Salmi (122, 1): “Ho gioito quando mi hanno detto, andiamo verso la casa di Dio”. In testa a tutti vi è un bue con le corna ricoperte d’oro e con una corona di foglie di oliva sulla sua testa (da notare che perfino il bue che conduceva la strada era parte della celebrazione). Il suono del flauto li precede, fino a Gerusalemme.
d) Mentre si avvicinano a Gerusalemme, mandano dei messaggeri per notificare al popolo di Gerusalemme del loro arrivo e iniziano a decorare i loro cesti. I governanti, i prefetti e i tesorieri del tempio sono lì ad accoglierli. Quando gli agricoltori entrano nei portali di Gerusalemme, cominciano a cantare il versetto dei Salmi (ibid): “Le nostre gambe sono presso le tue porte o Gerusalemme”. Tutti gli artigiani di Gerusalemme escono per salutarli dicendogli: “Fratelli! Benvenuti!”
e) Arrivati alla città santa, con il suono del flauto che li precede fino al Monte del Tempio, ognuno pone il suo cesto sulla spalla. Anche il re Agrippa [l’ultimo re Giudeo prima della distruzione del Tempio e della diaspora ebraica nel 68 e.v.] pone il suo cesto sulla spalla ed entra fino alla Corte del tempio [Azarà] dove i leviti cominciano a cantare.
f) Ogni agricoltore, con il suo cesto di frutta, nel cortile del tempio dice al Cohen: “Io dichiaro oggi al Signore, tuo Dio, che sono venuto nella terra che il Signore ha promesso ai nostri antenati”. Il Cohen allora sollevava il cesto di frutta, e l’agricoltore, con voce alta e festosa, pronunciava questa dichiarazione: “Mio padre [Giacobbe] era un Arameo vagabondo, e scese in Egitto con poche persone e visse lì e divenne una grande nazione, potente e numerosa. “Ma gli Egiziani ci hanno trattati crudelmente e ci hanno afflitto, e hanno imposto un duro lavoro su di noi. Così abbiamo gridato al Signore, Dio dei nostri padri, che ha sentito la nostra voce e ha visto la nostra afflizione, il nostro travaglio e la nostra oppressione. Poi ci ha portati fuori dall’Egitto con una mano potente e braccio disteso, con grande terrore e con miracoli. E ci ha condotti in questo luogo, e ci ha dato questa terra, una terra dove scorre latte e miele. E ora, beh, ho portato il primo dei frutti del suolo che tu, o Signore, mi hai dato”.
g) Il Cohen restituisce il cesto al donatore il quale lo mette vicino all’altare del tempio, poi si prostra e esce. Si rimane tutta la notte a Gerusalemme per tornare a casa il giorno successivo.
Abbiamo letto questa descrizione e possiamo sentire, come se fossimo presenti, la gioia e l’eccitazione che cresce lentamente quando i contadini si riuniscono e cominciano ad andare verso Gerusalemme. Sentiamo l’estasi della celebrazione e il senso di cameratismo nell’arrivo dei Bikurim al Santo Tempio. I governanti, i dignitari e persino il re hanno partecipato alla festa. La musica non si fermava e l’energia era elettrizzante. Un’occasione importante, una scena IMPERDIBILE.
UN SEMPLICE CONTADINO PER UN EVENTO GRANDIOSO
Un povero contadino, un ragazzo o un vecchio, porta qualche frutto in un modesto cestino a Gerusalemme come un dono al sacerdote che, lavorando nel tempio, viene sostenuto dalla comunità. È un gesto gentile e una bella azione. L’agricoltore non sta portando tutto il suo raccolto: dona solo uno, due o tre frutti (forse più, forse meno). La sua offerta non è insolita nella sua generosità. Il suo frutteto può, infatti, produrre frutti piccoli e impoveriti, oppure anche grandi e deliziosi frutti. Di solito prende alcuni fichi, un po’ qua e un po’ la e li porta a Gerusalemme. Cose come queste accadono milioni di volte al giorno nel mondo: i contadini consegnano i loro frutti a case, negozi e mercati.
Quindi cosa significa un tale benvenuto? Perché un cerimoniale così grande e sfarzoso? Che cosa ha creato un’esplosione così, apparentemente, esagerata e drammatica? Addirittura un corteo con un flauto e un toro con le corna d’oro che li conduce fino ai dignitari del Tempio che li vengono a salutare?
