Mattòt e Mas’è 5784: 8 LEZIONI

27 Luglio 2024 0 Di HaiimRottas

Questo Shabbàt 3 Agosto 2024, 28 del mese di TAMÙZ 5784 leggeremo le Parashot di Mattòt e Mas’è:

Numeri 30: 2 – 36: 13

HAFTARÀ
Italiani: Gios. 19: 51-21: 3
Sefarditi: Ger. 2: 4-28; 4: 1-2
Ashkenaziti: Ger. 2: 4-28; 3: 4

Shabbàt Shim’ù

Si annuncia Rosh Chòdesh

PARASHA INTEGRALE MATTOT CON PANORAMICA, RIASSUNTO E HAFTARA
https://virtualyeshiva.it/wp-content/uploads/2022/07/09_mattot.pdf

PARASHA INTEGRALE MASSÈ CON PANORAMICA, RIASSUNTO E HAFTARA
https://virtualyeshiva.it/wp-content/uploads/2022/07/10_masse.pdf

PANORAMICA MATTOT:
TRE CONDIZIONI PER ENTRARE IN ISRAÈL

La parashà di Mattòt tratta tre temi principali: le leggi relative ai voti e ai giuramenti, la guerra contro Midyàn e l’insediamento delle tribù di Reuvèn e Gad. Dovendo collegarci sempre con il contesto in cui ci troviamo, anche questi aspetti sono legati all’imminente entrata nella Terra Promessa e possono essere visti, complessivamente, come tre “vaccini” che ci permettono di rimanere indenni nella missione di elevare la materia, rappresentata dall’entrata nella terra di Israèl.
Il secondo e il terzo di questi tre argomenti si adattano bene al flusso storico della Torà. La guerra contro Midyàn è il terzo e ultimo atto nel dramma dello scontro di Israèl con l’alleanza Moabita – Midyanita la cui storia è iniziata nella parashà di Balàk. L’insediamento delle due tribù di Reuvèn e Gad coincide con la fase successiva alla conquista della Terra di Israèl, iniziata alla fine della parashà di Khukkàt e che continua attraverso il libro di Yehoshù’a e oltre. In questo contesto cosa c’entrano le leggi dei voti e dei giuramenti? Parimenti agli altri passaggi legali della Torà, ci aspetteremmo di trovare queste norme in Esodo o Levitico. Allora perché sono qui? Perciò è necessario che queste leggi abbiano una particolare rilevanza per il tema della conquista e della colonizzazione della Terra di Israèl. Ciò sarà chiaro quando esamineremo gli eventi che hanno preceduto questa parashà e che hanno portato ad essa. Come abbiamo spiegato in precedenza, la caduta del popolo ebraico nell’idolatria di Pe’òr e la sua prostituzione con le donne moabite – midyanite, in realtà inizia come un fraintendimento circa la tipologia di rapporto da stabilire col mondo fisico. Israèl sapeva che la generazione dei suoi genitori era stata condannata a vivere nel deserto per quarant’anni (dopo l’incidente delle spie), perché aveva preferito evitare le sfide del mondo terreno. Ora, stando sulla soglia della Terra Promessa, Israèl è pronto ad accettare questa sfida e pertanto decide di non ripetere gli errori dei suoi genitori, quindi decide di affrontare la materialità del mondo fisico e a pervaderla della coscienza di Dio, poiché questo è lo scopo della redenzione dall’Egitto e della creazione del mondo. Tuttavia, l’impetuoso entusiasmo degli israeliti li porta a sbagliare e ignorare la necessità di essere cauti. Come l’errore che avevano fatto Eva e Adamo con il frutto dell’albero della conoscenza, quando caddero nella trappola di sopravvalutare la loro santità, pensando che la loro sublime coscienza spirituale e il loro fervore per Hashèm li avessero resi invincibili e immuni dalle macchinazioni del male.
Israèl sa che lo scopo della vita è di trasformare tutta la realtà in una casa per Hashèm, poiché ha imparato dalla conversione di Yitrò e dalle profezie di Bil’àm che, affinché ciò accada, anche gli elementi più bassi e profani della realtà devono essere elevati in santità (vd. panoramica di Balàk). Quindi Israèl fa un errore pensando che deve sperimentare queste pericolose, ma potenti energie di passionalità e di spiritualità profana allo scopo, naturalmente, di elevarle nella santità.
Ma ovviamente si sbaglia, perché togliere ogni barriera e rischiare tutto non è la strada vincente. Per combattere il male si deve avere un orientamento totalmente opposto a questo, proprio come Pinekhàs ha dimostrato efficacemente. Anche se non dobbiamo evitare la sfida di confrontarci con la materialità (come le spie), dobbiamo, tuttavia essere adeguatamente consapevoli del suo potenziale nel deviare e corrompere le nostre intenzioni. Da qui la pertinenza delle leggi dei voti e dei giuramenti: attraverso queste norme una persona può stabilire dei confini per sé stesso, dove sente di averne bisogno, come spiegheremo più avanti. Questo confine o limite rappresenta un impegno che permette di creare un legame con Hashèm che trascende la logica. Una connessione fondamentale per avere la forza di vincere le sfide della materialità. Quindi il successivo argomento di questa parashà, la guerra contro Midyàn, può ora essere visto come un logico seguito dalle leggi dei voti e dei giuramenti, le cui norme sono la correzione spirituale dell’errore di Pe’òr e la battaglia con Midyàn è lo sforzo per sradicare la fonte di questo errore. Questo, perché il legame soprannaturale rappresentato dai voti e dai giuramenti dona la necessaria forza per superare le sfide continue contro le tentazioni, quando ci troviamo immersi nel mondo materiale.
