KORAKH Rosh Chòdesh TAMÙZ 5784: 7 LEZIONI

29 Giugno 2024 3 Di HaiimRottas

Questo Shabbàt 6 LUGLIO 2024, 30 del mese di SIVÀN 5784 leggeremo la

Parashà di Korakh Numeri 16: 1 – 18: 32

Rosh Chòdesh II° Sefer Num. 28, 1-15

HAFTARÀ
Isaia 66, 1-24

Rosh Chòdesh

link del pdf da stampare per la tavola di Shabbat
PARASHA INTEGRALE KORAKH CON PANORAMICA, RIASSUNTO E HAFTARA
https://virtualyeshiva.it/wp-content/uploads/2022/07/05_korakh.pdf

Elevare o Trascendere la Natura?
Nella parashà di Kòrakh leggiamo l’episodio in cui Kòrakh mette in discussione le distinzioni
che Hashèm ha apportato all’interno del popolo ebraico, con il conferimento del sacerdozio ad
Aharòn e alla sua discendenza. In risposta a ciò, Moshè comanda a ogni tribù di consegnargli un
bastone, su cui deve essere inciso il nome della tribù a cui appartiene: su quello della tribù di
Levì ordina di scrivere il nome di Aharòn. Moshè dichiara che il bastone che fiorirà, sarà una
prova indiscutibile di quale tribù Dio ha scelto per il sacerdozio. Moshè porta i bastoni nel
Tabernacolo e, il giorno seguente, il bastone di Aharòn, appartenente alla tribù di Levì, fiorisce:
in un primo momento spunta il fiore, poi questo cade e, nel giro della notte, crescono delle
mandorle. Lo scopo della richiesta di Moshè era che tutto il popolo vedesse fiorire il bastone di
Aharòn, a testimonianza del fatto che la sua tribù, e nessun’altra, era quella scelta per il
sacerdozio. Questo episodio ci invita a porci delle domande: visto che Hashèm ha compiuto un
miracolo, facendo spuntare i fiori nel giro di una notte, come mai non ha compiuto un miracolo
completo, facendo anche apparire i fiori miracolosamente, scegliendo, invece, di farli sbocciare
in maniera naturale? Come mai le mandorle sono cresciute secondo le leggi della natura, anche
se in tempi più brevi del normale? In altre parole, c’è stato un miracolo, ossia la fioritura del
bastone di Aharòn nel giro di una notte, ma associato alle leggi della natura, poiché i fiori sono
sbocciati rapidamente, ma seguendo il corso naturale degli eventi.
Sole nel Ghiv’òn: TACI!
La stessa domanda sorge riguardo a un episodio accaduto a Yehoshù’a il 3 di tamùz: gli ebrei
stavano entrando in Terra di Canàan per conquistarla. Yehoshù’a era la loro guida e per vincere
e concludere la guerra aveva bisogno di qualche ora della luce del giorno; chiese quindi a Dio di
compiere un miracolo fermando il moto del sole. Egli esclamò: “Sole nel Ghiv’òn, taci!”.
Yehoshù’a con questa frase voleva alludere al fatto che il moto del sole è in qualche modo legato
alla lode che esso rivolge ad Hashèm: una volta “zittito”, il sole può essere “fermato”. La richiesta
di Yehoshù’a fu esaudita, permettendogli di vincere la battaglia che si svolse però in maniera
normale, senza interventi miracolosi. Come mai Dio non gli fece vincere la guerra in maniera
miracolosa? A che scopo fermare il moto del sole, quando l’Onnipotente poteva semplicemente
far cadere i nemici nelle mani di Yehoshù’a senza combattere?
Ci sono anche altre domande circa questo miracolo. Hashèm ha fatto semplicemente in modo
che la luce del sole continuasse a splendere, per consentire a Yehoshù’a di continuare la sua
battaglia contro i cananei, fermando semplicemente il movimento del sole, oppure il miracolo
era più vasto, e ha interessato anche l’intero processo fisico, le orbite e le sfere, che governano il
movimento del sole?
Tutte queste domande ruotano attorno al rapporto tra i miracoli e l’ordine naturale. È lecito
domandarsi, infatti, in quale misura il miracolo permea il normale corso della natura. Se esso
sospende semplicemente l’ordine naturale, oppure cambia quest’ordine? Ossia, se anche l’intero
processo fisico che governava il movimento del sole è stato influenzato, oppure no?
Un parallelo con questi due tipi di miracoli può essere visto con quelli compiuti da Moshè in
Egitto, come segno che lui era stata mandato da Hashèm. Uno dei segni riguardava la
trasformazione dell’acqua in sangue. Non appena quel miracolo si concluse, l’acqua tornò al suo
stato naturale. Quindi, riguardo al cessare del sole, ciò implicherebbe che il sole si è fermato
contro la sua natura e, una volta cessato il miracolo, è tornato alla sua natura originaria.
Un altro dei segni operati da Moshè era che la sua mano diventava lebbrosa. In questo caso, la
natura della sua mano cambiò e fu necessario un secondo miracolo, affinché la mano tornasse al
suo stato normale. Per quanto riguarda l’arresto del sole, ciò significherebbe che tutti i processi
fisici che causano il movimento del sole sono stati modificati e che è stato necessario un secondo
miracolo, affinché ricominciassero a funzionare.
Unire i Due Estremi, Natura e Miracolo
Anche quando interviene nelle leggi naturali con i miracoli, Hashèm fa in modo che essi si
uniscano alla natura e non che la natura venga “inghiottita” dal miracolo. Fu un miracolo che il
bastone fiorì, ma la fioritura in sé avvenne secondo le fasi della natura, così come la giornata di
Yehoshù’a si allungò, senza annullare la necessità di combattere una battaglia in modo naturale.
Perché è così importante l’unione del miracolo con la natura? Dio non vuole che la Sua presenza
intervenga nel mondo al di là delle leggi naturali, le leggi che Lui ha creato e stabilito; Egli,
infatti, desidera unire il sovrannaturale al naturale, elevando la natura stessa a riconoscere il Suo
Creatore. Questo processo verrà completato nei giorni futuri, quando il mondo, rimanendo
sostanzialmente lo stesso e con la stessa natura di oggi, riconoscerà il suo Creatore e la Sua
unicità.
Per spiegare: un bastone può germogliare fiori e frutti solo come risultato di un miracolo divino.
In questo caso, tuttavia, il miracolo ha permeato l’ordine naturale del mondo e, quindi, il bastone
ha prima fiorito e poi fatto germogliare le mandorle secondo il processo “naturale”, ma nel
contesto di un miracolo, perché tutto è avvenuto in maniera straordinariamente veloce.
Solo per la Sua Gloria
Quanto detto sopra si riferisce a un concetto molto profondo: i nostri saggi dichiararono: “Tutto
ciò che il Santo Benedetto ha creato nel Suo mondo, l’ha creato solo per il Suo Onore”. Quindi,
sebbene la natura del mondo (עולם la parola “mondo” in ebraico, è legata alla parola העלם ,che
significa “nascosto”) nasconde la forza vitale di Dio, comunque lo scopo della creazione è che
ogni entità particolare esiste per un solo scopo: RIVELARE LA GLORIA DI HASHÈM.
C’è anche un ulteriore aspetto legato a questo concetto: poiché il mondo e ogni entità che
contiene è stato creato da Hashèm, sicuramente Lui ha fatto tutto ciò per uno scopo. È proprio a
tale scopo è indirizzata la forza vitale divina che ricrea continuamente tutto l’esistente, perché
ogni creazione accresce (legandosi con Lui continuamente e servendolo), per così dire, l’onore
di Hashèm, la Sua Gloria nel mondo.
Questa logica è ulteriormente rafforzata dall’insegnamento del Baal Shem Tov, secondo cui la
creazione è un processo continuo che si verifica in ogni momento dell’esistenza. Tuttavia, per
quale motivo Hashèm avrebbe creato un mondo che richiede di investire costantemente Se stesso
per portarlo all’esistenza? Hashèm avrebbe potuto creare un mondo che non richiedesse un
intervento divino costante: ad esempio con una grande energia vivificante iniziale, sufficiente a
“mantenere” la creazione per 6000 anni.
Sebbene i maestri abbiano fornito molte spiegazioni sul fatto che il mondo è stato creato ex nihilo
e che la creazione deve essere “mantenuta” da Dio in ogni momento, queste spiegazioni si
riferiscono al mondo come esiste dopo la creazione. Hashèm è Onnipotente e avrebbe potuto
creare il mondo secondo “logiche” e “dinamiche” completamente diverse da quelle che vigono
in questa creazione. Comunque sia, la ragione che Hashèm ha scelto di creare un mondo in cui
vigono le attuali regole è al fine di permettere a ogni creatura di percepire il suo potenziale per
aumentare e migliorare la natura del mondo, rivelando la Gloria di Dio. Pertanto, non solo ogni
cosa creata segue, inevitabilmente, la volontà di Hashèm, ma ogni essere umano (anche quando
non ne è consapevole o addirittura cerca di opporsi a essa), è in grado di contribuire a suo modo,
per così dire, attraverso il libero arbitrio, alla Gloria di Dio, lo scopo della creazione.
È stato solo per mantenere una connessione costante con la creazione, che Hashèm ha investito
Se stesso nel portare all’esistenza il mondo. In questa maniera, Dio ha concesso a ogni particolare
creazione il potenziale di rivelare la Sua Gloria in ogni momento.
Se la creazione avesse ricevuto solo un’iniziale esplosione di energia divina, che avrebbe
permesso di mantenerla in esistenza in ogni momento, la rivelazione della Gloria di Dio sarebbe
stata in qualche modo più “astratta” e “lontana”. Al contrario, poiché Hashèm ha creato e ricrea
il mondo che ha fatto, in ogni momento, esso può servire come mezzo per rivelare la Sua Gloria.
Per esempio, quando si beve un sorso d’acqua e si recita la benedizione “…perché tutto è stato
creato dalla Sua parola”, questo rivela l’esistenza della parola di Hashèm, cioè la sua forza
creatrice nell’acqua. Allo stesso modo, ogni altra benedizione rivela l’unicità dell’energia
creativa di Hashèm.
La Gloria di Hashèm è rivelata anche dai miracoli. Tuttavia, il Suo intento finale è che questi
miracoli permeino la natura e quindi rivelino apertamente la Sua bontà, anche all’interno della
struttura di questa creazione.
Mandorle e Raggi Zelanti
Il pensiero chassidico riporta una connessione tra questo concetto e la Benedizione Sacerdotale.
Tale benedizione attira l’energia divina dall’alto, ben al di sopra dell’ordine naturale, verso il
“basso”, quindi è in grado di permeare anche l’ordine naturale, determinando cambiamenti
positivi nella nostra realtà.
Poiché la fonte di questa influenza è al di sopra dell’ordine naturale, essa viene attirata con zerizut
(“zelo”, nel senso di rapidità e prontezza nel fare), quindi con velocità, forza ed energia. In
generale, l’influenza divina passa attraverso l’ordine dei mondi spirituali attraverso una
progressione graduale verso il basso. La discesa della Benedizione Sacerdotale, invece, dato che
origina da piani spirituali molto elevati che trascendono la creazione, è accelerata in modo tale
che non vi siano ostacoli che si possono opporre a essa.
Questo è anche legato alla fioritura del bastone di Aharòn. Hashèm, infatti, ha scelto di fare
questo miracolo con le mandorle, perché esse fioriscono più velocemente di qualsiasi altro frutto.
In questo caso, esse sono sbocciate più velocemente del solito in una sola notte.
Un concetto simile può essere spiegato per quanto riguarda il miracolo del sole che si ferma per
Yehoshù’a. L’intento del miracolo non era quello di trascendere del tutto l’ordine naturale, ma
che il miracolo amplificasse il successo della guerra che si svolse (per quanto possibile) entro i
limiti dell’ordine naturale. Pertanto, il nemico non fu sconfitto con mezzi miracolosi, poiché la
benedizione doveva scendere dall’alto per permeare l’ordine naturale. Invece, il miracolo ha
semplicemente permesso che il successo fosse ottenuto con mezzi naturali, ma più velocemente
e completamente del normale.
Così si può comprendere il motivo per cui il miracolo del sole del tre di tamùz non ha influenzato
solo il sole: Hashèm ha modificato la natura stessa del sole, ossia ha influenzato l’intero processo
fisico che lo faceva muovere. Come nell’esempio, sopra riportato, della mano di Moshè, anche
in questo caso, l’arresto del sole ha comportato che anche tutti i processi fisici che causano la
notte e il giorno sono stati modificati, quindi è stato necessario un secondo miracolo per riportare
tutto al naturale stato delle cose. In questo modo, il miracolo ha potuto avere un legame maggiore
con l’ordine naturale.
Sulla base di quanto sopra, possiamo anche comprendere la natura graduale del miracolo del 3 di tamùz.
Il giorno in cui il Rebbe Precedente è stato rilasciato dal carcere di Leningrado a condizione che
trascorresse tre anni in esilio nella città di Kostroma. All’epoca non si sapeva se questo fosse un passo
positivo, perché sebbene l’esilio sia preferibile alla reclusione, è anche connesso a diverse difficoltà e
pericoli. Successivamente, il 12 di tamùz, il Rebbe precedente ha ricevuto la notizia che sarebbe stato
liberato e il 13 dello stesso mese ha ricevuto i documenti ufficiali che attestavano la sua liberazione. E
così è stato rivelato che il 3 di tamùz era la prima tappa del processo di redenzione. Inoltre, è stato rivelato
che una condanna a morte era stata emessa in precedenza e la sentenza di esilio aveva rappresentato
un’attenuazione di questo giudizio portando alla sua redenzione definitiva. Sebbene il 3 di tamùz fosse
un miracolo che trascendeva la natura, influenzò anche l’ordine naturale, l’ordine naturale che si
accordava, per così dire, a questa serie miracolosa di eventi. In altre parole, le stesse persone che
arrestarono il Rebbe precedente furono quelle che lo liberarono e, anzi, furono costrette ad assisterlo in
merito ad alcuni elementi della sua liberazione.
Per questo, affinché le forze contrarie (nel contesto della loro natura, e senza aver perso il loro potere)
apprezzassero la necessità di liberare il Rebbe precedente, la sua redenzione doveva avvenire a tappe. In
primo luogo, la sua condanna a morte è stata commutata in esilio e solo in seguito è stato liberato
completamente.
Tratto dal Sèfer Hassikhòt 3 tamùz 5751.