Quello che è ancora più sorprendente è il fatto che ognuno di questi coltivatori non solo è venuto a consegnare il suo regalo al Cohen. No! Ognuno di loro, ENTRA NEL TEMPIO SANTO, lo spazio più sacro al mondo, e fa una dichiarazione potente che ripercorre l’intera storia ebraica.
Immaginate un’analoga situazione ai giorni nostri. Negli Stati Uniti ad esempio, una volta l’anno, una persona consegna i frutti della nuova stagione alla sinagoga locale, da somministrare ai poveri. Dopo aver preso la scatola di frutta sulle sue spalle pronuncia una simile dichiarazione con una voce piena di passione:
“Era l’anno 1775 quando le Trecento Colonie iniziarono una ribellione contro il governo britannico e proclamarono la loro indipendenza. Il 4 luglio 1776, il Secondo Congresso Continentale, ancora riunito a Filadelfia, dichiarò l’indipendenza degli “Stati Uniti d’America” nella “Dichiarazione d’Indipendenza”. In essa i nostri Padri Fondatori hanno scrissero:
“Quando nel corso degli eventi umani diventa necessario che un popolo sciolga i vincoli politici che lo hanno legato ad un altro e che assuma tra le altre potenze della terra, il posto distinto e uguale a cui le leggi della natura e di Dio dà diritto, un rispetto dignitoso per le opinioni dell’umanità richiede che esso debba dichiarare le cause che lo spingono alla separazione.
Riteniamo queste verità per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore con alcuni diritti inalienabili, fra cui la vita, la libertà e la ricerca della felicità…”
“E qui sono oggi – James Smith il terzo, in questa bella città, portando frutti a questo uomo speciale…” UN PÒ STRANO, NO?
Eppure questo accadeva con ogni cesto di frutta che veniva consegnato al tempio. Un semplice agricoltore presenta un cesto di frutta al Cohen e comincia un’eloquente dichiarazione sull’intera storia ebraica: dalla genesi in Egitto fino alla sua agricoltura nella terra d’Israele dei suoi giorni!
DIO VUOLE LA NOSTRA ESSENZA
Eppure è proprio questa esperienza che ci offre uno sguardo sopra un concetto essenziale dell’ebraismo. Non sono solo le esperienze importanti, drammatiche e sconvolgenti che meritano di essere notate da un punto di vista storico. Piuttosto quando un coltivatore lavora duro tutto l’anno nel suo campo, arando, seminando, irrigando, sorvegliando e finalmente raccogliendo e raccogliendo; e poi questo contadino riempie un cestino di pochi frutti semplici da offrire nel Tempio, questo è il paradigma dell’ebraismo un evento importante.
“Desidero poter vedere il mondo in un granello di sabbia e tenere l’infinito nel palmo della mano!”. Disse William Blake. Essere in grado di guardare un cesto tenuto nel palmo di un semplice contadino e vedere l’infinito in questa stessa esperienza. Questa è all’essenza dell’ebraismo!
È vero che questo cesto può contenere solo poche uve, ma questi frutti sono SUOI! Li ha cresciuti LUI con il sudore e le lacrime e quando li porta a Gerusalemme, come dono all’Onnipotente, tutti noi partecipiamo alla celebrazione. L’agricoltore è chiamato a entrare nel Tempio Santo e fare la sua offerta personale a Dio. Quando fa la sua dichiarazione è disposto a farla con gusto e fervore, mentre tutti intorno, compresi tutti i grandi saggi e sacerdoti, rimangono in SILENZIO e ASCOLTANO.
PERCHÉ CIÒ CHE CONTA NON È QUANTO PORTI, MA IL FATTO CHE VIENE DA TE. LI C’È IL TUO CUORE, LA TUA PASSIONE, LA TUA ANIMA.
Non ha caso il dono più piccolo in quantità come le primizie è quello più festeggiato in qualità. Perché se ci fosse stato un volume consistente di frutta avremmo valorizzato il lato materiale del dono. Perciò la Torà ci dice di risaltare il dono più piccolo, perché in questo caso non siamo traviati dal materialismo e possiamo avere una prospettiva diversa da quella standard, perciò in questo caso la QUALITÀ e il FERVORE, non sono occultate dalla QUANTITÀ di MATERIA.