Inoltre, la guerra contro Midyàn ci insegna che quando si “cade” nella materia e nelle sue tentazioni, la vittoria è irrazionale come è ben rappresentato dalla simbolica e miracolosa guerra contro Midyàn dove, a differenza di tutte le altre guerre vi sono mille combattenti da ogni tribù non uno di più e non uno di meno e la vittoria immediata senza che incredibilmente nessun soldato muoia in guerra…
Tutto questo per insegnarci che nelle future battaglie le vittorie saranno miracolose a condizione che si sappia che sono delle guerre non personali, ma come Midyàn (31, 3): “al fine di compiere la vendetta di Hashèm su Midyàn”.
Anche la fine della parashà con l’insediamento delle tribù di Reuvèn e Gad è uno sviluppo dello stesso tema. Queste tribù desiderano stabilirsi nel territorio che Moshè ha conquistato da Sikhòn e ‘Og, sul lato orientale del fiume Giordano. Hashèm non vuole che gli ebrei si stabiliscano in questa terra a questo punto della storia. Tuttavia, queste tribù arrivano alla conclusione che la santità della Terra di Israèl vera e propria sia superiore a quella della terra fuori dai suoi confini; perciò, è cruciale elevare anche la terra profana. Pertanto, Reuvèn e Gad non si oppongono al piano divino, ma semplicemente chiedono di non entrarvi solo loro. Per aiutare i loro fratelli a combattere la materialità occorre, come nei voti e giuramenti, una devozione allo spirito al di sopra della ragione, rappresentata in questo caso, nel trovarsi non immersi nella materialità, come quelli che entrano nella Terra Promessa.
Inoltre Reuvèn e Gad vogliono iniziare a rettificare quelle terre che sono state promesse ad Abramo, ma che solo nella futura era messianica saranno considerate come terra santa di Israèl. Quest’ultimo obiettivo, simboleggia la forza che abbiamo quando guardiamo la materia nell’ottica di come è veramente, cioè non un vero ostacolo per lo spirito, come sarà rivelato nell’era messianica. Perciò loro vogliono già occupare le terre che Israèl dovrà acquisire solo in futuro.
La loro argomentazione è quindi una variazione sullo stesso tema di aiutare a conquistare la materia. Questa volta, però, Reuvèn e Gad hanno parzialmente ragione, come si accorgerà Moshè. La loro visione è per noi una lezione importante, in merito alla nostra relazione con il mondo fisico.
Tutti e tre i temi della parashà Mattòt, quindi, sono importanti per l’imminente ingresso nella Terra di Israèl. Anche sul piano personale, essi sono rilevanti individualmente per ciascuno di noi sia a livello micro, nel nostro incontro con il mondo materiale sia, in particolare, per tutta la nostra generazione, poiché siamo alla fine della rettificazione della materia e sulla soglia della Redenzione messianica, in procinto di entrare eternamente in Israèl.
Questo spiega come il nome della parashà Mattòt possa essere usato come nome per l’intera parashà. Il termine in sé significa “tribù”, ma nella Torà ci sono due parole utilizzate per “tribù”: una è mattòt e l’altra e shèvet. È interessante notare che entrambi i sinonimi di “trib” sono anche sinonimi di “ramo d’albero”. Proprio come i rami derivano da un tronco d’albero, ogni “tribù” è un ramo o una divisione del popolo ebraico radicato nel suo antenato comune (in questo caso Giacobbe).
La differenza tra i due sinonimi è che, mentre shèvet si riferisce a un ramoscello morbido e pieghevole, mattè (il singolare di mattòt) si riferisce a un bastone rigido e duro. Lo shèvet deve la sua flessibilità al fatto che è stato tagliato dall’albero di recente (o meglio ancora è collegato a esso), in contrasto con il mattè che è stato da tempo reciso dall’albero e ha quindi perso la sua elasticità. Così shèvet si riferisce alla tribù di Israèl (e a ogni singolo membro), quando è coscientemente connessa alla sua fonte; mentre il “mattè” si riferisce alla stessa tribù (e a ogni singolo membro), quando non è così consapevolmente connessa. Spiritualmente, lo shèvet si potrebbe riferire all’anima prima che scenda nel corpo, quando essa è pienamente consapevole della divinità e della sua stessa connessione con la sua fonte. Quindi, mattè si riferisce all’anima quando entra nel corpo e perdendo questa connessione cosciente – almeno temporaneamente – è incaricata di elevare il corpo e la porzione del creato che è sotto la sua competenza.
Proprio attraverso la sua discesa nella materialità (entrando nella terra promessa, oppure quando l’anima entra nel corpo) e l’allontanamento apparente dalla sua origine divina, l’anima scopre di avere una forza molto più grande che le permette di rimanere connessa alla sua fonte, anche nel buio. Questo livello di connessione incondizionata di solito è nascosto e si manifesta solo quando si ha bisogno di esso. Proprio questa forza di volontà nella nostra devozione ai principi della Torà e nella resistenza al male è simboleggiata con l’inflessibilità di un bastone indurito che non si fa condizionare dall’esterno. Non a caso, proprio quando Israèl sta per scendere nella materia, in questa parashà, troviamo il nome Mattòt.
Se avremo successo, potremo affrontare con sicurezza le sfide della vita e procedere nel realizzare il nostro scopo sulla terra e trasformare la realtà in una casa per Lui, secondo la volontà di Hashèm.

