REE 5784 : 3 LEZIONI

24 Agosto 2024 0 Di HaiimRottas

Questo Shabbàt 31 Agosto 2024,  27 del mese di AV 5784 leggeremo la Parashà di Reè

PARASHÀ Deuteronomio 11: 26 – 16: 17

Haftarà: Isaia 54, 11-55, 5

Si annuncia
Rosh Chòdesh

REE

David Goldberg si imbatte per strada in una persona che assomiglia moltissimo al suo vecchio amico Jack. “Jack”, dice. “Sei ingrassato e i tuoi capelli sono diventati grigi. Sembri qualche centimetro più basso di quanto ricordassi e le tue guance sono gonfie. Inoltre, cammini in modo diverso e persino con un suono diverso. Jack, cosa ti è successo?” “Non sono Jack”, gli dice l’altro signore. “Mi chiamo Sam!” “Wow Jack! Hai persino cambiato il tuo nome”, gli dice David.

Due Segni
Nella parashà di Reè troviamo per la seconda volta (dopo Sheminì) la descrizione di tutti gli animali terrestri che sono permessi, o kasher, ossia idonei al consumo secondo la Torà, e quelli terrestri sono identificati nella porzione della Torà di questa settimana da due caratteristiche diverse.
In primo luogo, l’animale deve essere ruminante, ossia “sollevare il suo vomito” e masticarlo nuovamente. Ciò significa che dopo aver ingoiato il suo cibo, l’animale deve rigurgitarlo dal primo stomaco alla bocca per rimasticarlo. Questo cibo rigurgitato è chiamato “cud”. In secondo luogo, l’animale deve avere gli zoccoli spezzati e l’unghia completamente divisa in due (Vayikrà 11, 1-7).
Ad esempio, la mucca, la capra, la pecora e la gazzella possiedono entrambe queste caratteristiche e sono quindi kosher. L’asino e il cavallo, invece, che mancano di entrambe queste caratteristiche, sono definiti animali non kosher. Il maiale, che ha gli zoccoli spaccati ma non mastica il suo vomito, e il cammello, che mastica il suo, ma non ha gli zoccoli spaccati, sono animali non kosher (Vayikrà ibid. Devarìm 14, 4-8). Perché queste particolari caratteristiche fanno sì che un animale diventi kosher, ossia idoneo per l’anima di una persona?

Il Potere del Cibo
L’ebraismo insegna che gli attributi fisici di un animale riflettono le distinte qualità psicologiche e spirituali della sua anima. Un altro punto esposto dall’ebraismo è che il cibo che una persona consuma ha un profondo effetto sulla sua psiche. Quando una persona mangia la carne di un particolare animale, la “personalità” di questo animale influenza, in una certa misura, l’identità del consumatore umano (Rambàn Vayikrà 11, 13; Tanya capitolo 8).
I segni della kasherùt possono essere a volte difficili da comprendere dal punto di vista razionale, tuttavia dobbiamo sempre partire dal presupposto che questi segni sono stati dati da Hashèm per dare un beneficio spirituale ed emotivo all’essere umano per metterlo in grado di raggiungere un equilibro sano. Solo Hashèm conosce, oltre alle apparenze, le vere debolezze dell’essere umano e pertanto solo Hashèm conosce la medicina che può guarire l’uomo. Anche se dovessimo pensare che i segni sono lontani dal messaggio che racchiudono, questa critica avrebbe valore solo se fosse un uomo a stabilire questo collegamento tra lo zoccolo spaccato e l’equilibrio che ci conferisce.
I segni della kasherùt possono essere a volte difficili da comprendere dal punto di vista razionale, tuttavia dobbiamo sempre partire dal presupposto che questi segni sono stati dati da Hashèm per dare un beneficio spirituale ed emotivo all’essere umano per metterlo in grado di raggiungere un equilibro sano. Solo Hashèm conosce, oltre alle apparenze, le vere debolezze dell’essere umano e pertanto solo Hashèm conosce la medicina che può guarire l’uomo. Anche se dovessimo pensare che i segni sono lontani dal messaggio che racchiudono, questa critica avrebbe valore solo se fosse un uomo a stabilire questo collegamento tra lo zoccolo spaccato e l’equilibrio che esso conferisce. Invece arrivano dalla Torà che il manuale di vita (Torà vuole dire horaà – insegnamento), ovvero il manuale di istruzioni di come funziona il corpo umano, come il manuale d’uso di ogni prodotto che il produttore fornisce per sapere come usare la lavatrice per es. così il Creatore ci ha dato il manuale d’uso di ciò che danneggia l’uomo, in seguito i grandi maestri ci hanno illustrato il significato intrinseco e mistico dietro i segni degli animali kasher.
Gli zoccoli spaccati e la masticazione del vomito rappresentano due qualità dell’anima di questi animali che sono cruciali per il sano sviluppo del carattere umano. Quando si consuma la sostanza di questi animali kasher, si diventa un essere umano più “kasher” e quindi più raffinato (Likuté Sikhòt vol. 1).

Autodisciplina Morale
Gli zoccoli biforcuti (la divisione esistente nei rivestimenti delle zampe di un animale) sono il simbolo dell’idea che il movimento di una persona nella vita, come riflesso dalle zampe che si muovono, è governato da una divisione tra “destra” e “sinistra”, tra giusto e sbagliato, tra il permesso e il proibito. Uno zoccolo spaccato rappresenta la capacità umana di accettare che ci sono cose da abbracciare e cose da rifiutare.
Questo processo di autodisciplina morale è il segno distintivo di vivere una vita sana, fisicamente, psicologicamente e spiritualmente. Un violino può produrre la sua musica squisita solo quando le sue corde sono legate e tese e non quando sono allentate e “libere”. Allo stesso modo, un essere umano che si permette di fare tutto ciò che vuole, quando vuole, dove vuole e con chi vuole, si priva dell’opportunità di sperimentare la musica interiore della sua anima.
E quando non c’è una netta distinzione tra il bene e il male, in breve tempo si tende a perdere il fondamento stesso della vita civile. Nulla è scontato, nulla è importante, nulla è sacro, perché nulla è reale. In questo modo si rischia di finire in una landa desolata senza fine, cercando di intorpidire il dolore e l’ansia con ogni possibile distrazione. Questo descrive quanto scritto che un uomo arriva a pensare che nulla conta e questa nulla conta diventa importante.
La semantica, l’insieme di formali e vuote espressioni linguistiche, piuttosto che la convinzione ideale, diventa la materia di cui è “scolpita l’anima” di una tale persona.
Il rabbino Adin Even Yisrael-Shteinsaltz (1937-2020), uno dei luminari della nostra generazione, una volta ha condiviso la storia di un professore di filosofia in Israele che ha chiesto a uno dei suoi studenti di fare una presentazione. Lo studente ha iniziato dicendo: “Io ipotizzo che…” Il professore lo interruppe: «Per favore, prima di continuare, definisca il significato della parola ‘io’». Lo studente tentò tre volte di definire la parola “io”, ma l’insegnante respingeva ogni definizione. Lo studente si arrese e si sedette. Allora il professore si alzò e disse: “Quante volte vi ho istruito a non usare termini che non potete definire?!”

