Martedì 7 Marzo 2023, 14 di ADAR 5783, Festeggeremo PURIM!
La festività di Purim ci ricorda la vittoria del popolo ebraico su coloro che tentarono di distruggerlo, il voltafaccia dalla sconfitta alla vittoria nell’arco di un breve lasso di tempo. Tuttavia, per quanto possiamo sentire di essere una minoranza, pochi numericamente, dobbiamo nondimeno realizzare che il nostro destino è di prevalere su coloro che preferirebbero piuttosto vederci scomparire. Come vediamo una volta e ancora dalla storia, imperi così grandiosi sono sorti – i Greci, Romani, il Terzo Reich, l’Unione Sovietica ecc. – e hanno voluto spazzare via il popolo ebraico. Chi è ancora qui?!? Quegli imperi non ci sono più, invece il “popolo testardo”, gli Ebrei, continua a vivere.
PURIM VALE DOPPIO
Shushàn Purìm è il secondo giorno di Purim in cui valgono le regole della gioia, quasi come se fosse Purìm. Quindi anche nella capitale di Israèl, Gerusalemme “la città più bella del mondo” (Talmùd), ballano e festeggiano “Purìm” per cui anche noi oggi godiamo di questa grande Santità – kedushà, per via di Yerushalayim nel secondo giorno di Purim quest’anno è venerdì. Siccome Yerushalàyim è LA LUCE DEL MONDO (Talmùd) per cui possiamo godere dei raggi che ci arrivano dalla lettura della Meghillà che leggono oggi nella città più santa al mondo. Possiamo trarre tanti insegnamenti di VITA dalla Meghillà di Estèr MOLTO ILLUMINANTI. Estèr ha chiesto di festeggiare Purìm per 2 giorni per cui la santità di questo giorno dura anche oggi il 15 di Adàr. Questo vuole dire che Estèr ha una forza così grande che in cielo ascoltano TUTTE le sue richieste, come quella di portare nel mondo la santità della festa di Purìm in due giorni diversi cosa che è INCREDIBILE. Non a caso dice il santo Arìzal che Purìm è più alta di santità, perfino del giorno di Kippùr. A Purìm ci è comandato di ascoltare due volte la Meghillà di ESTÈR, la lettera diffusa dalla regina Estèr, moglie del sovrano Akhashveròsh, in tutte le province del regno di Persia e di Media, ovvero in tutto il mondo di allora, allo scopo di rendere noto il miracolo che salvò gli ebrei dal decreto di sterminio totale emanato nei loro confronti su consiglio del perfido ministro Hamàn. Impariamo a leggere tra le righe della Meghillà e portare nella nostra vita alcuni degli insegnamenti (6) ricchi di significato e rinforzare la nostra identità e missione nel mondo.
TENACIA La rappresentazione della parabola ascendente della storia del popolo ebraico che dalle difficoltà e dalle persecuzioni esce rafforzato in tutti i sensi e in particolare nella propria identità.
SPERANZA Sembrava impossibile superare il decreto di sterminio totale che stava per essere messo in atto da un Re che comandava il MONDO INTERO. Solo la speranza a portato ad un ribaltamento della situazione tipo SOLUZIONE FINALE, alla vittoria soprannaturale e l’uccisione di TUTTI i nemici. Come il famoso detto dalle “stalle alle stelle”.
FEDE anche quando sembra che ci troviamo persi e lontani dal nostro Padre in cielo, in realtà questa è solo un apparenza, un “inganno”. L’attaccamento alla nostra essenza divina è solidissimo, anche se sembra che ci si allontana per un attimo. Come il popolo ebraico, quando seppe del decreto, anziché andare dal re a implorare il suo perdono, non esitò a pregare e digiunare ad Hashèm, il vero Re del mondo, seguendo con fede e sicurezza la guida della generazione Mordekhai, il Moshè Rabbenu della sua generazione.
VALORE / MERITOCRAZIA impariamo che Estèr era una grandissima profetessa ed era superiore perfino a Mordechai il CAPO del SANEDRIO che è la massima autorità di allora. Lei gli ha detto di digiunare nonostante che fosse Pèssakh e di non fare il Seder, vuole dire che lei era superiore a lui. Vuole dire che la Torà e la religione ebraica non è una religione maschilista che per forza l’uomo è sempre superiore, ma una religione basata sulla MERITOCRAZIA di chi è più virtuoso e fiducioso in Hashèm e che la donna può assumere un ruolo più importante di un uomo grazie ai suoi meriti.