PANORAMICA Mass’é
LA SALITA NASCOSTA NELLA DISCESA

Alla fine della parashà di Khukkàt, il popolo di Israèl giunge alla soglia della Terra Promessa (22, 1): “I figli di Israèl partirono e si accamparono nelle pianure di Moàb, al di là dello Yardèn [di fronte] a Yerekhò”.
Le tre parashòt precedenti, Balàk, Pinekhàs e Mattòt, descrivono gli eventi che accaddero mentre gli israeliti erano accampati nell’ultima tappa, in particolare l’incontro con Moàb e Midyàn.
La parashà di Mass’é, l’ultima del libro dei Numeri – Bemidbàr, si apre con il riepilogo dell’intero viaggio di Israèl dall’Egitto fino all’ultima sosta nel deserto, e prende il suo nome Mass’é (che significa “I viaggi di”) dalle parole che aprono il riepilogo stesso. Questa sintesi sembrerebbe un modo appropriato per chiudere il libro. Ma il fatto che, dopo questa esposizione riassuntiva, il racconto continui – in effetti deve ancora iniziare l’intero Libro di Devarìm-Deuteronomio – indica che questa parashà serve piuttosto come linea di demarcazione tra la storia del soggiorno nel deserto e i preparativi per entrare nella Terra di Israèl. Ogni qualvolta troviamo tanti argomenti in apparenza scollegati nella stessa parashà, in realtà essi fanno parte dello stesso filo conduttore e mentre siamo qui focalizzati verso il futuro, come mai questo ritorno al passato?
Infatti, il resto di Mass’é si occupa di istruzioni specifiche relative alla conquista della terra: cacciare i suoi abitanti idolatri, delineare i suoi confini, designare chi la dividerà, specificare dove vivranno i leviti e il ruolo speciale attribuito alle loro città.
Quindi, sembrerebbe che l’argomento con cui si apre la parashà sia completamente diverso dal resto del suo contenuto. Infatti il riepilogo iniziale dell’itinerario di Israèl nel deserto conclude la storia degli ultimi quarant’anni e non è pertinente rispetto ai preparativi per l’entrata nella Terra Promessa, per cui forse esso avrebbe trovato una migliore collocazione alla fine della parashà precedente. Questa parashà, infatti, è interamente dedicata alla vita del popolo dopo aver attraversato il Giordano. Perciò se nell’ultima porzione siamo immersi nei preparativi di ciò che sta per accadere, come mai vengono qui narrate le 42 tappe?
Nonostante quello che potremmo pensare, il fatto che l’itinerario fa parte dello sguardo sul futuro, e addirittura lo introduce, implica che il racconto delle 42 tappe sia altrettanto rilevante per ciò che dovrà avvenire quanto lo è per quello che è già stato.
La caratteristica che distingue l’essere umano è il cambiamento. Effettivamente, anche le forme di vita inferiori all’uomo crescono, apprendono e si adattano ma, una volta raggiunta la maturità, rimangono ciò che sono. Persino le forme di vita sopra di noi – gli angeli – sono statiche: ogni angelo è la personificazione eterna e immutabile di uno specifico livello di coscienza o emozione divina. Solo gli esseri umani sono in grado di cambiare il loro modo di guardare alla vita, di progredire verso l’alto, a livelli superiori più consapevoli del Divino, grazie alla loro capacità di comprensione della realtà e del fatto che tutta la natura non è altro che un “guanto” del Creatore.
Se questa crescita spirituale è la caratteristica dell’esistenza umana che la rende unica, ne consegue che, per rimanere umani ed evitare di fossilizzarci come un animale “statico” (o persino un angelo!), questo processo deve continuare senza interruzione. Dobbiamo sempre sforzarci di espandere i nostri orizzonti spirituali e desiderare livelli più alti di vita, solo così diamo valore alla nostra superiorità e al potenziale di crescita.
Quindi il vero segreto della vita è quello di continuare a muoversi, di continuare il viaggio verso l’alto: non guardare mai il progresso solo come un fenomeno del passato, ma vederlo principalmente come parte integrante del futuro. La crescita spirituale non è un traguardo, ma è lo scopo della nostra essenza e non deve mai fermarsi.
Come spiegato, l’archetipo della coscienza limitata è la terra d’Egitto. Il nome ebraico per l’Egitto (Mitzràyim) significa “limiti” e “confini” (metzarìm). L’Esodo dall’Egitto è quindi l’archetipo per trascendere i limiti nella vita spirituale. Ma nel modo in cui viene introdotto l’itinerario degli Israeliti troviamo un particolare istruttivo: “Questi sono i viaggi dei Figli di Israèl, che uscirono dalla terra d’Egitto”. Questa frase sembra implicare che tutti i viaggi provenissero dalla Terra d’Egitto, mentre tecnicamente solo nel primo viaggio uscirono dall’Egitto.
Introducendo l’intero itinerario in questo modo, la Torà ci insegna che ogni volta che usciamo dall’Egitto, ogni volta che trascendiamo un livello di vita, dovremmo considerare il nostro nuovo e ampliato livello di coscienza un nuovo “Egitto”, un livello di consapevolezza limitato rispetto a dove vogliamo andare successivamente. In questo modo, stiamo costantemente uscendo dall’Egitto, ovvero dal nostro “Egitto” personale. Inoltre, piuttosto che elencare semplicemente le tappe, il racconto è formulato in un modo da sottolineare come gli Israeliti lasciarono ogni luogo in cui si fermavano per poter passare a quello successivo: “I figli di Israèl partirono da Ra’messès e si accamparono a Sukkòt. Partirono da Sukkòt e si accamparono a Etàm… Partirono da Etàm…”. Questo implica che ogni progresso da un livello all’altro deve essere un enorme balzo in avanti. Non è sufficiente solo migliorare o salire dal nostro livello attuale in maniera graduale; ogni tappa del viaggio dovrebbe essere una partenza completa e uno sradicamento dal modo precedente in cui concepivamo il Creatore, la vita e noi stessi.
In questo contesto, è fondamentale rendersi conto che non tutto ciò che è accaduto durante il viaggio dall’Egitto alla soglia della Terra Promessa è stato del tutto positivo. In diverse tappe purtroppo, gli israeliti indietreggiarono, o addirittura si ritirarono, e appresero le lezioni della vita divina nel modo più duro. Nondimeno, sono tutti chiamati “viaggi” ovvero progressi: alla lunga anche quelle tappe che sembravano delle cadute hanno contribuito all’arrivo finale. Questo ci insegna che per progredire nella vita, dobbiamo imparare a guardare a ogni regressione come a una lezione per progredire ulteriormente, e quindi trasformare ogni fallimento in un successo.
Questo è possibile perché, nonostante limperativo di evolvere continuamente, ci sono alcune cose che non dovrebbero cambiare. Questa è la lezione che abbiamo imparato nella precedente parashà di Mattòt. Queste costanti essenziali – i valori nei quali crediamo e la nostra resistenza al male – sono il fondamento della nostra vita spirituale e ci danno la stabilità su cui basare la nostra continua ascesa. In particolare, possiamo sopravvivere alle nostre cadute quando ci rendiamo conto che sono tutte orchestrate dalla divina provvidenza: cadiamo specificamente in quegli ambiti della vita in cui Dio vede che dobbiamo ascendere; il resto della nostra vita deve rimane intatto, fornendoci gli elementi di cui abbiamo bisogno per rimetterci in sesto in ogni circostanza.
Queste lezioni furono particolarmente importanti quando Israèl stava per entrare nella Terra Promessa. La vita ritirata del deserto, di isolamento in un ambiente totalmente spirituale e staccato dalle faccende terrene e dal lavoro della terra, incoraggia la crescita spirituale. Certamente, è possibile ristagnare anche in un ambiente di questo tipo, ma la sfida principale per rimanere spiritualmente vivi si trova in questa terra che ci è stata assegnata, nella vita mondana e materiale. È quindi opportuno chiarire questo punto, proprio mentre i nostri sguardi si focalizzano sulla terra al di là del fiume Giordano, in modo tale da ricordare di lottare e progredire costantemente verso livelli sempre più elevati di coscienza Divina durante le nostre vite terrene, quando entriamo nella sfera fisica, lavorando la terra con tutti i rischi di essere distolti dallo spirito. Anche le discese devono fare parte delle salite.
Salendo prima noi stessi la scala della crescita spirituale e poi aiutando gli altri a percorrere la stessa salita, realizziamo le lezioni apprese nel deserto e affrontiamo con successo la grande sfida di trasformare il mondo in una casa di Hashèm.
——
Massé vuole dire mappe, che sono le 42 tappe percorse nel deserto nei 40 anni di pellegrinaggio prima di entrare in Israel; queste tappe hanno dei significati cabalistici potentissimi come ogni parola della Torà.
In anteprima pubblico sotto per la prima volta la mappa dal nuovo libro della Torà che spero andrà in stampa a breve appena riceviamo il budget dai soci e sostenitori.
in anteprima dal nuovo libro della Torà.