 

KORAKH

Capendo tutto questo articolo e dopo averlo interiorizzarlo bene probabilmente non si avrà più bisogno del psicologo, e quasi sicuro non si avrà la “crisi di mezza età” e cosi anche per tanti altri problemi legati alla psiche che si possono risolvere con questo MEGA articolo, d’altronde anche le altre riflessioni del Rebbe aiutano a risolvere tanti dubbi della vita ma questo in particolare è TRASCENDENTALE.

 

NUOVA LEZIONE SUPER ATOMICA DAL NUOVO VOLUME DELLA TORA

In memoria del mio carissimo amico Rav Haim Moshe Mordechai Shaikevitz

TUTTO INIZIÒ CON LA LETTERA HEY

“All’inizio, Dio ha creato i cieli e la terra” (Genesi 1, 1). Con queste parole comincia la storia dell’umanità che non è stata, come alcuni affermano erroneamente, una sorta di “incidente cosmico”, ma piuttosto è il frutto di un piano con scopi ben precisi.

Se Adamo avesse superato la difficile prova di non mangiare dell’Albero della Conoscenza, lo scopo ultimo della Creazione sarebbe stato raggiunto fin da subito: il trionfo del Bene sul Male e lo splendore dell’era messianica non avrebbe cessato di rivelarsi. Il mondo sarebbe stato inondato dalla perfezione spirituale e avrebbe assaporato la ricompensa divina eterna e illimitata, ma questo non è il piano divino perché il mondo sarà rettificato solo in futuro con l’era messianica attraverso l’opera dell’uomo e non con un miracolo o un aiuto dall’alto.

Quindi dopo il peccato di Adamo, invece, la lotta per la rettificazione dell’umanità è diventata lunga e protratta, irta di molti ostacoli e difficoltà apparentemente insormontabili.

Con le dieci generazioni che separano Adamo da Noè continua la spirale discendente dell’umanità, con eventi che precipitano inesorabilmente verso la totale degradazione spirituale fino al Diluvio, nell’anno 1656 dalla creazione. Dopo questo drammatico evento Noè e i suoi tre figli divennero i capostipiti delle 70 nazioni originarie e l’umanità continuò il suo corso. Fino a giungere all’ascesa della Generazione della Torre di Babele, quando il re Nimrod, organizzò il popolo nella costruzione di una torre che avrebbe raggiunto i cieli. Il suo scopo era dimostrare l’auto-esaltazione e l’indipendenza dell’uomo da Dio. Poiché la società di allora continuava a spingere i suoi talenti e le sue risorse nella ricerca del male, Dio intervenne, “sabotò” il progetto suddividendo l’umanità in diversi gruppi linguistici, disperdendola.

A questo punto della storia umana, quando tutto sembrava nuovamente in discussione, nasce e inizia a operare il primo dei grandi patriarchi, Abramo. A cavallo tra il 2° e il 3° millennio dalla creazione del mondo, Abramo inizia il processo del “ritorno” dell’umanità attraverso la sua rettificazione. Non a caso è riconosciuto da tutte le grandi religioni come un “capostipite” o un grande profeta e un giusto della storia, perché oltre a essere il primo ebreo lui ha iniziato l’opera di diffondere il monoteismo del mondo. In estrema sintesi, Abramo inizia quel processo di rettificazione indispensabile affinché il mondo fosse poi in grado, secoli dopo, nel terzo millennio, di ricevere il Dono della Torà sul monte Sinày.

