YOM KIPPUR 5785, 11 LEZIONI su YOM KIPPUR IMPERDIBILI!!!
Quest’anno Yom Kippur 10 Tishrì 5785, cadrà SHABBAT 12 OTTOBRE 2024
PARASHÀ
1° Sefer Shachrit: Lev 16 – 17, 16
2° Sefer Shachrit: Num 29, 7;11
HAFTARÀ
Shachrit: Is. 57, 14-58, 14
PARASHÀ
Minchà: Lev 18, 1;30
HAFTARÀ
Minchà Italiani: Ob. 1, 21; Giona 1, 1-4; Michà 7, 18-20
Sefarditi: Giona1, 1-4, 11; Michà7, 18-20 Ashkenaziti: Giona 1, 1-4, 11
In onore del nuovo anno, è un grande merito aumentare la beneficenza in particolare prima di Kippur. Aiutaci a continuare il nostro lavoro. Nessun contributo è troppo piccolo (concetto legato a questa riflessione).
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Il vero significato di Kippùr può essere appreso attraverso una storia esemplare che ci permette di capire come gli errori che, inevitabilmente, commettiamo nella nostra vita, possono diventare dei trampolini per il futuro. Non a caso un noto proverbio italiano recita “sbagliando si impara”.
Rosh Hashanà, appena trascorso, è stato momento dell’esame di coscienza e dei buoni propositi. È un momento in cui siamo stati chiamati a metterci in discussione, a provare a capire quali errori abbiamo commesso e come correggerli per intraprendere una strada migliore nel futuro anno. Tutte queste buone intenzioni e propositi, però, possono e devono trovare la loro definitiva consacrazione nel grande giorno dell’espiazione per eccellenza, Yom Kippur.
I giorni che vanno Rosh Hashanà a Kippur, infatti, sono un momento fondamentale per ogni essere umano, senza un esame di coscienza e una conseguente modifica di alcuni nostri comportamenti non ci può essere progresso, ma questa “nuova” coscienza che ci apprestiamo a raggiungere non parte da una tabula rasa: il nostro punto di riferimento deve essere l’insegnamento millenario della tradizione ebraica. Faccio riferimento a uno di questi insegnamenti che può essere utile sia per gli esami di coscienza personali sia per quelli collettivi delle comunità.
Nei Pirkè Avòt è scritto che il mondo poggia su tre cose: sulla Torà, sulla avodà (servizio nel Santuario / preghiera) e sulla ghemilùt chassidìm (far del bene al prossimo).
Relatività 1
Un ebreo di Odessa ne incontra un altro.
“Hai sentito che Einstein ha vinto il premio Nobel?”
“Oh, per cosa?” “Ha sviluppato questa teoria della relatività”.
“Sì, e cosa sarebbe?”
“Significa che se cinque capelli sulla testa sono relativamente pochi, cinque capelli nella zuppa sono relativamente molti”.
“E per questo ha vinto il premio Nobel?!”
Relatività 2
Davìd e Reuvèn erano soci in affari ed entrambi erano appassionati giocatori di golf.
“Reuvèn, ascolta”, esclamò un eccitato Davìd. “Quegli acquirenti che abbiamo rincorso da mesi ci hanno chiamato per dirci che hanno prenotato un incontro per giocare a golf nel loro esclusivo country club questo sabato, alle 8 di mattina”.
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Uno studente di liceo, al primo giorno di lezione, sente il suo insegnante, chiaramente un ateo, dire all’inizio della giornata di lezione:
“Studenti, c’è qualcuno qui che può vedere Dio? Se è così, alzi la mano. Se c’è qualcuno che può sentire Dio, per favore alzi la mano. Se c’è qualcuno che può sentire l’odore di Dio, alzi la mano”. Dopo una breve pausa, senza alcuna risposta da parte degli studenti, il professore conclude: “Poiché nessuno può vedere, annusare o sentire Dio, questo prova in modo definitivo che Dio non esiste”.
Allora lo studente alza la mano e chiede, rivolgendosi alla classe:
“Studenti, qualcuno può vedere il cervello del professore? Qualcuno può annusare il cervello del professore?”. Dopo una breve pausa, conclude: “Allora il cervello del professore non esiste!”.
Un Profeta in Fuga
Il libro di Giona composto da 4 capitoli, viene letto durante il servizio pomeridiano del giorno solenne di Kippùr (quest’anno cade mercoledì sera 15 settembre) e racconta una delle vicende più emozionanti e fantastiche della Torà.