Questo Shabbàt concludiamo il quarto volume della Torà e leggiamo due parashòt sezioni della Torà.
Pubblico dal nuovo libro della Torà il pdf delle parashòt intere con la sintesi e la haftarà.
Ogni lettore può avere il merito di essere socio di questa grandissima opera ed è fonte di grande benedizione.

VIAGGI SICURI

Questa settimana si leggono le parashòt di Mattòt e Mass’é. Come di consueto vi proponiamo dei brani tratti dal libro “Saggezza Quotidiana” di imminente pubblicazione.
Il primo parla del significato delle 42 tappe che il popolo ebraico fece dall’uscita dall’Egitto fino alle soglie della terra di Israele, la bramata “Terra Promessa”.
Il secondo brano scelto, affronta l’argomento delle “Città Rifugio”. I luoghi dove un omicida non intenzionale poteva trovare sostegno e aiuto dalla vendetta dei parenti della vittima.
Questi argomenti, apparentemente molto diversi e lontani tra loro, celano in realtà un legame profondo, un insegnamento di vita, valido e attuale anche per noi oggi.
Ogni giorno facciamo delle scelte, ogni giorno siamo chiamati a delle prove. Le nostre “tappe nel deserto”. Ogni giorno è per noi un’occasione per apprendere qualcosa di noi stessi al fine di progredire nel nostro percorso spirituale. Spesso riusciamo a superare positivamente le sfide e migliorarci ma, ahimè, non sempre è così. A volte sbagliamo e subiamo una “battuta d’arresto” che potrebbe provocarci disagio.
Ecco! Anche noi, a volte, abbiamo bisogno di “un rifugio”, un luogo dove trovare conforto e protezione dai nostri errori e mancanze durante le nostre “tappe”. Hashèm non abbandona nessuno e, come è scritto nel Talmud “Abbonda in Bontà” (Talmùd Rosh Hashanà). La “protezione” che Hashèm ci offre è la possibilità di rivolgerci e di collegarci a Lui, in particolare con il Suo amore che nutre per noi, tramite la preghiera, l’osservanza dei comandamenti e lo studio della Torà. Grazie a questo Hashèm ci protegge, sostiene e aiuta ben oltre le nostre limitate possibilità e meriti.
Pertanto, anche noi dovremmo comportarci come Hashèm, anche noi dovremmo essere come una “Città Rifugio” nei confronti del prossimo, soprattutto quando a volte commette degli errori ed è costretto, come noi, a subire una battuta d’arresto, una tappa nel “Viaggio della Vita”.
Buon Viaggio!