UN GRAPPOLO D’UVA PORTATO CON TANTA FATICA E FATTO CRESCERE CON MOLTA PASSIONE RAPPRESENTA LA TOTALITÀ DELLA PERSONA, OSSIA IL SUO INFINITO. DI CONSEGUENZA QUESTO RISVEGLIA L’INFINITO DIVINO.
“Anche se una grande orchestra continua da sola basta che tu possa contribuire con un verso”, scrive Walt Whitman. Quello che conta di più non è quanto lungo o poetico è il versetto, ma che sia il TUO versetto. Esso contiene il tuo contributo individuale; la tua verità, la tua musica, le corde del tuo cuore.
Ciò che conta in ultima analisi, la Torà ci insegna, non è tanto quello che stai donando o creando nella vita, piuttosto se quello che stai sviluppando è veramente tuo. Mettiti in gioco. Non hai bisogno di portare cestini grandi e fantasiosi. Tutto quello che DIO VUOLE È IL TUO CESTINO, la tua voce distinta, la tua ballata, il tuo battito cardiaco.
PREGHIERE MONOTONE?
Dopo la distruzione del Tempio non ci sono più i Bikurim. Ma comunque i precetti nascondono dei messaggi di vita eterni che non hanno limiti di tempo. Qual è la cosa più vicina che ci hanno lasciato al giorno d’oggi?
Il Midràsh dice: “Mosè vide che il tempio sarebbe stato distrutto e che i Bikurim si sarebbero interrotti, quindi ha stabilito le tre preghiere giornaliere”. In particolare la prima preghiera del giorno che è la più importante.
Proprio come i Bikurim sono il primo e il frutto più fresco del raccolto (la primizia), la preghiera è il primo momento più fresco della mia giornata.
Ma il confronto va molto più in profondità. Sulla superficie, non c’è niente di più potenzialmente noioso delle preghiere quotidiane. Le stesse preghiere giorno dopo giorno, le stesse parole, la stessa congregazione noiosa, lo stesso rabbino monotono e le stesse persone che spesso dormono durante la predica.
Viene la Torà e ci dice che possiamo vedere tutto ciò in modo molto diverso. Le nostre preghiere possono essere come il cesto di frutta di un agricoltore impoverito o come il cesto di frutta del ricco agricoltore. Tutto questo non ha importanza, ciò che conta è che sia TUO. Quando sei leale con Dio, quando parli con il TUO cuore, la TUA verità, i TUOI sentimenti, quando ti presenti con la TUA voce, allora tutti gli angeli di tutti i mondi diventano silenziosi per ascoltare la tua dichiarazione quotidiana nel Tempio.
Quello che vale di più è che parli con la tua voce autentica. Solo così le nostre preghiere, proprio come i Bikurim, diventano un’occasione straordinaria di unire la nostra essenza spirituale con la sua radice divina.
UN LEONE FURIOSO
Il Baal Shem Tov (Besht), uno dei pensatori più profondi nella storia ebraica (1698-1740), il cui compleanno è celebrato il 18 di Elul (questo lunedì). Il Besht raccontò questa storia:
una volta il leone è diventato furioso con tutti gli altri animali della giungla. Dal momento che il leone è “il re degli animali”, il più potente e dominante, la sua ira ha suscitato profonda paura nei cuori degli altri animali. “Cosa dovremmo fare?” mormorarono tutti gli animali in una riunione di emergenza. “Se il leone scatena la sua rabbia, siamo tutti finiti”. “Nessuna preoccupazione”, è venuta la voce della volpe, conosciuta come la più furba degli animali. “Nel mio cervello sono memorizzati 300 storie, aneddoti e vignette. Quando le racconterò al leone, il suo umore sarà trasformato”. Un’ondata di gioia investe tutti gli animali quando vedono che la volpe placa il leone con le sue storie.
VOLPE DIMENTICA
Durante il viaggio nella giungla, la volpe si volta improvvisamente verso uno dei suoi amici animali e dice: “Sai, ho dimenticato 100 delle mie storie divertenti”. Le voci sulla perdita di memoria della volpe si diffondono immediatamente. Molti animali sono presi da una profonda trepidazione, ma l’intervento del signor Orso tranquillizza tutti: “Nessuna preoccupazione” disse. “Duecento vignette di una volpe brillante sono più che sufficienti per divertire quel leone arrogante”.