La storia narra di come il profeta Giona, vissuto nell’anno 700 a.e.v., decide di “scappare” da Dio dopo che Egli lo ha invitato a viaggiare da Gerusalemme fino alla capitale assira di Ninive.
Arrivare a Ninive oggigiorno non è difficilissimo (guerre permettendo ovviamente…). Tutto quello che bisogna fare è partire da Haifa, in Terra d’Israel, e seguire il famoso oleodotto fino a Mosul, in Iraq. Là, al di là del fiume Tigri, sulla riva sinistra, di fronte a Mosul, si trovano le rovine dell’antica Ninive: una delle prime mai costruite, dal re Nimrod, il padre del popolo assiro, al tempo di Abramo. Sotto i potenti re assiri la città fu ampliata e abbellita. Il re Sargon costruì un forte muro intorno a Ninive, inglobandola ad altre tre città. Era questa la città “allargata” che il profeta Giona descrive come una città che si percorreva in un “Viaggio di tre giorni”, che all’epoca era una delle città più eleganti, ricche e potenti del mondo.
GIONA: UNA PSICOLOGIA ATOMICA DI VITA!
Quindi Dio ordina al profeta di recarsi in questo maestoso luogo per cercare di portare al pentimento, teshuvà, la sua numerosa popolazione traviata e corrotta da ogni genere di immoralità.
Invece Giona si rifiuta di eseguire il suo dovere e si reca nella vecchia città portuale di Giaffa dove sale a bordo di una nave in viaggio verso la Tunisia, e dove pensa di trovare una “tregua, un riparo da Dio…” (v. 1, 3). “Allora Dio scatenò un forte vento verso il mare, e ci fu una grande tempesta nel mare, così che la nave sembrava destinata a naufragare. I marinai si spaventarono e gridarono, ciascuno il suo dio; gettarono in mare le merci che erano sulla nave, per alleggerirla… Ma Giona era sceso nella stiva della nave e si sdraiò e si addormentò profondamente” (v. 1, 4-5).
Il comandante si avvicina a lui e gli dice: “Come fai a dormire così profondamente? Alzati! Chiama il tuo Dio! Forse Dio avrà clemenza su di noi e non moriremo!” Si dicono l’un l’altro: “Venite, tiriamo a sorte, affinché possiamo determinare a causa di chi è caduta su di noi questa calamità”. Così tirano a sorte e la sorte cade su Giona. Gli dicono: “Raccontaci … di cosa ti occupi? Da dove vieni? Qual è la tua terra? A che popolo appartieni?” (1, 6-8).
Un Grido nell’Oscurità
Giona accetta su di sé la colpa della tempesta che minaccia le loro vite, poiché ha tentato di fuggire da Dio. Quindi il profeta suggerisce ai marinai di gettarlo in mare, affinché si calmi, perché sa che è lui la causa di questa grande tempesta. Allora i marinai sollevano Giona e lo gettano in mare, e il mare smette di infuriare. Mentre è in mare, un grosso pesce inghiotte Giona, che rimane lì per tre giorni. Questo episodio molto strano e che rasenta la fantascienza, è ricco di insegnamenti mistici e di filosofia di vita.
Dalle interiora del pesce, Giona parla a Dio: “Ho gridato a Dio per la mia angoscia, e mi ha ascoltato. Dal ventre dell’inferno ho gridato e Tu hai sentito la mia voce. Mi hai gettato negli abissi, nel cuore dei mari, e le inondazioni mi hanno circondato; tutti i tuoi flutti e le tue onde sono passati su di me” (2, 2-4). Allora ho detto: “Sono stato cacciato da davanti ai tuoi occhi; eppure guarderò di nuovo verso il Tuo Santo Tempio. Le acque mi circondavano, fino alla morte; le profondità mi hanno inghiottito, le canne erano aggrovigliate intorno alla mia testa. Sono disceso alle basi delle montagne, la terra con le sue sbarre chiuse su di me per sempre; eppure tu hai tirato su la mia vita dalla fossa, o Signore mio Dio. Quando la mia anima svenne dentro di me, mi sono ricordato di Dio; e la mia preghiera è giunta a Te, al Tuo Santo Tempio…” (2, 5-8).