IDENTITÀ La lotta per far sopravvivere e mantenere viva la propria, fede e tradizione, contro le forze dell’assimilazione. Mantenere l’identità, infatti può essere difficile quando i “nemici…” si presentano nelle vesti di un’autorità che ci invita a dei banchetti e ci da posizioni di potere. Come il sontuoso banchetto offerto dal Re Assuero che voleva far dimenticare al popolo ebraico chi elargisce abbondanza e benedizioni: Hashèm. E non certo il re per quanto grande, ricco e potente. Lo stesso Mordechai, che aveva una importantissima funzione nel palazzo del re, non dimenticò mai chi era e da dove veniva, per questo non si presenziò al banchetto di Assuero per fare bella figura e di conseguenza non si inchinò al malvagio Hamàn.
NON SOTTOVALUTARE UN SINGOLO l’importanza di ogni singolo è vitale per tutto Israèl e per tutto il mondo. Come dice il Maimonide: ogni azione, parola e pensiero che facciamo dobbiamo pensare che il mondo è come una bilancia in perfetto equilibrio; ogni nostra azione positiva farà pendere la bilancia sul lato positivo e porterà salvezza al mondo intero. Infatti Mordekhai era l’unico ebreo di Shushàn che non aveva partecipato al banchetto e per questo aveva salvato TUTTO Israèl da un decreto irrevocabile. Il legame di un solo uomo con Hashèm e il popolo ebraico era così importante che le sue azioni riuscirono a salvare tutti gli ebrei del regno. Potremmo scrivere ancora tanti altri concetti, perché la saggezza della Meghillà è infinita come il resto della Torà che è la parola di Hashèm per cui è infinita come Hashèm.
PURÌM: UNA RIFLESSIONE “MIRACOLOSA”
C’Era una Volta Nelle comunità ebraiche, un tempo, quando iniziava il lieto mese di Adàr, era in vigore un’usanza particolare. In attesa di Purìm, sceglievano una persona spiritosa e la nominavano “governatore” della città in occasione di quella festa. Un momento in cui si celebrava un tempo in cui nulla è veramente ciò che sembra. Inoltre, venivano nominati alcuni poliziotti, giudici e altri funzionari che eseguissero gli ordini del “governatore della provincia” per un giorno. Un volta, i chassidìm del rebbe Tzvi di Zhidachov nominarono il giovane e estroverso nipote dello tzaddìk, Koppel, come governatore della provincia, e gli dissero di emettere alcune leggi divertenti. Egli istituì un “consiglio” formato da studiosi della Torà locali, membri di rilievo della comunità che, nel corso dell’anno, si erano distinti per la loro saggezza e la loro serietà. Quando, infine, arrivò Purìm, questi sommi cittadini mostrarono al giovane Koppel il dovuto onore e il rispetto adeguati alla sua alta carica. Dopo parecchi giri di liquore, accompagnati da gioiosi brindisi, tutta l’allegra brigata si recò verso la casa del rebbe ballando e festeggiando. Dopo aver sorriso accogliente e divertito, anche lo tzaddìk fece mostra di grande deferenza nei confronti del personaggio incarnato da suo nipote. Poi, chiese rispettosamente al “governatore” di cancellare le tasse oppressive e antisemite sulle candele e sulla carne kashèr che la sua controparte reale (il vero governatore della zona) aveva imposto nel corso di quell’anno. Il “governatore” esaudì volentieri la petizione come richiesto dal rebbe. Poi, il rebbe chiese a “sua Altezza” di abrogare la legge che imponeva agli ebrei di essere arruolati nell’esercito, ma, sorprendentemente, a questa richiesta suo nipote scosse il capo duramente. Il rebbe lo implorò più volte, con sempre maggior compostezza ed eloquenza, ma il “governatore” continuò a opporsi fermamente. Infine, il rebbe mostrò di essere molto infastidito dal rifiuto. Cambiando tono, ordinò a suo nipote di dichiarare l’intenzione di abrogare la legge della leva immediatamente. Nonostante ciò, il giovane ubriaco non diede ascolto al suo santo zio. Il sorriso scomparì dal volto degli altri chassidìm, quando capirono che il rebbe stava prendendo sul serio la questione, e implorarono Koppel di cedere, ma nemmeno il loro intervento servì a qualcosa. Litigarono