Sfidare Se Stessi
La seconda qualità che caratterizza un essere umano “kasher” è che lui o lei mastica sempre il suo vomito. Anche dopo che una persona “inghiotte” e integra nella sua vita certi valori, atteggiamenti e comportamenti, non deve mai diventare totalmente sicura di sé e compiaciuta di essi. L’essere umano spirituale e raffinato ha bisogno di rigurgitare continuamente le sue idee per essere masticate e riflesse di nuovo.
L’uomo non dovrebbe mai permettersi di accontentarsi pienamente della propria posizione. La contentezza genera compiacimento; l’autocompiacimento genera noia, arroganza e giudizio. Una persona dovrebbe sempre, fino al suo ultimo respiro, sfidare se stessa, esaminare il suo comportamento e affinare il suo carattere.
L’egocentrismo umano è una malattia innata, chi ne ha di più chi meno. Questa malattia va curata con un’alimentazione corretta secondo il manuale d’uso di chi ha creato la “macchina”, e il cibo sano per l’anima è un’ottima medicina. Ci sono persone che nascono con questa malattia ma in forma più leggera. Infatti non tutti hanno il dono divino di GIOIRE quando fanno un favore al prossimo o quando aiutano un estraneo, perché l’ego di solito non ci permette questa felicità.
O come disse una volta il rabbino Adin Even Yisrael-Shteinsaltz: Come fai a sapere se sei vivo o morto? Se qualcosa ti fa male, significa che sei vivo. Chi non è “ruminante” rischia di non essere sensibile ai problemi altrui o non riesce ad avere una visione del mondo diversa dalla sua…

Questo scritto si basa su un discorso tenuto dal Rebbe di Lubavitch nel 1956 (Likuté Sikhòt ibid. pp. 222-226; cfr. Likuté Sikhòt vol. 2 p. 378)

COME SEMINARE FELICITÀ

 Un istituto di beneficenza ebraico non aveva mai ricevuto una donazione dall’uomo più ricco della comunità, così il rabbino David, il direttore esecutivo dello tzedakà (beneficenza) telefona al ricco signore:
“Dai nostri documenti risulta che lei è un uomo molto ricco, ma non hai mai dato neanche un centesimo in beneficenza”, inizia il rabbino, “Non vorreste aiutare la comunità?”.
L’uomo risponde: “Nei suoi documenti è anche scritto che mia madre è gravemente malata e delle costosissime cure mediche a cui deve sottoporsi?”.
“Ehm, no,” mormorò il rabbino.
“O che mio fratello è cieco e disoccupato? O che il marito di mia sorella è morto lasciandola al verde con quattro figli?”.
“Io … io … non ne avevo idea” risponde il sempre più imbarazzato rabbino.
“Allora” disse l’uomo “se non do i soldi NEANCHE a loro, perché dovrei darli a te?”.

Nella porzione della Torà che leggiamo questo Shabbat troviamo tre precetti simili ma, allo stesso tempo, diversi. Anche l’ordine con cui sono stati scritti ha un significato importante: rappresentano un processo di evoluzione crescente.
Il primo precetto riguarda il raccolto di una nuova pianta: il divieto di cibarsi del frutto di ogni albero nuovo per i primi 3 anni. E di portare il raccolto dei frutti del quarto anno a Gerusalemme e mangiarlo nella città santa. Ovviamente ciò che non si riesce a finire si lascia ai poveri della città.
Il secondo precetto riguarda l’obbligo di donare la decima del raccolto ai poveri (che comprende l’obbligo della decima di ogni tipo di beni utili).
L’ultimo precetto è quello che ci ordina di non richiedere indietro un prestito se è passato il settimo anno, l’anno sabbatico, poiché dopo questo periodo tutti i crediti vengono annullati (se non si fa pruzbul: un meccanismo mediante il quale i debiti vengono trasferiti a un bet din-tribunale religioso, rendendo pubblici i debiti privati e quindi esigibili). Ma dice la Torà di fare attenzione nel sesto anno di evitare di prestare ai bisognosi per via della paura che, arrivato l’anno sabbatico, i crediti saranno annullati.

Questi tre precetti hanno in comune un punto: l’uomo non deve mai dimenticare chi è il vero padrone del suo guadagno. La natura umana è quella di darsi tanti meriti quando si ha successo e dimenticarsi la vera fonte di tutte le benedizioni: IL CREATORE.
Purtroppo la nostra indole è quella di ragionare con DUE PESI E DUE MISURE: il successo è merito nostro e il dolore è “colpa di Dio”! Quando le cose vanno male è sempre colpa di Dio e ce la “prendiamo con Lui perché ci fa andare le cose storte”. Quando si ha successo l’ego umano riesce sempre a sostituirsi alla vera fonte delle benedizioni.
Questo spiega lo stato di depressione o tristezza causato dalle perdite economiche: poiché non riusciamo a vedere e capire che tutto è programmato dall’alto e che noi dobbiamo solo fare il massimo sforzo per cogliere la benedizione divina.
Ovvero non è colpa nostra e non è merito nostro se “non scende la pioggia per irrigare i campi seminati”, quindi è inutile e dannoso cadere nelle tristezza o depressione per i nostri mancati guadagni.

