KEDOSHIM 5784: TRE LEZIONI
Questo Shabbàt 11 Maggio 2024, 3 del mese di IYÀR 5784 leggeremo la Parashà di Kedoshim
Lev 19:1 – 20:27
HAFTARÀ
Italiani: Ez 20:1-10
Sefarditi: Ez 20:2-20
Ashkenaziti: Amos 9:7-15
Dio amava gli uccelli e inventò gli alberi. L’uomo amava gli uccelli e inventò le gabbie
[Jacques Deval]
Dei di Metallo
“Non fatevi dei con il metallo fuso”, ci insegna la Torà nella porzione di Kedoshìm (19, 4).
Come potrebbe una persona intelligente credere che un pezzo di metallo sia Dio? Potremmo forse essere incuriositi da come le antiche società pagane attribuissero qualità divine a forze potenti e trascendenti della natura, come il sole, la luna, il vento, il fuoco, l’acqua, ecc. Ma perché un essere umano intelligente dovrebbe credere che Dio possa essere modellato in un metallo fuso? Anche se riuscissimo a spiegare come nell’antico mondo pagano, una simile idea potesse essere presa seriamente in considerazione, come si applica questo comandamento della Torà, un modello senza tempo per la vita umana, alle nostre vite di oggi?
QUANDO DIO DIVENTA UNA SCUSA PER AVERE PAURA
Una volta mi sono imbattuto in una bellissima interpretazione su questa problematica in uno scritto di Rabbi Mordekhai, pensatore e maestro chassidico brillante e creativo del XIX secolo, conosciuto come il Rebbe di Ishbitz: ciò che ci dice in realtà il versetto, “Non fatevi dei con il metallo fuso”, è di non costruire, di NON fare, un dio di uno stile di vita e di una “Weltanschauung” (concezione del mondo, della vita, e della posizione in esso occupata dall’uomo) che diventi per noi come “metallo fuso”; come qualcosa che viene fuso e solidificato in uno stampo fisso.
Una tendenza umana naturale, infatti, è quella di adorare ciò con cui si sente a suo agio. Adoriamo le nostre abitudini, modelli, atteggiamenti, routine e inclinazioni, semplicemente perché ci siamo abituati a essi e fanno parte della nostra vita. Adoriamo le icone, la cultura, la prospettiva e le emozioni con cui siamo cresciuti e che sono diventate la norma nelle nostre comunità, scuole e case. Le persone amano ciò che non le sorprende; vogliamo godere di un “dio” che si adatti ai loro paradigmi filosofici ed emotivi e alle zone di comfort. Tendiamo ad abbracciare ogni “dio fisso e fuso”, prima lo fissiamo come dio e poi lo realizziamo e fondiamo nelle nostre vite.
Questo vale per le persone religiose e laiche; per credenti e sedicenti atei o agnostici. “Non sconvolgere la mia casa”, è il richiamo della nostra psiche. “Ho già un dio stabilito; non minacciarlo…”, ossia: “ho già i miei modelli di pensiero e il mio sistema di vita a cui sono abituato” e se qualcuno sfida tali convinzioni la nostra reazione è quella di trattarla come un eretico o un villano.
A volte anche una persona religiosa può arrivare a investire tutta la sua vita nella costruzione di un’immagine personale di Dio, della verità, della realtà ultima. Lasciare andare una simile costruzione spesso è semplicemente troppo doloroso.
Sfida Perenne
Arriva la Torà e dichiara: Non trasformare il tuo “stampo prestabilito” nel tuo dio. Ossia, non trasformare in divinità le tue abitudini, i tuoi modelli naturali di pensiero, le tue paure, le tue inclinazioni o le tue dipendenze. Permettiti di cercare la verità. La VERA VERITÀ, quella nuda, cruda e autentica, anche se dolorosa. La vita è una questione di sfide, non di conformità. Lasciamo che la nostra anima sia incantata dal cercare continuamente di svelare i misteri, invece che di crogiolarsi in facili dogmi assoluti.