Senza l’opera di Abramo la “Luce Infinita” di Hashèm non avrebbe potuto manifestarsi, poiché non avrebbe trovato un “recipiente”, il mondo, in grado di sopportare una tale rivelazione.

Nella parashà di questa settimana noi leggiamo di come Abramo è più volte messo alla prova, ma riesce comunque a eseguire la volontà di Dio. Tuttavia, nel presente e soprattutto nel futuro l’opera da lui iniziata e lo scopo stesso della creazione, troverà grandi ostacoli di tutti i tipi. Adesso, qui, con questo scritto, vogliamo mostrare quello che è il più grande ostacolo alla completa rettificazione dell’umanità al giungere dell’era messianica: in ogni generazione, il pericolo maggiore è quello della disputa e della conseguente discordia. Inoltre, vogliamo approfondire perché questo concetto è simboleggiato dal nome Kòrakh, che legame c’è con il dono della Torà e perché è così fondamentale il fatto che “la creazione è basata sulla lettera hey – ה, perciò – prima di addentrarci dettagliatamente nella spiegazione delle tre filosofie errate di Kòrakh – occorre approfondire il fondamentale significato della lettera hey – ה.

La Lettera Hey ה Significati e Caratteristiche 

La hey è la lettera originaria della creazione del mondo e in essa è racchiuso il segreto di come trovare l’equilibrio in questa esistenza, come è scritto all’inizio della Genesi (2, 4): Questo è ciò che derivò dal cielo e dalla terra quando furono creati… La parola בהבראם – behibareàm “furono creati”, si può anche leggere behèy baràm – בראם  בה’, ovvero Il cielo e la terra sono stati creati con la lettera hey (Talmùd Menakhòt 29b). Quindi, se il progetto originale della creazione e dell’esistenza del mondo è fondato sulla hey, significa che nella struttura di questa lettera troviamo il percorso per giungere al nostro equilibrio interiore attraverso cui è possibile cogliere il vero scopo, l’essenza, della nostra esistenza.

La forma della hey è composta da tre linee: una orizzontale superiore che funge da “tetto” e due verticali come due “gambe”: una a destra, attaccata al “tetto” e la seconda, a sinistra, staccata con un breve spazio. Rabbi Shneur Zalman spiega, nel Torà Or, che queste tre linee rappresentano rispettivamente le tre dimensioni della natura umana: il pensiero, la parola e l’azione e il rapporto che deve intercorre tra esse e la parte “astratta” e spirituale con la parte materiale della creazione.

Il “TETTO” di questa lettera rappresenta il PENSIERO. Esso si esprime liberamente e non dovendo affrontare ostacoli terreni può spaziare senza limiti. Nel “tetto” della hey troviamo le idee, i sogni e le visioni e immaginazioni del mondo, ossia come crediamo che esso dovrebbe essere.

La PAROLA, la “GAMBA DESTRA” della hey, è attaccata al “tetto” in quanto essa è espressione diretta del pensiero. La parola non trova normalmente ostacoli di natura materiale nella sua articolazione. Con essa portiamo naturalmente il pensiero in una “fase ulteriore” trasmettendolo, comunicandolo nel mondo, all’esterno di noi stessi.

L’AZIONE, la “GAMBA SINISTRA” della hey, è quella staccata e isolata dal resto: mentre è facile pensare e parlare di molti progetti, poiché ci si trova nel mondo dell’astratto, realizzare in concreto i propositi e le idee pensate o espresse è tutta un’altra cosa e assai più difficile. Pertanto, come la “gamba sinistra”, anche l’azione è disgiunta dalle altre facoltà umane, poiché nel rapporto con la materia intercorre sempre un intervallo tra i primi due elementi astratti e l’azione che li concretizza. Possiamo pensare ed esprimere le idee come le vediamo senza apparentemente notare eventuali problemi. Mentre se vogliamo tradurre i nostri pensieri in azioni vi è un’interruzione, un “gap”, che non permette di realizzare le nostre intenzioni in maniera automatica. Ad esempio quando si vuole creare una nuova opera, prima si pensa, si parla, si elabora e si sviluppa. E nella fase dell’elaborazione astratta tutto può sembrare già pronto, chiaro e definito. Invece, quando dobbiamo agire nel mondo materiale spesso iniziano i problemi: richiesta di permessi, mancanza di denaro, trovare la squadra competente per realizzare l’opera, errori di esecuzioni, contrattempi ecc. Il mondo materiale crea barriere, crea difficoltà.

Tuttavia, le difficoltà e i problemi non sono visti dalla Torà come un “male”. Gli ostacoli devono esserci, altrimenti questo mondo sarebbe troppo semplice e realizzare delle imprese sarebbe una banalità, ma in realtà non solo non così, ma NON DEVE essere così, perché Hashèm ha voluto che ci sia un valore per chi trasforma questo mondo concretamente. In altre parole, se l’azione non fosse staccata dalla componente astratta, in questo mondo, il “sognatore” e il “realizzatore/l’esecutore” sarebbero allo stesso livello, perché nessuno dovrebbe superare delle difficoltà e faticare per realizzare idee e progetti. In questa prospettiva lavorare per fare di questo mondo una dimora per Hashèm non avrebbe senso. Tuttavia, siccome la verità che governa la nostra realtà è antitetica a questa filosofia, illudersi che l’azione non richieda un “salto” nel mondo materiale può essere solo il frutto di una percezione falsa di questo mondo ed equivarrebbe ad una forma di “autolesionismo”.

Il messaggio della Torà è che la pianta della creazione che Dio ha voluto è la “hey” e così è strutturata in questo modo, con i suoi tre livelli interconnessi (pensiero, parola e azione), per rendere la nostra fatica importante, donandoci la gioia e la felicità nel successo che non deve essere scontato. Questo dona armonia o per meglio dire questa è la fonte dell’armonia.

Kòrakh: Tre Filosofie Di Vita Sbagliate

Questa riflessione spiega un importante significato mistico nascosto dietro la figura di Kòrakh e della sfida da lui lanciata alle due guide del popolo ebraico: Moshè e Aharòn. Sfida che è diventata un archetipo del concetto stesso di conflitto e di discordia in eterno. Il fulcro di questo insegnamento è celato nel nome di Kòrakh e per meglio dire nelle lettere ebraiche che compongono il suo nome. Dall’analisi comparata di queste lettere possiamo trarre lezioni di vita fondamentali valide fino ad oggi.

L’argomento è ben introdotto dal Talmud: Chiunque si impegna nella divisione trasgredisce un divieto della Torà, come è scritto (Numeri 17, 5): “E non divenga come Kòrakh e la sua congregazione”. La Torà stessa desidera mettere in guardia contro l’idea della disputa e della conseguente discordia.

Ciò significa che nella vicenda di Kòrakh troviamo la fonte di tutte le divisioni e anche le risposte per non cadere in esse. Per capire la centralità di questo evento dobbiamo addentrarci nella profonda ideologia di Kòrakh che in realtà è formata da tre convinzioni.

Come è scritto nel Talmud, il grande saggio Rabbi Mèir avrebbe dedotto la natura di ogni persona dal suo nome. Questo concetto è spiegato in profondità dalla mistica ebraica, Cabalà, secondo cui dalle lettere ebraiche di ogni cosa può essere ricavata non solo la natura o essenza di ogni creatura, ma anche di ogni oggetto e fenomeno. Nella Torà l’alef-bet (l’alfabeto ebraico) rappresentano gli elementi costitutivi della creazione, il che significa che le lettere che compongono il nome ebraico biblico di ogni cosa o persona ne definiscono la sua “essenza”, ovvero il carattere della sua anima, la sua forza vitale divina che le garantisce esistenza e vitalità.

Le lettere del nome “Kòrakh”: kuf – ק, resh – ר, khet – ח, delineano i contorni di un conflitto interiore, i vari modi in cui l’armonia della creazione di Dio potrebbe essere distorta e corrotta.

Significati Lettere Nome Kòrakh

Invece le tre lettere di Kòrakh, che pur assomigliando alla hey, esprimono delle differenze con essa, delle “deviazioni ideologie” con la quali Kòrakh sfida suo cugino Moshè e in qualche modo anche la creazione, il piano del Creatore e la novità stessa del Dono della Torà.   Tali differenze allontanano l’uomo sia da un comportamento equilibrato tra pensiero, parola e azione, sia dal suo vero scopo della vita e in definitiva alterano e confondono il corretto rapporto tra lo “spirito” e la “materia”, così come è voluto da Dio. Queste deviazioni rappresentano anche tre diversi tipi di profili psicologici: il sovra-razionalista, il sovra-idealista e il livellatore, le cui caratteristiche sono raffigurate nella differenza di forma che ognuna delle tre lettere del nome Kòrakh ha rispetto alla lettera “matrice della creazione” la hey: la kuf – ק è un hey – ה la cui gamba sinistra non è allineata alla gamba destra e si estende sotto di essa; la resh – ר è una hey – ה a cui manca del tutto la gamba sinistra; e la khet – ח è una hey – ה dove anche la gamba sinistra è unita al suo tetto.