A questo punto capiamo la logica della sequenza dei tre precetti nella porzione di Ree di questa settimana:
1.    Portare il raccolto del quarto anno a Gerusalemme significa che non siamo noi i veri padroni del raccolto. Dopo 3 anni che non abbiamo potuto godere della fatica del nostro seminato, Hashèm ci chiede di andare alla città santa per mangiare il raccolto del quarto anno. Come a dire di non illudersi di poter fare quello che vogliamo con i nostri beni e che il GUADAGNO E’ MERITO NOSTRO.
2.    Dopo la prima lezione arriva la seconda che ci insegna a dare la decima ai poveri. Ma se noi abbiamo faticato perché dobbiamo dare il 10% agli altri??? Qui la lezione è più forte del precedente precetto dove noi godiamo del guadagno, anche se dobbiamo farlo nella città santa. In questo caso dobbiamo dare ad ALTRI quello che abbiamo faticato NOI CON IL NOSTRO SUDORE. Questo per insegnarci che anche il nostro guadagno in realtà è la benedizione dall’Alto. Hashèm che è socio di maggioranza del nostro utile si accontenta del 10%.
3.    Infine col terzo precetto impariamo che non solo bisogna dare ai bisognosi, ma bisogna anche imprestare a un amico che non è povero pur sapendo che si rischia di non poter riscuotere il credito.

Quando applichiamo le regole divine impariamo dei messaggi celati che sono la medicina MIGLIORE per avere una vita sana, felice e armoniosa.

Quando siamo consapevoli che noi siamo solo delle marionette e che il successo non è merito nostro ma di Dio, allora avremo una benedizione infinita poiché non saremo più limitati al successo umano che è limitato.
Come si dice in italiano: SIAMO NELLE MANI DI DIO.
La lettura si conclude: chi è largo con il prossimo e capisce chi è il vero padrone è degno di una benedizione infinita e grande soddisfazione dei suoi beni.

Come scrive il Tanya: “Chi semina tzedakà (opere benevoli) ha una ‘ricompensa’ di verità” (Proverbi 11). La parola “semina”, relativo alla carità, si riferisce al fatto che essa fa “germogliare” la Verità Superna, la verità di Hashèm, proprio come una pianta che germoglia rivela ciò che è stato seminato in precedenza. Questo si ottiene attraverso atti di bontà e di vera gentilezza.

La Torà è il nostro manuale di vita. Come ogni oggetto va usato secondo il suo compendio, così anche la nostra vita, psiche e anima funzionano come “Dio comanda” e quando si seguono le norme di come sono stati creati, funzionano in maniera ottimale.
Quando seguiamo gli insegnamenti saremo sempre felici, perché stiamo seguendo il manuale per come siamo stati creati.

Un augurio di benedizione infinita e tanto successo.

 

Una storia commovente ci aiuterà a capire la riflessione di questa settimana e il significato profondo delle prove della vita, delle sfide continue che potrebbero metterci in crisi.
Come dice la nostra parashà quando abbiamo una difficile prova dobbiamo sapere che è un dono dall’Alto per risvegliare in noi una forza infinita nascosta.
La vita è come una montagna russa: più è grande la discesa e più è grande la salita dopo!
*
Il rabbino Fischel Schachter ha raccontato la storia successa verso la fine anni 50’, di una donna sopravvissuta all’Olocausto, che si stabilì in America dopo la guerra e rimase sposata per dodici anni senza avere figli. Un giorno era seduta in uno studio medico in Madison Ave. a Manhattan, e il dottore, esaminando le sue cartelle cliniche, le disse: “Signora, per favore mi ascolti. Lo dico a suo vantaggio: si arrenda. Dal punto di vista medico, non c’è niente che possiamo fare perché lei possa avere figli. Quando i capelli cresceranno dal mio palmo, allora avrà un figlio (ovvero mai)».

La donna se ne andò e salì sull’autobus di Madison Avenue. Durante il viaggio, ha osservato la sua vita passata. Ha ricordato gli orrori che ha vissuto da ragazza in Polonia, quando la famiglia aveva una botola sotto il tavolo della sala da pranzo e andavano a nascondersi sotto il pavimento quando i nazisti si avvicinavano. Si era offerta volontaria per chiudere la botola, metterci sopra il tappeto e poi nascondersi sopra un mobile. Quando era nascosta tutta rannicchiata nel suo nascondino, ascoltava terrorizzata mentre i nazisti perquisivano la casa, rompendo i mobili mentre passavano da una stanza all’altra. Più volte, la famiglia è stata salvata. Ma alla fine, i nazisti notarono un punto debole sul pavimento e scoprirono la botola. Questa ragazza vide i nazisti trascinare via la sua famiglia. Lei era l’unica sopravvissuta alla guerra.

Una volta arrivata in America, voleva disperatamente fondare una famiglia per dare continuità alla sua famiglia e al popolo di Israèl. E ora, dopo dodici lunghi anni, le sue speranze erano andate in frantumi.
Disse a se stessa: “Non ho motivo di scendere da questo autobus la mia vita non ha più senso”. E così rimase sull’autobus, seduta lì per il resto della giornata. Alla fine della giornata, l’autista l’ha informata che stava guidando l’autobus fino al garage per la notte e che doveva scendere.
“Non ho niente per cui vivere per cui non ho ragione di scendere”, mormorò!
“Ascolta, signora”, disse l’autista, “ho avuto una giornata difficile. Non so quale sia il tuo problema, ma non lo risolverai restando su questo autobus, la soluzione è altrove”.
Scese dall’autobus e disse: “Padrone del mondo, sei sempre stato con me. Mi hai salvato la vita innumerevoli volte, ho visto l’orrore davanti ai miei occhi e mi hai portato qui, l’unica rimasta della mia famiglia. Mi hai permesso di ricominciare la mia vita, e così sono nelle Tue mani. Non ho il diritto di arrendermi. L’autista dell’autobus ha assolutamente ragione: non mi hai salvato la vita perché vivessi sull’autobus di Madison Avenue. Per favore dimmi cosa fare, non mi arrenderò. Continuerò a servirti, qualunque cosa accada”.
Un anno dopo questa signora ha avuto un figlio contro ogni logica e al contrario del pronostico del dottore di Madison av.
Quel bambino è cresciuto, si è sposato e ha avuto nipoti. Quando questa donna è morta, aveva abbastanza nipoti e pronipoti da far rizzare i capelli a quel dottore…

Il rabbino Fischel Schachter, uno studioso acclamato e molto amato, caloroso conferenziere internazionale, affascinante narratore e autore di libri di Torà e altro, ha aggiunto di aver sentito questa storia in prima persona dalla donna stessa, che conosceva abbastanza bene. Era sua madre.