Il Ritorno di Giona
Allora Dio comanda al pesce, di vomitare Giona sulla terraferma (Giona 2, 11). Solo adesso, il profeta assume la sua missione divina, viaggiando verso la capitale assira dove provoca una trasformazione morale nei cuori della popolazione. Il profeta ha un tale successo che l’intera civiltà malvagia si impegna a ridefinire la propria vita e le proprie relazioni pentendosi profondamente e cambiando lo stile di vita corrotto. Ma quando Giona scopre che Dio ha davvero accettato il pentimento della popolazione e non distruggerà la città, si rattrista perché non ritiene che la città debba essere perdonata per i molti anni di comportamenti immorali e malvagi. Pertanto chiede a Dio di ucciderlo affermando che: “La mia morte è migliore della mia vita”.
Da buon “educatore”, Dio risponde a Giona dandogli una vera e propria lezione di vita e per giunta in un modo molto creativo. Mentre Giona riposa alla periferia di Ninive, una pianta frondosa si alza per fornire ombra sopra la sua testa, offrendogli molto conforto e serenità. Quando, la mattina dopo, arriva un’ondata di caldo e un verme mangia la pianta e questa appassisce, Giona esprime la sua profonda angoscia per la perdita. Allora Dio gli risponde: “Hai avuto pietà della pianta per la quale non hai lavorato, né l’hai fatta crescere; visse una notte e morì dopo una notte. E Io … non dovrei avere pietà di Ninive la grande città, in cui ci sono più di centoventimila persone…?”.
Questo versetto conclude i quattro brevi capitoli, ma incredibilmente ricchi di spunti e insegnamenti, del libro di Giona.
Perché leggiamo questa storia durante Kippùr? E qual è l’importanza di questo racconto per le nostre vite?
I Due Strati della Torà
Uno degli elementi più affascinanti della Torà è che tutte le sue storie contengono, oltre al loro significato letterale e concreto, un’interpretazione psicologica e spirituale. Ogni dettaglio di ogni racconto incluso nella Torà contiene un’interpretazione allegorica e metaforica, che simboleggia un evento che è celato nel cuore umano e che ricorre continuamente fino a oggi. I saggi e i grandi maestri hanno, nel corso di 3000 anni, decodificato il significato metafisico interiore della maggior parte delle storie della Torà. Lo stesso vale, ovviamente, per quanto riguarda la storia di Giona e del pesce.
Oltre al significato semplice e letterale di questo episodio commovente, che si svolge in una particolare epoca in un specifico luogo, questo racconto dovrebbe anche essere visto come una metafora di un percorso psicologico e spirituale il cui eco giunge fino a noi oggi. In effetti, lo Zohar afferma, che la storia di Giona è davvero una storia sulla “Vita degli esseri umani in questo mondo”. Oppure come direbbe Celentano: questa è la storia di (ogn)uno di noi…
È questa la storia, quella “interiore di Giona”, che cercheremo di esplorare.
Un’Anima che Scappa…
Il nome Giona in ebraico – Yonà – significa “colomba”. Questo volatile, secondo la mistica ebraica, rappresenta simbolicamente l’anima interiore dell’uomo, quel frammento di verità, quel pezzetto di Dio che costituisce il nucleo dell’identità umana e che distingue e rende unico l’uomo da ogni altra creatura. Per questo nel nome Giona in ebraicoיונה sono contenute tre delle quattro lettere del Tetragramma, ossia la rivelazione infinita di Dio (la quarta lettera la seconda delle due heiה è comunque sempre presente nel nome Giona perché è la stessa doppiata).
La colomba è uno degli unici animali che quando incontra il suo compagno di vita, rimane per sempre fedele a lui, non scambiandolo mai con nessun altro. Così si comporta l’anima che essendo una parte di Hashèm, il Creatore, è fedelissima a Lui e non lo può “tradire” se non quando viene traviata dal corpo materiale.
Ninive, la città grande, potente e corrotta, è una metafora del pianeta in cui viviamo: pieno di meschinità, vanità e corruzione. Giona (l’anima divina) viene inviato da Dio in missione per rivoluzionare il mondo terrestre e per rivelare la luce spirituale e la santità in ogni aspetto della vita. L’uomo quindi dovrebbe vedere se stesso come un inviato che porta un messaggio; un testimone Con essa della presenza del Dio vivente in questo mondo.