1) Kuf – ק: L’uomo Ultra Realista

La “gamba sinistra” della Kuf, “azione”, si estende molto più in basso di quella della hey – ה. Questa caratteristica denota una filosofia di vita che vede come una fatalità la dicotomia tra l’astrazione (pensiero e parola) e l’azione. In questa fase si riconoscono che i valori espressi dalla mente e dalla parola sono buoni. Tuttavia si crede che dal momento che l’azione è staccata dallo spirito, poiché scende nel mondo nettamente più in basso delle altre facoltà, per quale ragione l’azione deve essere regolata dallo spirito? Inoltre per quale ragione bisogna avere delle regole nel comportamento materiale? Visto che la materia è una sfera distinta, pensa il realista, tanto vale che cammini per conto suo, senza le regole dello spirito.

In questo modo si arriva a negare l’importanza di infondere lo spirito nella materia per elevarla: dato che la materia è opposta allo spirito, non esiste un collegamento tra questi due elementi. Da simili considerazioni erronee nascono filosofie di vita, purtroppo molto diffuse, che arrivano ad affermare che essendo la vita una sola occorre “godersela finché si può”.

Questo è diametralmente opposto allo scopo della creazione del mondo, che è stato creato con la dimensione materiale più “bassa” e staccata al fine di elevare la materia e di portare la santità in essa proprio perché sembra separata dal resto.

2) Resh – ר: L’uomo Ultra Idealista

Nella lettera resh la “gamba sinistra”, l’azione, manca del tutto. In questo stato psicologico l’uomo tende ad agire e relazionarsi nel mondo cercando di ignorare la materia e valorizzare solo le manifestazioni astratte dell’essere, come pensiero e parola. L’agire nel mondo è visto come una pericolosa forma di potenziale corruzione in quanto se la materia è staccata dallo spirito allora confrontarsi con essa può causare un degrado spirituale, perciò meglio ignorarla. Allora, pensa l’idealista, tanto vale allontanarsi dal mondo, come un eremita, per non rischiare questa decadenza. Pertanto, in questa fase, la persona tende a distaccarsi da esso e isolarsi nelle proprie teorie e idee astratte.

Questa filosofia considera la componente spirituale della creazione troppo superiore, negando, di conseguenza, la possibilità di elevare la materia, poiché è considerata troppo lontana e bassa. In definitiva mancando la “gamba sinistra”, l’azione è vista inevitabilmente come una pericolosa deviazione in quanto fonte di corruzione dei propri ideali e del proprio percorso spirituale.

3) Khet -ח : Il Livellatore

Differentemente dalla hey, questa lettera possiede due gambe identiche che partono dal tetto, ovvero dal pensiero: la sinistra, azione; e la destra, pensiero e parola senza nessuno stacco. La khet simboleggia una forma di squilibrio psichico più raffinato e meno distorto di quello rappresento dalla lettera resh. In questa prospettiva, anziché rinnegare la gamba sinistra (l’azione), si rifiuta a priori il principio della contrapposizione tra la parte astratta, pensiero e parola e l’azione, considerandoli parimenti uguali e importanti fino ad annullare le differenze tra essi. Questo perché lo scopo di tutto il creato è raffinare la materia, perciò non può essere più bassa se è lo scopo di tutto.

Conseguentemente si rifiuta anche la separazione tra i vari regni, spirito e materia, che Dio ha creato e ha tenuto comunque separati. Questo perché la componente spirituale della creazione ha comunque una posizione di preminenza rispetto alla materia. Rifiutando questo rapporto gerarchico si considera la materialità non meno sacra della spiritualità, i fatti non meno puri delle parole o del pensiero, proprio come e le due gambe attaccate della khet.

Questa prospettiva ha due principali rischi: il primo quello di considerare l’agire nella materia come scontato e facile, poiché il solo pensare e parlare equivarrebbe all’agire, quindi non si dà importanza all’agire nella materia e si considera la raffinazione di essa come una cosa scontata e facile. Questo fa mancare gli stimoli a faticare e realizzare qualcosa che in realtà è molto difficile ed è lo scopo di tutto la creazione. Questo aspetto può essere paragonato a una forma di “autolesionismo”, poiché annulla il valore della grande fatica per raffinare la materia.

Il secondo è quello di non dare valore alla elevazione della materia perché anche essa è santa come nella khet la gamba sinistra è attaccata al tetto, allo spirito. In questa prospettiva si rischia di sottovalutare la caduta nella materia, poiché se ci si abbassa senza le dovute cautele si rischia di sprofondare nei piaceri materiali.

Entrambe queste prospettive determinano uno stato apatico, che negano lo scopo della creazione per cui lo spirito, comunque superiore, deve santificare la materialità elevandola attraverso l’azione.

Le Due Grandi Negazioni Di Kòrakh: Matàn Torà e la Hey

Le deviazioni, rappresentate dalle tre lettere, analizzate sopra, fondano la loro stessa ragione d’essere in due grandi errori di Kòrakh. Errori che riguardano l’ordine stabilito da Dio con la creazione del mondo fatta attraverso la lettera hey e il messaggio rivoluzionario che Dio ha dato a tutta l’umanità con il Dono della Torà. Questa distorta visione del mondo e della creazione lo portò a ribellarsi contro Moshè con tre lamentele che sono in relazione con le tre lettere del nome Kòrakh.

  1. A) Resh, Kuf e il Dono della Torà

In origine il mondo è stato creato sulla struttura della hey – ה: con la materia staccata dallo spirito; una netta divisione che non rendeva possibile un collegamento tra di loro. Ma dopo la promulgazione della Torà, nell’anno 2448 dalla creazione, Dio ha tolto questa totale divisione tra spirito e materia rendendo possibile allo spirito di penetrare la materia per elevarla.

Infatti, non era possibile perseguire lo scopo della creazione del mondo (elevare la materia) nei primi due millenni, perché questo mondo non era raffinabile. Non a caso è riportato dalla Torà Orale, il Talmùd, che i primi due millenni sono “tòhu” caos più totale, perché il mondo non poteva avere ancora il suo tikkùn, rettificazione.

Solo dopo il dono della Torà l’uomo può agire direttamente nella materia infondendola dei suoi pensieri e parole per creare un mondo di tikkùn-rettificato/aggiustato. Questo concetto è strettamente legato al significato delle mitzvòt cosiddette “pratiche”. Ad esempio, dopo il Dono della Torà, benedire il cibo (parola) o mettere i tefillìn e costruire una sukkà con intenzione (pensiero), significa trasformare la materia santificandola e elevandola tramite la parola o il pensiero che portano la santità nell’azione.

Prima di Matàn Torà, invece, esisteva una separazione netta tra il mondo spirituale e quello materiale, ossia tra pensiero, parola e azione. Tanto che era possibile servire Dio e rettificare il mondo solo con la preghiera, lo studio e la meditazione, ma non con atti materiali.

Kòrakh nega o comunque non comprende questo rivoluzionario e straordinario cambiamento nel rapporto tra lo spirito e la materia. Queste deviazioni rispetto al piano divino sono rappresentate dalle lettere resh e kuf e dalle rispettive lamentele che Kòrakh rivolge a Moshè.

Resh e la Lamentela sulle Mezuzòt

Ognuno dei tre ideali errati di Kòrakh sono espressi con un racconto. Come esempio citiamo quello legato alla resh. Questa lettera rappresenta la filosofia secondo cui il nostro rapporto con Hashèm deve essere solo spirituale, senza le interferenze e i pericoli dell’agire materiale. Concetto rappresentato dalla mancanza della gamba sinistra che rappresenta l’azione. Da questa filosofia trae spunto la lamentela di Kòrakh sul precetto della mezuzà: il rotolo dove sono scritti alcuni brani della Torà che si appende, come protezione, agli stipiti delle porte. Kòrakh afferma che se in un luogo ci sono tanti rotoli della Torà quel posto non ha bisogno di nessuna protezione aggiuntiva sulla porta, o per meglio dire non ha bisogno di una ulteriore azione che incide nella materia, come la mezuzà. Lo spirito di quella casa non solo prevale sull’azione, ma rischia di venire corrotto e distratto dal rapporto con la materia. Quindi, se lo spirito prevale comunque sulla materia esso non si deve abbassare e corrompere con l’azione. Anche questa filosofia nega l’insegnamento di Matàn Torà e rifiuta totalmente l’idea che la spiritualità possa infondersi con l’azione nella materia.

  1. C) Kuf e la Seconda Negazione

Poi nella kuf troviamo la negazione del secondo concetto che la promulgazione della Torà ha portato nel mondo. Quando la materia viene elevata dallo spirito solo allora si trasforma, si raffina e non è più la stessa di prima. Questo viene a togliere l’errore della kuf, per cui la materia, non essendo collegata allo spirito, può cadere in basso e quindi siamo legittimati a godere dei meri piaceri materiali di questo mondo.