Il rabbino ha concluso dicendo che ci sono momenti nella nostra vita in cui le nostre speranze andranno in frantumi e tutto ciò su cui abbiamo puntato andrà improvvisamente perduto. In tali momenti, possiamo facilmente cadere nella disperazione e provare un senso di tradimento o disperazione. Ma non dobbiamo arrenderci. Dovremmo invece dire, come ha fatto sua madre: “Hashèm, non devo capire, ma tutto nella mia vita è nelle tue mani. Farò del mio meglio per riuscire nella difficile posizione in cui mi hai messo e non ascoltare il dottore di Madison av.”. Se possiamo farlo, allora avremo l’emunà e fede per superare le difficili sfide della vita e solo così apriamo le porte alla salvezza e alle benedizioni infinite che altrimenti non sarebbero mai state disponibili per noi, se non grazie alla prova superata.
LE PROVE NON SONO UN DOLORE SONO BENEDIZIONI POTENTISSIME SUPERIORI AL NORMALE!

BENEDIZIONI OCCULTE E DA NOI RIVELATE La quarta sezione del libro del Deuteronomio, Reè, continua il discorso di addio di Moshè a Israèl. Moshè inizia esortando le persone a “vedere” (reè, in ebraico) come Hashèm ha dato loro la scelta tra una vita di benedizioni o una di maledizioni. La scelta è loro e anche nostra! Anche in questa vigilia di Shabbàt vi proponiamo un estratto del libro “Saggezza Quotidiana” basato sugli insegnamenti chassidici del Rebbe e dei suoi predecessori di imminente pubblicazione. Abbiamo selezionato due insegnamenti molto profondi e utili per le nostre vite. Cosa hanno in comune una benedizione e una maledizione? Verrebbe da rispondere che una è “male” e l’altra è “bene”, ma è proprio così? Inoltre, come possiamo agevolare la nostra ricchezza? Dobbiamo solo impegnarci di più nel lavoro e/o spendere di meno? Gli insegnamenti chassidici ci aiuteranno a trovare una risposta. Tuttavia, è utile premettere come noi, grazie ai nostri atti di bontà, in particolare attraverso la tzedakà (comunemente tradotta come “beneficenza”) possiamo veramente trasformare noi stessi e il mondo che ci circonda in meglio. Il motivo è che attraverso la tzedakà riveliamo – riflettendola e attirandola in basso, concretamente e palesemente – la bontà di Hashèm, le sue benedizioni. * Vedere e Credere [Moshè disse al popolo di Israèl nel nome di Hashèm] «Vedi, oggi pongo di fronte a voi una benedizione e una maledizione». (11, 26)

Moshè esorta Israèl a capire che Hashèm dà loro la scelta tra il bene e il male. Questa scelta determinerà una vita di benedizioni o una di maledizioni.

Una maledizione divina è in realtà una benedizione troppo grande per essere rivelata nel nostro mondo limitato e pertanto deve essere “mascherata” come una maledizione. La nostra sfida è di vedere in questa diversa prospettiva, piuttosto che cadere nella trappola di arrabbiarsi con Lui. Quindi, il dolore e la negatività esistono per fornirci una libera scelta. La libera scelta, a sua volta, esiste per permetterci di guadagnare i frutti delle nostre scelte, pertanto non dobbiamo sentirci indegni delle benedizioni che Egli ci ha donato. Quando riconosciamo che il male esiste, unicamente per fornirci la libera scelta di rifiutarlo, la nostra lotta con esso diventa molto più facile.

Tratto dal nuovo libro in stampa “Saggezza Quotidiana”.

Carità e Ricchezza

Moshè insegna a Israèl che dopo aver colonizzato la terra d’Israele e aver iniziato a lavorare la terra, Hashèm lo obbligherà a portare un decimo del suo olio, vino e grano nella città del Tempio per consumarli lì. Ciò assicura che le persone visiteranno regolarmente Gerusalemme (che viene scelta come città – tempio) per rinnovare il loro fervore spirituale.

[Moshè disse al popolo di Israèl] «Devi prelevare la decima di tutti i frutti del seme che il campo produce anno dopo anno». (14, 22)

Questo versetto include l’istruzione di donare una parte delle nostre entrate in beneficenza. I saggi talmudici hanno sottolineato che la somiglianza delle parole ebraiche per “decima” (ta’assèr) e “diventa ricco” (tit’ashèr) allude al fatto che Hashèm ricompensa coloro che danno carità con abbondanti ricchezze. Inoltre, quando decidiamo di donare la carità oltre i nostri mezzi, Hashèm ci concede la ricchezza necessaria per permetterci di dare la carità che abbiamo deciso di donare.

Tratto dal nuovo libro in stampa “Saggezza Quotidiana”.

Un caro Shabbat Shalom

Rav Shlomo Bekhor

COME SEMINARE FELICITÀ

Un istituto di beneficenza ebraico non aveva mai ricevuto una donazione dall’uomo più ricco della comunità, così il rabbino David, il direttore esecutivo dello tzedakà (beneficenza) telefona al ricco signore:
“Dai nostri documenti risulta che lei è un uomo molto ricco, ma non hai mai dato neanche un centesimo in beneficenza”, inizia il rabbino, “Non vorreste aiutare la comunità?”.
L’uomo risponde: “Nei suoi documenti è anche scritto che mia madre è gravemente malata e delle costosissime cure mediche a cui deve sottoporsi?”.
“Ehm, no,” mormorò il rabbino.
“O che mio fratello è cieco e disoccupato? O che il marito di mia sorella è morto lasciandola al verde con quattro figli?”.
“Io … io … non ne avevo idea” risponde il sempre più imbarazzato rabbino.
“Allora” disse l’uomo “se non do i soldi NEANCHE a loro, perché dovrei darli a te?”.