Tuttavia, molto spesso scegliamo di fuggire dalla missione della nostra vita, rifiutando la nostra vera identità di essere dei testimoni. Ci imbarchiamo su una nave, che rappresenta il corpo che contiene l’anima umana, proprio come una nave contiene i suoi passeggeri. Con essa, come Giona, tentiamo di fuggire, fisicamente ed emotivamente, in un luogo dove possiamo più facilmente abbracciare l’illusione di essere più felici quando siamo LIBERI da una missione o da un messaggio e dove possiamo credere di essere unicamente creature che cercano di saziarsi dei propri piaceri e auto gratificarsi di ogni bene e vizio materiale. Quando i piacere terrestri sono molto intensi e prendono il comando della nostra vita, allora i nostri sentimenti manipolano il nostro cervello facendoci ragionare in maniera distorta fino a farci confondere il male con il bene.
Navighiamo allegramente attraverso le acque della vita, ignorando la voce interiore di Dio, cercando di convincerci che comunque siamo o saremo felici.
Tempesta
Tutto sembra a posto e molto “cool”, fino a quando una turbolenza non inizia a scuotere le nostre vite e i nostri vizi. La tempesta del mare nella storia di Giona è una metafora delle circostanze tumultuose che la vita presenta, minacciando la sopravvivenza stessa della nostra “nave” – il nostro corpo e la nostra esistenza.
A questo punto, le persone tendono ad avere due comportamenti diametralmente opposti: molte persone si svegliano dalla loro illusione invocando il vero Padrone del mondo. Oppure al contrario, c’è chi, proprio in quei momenti, si stacca ancora di più dalla propria realtà autentica, perché ha paura della verità.
“I marinai si spaventarono e gridarono, ciascuno al suo dio… Ma Giona scese nella stiva della nave, si sdraiò e si addormentò”. Giona, secondo questa interpretazione, rappresenta l’essere umano che può vedere il mondo stravolgersi o crollare, ma continua a dormire, facendo credere e autoconvincendosi che tutto sia normale, che la sua vita sia una storia di successo. Un simile approccio ha un solo risultato: il tumulto, la tempesta non si placherà anzi…
Un Bisbiglio Divino
A questo punto, l’uomo di solito sperimenta uno stimolo dalla sua coscienza divina. Come nella storia di Giona quando il comandante della nave gli si avvicina e gli dice: “Come fai a dormire così profondamente? Alzati! Chiama il tuo Dio!”.
Anche gli altri marinai parlano con Giona e gli chiedono: “Qual è il tuo mestiere? da dove vieni? Qual è la tua terra? E di che popolo sei?”.
Il comandante, il capitano della nave, simboleggia lo Yètzer Tov, l’istinto al bene, che ognuno di noi possiede, ossia la piccola scintilla di Dio che risiede nell’anima umana. Questa scintilla chiama l’anima, chiedendogli: “Come puoi dormire così profondamente ignorando la tua missione nel mondo? Per quanto tempo puoi negare il fatto che il tuo universo, quello dove ti sei rifugiato, è impazzito? Ricorda da dove è venuta la tua anima”. In sostanza le domande del capitano rappresentano la voce interiore che parla a Giona a ognuno di noi (all’anima e la parte del Tetragramma che è dentro di noi) e ci sprona a svegliarci dal nostro sonno, dal sogno che ci siamo illusi sotto il falso nome di essere “uomini liberi”.
Affogare l’Anima
Tuttavia dopo il richiamo dell’istinto al bene uno strano e malinconico realismo prende il sopravvento su Giona. Il suo impulso morale negativo trova il modo di esprimersi in modo distruttivo con il suggerimento ai marinai di gettarlo in mare per liberarsi del fardello imposto dalla sua stessa esistenza. Questo rappresenta la profonda ansia esistenziale che purtroppo a volte può prendere il sopravvento su molte anime quando scoprono che non potranno mai convincersi veramente che Dio non esista. Giona (l’anima umana) è preso da una sorta di limbo esistenziale che scaturisce da una contraddizione inconciliabile: da un lato il timore, la paura di abbracciare Dio pienamente, dall’altro lato è incapace di fuggire da Dio, di respingerlo. A questo punto l’anima reagisce rassegnandosi alla morte: “Liberati di me e basta”, grida Giona alle contradditorie voci che albergano dentro di sé (rappresentate dal capitano, dai marinai e dalla sua proposta di essere gettato in mare).