Come detto sopra, l’ideologia errata, rappresentata da questa lettera, considera l’azione e la materia come bassi e troppo lontani. Concetto rappresentato dalla “gamba sinistra” della kuf che sprofonda in basso, perché la materia è troppo lontana e impura per arrivare a cambiare.

Questo punto di vista nega il Dono della Torà che, al contrario, impone e prevede che l’unico modo per realizzare lo scopo della creazione sia quello di infondere e santificare la materia agendo attraverso la spiritualità, per cui è sbagliato essere così realisti da pensare che la materia può e deve essere goduta per via del fatto che non è elevabile in santità.

Khet Negare la Hey, la Prima Lamentela: Tutti Uguali

La principale accusa mossa da Kòrakh a Moshè si fonda sulla filosofia simboleggiata dalla lettera khet le cui “gambe” – collegate allo stesso modo al “tetto” – rappresentato la parificazione del pensiero, parola e azione nell’agire umano. Nel rapporto spirito materia questo approccio non percepisce differenze, né un rapporto gerarchico tra esse.

Questa recriminazione trae la sua ragione d’essere dal precedente episodio degli esploratori (parashà di Shelàkh), quando essi scoraggiano il popolo ebraico dall’entrare nella terra di Israèl. Luogo descritto come un posto pericoloso e non adatto per vivere. Questa visione negativa è in realtà motivata dalla stessa filosofia rappresentata della lettera resh.

Gli esploratori – è bene ricordare essere tutti prìncipi capi tribù e grandi studiosi della Torà – vedono nella materialità, rappresentata dalla terra di Israèl, solo un ostacolo, una possibile contaminazione al loro progresso spirituale, lo studio della Torà. Pertanto preferivamo continuare a vivere nel deserto dove potevano ricevere tutto il necessario senza bisogno di lavorare e agire nella materia, percepita come un pericolo e una deviazione alla elevazione spirituale (vd panoramica Shelàkh).

Visto il tragico epilogo della vicenda – che causò direttamente e indirettamente molte morti nel popolo ebraico e ben quaranta anni di peregrinazioni nel deserto – Kòrakh, forte di questo esempio negativo, trae la forza per attaccare le due guide del popolo: la tragica sequenza degli eventi si basa su una eccessiva predominanza dello spirito a scapito della materia, pertanto con il rifiuto di abitare la terra di Israèl, gli esploratori causano la collera divina.

Secondo Kòrakh questo è un chiaro messaggio di come Hashèm tiene in grande considerazione la materia e alla sua santità. Quindi, sarebbe sbagliato pensare che vi sia una gerarchia, una superiorità tra il “mondo spirituale e quello materiale”. Pertanto, se essi hanno lo stesso valore, Moshè e suo fratello Aharòn, le due guide spirituali del popolo ebraico, non hanno nessun diritto di assumere una tale posizione, poiché la loro superiorità è solo nello spirito. Tuttavia, se lo scopo di tutta la creazione è l’elevazione della materia, quindi nell’azione materiale, non vi può essere differenza tra le guide e il popolo, perché tutti eseguono nella stessa maniera l’azione delle mitzvòt pratiche. Tutti i componenti del popolo ebraico sono uguali, se la materia è santa come lo spirito, allora tutti i membri del popolo, anche i meno evoluti spiritualmente, agendo nella materia, sono già a contatto con le vette spirituali più elevate. Pertanto nessuno ha bisogno di leaders spirituali che lo guidino, in quanto se lo scopo di tutto è l’azione che eleva la materia, un ambito dove tutti i componenti del popolo sono uguali: sia Moshè, sia una persona semplice, ad esempio, mettono i tefillìn nella stessa maniera, senza differenza.

Anche se questa “deviazione ideologica” di Kòrakh si scontra su quanto appreso dai “piani di Dio” con il dono della Torà, il contrasto vero e più pertinente lo troviamo con la “lettera della creazione” (vedi sopra), ossia la hey. Con Matàn Torà apprendiamo che lo spirito deve infondere la materia per elevarla, quindi da ciò si deduce che non è possibile affermare che materia e spirito sono sullo stesso piano. Tuttavia, rimane il fatto che dopo Matàn Torà l’importanza dell’agire nel modo della materia non solo è positivamente sottolineato, ma rappresenta lo scopo stesso della creazione. Quindi la posizione di Kòrakh difficilmente poteva essere rigettata in toto ricorrendo solo a questo episodio, se pur fondamentale per la storia umana.

Invece, dalla lettera hey, dalla sua stessa struttura, il “progetto della creazione”, si evince chiaramente la gerarchia, il distacco tra lo spirito e la materia, tra il pensiero e l’azione.

Inoltre, le guide del popolo ebraico di ogni generazione, compreso ovviamente Moshè, sono paragonate alla “testa”, rosh in ebraico, non certo casualmente. La “testa” il pensiero, lo spirito, sono a un livello più alto del corpo, la “materia”, poiché gli permettono di collegarsi con il divino. Allo stesso modo il ruolo di Moshè era fondamentale per la sopravvivenza e il compimento della missione del popolo ebraico. Sovvertendo questo ordine Kòrakh avrebbe rischiato di distruggere lo stesso progetto della creazione, assieme al popolo ebraico che, senza guide spirituali ben definite, sarebbe caduto nell’anarchia non potendo più adempiere allo scopo della creazione come voluto da Dio.

In ultimo rimane da rispondere a una domanda che potrebbe sorgere. Quale coerenza è possibile individuare nei diversi approcci che Kòrakh usa per cercare di assumere il controllo del popolo ebraico? Pur essendo tutte delle deviazioni che portano a uno squilibrio e alla discordia, esse si fondano su filosofie diverse che si possono concretizzare in comportamenti differenti.

La risposta è che Kòrakh è talmente preso dall’invidia che usa ogni strumento possibile mettere in dubbio la leadership di Moshè, al fine di prendere il suo posto.

Pertanto prima Kòrakh cerca di delegittimare in toto il ruolo stesso di Moshè, Khet, poi cerca di mettere in dubbio l’efficacia dei precetti da lui trasmessi e la lezione appresa dopo il Dono della Torà, Kuf e Resh.

kuf – ק, resh – ר , khèt – ח

L’ARCHETIPO DI OGNI DIVISIONE

Giunti a questo punto è possibile approfondire perché nel Talmud e nella Torà è scritto: e non divenga come Kòrakh e la sua congregazione. Una sorta di “anatema” che mette in guardia ogni persona, in ogni generazione, dalla disputa e della conseguente discordia simboleggiata da Kòrakh (vedi inizio testo).

Le tre lettere che rappresentano le tre deviazioni ideologiche e le tre lamentele, sono l’archetipo, il prototipo, di ogni tipo possibile di divisione: nei confronti di Dio e tra e dentro l’uomo.

1) La kuf divide la parte materiale da Dio e dalle altre facoltà umane, isolando e mortificando le qualità intellettive presenti in ogni essere umano e da chi non è in grado trasformare la materia.

2) La resh divide la parte spirituale dal resto della creazione, non riconoscendo l’importanza della materia nei progetti divini, perché isola l’essere umano dal resto del mondo e dagli altri uomini che non sono all’altezza delle alte vette spirituali.

3) La khet, negando ogni differenza e livellando materia e spirito allo stesso piano, divide gli uomini nel modo peggiore inducendoli verso un caos anarchico, senza gerarchie e senza riconoscere i meriti individuali. Non apprezzando le diverse qualità e livelli raggiunti sia nel campo materiale, sia in quello spirituale ogni sforzo o successo diventa privo di importanza reale. Inoltre, negare l’ordine della creazione rende difficile, se non impossibile, collegarsi alla volontà divina per realizzare lo scopo di santificare e elevare la materia.

Quindi la divisione espressa da Kòrakh è molto di più di quello che sembra. È la divisione tra spirito e materia, tra lo scopo dell’uomo di cambiare questo mondo e la volontà di Hashèm che ci ha chiesto di cambiarlo. Queste sono le fonti di tutte le divisioni e ideologie che separano dal Creatore, il mondo e lo scopo della sua esistenza.