Poco dopo, quando la moltitudine degli animali si avvicina nuovamente al leone, la volpe si volge improvvisamente a un altro compagno: “Ho dimenticato altri 100 dei miei aneddoti. La paura degli animali si fa più forte, ma presto arriva la voce rassicurante del signor Cervo: “Nessuna preoccupazione”. “Cento storie di volpi bastano a catturare l’immaginazione del nostro semplice re leone”.
Pochi istanti dopo, tutte le centinaia di migliaia di animali sono nella grotta del leone. Il leone si alza e pieno di potere e gloria e getta uno sguardo feroce su tutti i suoi sudditi.
L’INCONTRO
Quando arriva il momento della verità, tutti gli animali guardano verso la loro grande speranza la volpe avvicinarsi al leone per eseguire la grande missione di riconciliazione. In quel momento la volpe si volta verso gli animali e dice: “Mi dispiace, ma ho dimenticato le mie ultime 100 storie. Non ho niente da dire al re”.
Gli animali entrano in isteria. “Sei una bugiarda viziosa”, esclamano piangendo. “Ci hai ingannato completamente, cosa dobbiamo fare ora?”
“Il mio lavoro,” risponde la volpe con calma, “era quello di convincervi a venire fino alla tana del leone, ho compiuto la mia missione! Ora voi siete qui, adesso ognuno di voi può parlare con la propria voce e ristabilire il proprio rapporto personale con il re”.
MANCANZA DI UNA RELAZIONE PERSONALE
Questa storia, ha concluso il Baal Shem Tov, illustra un problema comune nella religione istituzionalizzata. Veniamo in sinagoga a Rosh Hashanà o Yom Kippur, o in qualsiasi altro periodo dell’anno, e ci affidiamo alle “volpi” (i cantori e i rabbini) per servire come nostro rappresentante di fronte al Re dei Re. “Il sermone del rabbino oggi è stato incredibile”, spesso proclamate dopo i servizi. “È davvero fantastico”. O, “Quel cantore? Il suo canto ha appena sciolto la mia anima”.
Queste “scorciatoie” spesso diventano le “volpi” che ci fanno illudere che possono fare il lavoro al nostro posto.
Tuttavia, prima o poi, ci rendiamo conto che le “volpi”, con tutto il dovuto rispetto, non hanno realmente ciò che serve per rinnovare la nostra relazione compromessa con il re AL POSTO NOSTRO. Ognuno di noi deve scoprire la propria voce interiore e la sua passione e lo spirito interiore, e parlare con Dio con un carattere distinto e unico.
Cantori e rabbini durante le Feste (e il resto dell’anno) dovrebbero considerarsi come volpi del Besht: la loro funzione è di persuadere e ispirare la gente a lasciare il proprio EGO, la sfera di autosufficienza e intraprendere un viaggio verso qualcosa di più profondo e più genuino. Ma ognuno di noi deve infine entrare nello spazio di Dio (Santuario) con le SUE gambe e la cesta sulla SUA spalla.
Questo è il messaggio che possiamo trasportare dai doni dei cesti di Bikurim nel nostro quotidiano. Quest’anno a Rosh Hashanà e Yom Kippur, non facciamo affidamento sulle volpi. Parliamo direttamente con Dio. Con le proprie parole, con la PROPRIA anima.
Cuore a cuore, dal posto più vero e sincero che abbiamo direttamente al nostro Padre in Cielo all’essenza più vera.
IL DIALOGO PIÙ BELLO È QUANDO IL FIGLIO RICONOSCE SUO PADRE E GLI PARLA CON TUTTO IL CUORE SENZA INFINGIMENTI!
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- È l’attributo della generosità e ALTRUISMO. Questo messaggio è intrinseco in tutti i doni che Hashèm ci ordina di dare ai sacerdoti, ai levì e ai poveri per insegnare agli uomini che non bisogna prendersi cura solo di se stessi, ma che occorre sempre ricordare che ci sono anche poveri e bisognosi, poiché in realtà tutto ciò che possediamo appartiene a Dio. Lui, infatti ci ha dato i “nostri beni” solo in custodia, affinché possiamo distribuirli ai meno abbienti: ognuno che ha più del minimo del suo fabbisogno base è solo un “cassiere” di Hashèm.
Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.
Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
se il talmid non va dal rabbi, il rabbi va dal talmid!