Nella porzione della Torà che leggiamo questo Shabbat troviamo tre precetti simili ma, allo stesso tempo, diversi. Anche l’ordine con cui sono stati scritti ha un significato importante: rappresentano un processo di evoluzione crescente.
Il primo precetto riguarda il raccolto di una nuova pianta: il divieto di cibarsi del frutto di ogni albero nuovo per i primi 3 anni. E di portare il raccolto dei frutti del quarto anno a Gerusalemme e mangiarlo nella città santa. Ovviamente ciò che non si riesce a finire si lascia ai poveri della città.
Il secondo precetto riguarda l’obbligo di donare la decima del raccolto ai poveri (che comprende l’obbligo della decima di ogni tipo di beni utili).
L’ultimo precetto è quello che ci ordina di non richiedere indietro un prestito se è passato il settimo anno, l’anno sabbatico, poiché dopo questo periodo tutti i crediti vengono annullati (se non si fa pruzbul: un meccanismo mediante il quale i debiti vengono trasferiti a un bet din-tribunale religioso, rendendo pubblici i debiti privati e quindi esigibili). Ma dice la Torà di fare attenzione nel sesto anno di evitare di prestare ai bisognosi per via della paura che, arrivato l’anno sabbatico, i crediti saranno annullati.

Questi tre precetti hanno in comune un punto: l’uomo non deve mai dimenticare chi è il vero padrone del suo guadagno. La natura umana è quella di darsi tanti meriti quando si ha successo e dimenticarsi la vera fonte di tutte le benedizioni: IL CREATORE.
Purtroppo la nostra indole è quella di ragionare con DUE PESI E DUE MISURE: il successo è merito nostro e il dolore è “colpa di Dio”! Quando le cose vanno male è sempre colpa di Dio e ce la “prendiamo con Lui perché ci fa andare le cose storte”. Quando si ha successo l’ego umano riesce sempre a sostituirsi alla vera fonte delle benedizioni.
Questo spiega lo stato di depressione o tristezza causato dalle perdite economiche: poiché non riusciamo a vedere e capire che tutto è programmato dall’alto e che noi dobbiamo solo fare il massimo sforzo per cogliere la benedizione divina.
Ovvero non è colpa nostra e non è merito nostro se “non scende la pioggia per irrigare i campi seminati”, quindi è inutile e dannoso cadere nelle tristezza o depressione per i nostri mancati guadagni.

A questo punto capiamo la logica della sequenza dei tre precetti nella porzione di Ree di questa settimana:
1. Portare il raccolto del quarto anno a Gerusalemme significa che non siamo noi i veri padroni del raccolto. Dopo 3 anni che non abbiamo potuto godere della fatica del nostro seminato, Hashèm ci chiede di andare alla città santa per mangiare il raccolto del quarto anno. Come a dire di non illudersi di poter fare quello che vogliamo con i nostri beni e che il GUADAGNO E’ MERITO NOSTRO.
2. Dopo la prima lezione arriva la seconda che ci insegna a dare la decima ai poveri. Ma se noi abbiamo faticato perché dobbiamo dare il 10% agli altri??? Qui la lezione è più forte del precedente precetto dove noi godiamo del guadagno, anche se dobbiamo farlo nella città santa. In questo caso dobbiamo dare ad ALTRI quello che abbiamo faticato NOI CON IL NOSTRO SUDORE. Questo per insegnarci che anche il nostro guadagno in realtà è la benedizione dall’Alto. Hashèm che è socio di maggioranza del nostro utile si accontenta del 10%.
3. Infine col terzo precetto impariamo che non solo bisogna dare ai bisognosi, ma bisogna anche imprestare a un amico che non è povero pur sapendo che si rischia di non poter riscuotere il credito.

Quando applichiamo le regole divine impariamo dei messaggi celati che sono la medicina MIGLIORE per avere una vita sana, felice e armoniosa.

Quando siamo consapevoli che noi siamo solo delle marionette e che il successo non è merito nostro ma di Dio, allora avremo una benedizione infinita poiché non saremo più limitati al successo umano che è limitato.
Come si dice in italiano: SIAMO NELLE MANI DI DIO.
La lettura si conclude: chi è largo con il prossimo e capisce chi è il vero padrone è degno di una benedizione infinita e grande soddisfazione dei suoi beni.

Come scrive il Tanya: “Chi semina tzedakà (opere benevoli) ha una ‘ricompensa’ di verità” (Proverbi 11). La parola “semina”, relativo alla carità, si riferisce al fatto che essa fa “germogliare” la Verità Superna, la verità di Hashèm, proprio come una pianta che germoglia rivela ciò che è stato seminato in precedenza. Questo si ottiene attraverso atti di bontà e di vera gentilezza.

La Torà è il nostro manuale di vita. Come ogni oggetto va usato secondo il suo compendio, così anche la nostra vita, psiche e anima funzionano come “Dio comanda” e quando si seguono le norme di come sono stati creati, funzionano in maniera ottimale.
Quando seguiamo gli insegnamenti saremo sempre felici, perché stiamo seguendo il manuale per come siamo stati creati.

Un augurio di benedizione infinita e tanto successo.

Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor

לעילוי נשמת אבי מורי ורבי ועטרת ראשי
יעקב בן רחל ושלמה
In memoria di mio padre Yaakov ben Shelomo

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Nel Talmùd (Sanhedrìn 90b) è raccontato che la regina Cleopatra chiese a rabbi Meìr: «Io so che i morti vivranno di nuovo, poiché è scritto: ed essi spunteranno dalla città come l’erba dalla terra (Salmi 72, 16). Ma quando si alzeranno, saranno nudi o vestiti?». Egli rispose: «Puoi dedurre la risposta osservando un chicco di grano che viene introdotto, sepolto “nudo” nella terra, esso ne scaturisce avvolto in molte vesti; tanto più lo saranno i giusti, che vengono sepolti nei loro abiti».

La resurrezione dei morti è uno dei pilastri della fede ebraica. Senza questa fede e certezza manca uno dei fondamenti della fede.

Anche se il corpo si decompone in realtà è solo un’apparenza, perché c’è un osso che non si decompone mai e che si chiama LUZ.

Questo è il primo osso della colonna vertebrale che, guarda caso, è proprio quell’osso dove è scritto tutto il DNA della persona.

Questa è la ragione per la quale secondo la Torà non bisogna cremare i corpi dei defunti, perché di fatto si andrebbe in contrasto con la fede relativa alla ricomposizione del corpo.

