TOLEDOT 5784: 7 LEZIONI PRECEDENTI
Questo Shabbàt 18 Novembre 2023, 5 del mese di KISLEV 5784 leggeremo la Parashà di Toledòt Gen. 25,19-28,9.
Si legge l’Haftarà di Mal. 1, 1-2, 7
In memoria del mio carissimo amico Rav Haim Moshe Mordechai Shaikevitz ben Dovber
UN FIUME CHIAMATO PARADISO
Uno dei numerosi insegnamenti che impariamo dalla parashà di questa settimana Toledòt (Genesi 26, 19) è che Isacco ha scavato una serie di pozzi per ottenere l’acqua dal terreno: “E i servi di Isacco scavarono nella pianura e trovarono un pozzo di acqua viva [cioè una sorgente zampillante]”. Questo è rilevante per noi anche oggi, così come ogni aspetto della Torà. Una delle lezioni che possiamo imparare dal versetto è collegata al commento del Talmud su un passo precedente che si trova all’inizio del libro della Genesi (2, 14): “E il quarto fiume è (chiamato) ‘Peràt’”. Nel Talmud (Bekhoròt 55b) è scritto che questo fiume è la sorgente di tutti gli altri fiumi che sgorgano nel mondo. Il fiume Peràt, conosciuto come EUFRATE, è infatti identificato come la falda acquifera sotterranea che è la fonte di tutti i pozzi e le sorgenti. Quando si scava l’acqua e si raggiunge la falda freatica del fiume Peràt, un pozzo di acqua viva sgorga in superficie. Per apprezzare il significato allegorico di questo, dobbiamo prendere i versi nella loro sequenza, a partire da Genesi 2, 10, dove è scritto che “un fiume” (senza specificare il nome) usciva dall’Eden per irrigare il giardino, dividendosi in quattro flussi. I tre versetti successivi identificano i nomi dei tre torrenti: Pishòn (Nilo), Ghikhòn e Khidèkel e poi al verso 14 è scritto: “E il quarto fiume è Peràt”. Tuttavia, secondo il Talmud, il fiume Peràt è in realtà il primo dei quattro fiumi, che è “innominato” nel versetto 10: “…usciva dall’Eden per irrigare il giardino.”
Riconoscere il Re
Uno degli obiettivi più importanti dell’essere umano è quello di raggiungere una reale consapevolezza dell’unità di Dio, fino al punto di giungere a percepire come Lui pervade tutta la creazione e che tutto ciò che esiste non è altro che una manifestazione della divinità. Una tale consapevolezza poi dovrebbe concretizzarsi nel fatto che ogni azione umana sia motivata da essa: ogni propria azione (anche nelle attività quotidiane) dovrebbe essere fatta per il bene di Dio, piuttosto che per motivi personali ed egoistici. Il raggiungimento di questa consapevolezza dell’unità onnicomprensiva di Dio, fa naturalmente desiderare alla persona di essere unita a Lui e di non fare altro che la Sua volontà. Per questo motivo questo concetto è indicato nella Torà come: “Accettare [su se stessi] il giogo del Regno dei Cieli”, poiché la persona desidera ora procedere nella sua vita, non come un’entità egocentrica e indipendente, ma come qualcuno che segue disinteressatamente il suo Maestro, Dio. Questa riverenza verso Dio, che dovrebbe portare a un agire altruistico, non è solamente una fondamentale guida etica per le nostre vite, ma è anche, in senso mistico, l’espressione dell’unicità di Dio: tale consapevolezza è un elemento essenziale per realizzare il piano divino della creazione. L’importanza di questo concetto può essere meglio compresa pensando a Dio che ha creato l’universo fisico in modo che la Sua sovranità possa essere espressa anche nei limiti della materia. Ad esempio pensiamo a un Re, maestoso, potentissimo, ricchissimo saggio ecc.., ma se non ha sudditi che seguono la Sua volontà, perché non lo riconoscono come sovrano, che re può essere? Se la sua sovranità non è riconosciuta o rispettata c’è ovviamente qualche cosa che non funziona. Pertanto è in qualche modo possibile dire che Dio ha deliberatamente creato il mondo e vi ha messo l’umanità con la facoltà, il “libero arbitrio”, di eseguire o meno la Sua volontà. In questo modo una persona che volontariamente “accetta su di sé il Regno dei Cieli”, come discusso sopra, fa in modo e ha il merito che la volontà di Dio venga espressa e riconosciuta in questo mondo. Pertanto, riuscire a raggiungere una tale consapevolezza della Divinità è un elemento fondamentale della vita di ogni