*

Bemidbàr 33, 1–49
Dopo aver concluso il racconto delle conquiste degli israeliti sulla riva orientale del fiume Giordano, la Torà esamina tutte le tappe, che il popolo ha fatto da quando ha lasciato l’Egitto, fino al suo ultimo accampamento nel deserto.

I Viaggi della Vita
ּאֵ לֶ ה  מַ סְ עֵ י וגו׳: (במדבר לג, א)
Questi sono i viaggi. (33, 1)

Il fondatore del Chassidismo, il rabbino Israèl Ba’àl Shem Tov, insegna che le quarantadue tappe corrispondono ai quarantadue viaggi spirituali che ognuno percorre durante la vita: il primo è la nascita, proprio come l’Esodo dall’Egitto è stata la nascita della nazione di Israèl; mentre l’ultimo viaggio è quello verso la Terra Promessa spirituale, la vita che ci attende nell’aldilà.
Sebbene alcuni dei viaggi intermedi nel cammino del popolo ebraico, attraverso il deserto, siano stati accompagnati da battute d’arresto, tutte le soste del nostro viaggio spirituale attraverso la vita sono destinate a essere sante e positive. Se scegliamo il bene sul male, vivremo effettivamente queste fasi della vita nel modo in cui Hashèm le intende. Se, come gli israeliti nel deserto, facciamo delle scelte sbagliate, le vivremo come battute d’arresto temporanee. Sebbene in ogni fase del cammino della vita, ci sforziamo di fare le scelte giuste, dovremmo essere consci, che perfino le battute d’arresto possono essere trasformate in esperienze positive di crescita.

*

Bemidbàr 35, 9–34
Hashèm, quindi, istruisce Moshè e Israèl a designare, tra le quarantotto città levitiche, sei città rifugio specifiche per le persone che avrebbero commesso un omicidio involontario.

Segni dall’Alto
ִוְ ה ִקְ ר ִיתֶ ם  לָ כֶ ם  עָ ר ִ ים  עָ רֵ י  מ ִּ קְ לָ ט  תהְ יֶ ינָ ה  לָ כֶ ם וגו׳: (במדבר לה, יא)
[Hashèm istruì a Moshè di dire a Israèl] «Predisporrete per voi [sei] città che saranno città rifugio per voi». (35, 11)

Le strade che portano alle città rifugio devono essere mantenute ampie e libere da ingombri, in modo che chiunque ne abbia bisogno possa raggiungerle facilmente. A ogni incrocio vengono apposti dei cartelli per indicarne chiaramente la strada.
Allo stesso modo, Hashèm mantiene la via verso lo stile di vita della Torà (la nostra “città rifugio” spirituale) aperta, accessibile e luminosa per ognuno di noi. Inoltre, ci invia segnali e indicazioni per aiutarci a trovare la direzione giusta nella vita. Tuttavia, per sentire la voce di Hashèm in modo più chiaro, dovremmo aiutare gli altri a trovare la direzione giusta nelle loro vite. Dovremmo tutti considerarci come dei “segnali”, con il compito di indirizzare gli altri nella direzione della vita e del bene. Quando Hashèm vede che mostriamo agli altri la via, allora Lui ci mostrerà il nostro percorso più chiaramente.
Idealmente, dovremmo cercare di essere più che semplici “segnali” inanimati, aiutando solo coloro che vengono da noi alla ricerca della giusta via. Possiamo essere segnali viventi, raggiungere i nostri prossimi e, se necessario, risvegliarli al fatto che una vita santa e divina dovrebbe essere la loro prima priorità, poiché è lo scopo della nostra esistenza.

Oggi è un giorno speciale poiché è il Rosh Khodesh di Menachem Av.
Perciò nella preghiera aggiungiamo aggiungiamo il Hallel e il Mussaf e yaale veyavò.
In aggiunta oggi è anche l’anniversario del fratello di Moshè: AHARON HAKOHEN. Il suo esempio di seminare la pace tra le persone è unico nella storia dell’umanità.
Da questo giorno iniziano alcune regole di lutto per la distruzione del santuario (alcuni applicano queste regole solo nella settimana del nove di Av, che quest’anno cadendo di domenica non sono applicate secondo alcune opinioni):
non mangiare la carne non tagliare barba e capelli meglio anche le unghie, indossare abiti lavati e tanto altro perciò cerchiamo di fare prima di Shabbat questi bisogni come indossare le camicie che ci serviranno così non saranno come abiti nuovi.
Stiamo vivendo le 3 settimane di lutto, iniziate con il 17 di Tammuz e culminanti nel 9 di Av, in memoria della distruzione di Gerusalemme e i due Sacri Templi.
La Chassidut  riflette sul concetto di lutto. Alcuni detti Chassidici insegnano che:
“Non c’è niente di così  complesso, quanto un cuore spezzato” (detto Chassidico).
“La depressione non è un peccato, ma ciò che può fare la depressione, nessun peccato riesce” (detto chassidico).
La tristezza è un male? La Chassidut distingue tra due tipi di dolore: merirut, un dolore costruttivo, e atzvut, un dolore distruttivo.
Merirut è il disagio di chi non solo riconosce i propri difetti, ma si preoccupa per loro, di chi si addolora dei torti che ha commesso, oltre che sulle sue occasioni mancate e sul suo potenziale non realizzato, che si rifiuta di diventare indifferente a ciò di cui è carente sè stesso e il suo mondo.
Atzvut invece è il disagio di chi è disperato, per sé stesso e il suo prossimo, la cui malinconia lo ha svuotato di speranza e di iniziativa, venendo trascinato da esso verso la passività e la depressione.
Merirut è un trampolino di lancio per l’auto-miglioramento; atzvut è un pozzo senza fondo in cui si sprofonda.