Da un approfondimento del Rebbe di Lubàvitch Likuté Sikhòt vol VIII

Kòrakh: una mondanità trascendente
Kòrakh, il nome di questa parashà deriva dal suo personaggio principale, cugino di primo grado di Moshè. Successivamente agli eventi narrati nella precedente parashà, ovvero l’episodio degli esploratori e le sue conseguenze, Kòrakh capeggia una rivolta contro la leadership di Moshè. Questa parashà è interamente dedicata alla narrazione di questa ribellione e della reazione di Hashèm a essa.
Un aspetto curioso di questa rivolta è il tempo nella quale avviene. Dopo tutto, Moshè ha condotto il popolo fuori dall’Egitto più di un anno prima. Certamente, se Kòrakh e gli altri istigatori di questa insurrezione avessero avuto delle rimostranze contro Moshè, avrebbero dovuto farle presenti molto prima di questa data, senza aspettare un anno dopo la redenzione dalla schiavitù egizia. Inoltre, Hashèm ha appena approvato in maniera inequivocabile il comando di Moshè spalleggiandolo contro le polemiche causate dall’episodio degli esploratori e rifiutando ogni tentativo di conquistare la terra senza il suo coinvolgimento. Il tentativo di fomentare una ribellione contro Moshè ora, sembrerebbe il momento meno opportuno, rispetto a tutte le occasioni avute in precedenza.
In realtà, Kòrakh decide di ribellarsi non solo malgrado gli eventi della parashà precedente, ma proprio a causa di essi.
Detto in breve, Kòrakh non è d’accordo con la definizione che Moshè e Aharòn danno della relazione tra i laici e i sacerdoti, tra gli aspetti mondani e sacri della creazione. Secondo Kòrakh, l’uomo della strada che trascorre la maggior parte della giornata in attività mondane e materiali è santo tanto quanto il sacerdote, la cui intera giornata si svolge nel Santuario.
Kòrakh nota certamente la reazione di Hashèm al desiderio degli esploratori di rimanere nel deserto, nel luogo in cui si può vivere in una dimensione puramente spirituale, protetti dalle nuvole di gloria e nutriti dalla manna e dal pozzo che viaggia costantemente con il popolo ebraico. Gli esploratori non desiderano entrare in “una terra che divora (consuma) i suoi abitanti” (13, 32) con le sue distrazioni terrene. Moshè chiarisce, invece, che è proprio questa la precisa volontà di Hashèm, ossia che il popolo entri nella Terra Promessa e la renda santa. Hashèm desidera, infatti, che Israèl entri negli aspetti mondani dell’esistenza naturale dell’uomo, anche se ciò significa un degrado spirituale, rispetto al livello goduto nel deserto. Innalzare la mondanità è il vero scopo di tutta la creazione.
Se questo è vero, argomenta Kòrakh – ed è qui che sbaglia – perché il laico dovrebbe guardare il sacerdote dal basso verso l’alto? Perché dovrebbe ritenere la porzione del suo prodotto che egli mette da parte per il sacerdote come l’apice, la parte migliore del suo lavoro? Perché dovrebbe considerare le poche ore al giorno che spende in attività simili a quelle del sacerdote – ovvero lo studio e la preghiera – come il culmine della sua giornata? Non si dovrebbero considerare attività di pari importanza, senza che una sia migliore o più santa dell’altra?
Se non altro, il semplice ebreo e la sua consacrata vita mondana sono più santi del sacerdote e della vita che egli conduce, poiché è lui che adempie al vero scopo che Hashèm ha stabilito per l’uomo nella creazione.
I differenti ruoli del sacerdote e del laico, insiste Kòrakh, sono separati ma di pari importanza, poiché Hashèm li desidera entrambi. Chi può dire che il ruolo del sacerdote è in qualche modo più sacro di quello del laico, e che la persona laica ha bisogno di nutrimento spirituale da parte del sacerdote?
Quindi Kòrakh, che critica “l’innalzarsi” di Aharòn al di sopra della congregazione, desidererebbe diventare egli stesso sommo sacerdote per sistemare le cose e rivedere gli equilibri. Egli vorrebbe cambiare lo status del sommo sacerdote quale persona solo differente dal resto del popolo, ma non migliore. «Giacché l’intera congregazione – tutti loro – sono santi e Hashèm è fra di essi! Perché, quindi, vi erigete al di sopra della comunità di Hashèm?». Ma ancora di più: «perché la congregazione dovrebbe “elevarsi”, desiderando di essere come voi, quando è coinvolta nelle sue attività mondane?».
A tutto ciò Moshè rispose: al mattino, Hashèm renderà noto… Un laico che obbedisce ai comandamenti di Hashèm, mentre si occupa degli aspetti più materiali della vita, realizza il vero desiderio che Dio ha per la Sua creazione. Invece, le attività spirituali di un sacerdote non possono realizzare da sole il progetto di Hashèm per la creazione. Tuttavia, anche se al profano viene comandato di entrare nella terra e di lavorarla, allo stesso tempo gli viene ordinato di tenere gli occhi rivolti al sacerdote, ovvero alla trascendenza, in modo di elevare tutti quei momenti della giornata che possono essere trasformati in santità. Facendo questo la sua vita può riempirsi di luce come al “mattino”, cosicché eseguendo ciò che Hashèm gli comanda, egli può accrescere la consapevolezza di Dio nel suo cuore e nella sua mente.
Così, dall’episodio degli esploratori, nella parashà precedente, impariamo che il fine di Hashèm nella creazione può venir realizzato allorché entriamo nella terra, nel mondo materiale, ovvero quando l’ebraismo è più di un impegno intellettuale o emotivo, poiché trova la sua piena espressione nell’azione. Invece, da Kòrakh, impariamo che l’enfasi posta sull’azione pratica, non deve scivolare in un ebraismo arido e meccanico. L’esecuzione dei comandamenti a livello fisico, ci infonde l’energia che deriva dalla consapevolezza e dall’amore per Hashèm, fa risplendere il nostro operato della luce del mattino, quella luce che illumina il buio della notte. Questo è il profondo senso del termine ‘mattino’ usato da Moshè come risposta a Kòrakh.
Sedata la ribellione (nelle prime quattro chiamate), Hashèm conferma nuovamente con la fioritura del bastone di Aharòn la distinzione della tribù di Levi e della casta sacerdotale (quinta chiamata). Riepilogando le responsabilità dei sacerdoti e dei Leviti verso i laici e gli obblighi di questi ultimi verso i primi (ultime due chiamate).
Sebbene la connessione tematica tra questa ratifica e la ribellione di Kòrakh sia chiara, sembra strano che essa sia posta in una parashà che prende il nome dalla persona che mise in dubbio la correttezza di questa distinzione nel modo più eclatante, lamentandosene apertamente.
Alla luce di ciò che abbiamo detto, tuttavia, l’inclusione di questi segni distintivi sotto il titolo ‘Kòrakh’ risulta, in effetti, appropriata. Alla fine dei conti l’idea iniziale di Kòrakh non era malvagia, egli desidera diventare il sommo sacerdote, per sperimentare la trascendenza e la vicinanza a Hashèm. In questo aspetto, dobbiamo certamente emulare Kòrakh.
Infatti, questo è il messaggio centrale della parashà: desiderare ardentemente la trascendenza, anche mentre ci troviamo immersi nella vita mondana. Il nome della parashà esprime proprio questo concetto.

 

da Likuté Sikhòt vol 4, pagg. 1048 e seg.; vol 8 pagg. 114 e seg.

In anteprima dal nuovo libro della Torà.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Se di questo bellissimo mondo creato da Dio,
i miei occhi vedono un luogo da CURARE e ACCUDIRE,
ho COLTO il mio VERO RUOLO nel suo completamento.
Viceversa, se di questo mondo NOTO solamente i suoi
PUNTI DEBOLI, dovrò di ME STESSO prendermi CURA.
[ Il Rebbe di Lubàvitch ]
~
Giovedì 25 Giugno 2020 scorso Ghimel Tammuz è il giorno del REBBE.
Mostriamo che i suoi insegnamenti sono VIVI!
Aumentiamo la PASSIONE per lo STUDIO
e l’osservanza delle MITZVOT,
portiamo più LUCE e così
affretteremo la venuta di MASCHIACH!
Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.

 

Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor

 
KORAKH
NUOVO LEZIONE VIDEO KORAH 2019

VALORE DELLA MONARCHIA e il ponte MORANDI!

Significato della Conversazione tra il popolo e il profeta Shmuel

nuova lezione video 34 mn
youtube: https://youtu.be/_Kr7mwScPNA

https://www.facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10157225452985540

Ci sono due tipi di intermediari uno che unisce le due parti e un altro che le divide.
La differenza consiste se l’intermediario si considera un’entità a se o completamento nullo e devoto alla sua missione di unire le due parti.
Questa è la particolarità del vero RE come Moshè e come David e in ogni generazione c’è anche una guida della generazione che ha le stesse caratteristiche…

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KORAH 2018: LE CAUSE PER ROVINARSI LA VITA!
 
La Torà è un vero MANUALE DI VITA.
La storia di Korah ne è un grande esempio.
Come ha fatto il cugino di Moshè, super dotato e intelligente, a cadere così in basso e distruggere tutta la sua vita e la sua famiglia?
Le cause sono molteplici, ma ognuno di esse contiene una pillola di saggezza.
Nella vita essere troppo ricco, troppo carismatico, troppo analizzatore, troppo intrallazzato, significa essere sempre ai livelli alti e a volte anche troppo… alti!
Questi troppi possono diventare anche un “TROPPO” caduta in negli abissi!!!
LEZIONE IMPERDIBILE!
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Al seguente link troverai la lezione sulla nostra parashà in formato mp3:
 
dal seguente link si può scaricare il file audio immediatamente, senza aprire la pagina web:

TRE FILOSOFIE DI VITA ERRATE!