persona, poiché ogni atto che lui o lei compie sarà poi trasformato in un atto santo, un atto spirituale, anche in un contesto altrimenti ordinario, banale: mangiare, lavorare ecc.. Per questo motivo nell’ebraismo i saggi della Torà hanno composto il servizio di preghiera mattutina in modo tale da far emergere questa consapevolezza della sovranità di Dio, fin dalle prime ore del giorno. La maggior parte delle preghiere del mattino contengono versetti che raccontano la grandezza di Dio, così che meditando profondamente sul significato di esse, facilita il raggiungimento del livello di coscienza di cui sopra. Il culmine di questo tema, nell’ebraismo, è la ben nota preghiera dello Shemà, che proclama l’unicità di Dio. Ora, tutto quanto sopra va bene, ma ci troveremmo di fronte a un problema insormontabile se non fosse per la benevolenza di Dio: la Sua vera unità, anche se può essere meditata a lungo nella preghiera, è dopo tutto un concetto mistico così profondo che semplicemente non dovrebbe essere contenibile nella mente o nel cuore di nessun essere creato! Pertanto come può un “comune mortale” anche solo avvicinarci ad apprezzare l’unità di Dio?
Solo con l’Unione si Vince
La risposta è che Dio stesso vuole che sia possibile non solo apprezzarlo e lodarlo, ma addirittura arrivare effettivamente e concretamente a ottenere una qualche forma di unione con Lui. E solo per questo scopo Dio ha dato la Torà all’umanità. Sebbene non sia possibile relazionarsi direttamente con Dio è comunque possibile relazionarci con la Torà, nella quale, in senso mistico, è effettivamente “contenuta l’unità di Dio”. Non a caso vi è l’antica pratica nell’ebraismo di indulgere nello studio della Torà subito dopo la preghiera. Una persona che prega dovrebbe riflettere a lungo sulle sue preghiere e su come esprime la grandezza di Dio, e sviluppare dentro di sé il desiderio di unirsi nientemeno che a Lui nella sua essenza. Dopo aver accettato su di sé il regno dei cieli, con la preghiera dello Shemà, poi, subito dopo, la persona sarà in uno stato molto più ricettivo per raggiungere un certo grado di effettiva unione con Dio stesso. A quel punto, è possibile placare questa “sete di spiritualità” con lo studio della Torà, poiché si è pronti a ricevere il pieno beneficio della Divinità all’interno della Torà che è un livello maggiore, poiché rappresenta l’essenza di Hashèm. Ma questo a condizione che lo studio con intenzione disinteressata, ossia senza doppi fini: non per diventare un “grande saggio”, per essere ammirato apprezzato o per far denaro, ma solo al fine di unirsi a Dio tramite lo studio.
Il Fiume di Dio
A questo punto, possiamo iniziare a vedere l’applicazione allegorica dei versetti sopra menzionati all’argomento in questione. Il versetto: “E un fiume scorreva dall’Eden per irrigare il giardino/gan”, allude proprio all’argomento di cui abbiamo discusso. Nella letteratura mistica, il termine “Eden” è spesso usato per alludere a Dio. La parola ebraica per “giardino” (Gan) allude alla Torà, poiché, secondo le regole della lettere ebraiche, le quali ognuna esprime un numero, la parola Gan – גן ha il valore di 53: lo stesso del numero delle porzioni/parashòt in cui è divisa la Torà. Infine, un fiume è un altro simbolo, comune nel misticismo ebraico, per rappresentare, comprensibilmente, un flusso o una progressione da un luogo all’altro. Il nostro verso può quindi essere interpretato come un riferimento al fatto che quando una persona attira su di sé il regno dei cieli questo livello è rappresentato dal “fiume” che scorre dal cielo, da Dio, che annaffia il gan/giardino, ossia che facilita l’unione della persona con Lui attraverso lo studio della Torà, in tutte le sue 53 porzioni, paragonata al Giardino. Il Talmud interpreta il versetto successivo indicando come questo fiume, che scorre dall’Eden, diventi il fiume Peràt: la sorgente sotterranea di ruscelli scalpitanti e pozzi zampillanti. Anche questo è rilevante per il nostro servizio quotidiano a Dio ed è anche un messaggio di incoraggiamento. Adesso, cerchiamo di vedere il significato di tutto ciò per le nostre vite.