In simili momenti di devastazione interiore l’essere umano, dopo aver esaltato il desiderio di morire, spesso si lascia andare completamente e abbandona le sue ultime vestigia di dignità spirituale degradandosi senza limiti e permettendo alla sua anima di essere spazzata via dalle “acque impetuose” del desiderio.
Infatti, Giona, dopo essersi fatto buttare in mare, lascia che è la sua identità umana venga inghiottita e trasformata in una creatura anfibia. Smettendo di considerarsi diverso da un animale, è finalmente “libero” di ignorare veramente la presenza di Dio e abbandonarsi a desideri materiali di ogni tipo. Il Talmud insegna che nel linguaggio biblico i pesci sono una metafora della sessualità disinibita, poiché i pesci si moltiplicano abbondantemente. Giona che viene inghiottito da un pesce deve quindi essere inteso come una metafora di un’anima inghiottita dalla dipendenza sessuale e dalla promiscuità. Il termine ebraico usato nella storia per “pesce”, dagà, può anche essere tradotto come “ansia”. Vale a dire, spesso il desiderio sessuale disinibito rappresenta una risposta emotiva alternativa, un altro rifugio illusorio, al caos della vita. La persona ad esempio, si può lanciare in attività materialistiche, in modo che l’ansia e lo stress straordinario impegnati nel salire le vette sociali ed economiche eclissino nella maniera più profonda la sua anima. Si lascia inghiottire completamente dalla sua carriera fino a quando non dimentica di essere un essere umano.
La Rinascita dallo Sprofondo
Eppure, paradossalmente, proprio in questo momento, l’anima, per la prima volta, incontra Dio. “Dal ventre dell’inferno ho gridato”, dichiarò Giona. Finché l’anima non raggiunge il “ventre dell’inferno”, rimane impegnata a fuggire da Dio e da se stessa. Solo quando l’uomo raggiunge il suo nadir (il punto astronomico più basso) può scoprire improvvisamente la presenza di Dio che è viva e premurosa.
Ma perché accade ciò? Perché un’anima, per la sua essenza divina, non può mai rimanere in un posto, deve essere sempre in uno stato di movimento. Perciò l’unica domanda è in quale direzione si muove: o sta correndo via da Lui o se non può più scappare allora corre verso Dio. Pertanto, una volta che l’anima tocca il fondo e non può più dirigersi verso il basso, deve iniziare per forza a muoversi verso l’alto.
La Fuga dal Mondo
La riscoperta della verità da parte dell’uomo – che è qui per compiere una missione divina – porta il pesce a sputare l’anima. Ossia, l’uomo è costretto ad abbandonare le sue dipendenze e i suoi desideri ansiogeni. Ora deve intraprende il suo viaggio dentro la società (non più dentro una balena), portando luce alle anime, farle brillare, dando un significato alla vita e portare la Divinità nella sua vita e in quella degli altri in una società mondana ed egocentrica. Tuttavia, presto l’anima si angoscia per la tolleranza che Dio ha verso il mondo falso permettendogli di prosperare. L’anima, una volta scoperta la verità, ossia che Dio esiste ed è l’unica fonte di verità che Regna sul mondo, desidera ardentemente rimanere in un ambiente sacro, ripulito dalla sporcizia delle cose mondane che pervadono l’esistenza materiale. Quindi si domanda: “Perché devo affrontare tanta bruttezza profana?”, grida l’anima. “Dovrei dedicare il resto della mia vita a capire le meschinità dei piccoli esseri umani?”. Come nella storia quando Giona non vuole andare a “insozzarsi” nei peccati della città di Ninive.
Questo è il modello consueto dell’agire umano: dopo che l’anima/l’uomo scopre la presenza vivente di Dio, desidera ardentemente diventare un asceta, sfuggire ai confini di un universo umile e dissolversi nella Sua luce infinita.
In questa fase, Dio rivela a Giona (all’anima), che infondendo nell’empietà la santità si adempie al piano finale di Dio. Solo nel fango del pianeta Terra risplende la gloria della alleanza Divino-umano. L’anima, nonostante la sua naturale resistenza, deve imparare a emulare Dio e ad abbracciare il mondo, non a sfuggirgli.
Due Tipi di Dormienti
Allora perché leggiamo questa storia proprio il giorno solenne di Kippur? Perché ci sono due tipi di dormienti umani: quelli che si trovano in un sonno leggero, che con uno zampillo di ispirazione o turbolenza si sveglieranno e quelli che sono così sommersi nel loro sonno che anche l’esplosione più potente non li smuoverà.