Non dovremmo dire mai: “Io sono così; questo è il modo in cui faccio le cose, non posso cambiare”. Non dovremmo mai pensare: “Questa è la visione del mondo con cui mi sento a mio agio; qualsiasi altro modo deve essere sbagliato”. Piuttosto, raccogliamo il coraggio di sfidare ogni istinto, tentazione e convenzione; mettiamo in discussione ogni dogma, compresi i dogmi che parlano in nome dell’apertura mentale, e vengono abbracciati semplicemente perché rientrano nella nostra “zona comfort”. Lasciamo che le nostre vite non diventino schiave di un modello particolare solo perché è così da molti anni o decenni, come il famoso detto: L’ABITUDINE DIVENTA UNA SECONDA NATURA.
Dio, il vero Dio, non è definito da alcuna convenzione; lasciamo libere le nostre anime senza confinarle in nessuna convinzione esterna. Sperimentiamo la libertà del nostro Creatore infinito.
Spesso cadiamo preda di una certa immagine di come dovrebbero essere le nostre vite; come dovrebbero essere i nostri matrimoni o i nostri figli; come dovrebbe essere la nostra missione ecc. Ma questo è un altro modo di modellare il nostro Dio con i limiti della nostra comprensione. Arriviamo a un punto in cui dobbiamo per forza aprirci alla possibilità che forse il nostro scopo nella vita sia completamente diverso da quello che abbiamo immaginato da sempre. Quando questo accade dobbiamo per forza smettere di chiederci cosa noi vogliamo da Dio e iniziare a chiederci cosa Dio vuole da noi.
Come Non È Dio
L’ebraismo non ha mai articolato chi è Dio e che aspetto ha. Ciò che ci ha insegnato è come NON appare Dio: Dio non dovrebbe mai essere definito da alcuna immagine che gli attribuiamo, scolpita dagli strumenti dei nostri bisogni, paure e aspirazioni consce o subconsce. Nella filosofia ebraica, per non parlare della Cabalà e del pensiero chassidico, non si parla mai di cosa sia Dio; solo di ciò che Egli non è: Dio non è un’estensione del mio essere o della mia immaginazione (Maimonide nella sua “Guida ai perplessi”).
Il termine comune in yiddish per chiamare Dio usato dai grandi mistici, pensatori e uomini e donne santi ebrei è “Oybershter”, che significa “più elevato”. Non Creatore, non Maestro, non Onnipotente, ma “Superiore”. Ciò che questo termine rappresenta è questa idea: non so cosa sia; tutto quello che so è che qualunque sia la mia definizione di verità e realtà, qualunque sia la mia definizione di Dio, Egli è “superiore” a quella. Tutto quello che so è che non lo so (Rebbe di Lubàvitch Shabbàt Parashà Toledòt 5751).
Essere aperti al Dio della Torà significa essere aperti al mistero infinito, alla grandezza infinita, alla sublimità illimitata e a ogni possibilità; quando è profonda questa disponibilità dentro di noi, in tutti i momenti della vita ci “apre le porte” della vera trascendenza. Questo per evitare che ciò che ieri era trascendente, oggi può diventare una forma di esilio. Anche la trascendenza stessa deve essere trascendente, perché anch’essa può diventare una trappola.
Quindi ciò che rimane delle nostre ambizioni e desideri, dopo aver affrontato tutte le nostre paure e superato tutte le nostre difese, è lì che la nostra volontà incontra la volontà di Dio. Solo quando giungiamo a quel punto di completa umiltà e sincerità interiore, diventiamo veramente “uno” con noi stessi, “uno” con il nucleo interiore della realtà.
Nelle parole dello Zohar: “Nessun pensiero, nessuna idea, può afferrarLo; eppure può essere afferrato con il puro desiderio del cuore”.
Tratto da uno scritto di Y. Y. Jacobson basato sugli insegnamenti del Rebbe di Lubàvitch
Arriva la Torà e dichiara: Non trasformare il tuo “stampo prestabilito” nel tuo dio. Ossia, non trasformare in divinità le tue abitudini, i tuoi modelli naturali di pensiero, le tue paure, le tue inclinazioni o le tue dipendenze. Permettiti di cercare la verità. La VERA VERITÀ, quella nuda, cruda e autentica, anche se dolorosa. La vita è una questione di sfide, non di conformità. Lasciamo che la nostra anima sia incantata dal cercare continuamente di svelare i misteri, invece che di crogiolarsi in facili dogmi assoluti.