Sappiamo che il lutto è diviso in tre stadi: la settimana, i trenta giorni e il primo anno.

Questa differenza è collegata con i tre cicli che l’anima deve passare di rettificazione e giudizio: il primo ciclo è molto severo, il secondo lo è in misura inferiore e successivamente meno ancora.

Così anche il nostro lutto segue in parallelo questi tre cicli e il lutto si alleggerisce per via dell’alleggerimento che l’anima subisce durante il primo anno.

Questo settimana il 5 di Elul (5 Settembre) commemoro il trentesimo di mio padre, perciò ho voluto dedicare la riflessione su questo argomento, in memoria di mio padre Yakov ben Shlomo: che la sua dipartita aiuti ad aumentare la nostra fede nell’era messianica e nella resurrezione dei morti.

(continua sotto)

Shabbàt e domenica sarà Rosh Khodesh Elùl, l’ultimo mese dell’anno. Si tratta di un momento importante; infatti,  Elùl è il periodo dove la grazia divina è più presente. Non a caso, nel corso di questo mese, Moshé, dopo aver passato 40 giorni sulla montagna, ricevette la misericordia e il perdono di Ha-Shèm, per questa ragione i sefaraditi iniziano proprio dal mese Elùl a recitare le selihot.

In questo mese, occorre impegnarsi più del solito ad adempiere le mitzvòt,inoltre è bene abbondare in tzedakà che, insieme allo studio della Torà e alla preghiera, è uno dei tre pilastri che sorreggono il mondo. La tzedakà, infatti pervade di spiritualità la materia: avvicina le persone livellando le disuguaglianze economiche e, soprattutto, ci rende simili ad Ha-Shèm,poiché ci fa abbandonare il consueto ruolo di “chi riceve” e assumere quello di “chi dà”.

Approfittiamo di questo periodo per “esercitarci” in questa mitzvà! Mettiamo un bossolo nelle nostre case, in ufficio o in macchina; e insegniamo ai nostri figli a investire tempo e denaro a favore del prossimo.

Ti riporto un commento di grande insegnamento di vita ed equilibrio anima e corpo.

Un augurio di benedizione infinita e tanto successo.

Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it.

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Un caloroso Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor

LIVELLI DELL’ANIMA
Al seguente link troverai il ciclo di 14 MEGA lezioni sui 5 livelli dell’anima in formato mp3:
http://www.virtualyeshiva.it/2012/08/06/ciclo-di-lezioni-di-mistica-e-chassidut-i-due-livelli-dellanima/Al seguente per scaricare direttamento sul cell la prima:
http://www.virtualyeshiva.it/files/07_05_28_khasidut_5livellianima_khaya1_volere_shavuot_matrimonio.mp3

CICLO DI LEZIONI DI MISTICA E KHASSIDUT:

I LIVELLI DELL’ANIMA

Hashem ha creato l’anima che è una parte di se stesso, qualcosa quindi di divino e l’ha suddivisa in cinque livelli:

néfesh, rùakh, neshamà, khayà, yekhidà.
Il livello più basso dell’anima è il livello di nefesh da cui derivano le energie di tutte le azioni fisiche: scrivere, parlare ecc.
Il secondo livello dal basso è quello di rùakh da cui viene fuori l’energia che genera i sentimenti: bontà, rigore, clemenza ecc.
Il terzo livello dell’anima è neshamà con cui si acquisisce la forza di riflettere, di usare l’intelletto. E’ importante porre l’accento sul fatto che il sentimento e l’intelletto appartengono a due distinti livelli dell’anima e che quest’ultimo è per sua natura, superiore al sentimento.
Continuando ancora lungo i sentieri dell’anima approdiamo ai suoi due ultimi livelli, sempre partendo dal basso, che sono: khayà e yekhidà. Il livello di khayà corrisponde al volere dell’anima, mentre il livello di yekhidà rappresenta l’apice e l’essenza dell’anima e corrisponde al piacere.

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ESISTE LA RESURREZIONE DEI MORTI?

(continua da sopra)

Pietra miliare della fede nell’avvento messianico, la Resurrezione dei Morti affonda le radici nel periodo dei profeti ma la sua fonte risale comunque alle allusioni contenute nel Pentateuco.

I nostri occhi e le nostre menti di esseri umani non possono guardare né percepire ciò che è avvenuto prima della nostra nascita. A maggior ragione, non sono neppure in grado di vedere cosa ci accadrà domani o in un futuro più lontano. Per questo, ogni volta che i saggi ci illuminano a proposito di questo futuro incognito, attribuiamo inestimabile valore a ognuna delle loro parole e consideriamo i loro insegnamenti come fossero perle. I loro occhi “telescopici” riescono a vedere molto oltre i nostri e a scoprire segreti profondi che solo loro sono in grado di rivelare e trasmettere all’umanità.

Ormai, per molte persone, l’espressione talmudica hilchetà lemeshichà (legge per i giorni del Messia) non riguarda più un’epoca così lontana da sembrare priva di significato concreto o irreale: si tratta invece di un’era che – come promesso e garantito più volte dal Rebbe di Lubavitch – è proprio alle porte!

Come spiega infatti Maimonide – e approfondisce il Rebbe – lo studio dei concetti e delle leggi dell’epoca che seguirà la venuta del Messia avvicina concretamente quel momento, oltre a permetterci di non farci cogliere “impreparati” quando ci troveremo di fronte a questa realtà che non sarà più soltanto un sogno o una speranza.

Come Prima Più di Prima

Nello Zohàr è scritto che i zadikim, ovvero le persone giuste, da quando lasciano il corpo hanno una grande elevazione spirituale nei mondi superiori, ma non solo. Anche nel mondo materiale possono realizzare molto più di quanto potevano fare prima perché non hanno più i limiti del corpo e possono essere in più posti allo stesso tempo e possono influenzare migliaia di persone contemporaneamente in maniera infinita, senza limitazioni.

È vero che il corpo di un giusto, come quello di un profeta, non ha alcuna influenza sull’anima perché il zadik non ha l’istinto per il male e il corpo è come se fosse nullo davanti a un’anima molto alta, ma comunque un minimo di limitazione rimane, e solamente quando l’anima lascia il corpo allora tutti i suoi ideali e progetti vengono benedetti e amplificati in maniera fortissima, poiché allora l’anima trasmette l’infinita forza divina non essendo essa più soggetta ai limiti del corpo.