Una Mitzvà al Giorno Toglie il Medico di Torno!
Finora abbiamo parlato della situazione ideale, quando un individuo può perseguire senza difficoltà la sua naturale “sete di Dio” durante la preghiera ed è quindi in grado di soddisfarla immediatamente attraverso lo studio della Torà. Tuttavia, è davvero raro che una persona possa permettersi di sedersi e studiare la Torà tutto il giorno. La maggior parte delle persone deve impegnarsi nel mondo materiale e nelle sue preoccupazioni mondane, ben lontane dalla spiritualità del servizio mattutino, per guadagnarsi da vivere. Tuttavia, spesso accade che una persona si preoccupi così tanto delle proprie faccende quotidiane da perdere la propria consapevolezza, almeno momentaneamente, a volte, del regno celeste e della sua missione in questo mondo. È proprio per questo motivo che Dio ha dato le mitzvòt da eseguire durante il giorno. Le mitzvòt, in realtà, derivano da una fonte spirituale molto sublime e non richiedono la preparazione o un elaborato impegno mentale, come quando si studia la Torà. Anche se, a volte, si esegue una mitzvà senza pensarci affatto, questo gesto “inconsapevole” porta, comunque, un grande beneficio spirituale alla persona. Ovviamente, migliore è l’intenzione e maggiore sarà il risultato, quindi è bene impegnarsi per raggiungere questo obiettivo. Per questo il motivo per cui le mitzvòt devono essere osservate, già a partire dalle prime ore del giorno, è che in quel momento ne abbiamo più bisogno, poiché a volte siamo lontani dal nostro solito livello spirituale proprio al mattino – poco dopo esserci svegliati dal sonno della notte – e le mitzvòt ci aiutano a riguadagnarlo in una certa misura. Questa stato assomiglia proprio a un pozzo zampillante di acqua: una sorgente si forma scavando nel terreno che copre la falda freatica, fino a quando l’acqua sepolta sgorga in superficie e viene utilizzata. Sebbene le nostre faccende quotidiane possano aver “coperto” o addirittura seppellito il nostro “fiume” di amore per Dio e la vicinanza a Lui che abbiamo sviluppato ogni mattina, possiamo ancora attingere a quella riserva nascosta di spiritualità durante il giorno eseguendo le mitzvòt. Quindi, proprio come una vera sorgente diventa schiumosa e frizzante nella sua lotta per spingersi verso l’alto attraverso la terra, così l’osservanza della mitzvà assume per una persona il significato di una nuova vita, una scintilla di vitalità: come risultato della sua consapevolezza, ottenuta attraverso queste mitzvòt osservate nella mondanità, lui o lei è in grado di penetrare negli strati della “terra”, dove è stato momentaneamente “sepolta”. Possiamo così apprezzare meglio l’allegoria presente nelle figure dei servitori di Isacco che scavano pozzi per attingere da un “pozzo di acqua viva”. Adesso è più comprensibile l’affermazione del Talmud secondo cui la falda acquifera per eccellenza e la fonte di tutte le sorgenti è il fiume Peràt: acqua viva, disponibile per essere attinta tutto il giorno, anche se a volte è nascosta, poiché essa non è altro che la divina vitalità che scorre dall’Eden stesso, da Hashèm. Tratto da un Maamàr del Torà Or di Rabbi Shneur Zalman
Un caro Shabbat Shalom Rav Shlomo Bekhor
Questa settimana leggiamo la parashà Toledòt dove è descritta le discendenze (toledòt, in ebraico) di Yitzkhàk e dei suoi figli: il giusto Ya’akòv e il malvagio Essàv, colui che vende il suo diritto di primogenitura a Ya’akòv.
Anche oggi, alla vigilia di Shabbàt, vi proponiamo un brano della Torà, tratto dal libro “Saggezza Quotidiana”, commentato sulla base degli insegnamenti cassidici del Rebbe e dei suoi predecessori. Il brano scelto è particolarmente significativo poiché rappresenta un chiaro esempio del fatto che l’eterna saggezza della Torà è sempre attuale. Una “eternità” che si adatta “miracolosamente” sia ai concetti più astrusi e complicati di ogni branca del sapere umano, sia ai concetti più semplici su cui abbiamo a che fare ogni giorno. Il tutto basato su personaggi le cui storie risalgono agli albori dell’umanità.