Speriamo presto di vedere la redenzione presto nei nostri giorni e che l’amore e la pace regneranno per sempre.

Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.

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Un caloroso Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
IN ANTEPRIMA PER LA PRIMA VOLTA LA PARASHA DI MATTOT DI QUESTA SETTIMANA DAL NUOVO LIBRO:
www.virtualyeshiva.it/files/kodesh/09_mattot.pdf
Si consiglia di stampare le pagine del pdf per poterlo studiare di Shabbat.
Ideale stampare 2 pagine in una foglio A4 fronte e retro per cui saranno solo 16 pagine.

(estratto dal nuovo libro della Torà Bemidbàr che ha bisogno di tanti soci per essere pubblicato)

MATTOT – MASEI
DUE LEZIONI VIDEO NUOVE IMPERDIBILI:
Un Conflitto Eterno di Visioni Opposte tra Israel e il mondo! (prima puntata)
Un Conflitto Eterno di Visioni Opposte tra Israel e il mondo! (seconda puntata)
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REUVEN E GAD:
SPIRITUALITA TOTALE MA COMPLEMENTARE

Due persone possono fare cose che sembrano identiche ma in realtà sono diametralmente opposte.

A volte piccole differenze possono evidenziare un’altra prospettiva!

Al seguente link troverai la lezione sulla nostra parashà in formato mp3:
www.virtualyeshiva.it/2011/07/20/mattot-5771-reuven-e-gad-spiritualita-totale-ma-complementare/Dal seguente link puoi scaricare direttamente sul tuo portatile la lezione sulla nostra parashà:
http://www.virtualyeshiva.it/11_07_20_mattot5771_reuvengad_spiritualita_complementare.mp3
Dal seguente link puoi vedere la lezione direttamente sul tuo portatile:

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MATTOT: 3 ARGOMENTI

PER ENTRARE IN ISRAELE

Panoramica di Mattòt
La parashà di Mattòt tratta tre temi principali: le leggi relative ai voti e ai giuramenti, la guerra contro Midyàn e l’insediamento delle tribù di Reuvèn e Gad.
Il secondo e il terzo di questi tre argomenti si adattano bene al flusso storico della Torà. La guerra contro Midyàn è il terzo e ultimo atto nel dramma dello scontro di Israèl con l’alleanza Moabita – Midyanita la cui storia è iniziata nella parashà di Balàk. L’insediamento delle due tribù di Reuvèn e Gad coincide con la fase successiva alla conquista della Terra di Israèl, iniziata alla fine della parashà di Khukkàt e che continua attraverso il libro di Yehoshù’a e oltre.
In questo contesto cosa c’entrano le leggi dei voti e dei giuramenti? Parimenti agli altri passaggi legali della Torà, ci aspetteremmo di trovare queste norme in Esodo o Levitico. Allora perché sono qui? Perciò è necessario che queste leggi abbiano una particolare rilevanza per il tema della conquista e della colonizzazione della Terra di Israele. Ciò sarà chiaro quando esamineremo gli eventi che hanno preceduto questa parashà e che hanno portato a essa.
Come abbiamo spiegato in precedenza, la caduta del popolo ebraico nell’idolatria di Pe’òr e la sua prostituzione con le donne moabite – midyanite, in realtà inizia come un fraintendimento circa la tipologia di rapporto da stabilire col mondo fisico. Israèl sapeva che la generazione dei suoi genitori era stata condannata a vivere nel deserto per quaranta anni (dopo l’incidente delle spie), perché aveva preferito evitare le sfide del mondo terreno. Ora, stando sulla soglia della Terra Promessa, Israèl era pronto ad accettare questa sfida e aveva deciso di non ripetere gli errori dei suoi genitori: era pronto ad affrontare la materialità del mondo fisico e a pervaderla della coscienza di Dio, poiché questo è lo scopo della redenzione dall’Egitto e della creazione del mondo.
Tuttavia, l’impetuoso entusiasmo degli israeliti li portò a sbagliare e ignorarono la necessità di essere cauti. Come l’errore che avevano fatto Eva e Adamo con il frutto dell’albero della conoscenza, quando caddero nella trappola di sopravvalutare la loro santità, pensando che la loro sublime coscienza spirituale e il loro fervore per Hashèm li avevano resi invincibili e immuni dalle macchinazioni del male.
Israèl sapeva che lo scopo della vita era di trasformare tutta la realtà in una casa per Hashèm, e poiché aveva imparato dalla conversione di Yitrò e dalle profezie di Bil’àm che, affinché ciò accadesse, anche gli elementi più bassi e profani della realtà dovevano essere elevati in santità (vd. panoramica di Balàk). Quindi ragionarono sul fatto che anche loro dovevano sperimentare queste pericolose, ma potenti energie di passionalità e di spiritualità profana allo scopo, naturalmente, di elevarle nella santità.
Ma ovviamente si sbagliavano, perché togliere ogni barriera e rischiare tutto non è la strada vincente. Per combattere il male si deve avere un orientamento totalmente opposto a questo, proprio come Pinekhàs ha dimostrato efficacemente. Anche se non dobbiamo evitare la sfida di confrontarci con la materialità (come le spie), dobbiamo, tuttavia essere adeguatamente consapevoli del suo potenziale nel deviare e corrompere le nostre intenzioni.
Da qui la pertinenza delle leggi dei voti e dei giuramenti: attraverso queste norme una persona può stabilire dei confini per se stesso, dove sente di averne bisogno, come spiegheremo più avanti.
Il successivo argomento di questa parashà, la guerra contro Midyàn, può ora essere visto come un logico seguito dalle leggi dei voti e dei giuramenti, le cui norme sono la correzione spirituale dell’errore di Pe’òr e la battaglia con Midyàn è lo sforzo per sradicare la fonte di questo errore.
Anche la fine della parashà con l’insediamento delle tribù di Reuvèn e Gad è uno sviluppo dello stesso tema. Queste tribù desideravano stabilirsi nel territorio che Moshè aveva conquistato da Sikhòn e ‘Og, sul lato orientale del fiume Giordano. Hashèm non voleva che gli ebrei si stabilissero in questa terra a questo punto della storia. Tuttavia queste tribù arrivarono alla conclusione che la santità della Terra di Israele vera e propria fosse superiore a quella della terra fuori dai suoi confini; perciò, era cruciale elevare anche la terra profana. La loro argomentazione era quindi una variazione sullo stesso tema di prima. Questa volta, però, avevano parzialmente ragione, come si accorse Moshè. La loro visione è per noi una lezione importante, in merito alla nostra relazione con il mondo fisico.
Tutti e tre i temi della parashà Mattòt, quindi, sono importanti per l’imminente ingresso nella Terra di Israele. Anche sul piano personale, essi sono rilevanti individualmente per ciascuno di noi sia a livello micro, nel nostro incontro con il mondo materiale che, in particolare, per la nostra generazione, poiché siamo alla fine della rettificazione della materia e sulla soglia della Redenzione messianica, in procinto di entrare eternamente in Israèl.
Questo spiega come il nome della parashà Mattòt, possa essere usato come nome per l’intera parashà. Il termine in sé significa “tribù”, ma nella Torà ci sono due parole utilizzate per “tribù”: una è mattòt e l’altra e shèvet. È interessante notare che entrambi i sinonimi di “tribù” sono anche sinonimi di “ramo d’albero”. Proprio come i rami derivano da un tronco d’albero, ogni “tribù” è un ramo o una divisione del popolo ebraico radicato nel suo antenato comune (in questo caso Giacobbe).
La differenza tra i due sinonimi è che, mentre shèvet si riferisce a un ramoscello morbido e pieghevole, mattè (il singolare di mattòt) si riferisce a un bastone rigido e duro. Lo shèvet deve la sua flessibilità al fatto che è stato tagliato dall’albero di recente (o meglio ancora è collegato a esso), in contrasto con il mattè, che è stato da tempo tagliato dall’albero e ha quindi perso la sua elasticità. Così shèvet si riferisce alla tribù di Israèl (e a ogni singolo membro) quando è coscientemente connessa alla sua fonte, mentre il “mattè” si riferisce alla stessa tribù (e a ogni singolo membro) quando non è così consapevolmente connessa.
Spiritualmente, lo shèvet si potrebbe riferire all’anima prima che scenda nel corpo, quando essa è pienamente consapevole della divinità e della sua stessa connessione con la sua fonte. Quindi mattè si riferisce all’anima quando entra nel corpo e perdendo questa connessione cosciente – almeno temporaneamente – è incaricata di elevare il corpo e la porzione del creato che è sotto la sua competenza.
Proprio attraverso la sua discesa nella materialità (entrando nella terra promessa, oppure quando l’anima entra nel corpo) e l’allontanamento apparente dalla sua origine divina, l’anima scopre di avere una forza molto più grande che le permette di rimanere connessa alla sua fonte, anche nel buio. Questo livello di connessione incondizionata di solito è nascosto e si manifesta solo quando si ha bisogno di esso. Questa forza di volontà nella nostra devozione ai principi e nella resistenza al male, è simboleggiata con l’inflessibilità di un bastone indurito che non si fa condizionare dall’esterno. Non a caso, proprio quando Israèl sta per scendere nella materia, in questa parashà troviamo il nome Mattòt.
Se avremo successo, potremo affrontare con sicurezza le sfide della vita e procedere nel realizzare il nostro scopo sulla terra e trasformare la realtà in una casa per Lui, come era stato voluto da Hashèm[1].