Non perdere l’appuntamento con la parash・ mistica e psicologia nella Tora
Per informazioni: www.virtualyeshiva.it
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- Si impara a CONTROLLARE il proprio ISTINTO animalesco. Quando una persona scende nel suo campo e vede un fico succoso lo vorrebbe mangiare, dopo aver aspettato tanto a lungo per vedere i frutti maturi nel suo campo, poiché all’uomo piace il frutto del SUO campo più di tutti i frutti del mondo. Ma qui, ci ricorda la Torà, che non si può godere di questo dolce frutto al palato, ma lo si lega con la gomma e si fa un segno per portarlo al Tempio di Yerushalàyim e mangiarlo li, affinché si possa abituarsi a controllare i propri istinti.
- Sviluppare l’attributo dell’UMILTÀ: il grande imprenditore terriero doveva sollevare le primizie sulla sua spalla e portarle al Monte del Tempio. E perfino il RE doveva seguire questa prassi, per dimostrare che non si vanta del suo successo, ma riconosce che tutto il mondo apparitene solo ad Hashèm.
- Quando si portano le primizie bisogna GIOIRE tanto per uscire d ‘obbligo. Ovvero quando si aiuta il prossimo e quando si è grati per il bene ricevuto da Hashèm occorre saper ringraziare con un sorriso, altrimenti non è un vero “Grazie”.
- Controllare il proprio EGO. Quando si portano le primizie – bikurìm la Torà ci prescrive di leggere dei brani che raccontano gli eventi dolorosi della storia di Israèl. Questo come ricordo che anche nel momento del benessere non bisogna dimenticare i problemi passati che ci hanno permesso di arrivare a gioire adesso. Questo è un ottimo insegnamento in quanto evita di riempirsi di ego per via del successo del nuovo raccolta e della prosperità appena ricevuta. Quindi, così impariamo a rimanere umili e mantenere un ottimo equilibrio sociale e famigliare.
- Si dimostra che tutto proviene da Hashèm che solo lui è il VERO PADRONE del mondo e che la frutta non è il frutto della nostra fatica (scusate il gioco di parole)…
Questa settimana la Ferrari ha vinto il gran premio del Belgio pur non essendo stata la più veloce nelle prove. Perfino Hamilton che era in pole position è arrivato secondo e non riusciva a capacitarsi della velocità della Ferrari. A Maranello gli ingegneri Ferrari si complimentano della loro bravura che ha portato alla vittoria. Ci sono delle logiche per razionalizzare questa vittoria senza dubbio, ma nella vita la sola bravura non è sufficiente: ci vuole anche la FORTUNA. Una pezza che viene dal Creatore che decide tutto. Dio ci chiede di fare del nostro meglio, in questo modo saremo meritevoli di accedere a questa fortuna e alla pezza che deve aggiungere Lui.
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Rav Shlomo Bekhor
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KI TAVO 5771 – ELUL – IL SOPRAVVISSUTO!
Come il Rebbe ha aiutato un uomo solo a superare la tragedia dello sterminio nazista!
KI TAVO 5770 – ASPETTI SCONOSCIUTI DELLA VITA DI MOSHE!
Tre diverse ribellioni contro i genitori a confronto: Miriam, Batia e Reuven!
KI TAVO 5769 – PERCHE’ I RICCHI DIVENTANO PIU’ RICCHI, E I POVERI PIU’ POVERI
Il re ha permesso a tutti di esaudire un desiderio. Come mai solo uno pensa al re e tutti pensano solo a se stessi?
KI TAVO 5768 – BIKURIM: PRIMA REGOLA GRATITUDINE
Nulla accade per caso: l’importanza dei “piani divini”, di come tempi e date vadano rispettate!
KI TAVO 5766 / 13 PRINCIPI DI FEDE – RICOMPENSA E PUNIZIONE
Moshè divide il popolo in due gruppi e li fa salire su due colli l’uno di fronte all’altro. Moshè dice ai due gruppi di recitare l’uno una serie di benedizioni che toccheranno il popolo ebraico se rispetterà le mitvot, mentre l’altro gruppo recita una serie di maledizioni per l’eventualità contraria.
KI TAVO 5765 – NIENTE E’ DOVUTO! COME IMPARARE AD ESSERE GRATI AD HA-SHEM
La gratitudine verso Ha-shem per quanto abbiamo: ricambiare sempre al meglio!