La prima categoria di persone si sveglia al suono dello shofàr a Rosh Hashanà. I suoni primitivi e penetranti del corno di montone, derivanti dalla semplice profondità primitiva dell’interiorità umana, ispirano l’anima a tornare a ciò che è veramente.
Mentre per la seconda categoria dei “dormienti”, quelli dal sonno profondissimo, anche il potente suono dello shofàr non è sufficiente. La nave sta per rompersi a causa della tremenda forza della tempesta, ma loro continuano a dormire. Il Titanic sta per affondare e loro sono sdraiati sulla loro poltrona di prima classe a fumare sigari, ignari e insensibili alla realtà.
Questo può essere rappresentato dal tremendo antisemitismo, da un presidente di una nazione che nega l’Olocausto, oppure da persone che tramano ogni giorno per distruggere un paese e la sua gente, dalla profonda confusione morale ed emotiva nella società, dalla profonda depressione e alienazione tra tanti giovani. Un mondo preso dalla paura e dalla confusione, eppure in tanti, in troppi, sono impegnati a giocare al “gioco della vanità”. Continuiamo a credere e a far credere che la vita sia più o meno normale.
Un Profilo del Faraone
Uno dei maestri chassidici una volta descrisse la reazione del re d’Egitto, il Faraone, dopo il suo celebre sogno sulle vacche e spighe (sogno che anticipò la famosa carestia che causò la discesa del popolo ebraico in Egitto). La Torà descrive la notte in cui il Faraone fece questo sogno misterioso e poi si svegliò. “Allora”, continua la Torà (Genesi 41, 5), “si addormentò e fece un secondo sogno”. Questi due sogni contenevano i segreti della sopravvivenza per l’intero regno d’Egitto. “Bhe, posso capire il fatto che vada a dormire”, ha commentato il Rebbe di Kotzk, “ma una volta che sperimenti un sogno così potente, pieno di segreti sul futuro destino del mondo, come puoi tornare a dormire?! Per questo devi essere un Faraone…!” Infatti quello del Faraone è il profilo di una persona che può sentire 100 squilli di shofàr, ma spegne semplicemente la sveglia e si rimette a letto.
Il Giorno che non Tollera Occultamenti
Poi arriva Kippùr, l’unico giorno all’anno che non tollera le finte apparenze, infatti In questo giorno, il più sacro del calendario, tutti i veli sono sollevati! La pura verità del Dio vivente sfonda tutti i muri, raggiungendo anche coloro che si sono nascosti sotto una miriade di coperture. Durante Kippùr, anche coloro che sono sprofondati nel più profondo dei sonni possono sentire la voce del capitano: “Come puoi dormire così profondamente? Alzati! E chiama il tuo Dio!”.
In questo giorno in particolare e ogni giorno delle nostre vite il nostro “risveglio” non solo porterà grande beneficio a noi e a tutti coloro che ci sono vicini, ma a tutta l’umanità. Il nostro risveglio contribuirà ad accelerare l’arrivo imminente di Mashìakh, presto ai nostri giorni, Amen.
Tratto dal libro di Giona Ed. Mamash e da uno scritto di Y. Y. Jacobson.
Questo saggio è basato su diversi scritti dei maestri di Cabbala e Chassidùt e sugli insegnamenti della guida della nostra generazione il Rebbe di Lubàvitch
Yom Kippur è una festa fondamentale per l’ebraismo. Per arrivare pronti all’evento, non perdete tutte le lezioni di Virtual Yeshiva!
Quindi, in onore di questo giorno e della quarta vitamina dell’anima abbiamo raccolto con mio fratello 34 INSEGNAMENTI DI VITA che le dedico a mio padre per dare degli spunti, a tutti noi, al fine di cambiare e migliorare sempre di più.
Rav Shlomo Bekhor
se il talmid non va dal rabbi, il rabbi va dal talmid!
Non perdere l’appuntamento con la parash・ mistica e psicologia nella Tora
Per informazioni: www.virtualyeshiva.it
Dopo quattro millenni, gli occhi del mondo sono sempre puntati su Israele!!!
PERCHE’?
commento di Kippur dell’anno scorso altamente consigliabile:
L’IMPOSSIBILE È POSSIBILE!