L’ultrarealista, l’ultraidealista e l’ambiguo e superficiale a confronto!

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Kòrakh: Panoramica della parashà

Il nome di questa parashà deriva dal suo personaggio principale, Kòrakh, cugino di primo grado di Moshè. Non molto dopo gli eventi narrati nella precedente parashà, ovvero l’episodio degli esploratori e le sue conseguenze, Kòrakh capeggiò una rivolta contro la leadership di Moshè. Questa parashà è interamente dedicata alla narrazione di questa ribellione e della reazione di Hashèm a essa.
Un aspetto curioso di questa rivolta è il tempo nella quale avvenne. Dopo tutto, Moshè aveva condotto il popolo fuori dall’Egitto più di un anno prima. Certamente, se Kòrakh e gli altri istigatori di questa insurrezione avevano delle rimostranze contro Moshè, avrebbero dovuto farle presenti molto prima di questa data, senza aspettare un anno dopo la redenzione dalla schiavitù. Inoltre, Hashèm aveva appena approvato in maniera inequivocabile il comando di Moshè spalleggiandolo contro le polemiche causate dall’episodio dagli esploratori e rifiutando ogni tentativo di conquistare la terra senza il coinvolgimento di Moshè. Il tentativo di fomentare una ribellione contro Moshè ora, sembrerebbe il momento meno opportuno, rispetto a tutte le occasioni avute in precedenza.
In realtà, Kòrakh decise di ribellarsi non solo malgrado gli eventi della parashà precedente, ma proprio a causa di essi.
Detto in breve, Kòrakh non era d’accordo con la definizione che Moshè e Aharòn davano della relazione tra il profano e il sacerdote, tra gli aspetti mondani e sacri della creazione. Secondo Kòrakh, l’uomo della strada che trascorre la maggior parte della giornata in attività mondane e materiali è santo tanto quanto il sacerdote, la cui intera giornata si svolge nel Santuario.
Kòrakh aveva notato la reazione di Hashèm al desiderio degli esploratori di rimanere nel deserto, nel quale Israèl viveva in una dimensione puramente spirituale, protetti dalle nuvole di gloria e nutriti dalla manna e dal pozzo che viaggiava con loro. Gli esploratori non desideravano entrare in “una terra che divora (consuma) i suoi abitanti” (cap 13, 32) con le sue distrazioni terrene. Moshè chiarì allora che era propria questa la precisa volontà di Hashèm, ossia che gli Israeliti entrassero nella terra promessa e la rendessero santa. Hashèm desidera che essi entrassero negli aspetti mondani dell’esistenza naturale dell’uomo, anche se ciò significa un degrado spirituale, rispetto al livello goduto nel deserto. Innalzare la mondanità è il vero scopo di tutta la creazione.
Se questo è vero, argomentava Kòrakh – ed è qui che sbagliò – perché il laico dovrebbe guardare il sacerdote dal basso verso l’alto? Perché dovrebbe ritenere la porzione del suo prodotto che egli mette da parte per il sacerdote come l’apice, la parte migliore del suo lavoro? Perché dovrebbe considerare le poche ore al giorno che spende in attività simili a quelle del sacerdote – ovvero lo studio e la preghiera – come il culmine della sua giornata? Non si dovrebbero considerare attività di pari importanza, senza che una sia migliore o più santa dell’altra?
Se non altro, il semplice ebreo e la sua consacrata vita mondana sono più santi del sacerdote e della vita che egli conduce, poiché è lui che adempie al vero scopo che Hashèm ha nella creazione.
I differenti ruoli del sacerdote e del laico, insisteva Kòrakh, sono separati ma di pari importanza, poiché Hashèm li desidera entrambi. Chi può dire che il ruolo del sacerdote è in qualche modo più sacro di quello del laico, e che la persona laica ha bisogno di nutrimento spirituale da parte del sacerdote?
Quindi Kòrakh, che criticava “l’innalzarsi” di Aharòn al di sopra della congregazione, desiderava diventare egli stesso sommo sacerdote per sistemare le cose e resettare gli equilibri. Egli voleva cambiare lo status del sommo sacerdote quale persona solo differente dal resto del popolo, ma non migliore. «Giacché l’intera congregazione – tutti loro – sono santi e Hashèm è fra di essi! Perché, quindi, vi erigete al disopra della comunità di Hashèm?». Ma ancora di più: «perché la congregazione dovrebbe “elevarsi” e desiderare di essere come voi, quando è coinvolta nelle sue attività mondane?».
A tutto ciò Moshè rispose: «Al mattino, Hashèm renderà noto…». Un laico che obbedisce ai comandamenti di Hashèm, mentre si occupa degli aspetti più materiali della vita, realizza il vero desiderio che Dio ha per la Sua creazione. Invece, le attività spirituali di un sacerdote non possono realizzare da sole il progetto di Hashèm per la creazione. Tuttavia, anche se al profano viene comandato di entrare nella terra e di lavorarla, allo stesso tempo gli viene ordinato di tenere gli occhi rivolti al sacerdote, ovvero alla trascendenza, in modo di elevare tutti quei momenti della giornata che possono essere trasformati in santità. Facendo questo la sua vita può riempirsi di luce come al “mattino”, cosicché eseguendo ciò che Hashèm gli comanda, egli potrà accrescere la consapevolezza di Dio nel suo cuore e nella sua mente.
Così, dall’episodio degli esploratori, nella parashà precedente, impariamo che il fine di Hashèm nella creazione può venir realizzato allorché entriamo nella terra, nel mondo materiale, ovvero quando l’ebraismo è più di un impegno intellettuale o emotivo, poiché trova la sua piena espressione nell’azione. Mentre da Kòrakh impariamo che l’enfasi posta sull’azione pratica, non deve scivolare in un ebraismo arido e meccanico. L’esecuzione dei comandamenti a livello fisico, ci infonde l’energia che deriva dalla consapevolezza e dall’amore per Hashèm, fa risplendere il nostro operato della luce del mattino, quella luce che illumina il buio della notte. Questo è il profondo senso del termine MATTINO usato da Moshè come risposta a Kòrakh.
Dopo che la ribellione fu sedata (prime quattro chiamate), Hashèm confermò nuovamente la distinzione della tribù di Levi e della casta sacerdotale (quinta chiamata), riepilogando le responsabilità dei sacerdoti e dei Leviti verso i laici e gli obblighi di questi ultimi verso i primi (ultime due chiamate).
Sebbene la connessione tematica tra questa ratifica e la ribellione di Kòrakh sia chiara, sembra strano che essa sia posta in una parashà che prende il nome dalla persona che mise in dubbio la correttezza di questa distinzione nel modo più eclatante, lamentandosene apertamente.
Alla luce di ciò che abbiamo detto, tuttavia, l’inclusione di questi segni distintivi sotto il titolo “Kòrakh” risulta, in effetti, appropriata. Alla fine dei conti l’idea iniziale di Kòrakh non era malvagia, egli desidera diventare egli stesso il sommo sacerdote, per sperimentare la trascendenza e la vicinanza a Hashèm. In questo aspetto, dobbiamo certamente emulare Kòrakh.
Infatti, questo è il messaggio centrale della parashà – desiderare ardentemente la trascendenza, anche mentre ci troviamo immersi nella vita mondana[1] e il nome della parashà esprime proprio questo concetto.
(estratto dal nuovo libro della Torà Bemidbàr)

 

[1]Likuté Sikhòt vol. 4, pagg. 1048 e seg.; vol. 8 pagg. 114 e seg.
 
Questo Shabbat è il 3 di Tammuz e commemoriamo il 24° anniversario da quando non vediamo fisicamente il Rebbe di Lubavitch.
La vita del Rebbe era totalmente dedicata al prossimo, anche dopo la grande tragedia dell’Olocausto, non smise mai di ricercare anime smarrite da riportare sulla via della Torà, delle mitzvòt e dell’amore per Hashèm  “Candele spente”, spesso da molto tempo, a cui serviva solo un aiuto, una spinta, un cerino per poter tornare ad illuminare il mondo.
Questa settimana era l’anniversario del Premio Noble Elie Wiesel, un uomo dal quale possiamo imparare tante cose, ma in particolare la forza di RICOMINCIARE da capo in qualsiasi momento.
Un esempio di come non farsi condizionare dal passato lo troviamo in un episodio che un sopravvissuto all’Olocausto, Elie Wiesel, ha avuto con il Rebbe, come raccontato nel suo libro di memorie ” All the Rivers Run to the Sea”:
“Alla mia prima visita alla corte del Rebbe di Lubavitch, a 770 Eastern Parkway a Brooklyn NY, avevo subito informato il Rebbe che ero un Chasid di Vishnitz, non Lubavitch, e che non avevo intenzione di cambiare i miei costumi.”
“La cosa importante è essere un Chasid”, rispose il Rebbe. “Poco importa quale.”
 