[1] Basato su Reshimòt 51 e Likuté Sikhòt vol. 18 p. 382; vol. 28 p. 281, ecc.
(estratto dal nuovo libro della Torà Bemidbàr che ha bisogno di tanti soci per essere pubblicato)
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Storia: Il Pozzo e Il Ratto
All’inizio della parashà di Mattòt si parla di voti e dell’importanza di onorarli (vedi lezione online ampiamente) una volta assunto l’impegno. I primi versetti parlano infatti delle leggi concernenti la formulazione di un voto e il suo annullamento. Mentre una persona non può sciogliere un proprio voto, in alcuni casi altri possono farlo per lui. In particolare, il padre può prosciogliere la figlia minorenne e il marito può annullare il voto della moglie.
Ti riporto un famoso racconto narrato nel Talmud che ci fa capire l’importanza dei voti e delle spiacevoli conseguenze alle quali si può andare incontro se non si rispettano.
Un giorno una ragazza, facendo ritorno alla propria casa, cadde in un pozzo. Disperata comincia ad urlare per chiedere aiuto. Finalmente arriva un giovane che dice di essere disposto a salvarla, ma solo alla condizione che lei prometta di sposarlo (proprio un opportunista ndr). Pur di uscire dal pozzo la ragazza accetta ed entrambi giurano di volersi sposare reciprocamente prendendo come testimoni un ratto che era li di passaggio e lo stesso pozzo. Diventano così “Promessi Sposi”.
Con il passare del tempo la ragazza rimane fedele al giuramento non accettando proposte da alcuno, il giovane invece si comporta con più leggerezza e finisce per sposare un’altra donna (proprio un classico ndr).
La coppia ha un primo figlio che tuttavia muore morso da un ratto. Successivamente ne ha un secondo, che però muore cadendo in un pozzo.
La moglie si rivolge al marito sospettando che vi sia qualcosa di strano. A quel punto egli si ricorda dell’accaduto e del giuramento fatto alla ragazza. La moglie decide che è meglio divorziare e che lui sposi la ragazza del pozzo per tener fede al giuramento fatto.
Solo mantenendo il suo voto precedente il ragazzo riesce a creare una famiglia e avere una vita serena. Spesso eventi o promesse del passato possono disturbare il nostro equilibrio di vita e, senza che noi ce ne accorgiamo, farci del male. Per risolverlo dobbiamo andare a scovare la radice del problema: il fuoco si può spegnere solo dalla radice!!! (Talmud Taanit pag 8)
Il grande maestro Arì chiamato il “santo” ci insegna riguardo la collera una lezione di vita molto importante.
Dal verso di questa parashà:
“Moshè non potè più insegnare le leggi a causa della collera provata” (da Rashì cap 31, verso 21)
dice l’Arì Hakadosh che la collera un peccato più grave di qualunque altro. Infatti, quando una persona commette una trasgressione, di qualunque genere, la sua anima rimane comunque nel corpo. Quando invece la persona è in collera è molto più grave: la sua anima lo abbandona per lasciare il posto a un’anima “esterna” che lo possiede. Ciò spiega il motivo per cui, lasciandosi trascinare da questo sentimento, la persona tende a dimenticare la Torà studiata, a causa della “dipartita” della propria anima originale.
Shà’ar Hayikhudìm
(continua sotto…)

Riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.Shabbat Shalom

Rav Shlomo Bekhor

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MATTOT
Al seguente link troverai la lezione di PINKHAS SPAZIALE in formato mp3:
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dal seguente link si può scaricare il file audio immediatamente, senza aprire la pagina web:
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3 TIPI DI ALCOL DIPENDENTI!Una melodia particolare che si ripete solo 5 volte. Tre volte si ripete in casi simili ma diversi, qual è il significato?

Alcuni Punti della Lezione:

1. Ti piace ubriacarti? Perché?
2. La tua tensione la vivi al positivo o al negativo?
3. Qual è la strada per trovare equilibrio nella vita?
4. Perché oggi domina olam hatikun (mondo della rettificazione), invece nell’era messianica dominerà olam hatohu  (mondo del disordine)?

5. Cosa rappresentano le melodie della Torà, e perché markha kefula viene riportato in tutta la Torà solo 5 volte in casi particolari apparentemente non legati fra di loro.

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Virtual Yeshiva non ha nessun finanziatore pubblico.
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Collera e Dimenticanza

“Riguardo alla questione del carattere irascibile [da lei sollevata], in particolare della collera: questa debolezza si può controllare meditando sul versetto “Ho posto Hashèm davanti a me sempre” (Tehillìm 16, 8), che è anche la frase con cui apre lo Shulkhàn ‘Arùkh, il codice di norme che regolano la condotta quotidiana dell’ebreo. Meditando sul fatto che ci si trovi sempre, in ogni momento, in presenza di Hashèm, è difficile cadere tanto in basso, fino a lasciarsi trascinare dalla benché minima manifestazione di collera”.
(Estratto da una lettera del Rebbe di Lubavitch del 5733-1973)
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Storia khassidica
Rabbi Mordekhay di Nishkhiz desiderava moltissimo uno tzitzìt fabbricato con lana proveniente da Israele e con grandi sforzi i suoi khassidìm riuscirono a procurargliela. Lo tzaddìk consegnò quindi il tessuto a uno dei suoi discepoli, affinché glielo cucisse. Tuttavia, per errore, il sarto piegò male il tessuto e il risultato fu… due scolli invece di uno solo rovinando l’abito! Il poveretto, colto dal panico per lo sbaglio commesso, provò grande timore per la collera che il suo rabbino avrebbe probabilmente provato. Lo tzaddìk tuttavia gli disse, confortandolo: «Di che hai paura? Sono veramente necessari due scolli: uno per lo tzitzìt stesso e l’altro… per mettere alla prova Mordekhay e vedere se si lascerà trascinare dalla collera oppure no!»
Tzohàr Lattevà
(Estratto dal nuovo libro della Torà di Bemidbàr in italiano)

MATTOT E MASSE

MATTOT 5771 – REUVEN E GAD: SPIRITUALITA TOTALE MA COMPLEMENTARE
Due persone possono fare cose che sembrano identiche ma in realtà sono diametralmente opposte. A volte piccole differenze possono evidenziare un’altra prospettiva!

MATTOT 5770 – MEGLIO FIDANZATO O SPOSATO?
Quando i vizi e le addizioni sono troppo forti da vincere bisogna trovare delle “armi” superiori per poter far fronte alla situazione.

MATTOT 5769 – 3 TIPI DI ALCOL DIPENDENTI!
Una melodia particolare che si ripete solo 5 volte. Tre volte si ripete in casi simili ma diversi, qual è il significato?

MATTOT 5768 – BEN HAMEZARIM: TRASFORMAZIONE IN POSITIVO!
Il significato della trasformazione associato a tutti i concetti della parashà e al periodo del Ben Hamezarim.

MASSE 5771 – PARADOSSO DEL DOLORE!
Le limitazioni come incentivo al miglioramento!

MATTOT/MASSE 5766 – L’IMPORTANZA DELLA PAROLA!
I motivi per cui non bisogna giurare il falso e adempiere sempre ai propri voti.