Inoltre lo Zohàr dice che l’anima del marito non abbandona mai la moglie quando il marito viene a mancare prima della moglie, poiché l’anima del marito si accoppia a quella della moglie e l’aiuta da dentro, non da fuori come prima. Ovvero il supporto è molto più grande anche se in apparenza sembra inferiore.

Altri maestri dicono che questo vale anche per i figli: dopo la dipartita di un genitore la presenza della sua anima si unisce a quella dei figli e gli aiuta da dentro e non da fuori, anche perché quando l’anima non ha più i limiti del corpo può dare un apporto molto più alto, a tutti i suoi famigliari e amici.

Posso dire che io personalmente sento questa forza maggiore dopo la dipartita di mio padre e, come per ogni cosa, esiste il mezzo bicchiere pieno e il mezzo vuoto. Per cui anche in questa circostanza abbiamo il dovere di cercare il lato positivo in una perdita di un genitore che è molto dolorosa, ma bisogna andare avanti col ciclo della vita e bisogna fare leva sul lato positivo di una dipartita per poter aumentare gli insegnamenti ricevuti dal genitore, per aumentare i progetti benevoli che il genitore ci ha insegnato a fare e dopo che l’anima si è separata dal corpo può aiutare molto di più a raggiungere quegli obiettivi che sembravano molto difficili, perché abbiamo una marcia in più.

Questo anche spiega il perché i figli e i parenti possono raggiungere dei successi ben superiori: quando l’anima non è più condizionata dai limiti del corpo può influenzare i suoi famigliari in un’abbondanza che non ha paragoni.

Vorrei concludere con un racconto di vita molto importante.

Solo Due Calzini

Questa è una storia vera accaduta non tanto tempo fa.

Si racconta di un membro della famiglia Raichman, una delle famiglie più ricche d’Europa, che era ormai sul punto di lasciare questo mondo. Egli lasciò ai figli e ai familiari due testamenti e disse loro: il primo lo leggerete al momento della mia morte, mentre l’altro lo leggerete solo dopo un mese che mi avranno seppellito. I figli promisero al padre che il suo ultimo desiderio sarebbe stato esaudito, e lo salutarono.

Il signor Raichman morì e i suoi familiari si riunirono per leggere il primo testamento: «Vi chiedo come ultimo desiderio di essere seppellito con il paio di calze che indosso a cui sono molto affezionato e da cui non voglio staccarmi a nessun prezzo e SOLO ESEGUENDO QUESTA CONDIZIONE POTRETE RICEVERE LA MIA EREDITA’».

I figli furono stupiti per la richiesta del padre, si consultarono tra loro ma non trovarono una soluzione. Chiesero ai rabbini, e loro sconcertati dissero che secondo la halachà (legge ebraica) loro padre doveva essere seppellito solamente con un lenzuolo bianco, nient’altro. I figli provarono in tutte le maniere e con tutti i mezzi di persuadere il Bet Din ma non ci fu verso. Dissero i rabbini: «Vi assicuriamo che l’anima di vostro padre, ora che è vicina al padre eterno, sa che non bisogna essere seppelliti con indumenti ed è molto più contenta nel seguire la legge».

Non fu semplice trovare la soluzione, ormai bisognava procedere al funerale e ancora i famigliari tentavano di rimandare. Alla fine furono obbligati di seguire la legge e Raichman fu seppellito senza i suoi amatissimi calzini.

Dopo un mese, i figli desolati e tristi per non essere riusciti ad accontentare l’ultimo desiderio del padre e forse anche per l’eredità che stavano perdendo, si riunirono per leggere il secondo testamento in cui era scritto: «Cari figli e figlie e famigliari. Sapevo che mi avreste seppellito senza calze. La legge è uguale per tutti non importa quanti zeri in banca uno ha!!! Non preoccupatevi e non siate tristi.

Ho voluto solo darvi un’importante lezione di vita, forse una delle mie lezioni più importanti: con tutti i milioni di dollari che vi ho lasciato ero preoccupato che i soldi vi dessero alla testa e vi sareste comportati con orgoglio non aiutando il prossimo con umiltà come D-o ci comanda. Ebbene sappiate che quando una persona lascia il mondo fisico, non porta con sé niente nella bara, nemmeno un misero paio di calze!».

Ci auguriamo che questi i insegnamenti aiutino a  diffondere i valori millenari della Torà, ad avvicinare la tanto attesa venuta del Messia e la Resurrezione, presto ai nostri giorni, amèn!

(alcune parti estratte dal libro della resurrezione dei morti pubblicato da Mamash VIVERE E VIVERE ANCORA)

Shabbàt e domenica sarà Rosh Khodesh Elùl, l’ultimo mese dell’anno. Si tratta di un momento importante; infatti,  Elùl è il periodo dove la grazia divina è più presente. Non a caso, nel corso di questo mese, Moshé, dopo aver passato 40 giorni sulla montagna, ricevette la misericordia e il perdono di Ha-Shèm, per questa ragione i sefaraditi iniziano proprio dal mese Elùl a recitare le selihot.

In questo mese, occorre impegnarsi più del solito ad adempiere le mitzvòt,inoltre è bene abbondare in tzedakà che, insieme allo studio della Torà e alla preghiera, è uno dei tre pilastri che sorreggono il mondo. La tzedakà, infatti pervade di spiritualità la materia: avvicina le persone livellando le disuguaglianze economiche e, soprattutto, ci rende simili ad Ha-Shèm,poiché ci fa abbandonare il consueto ruolo di “chi riceve” e assumere quello di “chi dà”.

Approfittiamo di questo periodo per “esercitarci” in questa mitzvà! Mettiamo un bossolo nelle nostre case, in ufficio o in macchina; e insegniamo ai nostri figli a investire tempo e denaro a favore del prossimo.
Ti riporto un commento di grande insegnamento di vita ed equilibrio anima e corpo.

Un augurio di benedizione infinita e tanto successo.

Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it.