Successivamente, scrive Wiesel, durante Simchat Torah, ho visitato la sinagoga centrale di Lubavitch, come era mia abitudine:
“Benvenuto”, mi disse il Rebbe. “È bello che un Chasid di Vishnitz venga a salutare a Lubavitch. Ma come è il modo in cui si celebra Simchat Torah in Vishnitz?”
“Rebbe” dissi debolmente, “non siamo in Vishnitz, ma in Lubavitch.”
“Allora facciamo come si fa in Lubavitch” (Rebbe).
“E cosa si fa nel Lubavitch?” (Wiesel).
“In Lubavitch diciamo Lekhayim” (Rebbe).
“In Vishnitz, anche” (Wiesel).
“Ottimo. Puoi dire Lekhayim” (Rebbe). Mi porse un bicchiere riempito fino all’orlo di vodka.
“Rebbe in Vishnitz un Chasid non beve da solo”. “Né in Lubavitch,” rispose il Rebbe.
Lui vuotò il bicchiere che aveva in un sorso. Ho seguito l’esempio.
“Un bicchiere è abbastanza in Vishnitz?” (Rebbe).
“In Vishnitz,” dissi coraggiosamente, “un solo bicchiere è come una goccia nel mare.”
“In Lubavitch pure” (Rebbe).
Mi porse un secondo bicchiere e riempì il suo. Disse Lekhayim, risposi Lekhayim, e svuotammo i nostri bicchieri.
“Ti meriti un bracha (benedizione)” disse il Rebbe con il volto raggiante di felicità. “Chiedilo”! (Rebbe).
Non ero sicuro di cosa dire.
“Lasciate che vi benedica in modo da poter ricominciare la vita da nuovo” (Rebbe).
“Sì, Rebbe mi dia la sua bracha” (Wiesel).
 
E il Rebbe benedisse Eli Wiesel per iniziare una nuova vita.
L’uomo che era ancora tormentato dagli orrori della “Notte” (il nome del suo primo libro), dove ha visto i luoghi più orribili che l’occhio umano possa sopportare, lui che ha rifiutato di sposarsi e avere figli pensando che è ingiusto portare bambini ebrei in un mondo così crudele e brutale, in ultima analisi, ricostruì la sua vita dalle ceneri, creando una famiglia, e diventando un portavoce di speranza e di coscienza in tutto il mondo.
 
Speriamo presto di vedere la redenzione e il terzo Santuario presto nei nostri giorni con il Rebbe e Wiesel e  iniziare il nuovo ciclo che il mondo aspetta con fervore.

Speriamo presto di vedere la redenzione e il terzo Santuario presto nei nostri giorni con il Rebbe e Wiesel e  iniziare il nuovo ciclo che il mondo aspetta con fervore.

IL PDF della Parashà di questa settimana di KORAKH sarà pronta a breve e lo caricherò sulla mia pagina FACEBOOK BH.
 
NUOVO LEZIONE VIDEO KORAH 2018
KORAH: LE CAUSE PER ROVINARSI LA VITA!
 
La Torà è un vero MANUALE DI VITA.
La storia di Korah ne è un grande esempio.
Come ha fatto il cugino di Moshè, super dotato e intelligente, a cadere così in basso e distruggere tutta la sua vita e la sua famiglia?
Le cause sono molteplici, ma ognuno di esse contiene una pillola di saggezza.
Nella vita essere troppo ricco, troppo carismatico, troppo analizzatore, troppo intrallazzato, significa essere sempre ai livelli alti e a volte anche troppo… alti!
Questi troppi possono diventare anche un “TROPPO” caduta in negli abissi!!!
LEZIONE IMPERDIBILE!
 

Al seguente link troverai la lezione sulla nostra parashà in formato mp3:
http://www.virtualyeshiva.it/2010/06/10/korakh-5770-tre-filosofie-di-vita-errate/

dal seguente link si può scaricare il file audio immediatamente, senza aprire la pagina web:

TRE FILOSOFIE DI VITA ERRATE!

L’ultrarealista, l’ultraidealista e l’ambiguo e superficiale a confronto!

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Non si possono descrivere in poche parole le qualità del Rebbe, ma una in particolare era la sua positività e il vedere sempre il buono in ogni persona e in ogni cosa.

Uno dei tanti esempi ci viene dalla seguente storia:

Il Rabbino Berel Baumgarten (nel 1978) è stato un educatore in una yeshiva ortodossa a Brooklyn, NY, prima di trasferirsi a Buenos Aires. Una volta scrisse una lettera al Rebbe per chiedere un consiglio. Ogni Shabbat pomeriggio, quando faceva  lezione con i suoi studenti, uno di questi arrivava con addosso un evidente odore di fumo di sigaretta. Chiaramente, fumava di Shabbàt e il maestro pensò: “La sua influenza può causare nei suoi compagni di classe il desiderio di cessare di osservare lo Shabbàt? Forse è meglio espellerlo dalla scuola?”.

La risposta del Rebbe non fu altro che un riferimento accademico: “Vedi Avot deRabbi Natan capitolo 12” senza dare ulteriori spiegazioni.

Avot deRabbi Natan è un trattato talmudico, un addendum all’Etica dei Padri, composta nel IV secolo dell’era volgare da un saggio del Talmud noto come Rabbi Natan Habavli (da qui il nome Avot deRabbi Natan). Io ero curioso di capire la risposta del Rebbe.

Rabbi Baumgarten era alla ricerca di consigli pratici, e il Rebbe lo aveva mandato a un testo antico …

Aprìi Avot deRabbi Natan a quel particolare capitolo e trovai una storia, sulla vita di Aharòn il Sommo Sacerdote di Israele.

Aharon, ci insegnano i saggi, riportò molti ebrei da una vita di peccato a una vita di purezza. Egli fu il primo nella storia ebraica a fare “Baalei teshuvà” ossia ispirare ebrei a riabbracciare il proprio patrimonio, la fede e la missione spirituale interiore. Ma, a differenza di oggi, al tempo di Aharon essere un peccatore era una situazione anomala, perché gli ebrei della sua generazione videro Dio nella sua piena gloria, e  ribellarsi contro di Lui eraun segno di vero tradimento e malafede.

Come riuscì Aharon in questa difficile impresa? Egli usava salutare calorosamente OGNI persona.  Anche un grande peccatore veniva accolto da Aharon con grazia e amore. Aharon abbracciava questi “peccatori ebrei” con calore e rispetto. Il giorno seguente, quando questa persona desiderava peccare, diceva a se stesso: Come sarò in grado di guardare Aharon negli occhi dopo aver commesso un peccato così grave? Lui mi tiene in così alta considerazione morale, come lo posso ingannare e deludere? E così questa persona si asteneva dal comportamento immorale.

Ora arriviamo al punto di partenza: Aharon fu un leader, un Sommo Sacerdote, perché anche il suo bastone è sbocciò. Non rinunciò mai ai bastoni secchi. Non guardò mai qualcuno dicendo: “Questa persona è una causa persa. Egli è completamente tagliata fuori dal suo albero, da ogni possibilità di crescita. È secco, fragile, e senza vita”. Per Ahron, anchei  rami secchi fioriscono e producono frutti”.

Questa è la storia raccontata in Avot deRabbi Natan. Questa è stata la storia che il Rebbe di Lubavitch volle che il Rabbino Berel Baumgarten imparasse a interiorizzare. “Dovrei espellere il bambino dalla scuola” fu la sua domanda; “Egli è, ebraicamente parlando, un pezzo di legno duro!”.

La risposta di Aharon è questa: lo amo all’infinito. Lo abbraccio con ogni parte del mio essere, apro il mio cuore a lui con calore e affetto. Apprezzarlo, rispettarlo e fargli sentire che realmente ti curi di lui. Si veda in lui o lei quello che lui o lei non può essere in grado di vedere in se stesso in quel momento. Se si guarda la persona che ci è davanti come un grande essere umano egli diventerà proprio questo.

Questo, ancora una volta, è il segno del vero leader: dove altri potrebbero aver visto un bastone spiritualmente arido, il Rebbe ha visto il potenziale della creazione di uno stimolante giardino.

Se solo ogni educatore, genitore, rabbino, insegnante e leader potessero emulare il suo esempio, si avvicinerebbe il giorno in cui tutto il nostro vero potenziale e del mondo sboccerebbe e farebbe emergere la gloria di Hashem.

 
Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.

KORAKH 5770 – TRE FILOSOFIE DI VITA ERRATE!
L’ultrarealista, l’ultraidealista e l’ambiguo e superficiale a confronto!

KORAKH 5768 – DITTATURA CORROTTA?
Perché gli ebrei accusano Moshè di aver ucciso il popolo dopo il miracolo della terra che inghiottisce Korakh?
Perché Ha-Shem compie un secondo miracolo con il bastone di Aharon?

KORAKH 5766 – IL POSITIVO DAL NEGATIVO!
Come trasformare una vicenda negativa, come quella di Korakh, in insegnamenti positivi di vita!

KORAKH 5765 – TROPPA RICCHEZZA, TROPPA INTELLIGENZA, TROPPA NEGATIVITA’
Come un uomo con tante doti può commettere gravi errori!