Ed ecco che dalla storia di questi due “gemelli opposti” Ya’akòv e Essàv possiamo trarre spunto, riflessione e consiglio su molteplici aspetti della vita: l’eterna lotta, sia come individui, sia come umanità, per non farci sopraffare dai nostri istinti e pulsioni egoistiche. Dualismo che nel corso dei secoli è stato archetipizzato e sublimato in miti, legende, favole, filosofie e in generale in ogni branca e ripostiglio dell’azione umana frutto del pensiero creativo dell’uomo.
Tuttavia, la Torà e il pensiero chassidico non si limitano a porre la questione ma, attraverso una sintetica e verace analisi di tale dualismo, propongono anche la soluzione.
Doppia Identità
Hashèm le disse: «Ci sono due popoli nel tuo ventre e dalle tue viscere si dirameranno due nazioni; una nazione sarà più forte dell’altra e il grande servirà il [più] giovane». (25, 23)
Metaforicamente, Ya’akòv ed Essàv rappresentano le due anime e le loro opposte pulsioni, che esistono dentro ognuno di noi. Nell’uomo vi è un Ya’akòv interiore, l’anima divina con le sue pulsioni divine; ma anche un Essàv interiore, l’anima animalesca con le proprie pulsioni egoistiche. Quando la nostra anima divina si afferma, indebolisce le tendenze materialistiche dell’anima animalesca. L’anima divina vince quella animalesca nello stesso modo in cui la luce vince il buio. La luce non deve agire attivamente per dissipare le tenebre: l’oscurità, infatti, semplicemente cessa di esistere in presenza della luce. Allo stesso modo, non appena lasciamo brillare la santità e la bontà delle nostre anime divine, studiando la Torà e osservando i comandamenti, l’egoismo dell’anima animalesca scompare.
Un caro Shabbàt Shalom
Rav Shlomo Bekhor
NUOVA MISTICA LEZIONE ATOMICA (27mn)
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VALORE ALIMENTAZIONE!
Perché Yaakòv da a Suo Fratello Anche il Pane?
Yaakov diede a Esàv pane e stufato di lenticchie (Genesi 25, 34)
Molte persone sono attenti alla qualità del cibo che sia bio, ma dimenticano della qualità spirituale del cibo e si dovrebbe fare altrettanto.
Una super lezione di vita dagli insegnamenti del padre di Rebbe, Reb Levi Yitzchok זצ״ל
A) Perché Yaakov ha dato – anche – pane, a suo fratello Esav quando ha chiesto solo lenticchie?
B) Tutto nella Torà ha una ragione, perché il nome Esav-עשו, ha tre lettere?
C) Perché immergiamo il Pane לחם nel Sale מלח (stesse lettere) – TRE volte?
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Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.
Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
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NUOVA LEZIONE ATOMICA DI VITA
parasha 6°: MUSICA DELLO SQUILIBRIO
Come Acquisire l’Equilibro tra Trascendenza e Immanenza!
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L’ARTE DI SCAVARE I POZZI
che ci porta ad analizzare il rapporto difficile tra individuo e società.
Alcuni Punti della Lezione:
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per “avvicinare chi è lontano”?
Molto inchiostro è stato versato sull’argomento. Oggi, però vorrei condividere con voi un pensiero, di uno dei più grandi maestri cassidici dell’ebraismo, del rabbino Yitzchak Meir, il primo Rebbe di Gur.
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Questa settimana ci siamo svegliati con una notizia orribile, un duro colpo dal quale facciamo fatica a riprenderci. Vedere le immagini dei corpi privi di vita, dei tallitot, dei tefillin e dei siddurim intrisi di sangue ha evocato in noi le immagini dell’Olocausto nei confronti del quale eravamo convinti che non si sarebbe mai più ripetuto. Per la prima volta un atto terroristico mirato SOLO su Rabbini e persone religiose e PROPRIO durante la preghiera e quando indossano i tefillin!!!
Questo scenario ci ha storditi e affranti ma non deve lasciarci paralizzati e incapaci di reagire.
Noi dobbiamo rispondere.
Non farlo significherebbe girare le spalle ai bambini e alle famiglie che in quella mattina si sono svegliate con un dolore insopportabile. Piangono per un marito, un padre, un figlio, un fratello (e per il coraggioso poliziotto druso che ha dato la sua vita in un eroico tentativo di salvare la loro; anche lui è ora un fratello) Possiamo rimanere seduti?