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Un caloroso Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor

LIVELLI DELL’ANIMA
Al seguente link troverai il ciclo di 14 MEGA lezioni sui 5 livelli dell’anima in formato mp3:
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CICLO DI LEZIONI DI MISTICA E KHASSIDUT:

I LIVELLI DELL’ANIMA

Hashem ha creato l’anima che è una parte di se stesso, qualcosa quindi di divino e l’ha suddivisa in cinque livelli:

néfesh, rùakh, neshamà, khayà, yekhidà.
Il livello più basso dell’anima è il livello di nefesh da cui derivano le energie di tutte le azioni fisiche: scrivere, parlare ecc.
Il secondo livello dal basso è quello di rùakh da cui viene fuori l’energia che genera i sentimenti: bontà, rigore, clemenza ecc.
Il terzo livello dell’anima è neshamà con cui si acquisisce la forza di riflettere, di usare l’intelletto. E’ importante porre l’accento sul fatto che il sentimento e l’intelletto appartengono a due distinti livelli dell’anima e che quest’ultimo è per sua natura, superiore al sentimento.
Continuando ancora lungo i sentieri dell’anima approdiamo ai suoi due ultimi livelli, sempre partendo dal basso, che sono: khayà e yekhidà. Il livello di khayà corrisponde al volere dell’anima, mentre il livello di yekhidà rappresenta l’apice e l’essenza dell’anima e corrisponde al piacere.——-

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http://www.virtualyeshiva.it/voglio-aiutare/La lezione approfondisce questi punti, attingendo da fonti midrashiche, testi di mistica ebraica e khassidici, in una cornice unica, chiara e comprensibile per tutti, alla luce degli insegnamenti dei grandi Maestri dell’ebraismo.

Sangue e Anima

Nella parashà di questa settimana troviamo il divieto di cibarsi del sangue:

“Trattieniti però da mangiare il sangue, lo dovrai versare a terra come fai con l’acqua” (Devarim 12, 16)

E ancora:

“Trattieniti però dal mangiare il sangue perché il sangue è la vita (nefesh)…” (Devarim 12, 23)

Per quale motivo la Torà ci vieta di mangiare il sangue?

Proveremo a dare una risposta a questa domanda leggendo i versetti sopra riportati nella prospettiva della mistica ebraica.

Adamo è il nome del primo uomo che viene dall’ebraico ADAM. In realtà Adam non è solo il nome proprio del primo uomo, ma anche il nome comune di ogni uomo:

Questo parola racchiude l’essenza dell’essere umano composto di spirito e materia. A differenza degli animali l’uomo racchiude due opposti e ha la missione di equilibrarli, poiché in questo mondo siamo nel TIKKUN – dell’equilibrio.

La lingua ebraica è la lingua santa e ogni lettera racchiude un’energia che rappresenta l’essenza di ogni parola. Perciò la parola Adam, essere umano, è composta dalle lettere ebraiche che rappresentano la sua essenza: Alef, Dalet, Mem. Quindi la parola ADAM può essere divisa in due parti:

Alef, simboleggia la presenza divina, poiché Alef ha un valore numerico pari ad uno; come si dice nello Shemà Israel che “Hashem ekhad”, “Dio è Uno”. Mentre le altre due lettere Dalet-Mem significa “dam” – “sangue”, poiché queste due lettere rappresentano la parte “inferiore” dell’essere umano, la parte istintiva, “sanguigna”. Infatti l’uomo è composto da un’anima divina e dalla parte sanguina che rappresenta il corpo.

Non ha caso nei versi sopra riportati si mette in relazione il sangue con “nefesh”: ki hadam hu hanefesh – poiché il sangue è l’anima.

Nefesh in ebraico si può intendere sia persona che anima, in una prospettiva mistica rappresenta il livello più basso dell’anima, quello che gli esseri umani hanno in comune con gli animali. Nefesh può essere anche intesa come “l’anima animale”, poiché essa è la fonte dei nostri piaceri materiali.

Tuttavia è da essa che noi traiamo l’energia per muoverci, vivere e migliorare questo mondo. Quindi per impiegare al meglio la nostra nefesh, corpo fisico dobbiamo collegarla con la nostra parte spirituale per elevare la materia: da DAM – SANGUE alla Alef – Dio.

Il sangue rappresenta il massimo della materialità e dei piaceri come una bistecca fiorentina che è piena di sangue. Per questo la Torà pone il divieto di mangiare il sangue, poiché nutrendoci della materialità estrema noi degradiamo la ALEF nel DAM: un percorso opposto al TIKUN.

Quindi la vera essenza dell’essere umano è quella simboleggiata dalla parola Adam: l’equilibrio tra spirito e materia e l’unione fra i due.

In particolare nel mese di Elùl (che il capomese Rosh Khodesh è Shabbat e domenica) abbiamo la forza per collegare la nostra parte animale con quella più santa e vicina a Dio. Solo compiendo le mitzvòt riusciremmo a pervadere la materia di santità e così far “scendere” la grazia e misericordia divina sopra di no.

Come si ottiene l’equilibrio: TIKKUN

Questo concetto trova riscontro in un insegnamento del grande Baal Shem Tov che commenta il Salmo 34, 15 in maniera innovativa, ci avverte e consiglia di utilizzare al meglio, in questo mondo, il nostro Adam, Alef+nefesh:

סוּר מֵרָע וַעֲשֵׂה טוֹב בַּקֵּשׁ שָׁלוֹם וְרָדְפהוּ

Stai lontano dal male e fai il bene; cerca la pace e rincorrila

Ogni oggetto fisico, il cui uso è consentito, possiede elementi buoni e cattivi. L’elemento materiale è male, mentre la forza vitale Divina, che rende il fisico vivente, è Bene. La persona che utilizza l’oggetto fisico deve “stare lontano dal male”, non desiderando il piacere fisico, la materialità fine a se stessa, e “fare il bene”, cioè cercare la vitalità Divina che da vita a quell’oggetto. Chi sta lontano dal male (lato materiale) e fa il bene (lato spirituale), mette pace tra il fisico e la Forza Divina che lo anima, crea equilibrio TIKKUN tra materia e spirito e porta pace nel mondo.

 REE 5770 – PERCHE’ L’EBRAISMO NON CREDE NEL CRISTIANESIMO?
Tredici secoli prima dello sua nascita, Moshè ammonisce il popolo sulla fede cristiana!