Non dovremmo dire mai: “Io sono così; questo è il modo in cui faccio le cose, non posso cambiare”. Non dovremmo mai pensare: “Questa è la visione del mondo con cui mi sento a mio agio; qualsiasi altro modo deve essere sbagliato”. Piuttosto, raccogliamo il coraggio di sfidare ogni istinto, tentazione e convenzione; mettiamo in discussione ogni dogma, compresi i dogmi che parlano in nome dell’apertura mentale, e vengono abbracciati semplicemente perché rientrano nella nostra “zona comfort”. Lasciamo che le nostre vite non diventino schiave di un modello particolare solo perché è così da molti anni o decenni, come il famoso detto: L’ABITUDINE DIVENTA UNA SECONDA NATURA.
Dio, il vero Dio, non è definito da alcuna convenzione; lasciamo libere le nostre anime senza confinarle in nessuna convinzione esterna. Sperimentiamo la libertà del nostro Creatore infinito.
Spesso cadiamo preda di una certa immagine di come dovrebbero essere le nostre vite; come dovrebbero essere i nostri matrimoni o i nostri figli; come dovrebbe essere la nostra missione ecc. Ma questo è un altro modo di modellare il nostro Dio con i limiti della nostra comprensione. Arriviamo a un punto in cui dobbiamo per forza aprirci alla possibilità che forse il nostro scopo nella vita sia completamente diverso da quello che abbiamo immaginato da sempre. Quando questo accade dobbiamo per forza smettere di chiederci cosa noi vogliamo da Dio e iniziare a chiederci cosa Dio vuole da noi.
L’ebraismo non ha mai articolato chi è Dio e che aspetto ha. Ciò che ci ha insegnato è come NON appare Dio: Dio non dovrebbe mai essere definito da alcuna immagine che gli attribuiamo, scolpita dagli strumenti dei nostri bisogni, paure e aspirazioni consce o subconsce. Nella filosofia ebraica, per non parlare della Cabalà e del pensiero chassidico, non si parla mai di cosa sia Dio; solo di ciò che Egli non è: Dio non è un’estensione del mio essere o della mia immaginazione (Maimonide nella sua “Guida ai perplessi”).
Il termine comune in yiddish per chiamare Dio usato dai grandi mistici, pensatori e uomini e donne santi ebrei è “Oybershter”, che significa “più elevato”. Non Creatore, non Maestro, non Onnipotente, ma “Superiore”. Ciò che questo termine rappresenta è questa idea: non so cosa sia; tutto quello che so è che qualunque sia la mia definizione di verità e realtà, qualunque sia la mia definizione di Dio, Egli è “superiore” a quella. Tutto quello che so è che non lo so (Rebbe di Lubàvitch Shabbàt Parashà Toledòt 5751).
Essere aperti al Dio della Torà significa essere aperti al mistero infinito, alla grandezza infinita, alla sublimità illimitata e a ogni possibilità; quando è profonda questa disponibilità dentro di noi, in tutti i momenti della vita ci “apre le porte” della vera trascendenza. Questo per evitare che ciò che ieri era trascendente, oggi può diventare una forma di esilio. Anche la trascendenza stessa deve essere trascendente, perché anch’essa può diventare una trappola.
Quindi ciò che rimane delle nostre ambizioni e desideri, dopo aver affrontato tutte le nostre paure e superato tutte le nostre difese, è lì che la nostra volontà incontra la volontà di Dio. Solo quando giungiamo a quel punto di completa umiltà e sincerità interiore, diventiamo veramente “uno” con noi stessi, “uno” con il nucleo interiore della realtà.
La parashà di questa settimana ci insegna: ama il tuo prossimo come te stesso.
La seguente parabola ci aiuterà a comprendere meglio questa lezione.