Essi non sono morti a causa delle loro convinzioni politiche, o per un loro ideale nazionale. Non sono stati massacrati perché volevano pregare in un luogo che i mussulmani considerano loro. Sono stati uccisi per un motivo e uno motivo solo, perché erano ebrei.
Essere uccisi perché ebrei è stata una parte normale della nostra esistenza da tremila anni. Nonostante ciò, 3000 anni dopo siamo ancora qui, e siamo l’unica nazione al mondo che può dirlo. E siamo stati in grado di dirlo anche quando non avevamo un esercito o una nostra nazione.
Quando si verifica un orrore come questo la nostra risposta deve essere: “Si può essere in grado di uccidere un ebreo, ma non si sarà mai in grado di uccidere gli ebrei!”.
L’unica costante della nostra esistenza negli ultimi tre millenni sono stati i tefillin, che i nostri fratelli avevano indosso nel momento in cui sono stati trucidati.
I tefillin, le candele dello Shabbat, la Mezuzà, e, naturalmente, la Torà e tutto ciò che è in essa: questo è ciò che unisce tutti noi, ed è per questo che sentiamo il loro dolore come se fosse il nostro ed è anche per questo che oggi gridiamo come una sola famiglia.
Ed è così che dobbiamo rispondere.
Se sei un maschio ebreo e oggi non ti sei ancora messo i tefillin, ferma quello che stai facendo e metti i tefillin adesso. Tutto ciò che devi fare dura cinque minuti. Se non hai i tefillin, rivolgiti al più vicino Rabbino Chabad o alla tua sinagoga e sarà felice di aiutarti a farlo oggi.
Sei una donna ebrea ? Oggi pomeriggio, venerdì, accendi le candele dello Shabbat.
Immaginate il piacere delle loro famiglie sapendo che migliaia di persone e centinaia di migliaia di loro fratelli e sorelle stanno assicurano la continuazione della loro eredità. Il loro sacrificio non chiede di meno, e non possiamo abbandonare essi stessi e le loro famiglie.
Naturalmente ci sono molti altri modi con i quali si può e forse si deve rispondere. Io non dico che questo è TUTTO ciò che possiamo fare. Io sostengo che questo è almeno l’inizio. Se hai già messo i tefillin o hai acceso le candele dello Shabbat ora è il tempo per invitare qualcun altro a farlo. Se non l’hai ancora fatto, cosa stai aspettando?
I famigliari delle vittime hanno mandato una lettera a tutti gli ebrei del mondo chiedendo di dedicare ai defunti questo Shabbat con maggiore unità e aumentando l’osservanza dello Shabbat in memoria di dei loro genitori.
Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.
Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
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TOLEDOT
Al seguente link troverai la lezione sulla nostra parashà in formato mp3:
http://www.virtualyeshiva.it/2009/11/19/toledot-5770-larte-di-scavare-i-pozzi/
L’ARTE DI SCAVARE I POZZI
Avrahàm e Yitzkhàk, acqua e fuoco. Personalità e valori a confronto. Una profonda riflessione
che ci porta ad analizzare il rapporto difficile tra individuo e società.
Alcuni Punti della Lezione:
- Perché lo stesso luogo viene chiamato sia da Avrahàm che da Yitzkhàk con lo stesso nome?
- Come mai è proprio il nome dato alla città di Beer Sheva da Yitzkhàk ad essere tramandato fino ad oggi?
- Perché la Torà dedica tanto spazio all’attività di scavare pozzi di Yitzkhàk?
- Ti risulta più facile iniziare un progetto o saperlo continuare nel tempo?
- Sei in grado di trovare la forza interiore per continuare un progetto nel tempo?
- Perché alcuni personaggi storici dotati di grandi ideali non hanno lasciato un segno concreto nella storia?
- Nella vita è più importante sapersi relazionare con il prossimo e con la società, oppure è meglio costruire una forte personalità? Possono coesistere entrambe le situazioni?
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La lezione approfondisce questi punti, attingendo da fonti midrashiche, testi di mistica ebraica e khassidici, in una cornice unica, chiara e comprensibile per tutti, alla luce degli insegnamenti dei grandi Maestri dell’ebraismo.