Durante la lezione di Chumash il maestro notò con la coda dell’occhio una calma conversazione che si stava svolgendo in fondo alla classe.
«Mi presteresti il temperamatite?» Shmuel sussurrò a Dany, mostrandogli la punta rotta della sua matita.
Dany scosse la testa facendo capire di no. Dany era uno degli allievi migliori della classe. «Questa non è la prima volta che Dany mostra la mancanza di ahavat Israèl», pensò il maestro dentro di sè. «Devo aiutarlo a lavorare sulle sue middòt – attributi». «Chi si offre volontario a spiegare il prossimo verso?» l’insegnante domandò alla classe. Dany alzò subito la mano. «Vai avanti, Dany». Dany tradusse il pasuk parola per parola. «Cosa ci insegna la Torà in questo pasuk?» domandò il maestro. Dany ripetè la sua spiegazione. «Dany» disse il maestro, «tu mi hai tradotto e spiegato le parole del verso, ma cosa ci vuole trasmettere la Torà in questo pasuk?» Dany rimase perplesso. «Non è quello che ho appena detto?» insistette. «No» disse dolcemente il maestro. «Hai tradotto le parole, ma non hai spiegato cosa ci vuole insegnare la Torà. Il pasuk significa “Presta una matita al tuo compagno. Mostragli ahavàt Israèl”. «Ma questo cosa ha a che fare con questo pasuk?» sbottò Dany. «Tutto!» rispose il maestro. «Hillel ci insegna: Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te. Questa è tutta la Torà. Il resto sono solo commenti». Ogni pasuk della Torà allora ci insegna di fare ahavàt Israèl. Nella parashà di Kedoshìm leggiamo “Veahavta Lerèacha Kamocha”. Lo Zohar ci racconta che Am Israèl, la Torà e Hashem sono come tre anelli concatenati. Se uno dei tre viene rafforzato, l’intera struttura diventa più forte.
Quando un ebreo mostra ahavàt Israèl, il suo legame con la Torà diventa più forte di prima, come insegna Hillel, “Ama le creature di Hashem e avvicinale alla Torà”. Allo stesso modo, studiare la Torà ci porta a fare più ahavàt Israèl. E sia la ahavàt Israèl e sia lo studio della Torà ci portano vicino ad Hashem.
Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it sulla parashà.
Sotto trovi il significato del conteggio dell’omer di questa sera e di domani sera.
Si può ricevere ogni sera il significato della sefirà.
Un caloroso Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
http://www.virtualyeshiva.it/
MANTENERE L’IDENTITA’ INTERIORE
DURANTE MOMENTI STRESSANTI!
La logica del concetto “mechubar lo batil”: se il frutto è attaccato all’albero non si annulla?
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SEFIRAT HAOMER: 22° giorno (mozae Shabbat)
7 di Iyar – Sabato sera e Domenica 11 Maggio
La Parashà (Levitico 19:1–20:27) comincia con l’affermazione “Santi dovete essere, perché Santo sono Io, il Signore vostro D-o”, da cui seguono decine di mitzvot attraverso le quali l’ebreo santifica sè stesso, relazionandosi con la santità di D-o.
Tra queste: la proibizione all’idolatria, la mitzvà della carità, il principio di uguaglianza davanti alla legge, lo Shabbat, la moralità sessuale, l’onestà nel proprio lavoro, l’onore e il rispetto verso i genitori e la sacralità della vita.
In Kedoshim viene riportato anche il principio, definito dal grande saggio Rabbi Akiva come un principio cardine della Torà e del quale Hillel disse, “questa è l’intera Torà, il resto è solo un commento”, AMA IL TUO PROSSIMO COME TE STESSO.
Qui trovi il link di tre precedenti lezioni su Kedoshim.
http://www.virtualyeshiva.it/category/parashot/kedoshim
È sufficiente seguire il link dalla sezione: LEZIONI ON-LINE IN DIRETTA. Ti aspettiamo!
Shalom uvrahà
Rav Bekhor
[…] Per sentire le altre lezioni sulla parashà:http://www.virtualyeshiva.it/2019/05/09/tre-lezioni-su-kedoshim/ […]