Per ascoltare le altre lezioni sulla nostra parashà cliccare al seguente link:
http://www.virtualyeshiva.it/2014/11/15/toledot-5773-4-lezioni-precedenti/
Per un Piatto di Lenticchie
Tutti ormai erano al corrente della triste notizia: il grande tzaddìk Avrahàm era mancato.
Per rispettare il lutto per l’amato padre, Yitzkhàk si sedette, mentre Ya’akòv si recò in cucina a preparare le lenticchie. Questi legumi, serviti a coloro che sono in lutto, ricordano, con la loro forma rotonda, che nel mondo la ruota della fortuna gira continuamente, talvolta colpendo alcuni e favorendone altri, talvolta il contrario.
In casa di Avrahàm vi era solo una persona che non era affatto toccata dalla triste perdita: ‘Essàv, che neppure quel giorno seppe rinunciare ad andarsene per i fatti suoi in campagna. Tra l’altro, proprio quel giorno si era impossessato di una ragazza fidanzata con un altro uomo e aveva assassinato Nimròd, il figlio dell’omonimo Nimròd, a suo tempo ucciso da Avrahàm.
Questo fu quanto accadde: mentre cacciava nella campagna, ‘Essàv scorse da lontano i soldati di Nimròd che lo circondavano. Quest’ultimo indossava i preziosi indumenti che Dio aveva fatto per Adàm su cui erano raffigurati degli animali e che avevano il potere di attirarli e di sottometterli. ‘Essàv, desiderando ardentemente la veste, pazientò finché i soldati si allontanarono. Si avvicinò quindi furtivamente e attaccò Nimròd alle spalle, mozzandogli la testa. Con i vestiti sottratti alla vittima se ne tornò a casa, esausto ma soddisfatto della proficua caccia, anche se un po’ preoccupato dalla possibile vendetta dei discendenti di Nimròd.
Entrato in casa, scorse Ya’akòv intento a cucinare. ‘Essàv lo apostrofò con il suo abituale cinismo: «Perché ti stanchi a preparare un piatto così complicato? C’è una magnifica varietà di cibi deliziosi che si possono cucinare con meno sforzi: pesce, insetti, carne di maiale…!».
«Avrai sicuramente sentito che nostro nonno Avrahàm è mancato e che nostro padre è in lutto» replicò Ya’akòv. «Gli sto cucinando le lenticchie».
«Oh! Il buon vecchio Avrahàm è stato strappato da questo mondo tanto bello ed eccitante? Beh… non ha vissuto centinaia e centinaia d’anni!?» ribatté ‘Essàv. «Se n’è andato per sempre, per non risorgere mai più! È morto, come è morto Adàm che non può più ritornare e proprio come il buon Nòakh che, anche se ha ricostruito il mondo, se n’è andato per una morte eterna!». ‘Essàv infatti rinnegava l’esistenza del Mondo a Venire e la Resurrezione dei Morti. Egli credeva che lo scopo dell’uomo fosse quello di vivere divertendosi il più possibile.
‘Essàv guardò le lenticchie e la bottiglia di vino sul tavolo. «Sono affamato! » esclamò rivolto a Ya’akòv. «Dammi solo un goccio di quel buon vino rosso che hai lì e fammi ingollare un po’ di quella pietanza rossa che hai cucinato!». Era infatti così stanco e debole, da non essere in grado neppure di sollevare il piatto e servirsi da solo.
‘Essàv aprì la bocca come un cammello. Ya’akòv lo guardò sconcertato: come avrebbe potuto un uomo che rinnegava il Mondo a Venire essere il futuro capo della famiglia? Meritava una persona come lui di esercitare il diritto di primogenitura e di offrire i sacrifici per la famiglia?
Ya’akòv decise di acquistare il diritto dei sacrifici al posto del fratello. Spiegò quindi ad ‘Essàv: «Io ho preparato questo piatto per mio padre e non intendo perdere la mitzvà di darglielo per colpa tua. Se ti va di aspettare un po’ te ne preparo un altro; se invece lo vuoi subito, ti darò ciò che ho preparato per lui ma… a condizione che tu mi venda la primogenitura! Posso rinunciare a questo piatto destinato a una mitzvà solo per un’altra mitzvà!».
«E che cosa me ne faccio della primogenitura? – rispose ‘Essàv con disprezzo. – Morirò comunque come tutti. Per che cosa ne avrei bisogno?». Così negò anche la Provvidenza di Dio.
(Tratto dal volume Bereshìt, Edizioni Mamash)
Questa Parashà tratta un argomento molto importante, la discendenza di Yitzkhàk, la sterilità di Rivkà, la preghiera di Yitzkhàk e Rivkà per avere figli. La nascita di due gemelli Ya’akòv e Essàv, dei loro caratteri e delle loro inclinazioni. Crescita dei ragazzi; Essàv vende la primogenitura al fratello.
Yitzkhàk e Avimèlekh. A causa di una carestia in Israele,Yitzkhàk si trasferisce da Avimèlekh re dei Pelishtìm. Yitzkhàk diventa molto ricco e potente e, per invidia, i Pelishtìm otturano i pozzi da lui scavati. Nascono diverse dispute, finchè Yitzkhàk lascia la loro terra e scava altri pozzi.
La Parashà narra inolte del trattato di pace con Avimèlekh a Beèr Shèva, del matrimonio di Essàv con due idolatre causando la pena dei suoi genitori.
La fuga di Ya’akòv presso Lavàn ed il nuovo matrimonio di Essàv con una figlia di Yishma’èl.
Si legge l’Haftarà di Mal. 1,1-2,7
MIDRASHIM
Per un Piatto di Lenticchie (Bereshìt 25,29-34)
Midrash Bereshìt Rabbà 25,29-34
(a pagina 649 del volume Bereshìt edizioni Mamash).
Yitzkhàk Benedice Ya’akòv (Bereshìt 27,26-29)
Midrash Bereshìt Rabbà 65-66; Tifèret Tziyòn 65, 18; Midràsh Tankhumà b.16;
Pirkè Derabbì Eli’èzer 32.
(a pagina 651 del volume Bereshìt edizioni Mamash).
SIKOT
Preparami una Vivanda Gustosa
(a pagina 717 del volume Bereshìt edizioni Mamash).
Ya’akòv e ‘Essàv: lo Tzadìk e il “Malvagio”
(a pagina 719 del volume Bereshìt edizioni Mamash).
L’Armonia della Torà
(a pagina 721 del volume Bereshìt edizioni Mamash).
TOLEDOT 5771: SOTTO IL VESTITO NULLA!
Rivkà si reca da Yaakov per suggerirgli di trasvestirsi da Essàv e rubare la benedizione del padre: uno strano comportamento, un grande insegnamento di vita ebraica. Una storia che parla alle attuali generazioni, che ci mostra il bene nascosto anche in una situazione irrecuperabile, attraverso i principi della chassidut.
TOLEDOT 5770: L’ARTE DI SCAVARE I POZZI
Dal segreto di scavare i pozzi, alle ragioni per cui fu il nome di Beer Sheva dato da Yitzkhàk a durare fino ad oggi, un profondo ed unico percorso nella psicologia, per esaminare le differenze nei comportamenti e nelle personalità di Avrahàm e suo figlio Yitzkhàk, al ruolo tra individuo e società, attingendo ai principi della tradizione ebraica.
TOLEDOT 5769: PATRIARCHI : UNA LUCE ETERNA
Le vite dei patriarchi, narrate nella Torà, sono di guida e insegnamento per tutte le generazioni. Yitzkhàk non va in esilio, a differenza di Avrahàm e Yaakòv, un comportamento e un approccio alla vita differente che ci insegna come vivere i diversi aspetti del vivere una vita ebraica. Alla luce degli aspetti cabbalistici e della Chassidut, vengono analizzate le diversità di comportamento insite nei concetti di rigore e bontà, di come poter meglio elevare spiritualmente la materia.
TOLEDOT 5766: LA NASCITA DI DUE NUOVI POPOLI
L’eterno vincolo che unisce i due popoli derivanti da Yitzkhàk: i discendenti di Yaakòv e quelli di Essàv. Le differenze profonde e il significato dei diversi comportamenti dei due uomini, ci portano a scoprire, alla luce dei ricchi insegnamenti della Torà e dei diversi commenti, le caratteristiche irrazionali e soprannaturali che connotano il popolo ebraico. Una lezione che ci guida alle origine spirituali di Israele.
[…] Per ascoltare le altre lezioni sulla nostra parashà cliccare al seguente link: http://www.virtualyeshiva.it/2019/11/27/toledot-5773-4-lezioni-precedenti/ […]
[…] Per le altre lezioni: https://virtualyeshiva.it/2020/11/15/toledot-5773-4-lezioni-precedenti/ […]