con lui, ma non si smosse. «Non c’è niente da fare», insisteva compiaciuto. Lo tzaddìk se ne andò dalla stanza adirato, e si rifiutò persino di guardare suo nipote per il resto della festa. Il giorno successivo, quando tutti erano nuovamente sobri, i chassidìm si rivolsero incuriositi a Koppel, chiedendogli: «Che cosa ti è preso per opporti a tuo zio, il rebbe, con tale testardaggine?». Il giovane impallidì: «Che cosa intendete? Non farei mai una cosa simile! D’altra parte – confessò imbarazzato – ammetto che non mi ricordo nulla di ciò che è accaduto ieri, dopo che siamo andati a casa del rebbe, avevo bevuto troppo». Quando gli dissero tutto ciò che era accaduto, ne fu mortificato. Nonostante tutti i testimoni, faceva fatica a credere di aver agito con tale sfacciataggine nei confronti di suo zio. Quell’anno, le autorità provinciali revocarono veramente le imposte sulle candele e sulla carne, ma la crudele legge che costringeva gli ebrei ad arruolarsi nell’esercito polacco rimase in vigore. Allora, i chassidìm compresero che, durante quel Purìm, avevano assistito a qualcosa che andava al di là della loro comprensione: il loro rebbe non stava scherzando, e ciò che era stato attribuito all’ebbrezza di un giovane, in verità, avrebbe avuto ripercussioni miracolose. Il rebbe, grazie all’intervento divino, era riuscito a capire l’importanza che aveva in mano il “governatore” in quel giorno.
Bisogna Fare Affidamento sui Miracoli? Si può fare affidamento sui miracoli? Oppure ognuno deve prestare attenzione e non correre rischi inutili nella speranza che gli accada un miracolo? Una risposta la possiamo trovare nel Talmud Yerushalmi (Shekalìm 6, 3): uno dei dieci miracoli avvenuti nel Santuario era che i Pani di presentazione rimanevano freschi per una settimana, dal momento in cui venivano portati fino alla loro consumazione. Il Talmud aggiunge che il tavolo sul quale erano posati i Pani era fatto di marmo e non d’argento, affinché non si deteriorassero, perché il marmo è un materiale freddo e l’argento è un materiale caldo. A questo punto chiede il Talmud: “Siccome questo è uno dei miracoli che venivano compiuti nel Bet Hamikdàsh (così come riponevano i Pani caldi, li ritrovavano), perché non potevano riporli sul tavolo d’argento? Comunque non si sarebbero deteriorati, essendo miracolosi!”. La risposta del Talmud è che “Non bisogna fare affidamento sui miracoli, bisogna fare il possibile affinché le cose vadano secondo natura e non si deteriorino”. Anche ove è avvenuto un miracolo, come per i Pani del Santuario, prima dobbiamo fare il possibile affinché non si deteriorino e, solo dopo, può avvenire il miracolo!
Però… i Miracoli Quotidiani? Rabbi Yitzkhàk Arama spiega in riferimento all’affermazione halachica “non fare affidamento sui miracoli” (Kiddushìn 39a): questo non contraddice il fatto che noi assistiamo nelle nostre vite a continui miracoli quotidiani; anzi, chiunque rifiuti tale evidenza nega l’onnipresente bontà divina e potrebbe addirittura venire punito per aver ignorato la miracolosa fondatezza della Provvidenza divina. D’altro canto, tale punto di vista coinvolge enormemente la nostra condotta giornaliera. “Non fare affidamento sui miracoli” significa che noi dobbiamo fare del nostro meglio, ma solo Dio decide autonomamente quali saranno i risultati delle azioni in base al nostro livello spirituale e ai nostri meriti. Quindi ben sapendo che benché non dobbiamo fare affidamento sui miracoli e anzi, dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per compiere ciò che è opportuno, Dio, nella Sua infinita bontà, certamente dirige il mondo in modo miracoloso, “ki le’olàm khasdò”, perché eterna è la Sua benevolenza!
Quando Vediamo un Miracolo, Vediamo Dio Viviamo la nostra esistenza al buio. Ci viene detto di credere, ma più delle volte non riusciamo a percepire la presenza di Dio nelle nostre vite. Dunque, la “strada della fede” spesso può essere dura. In una simile situazione è normale chiedersi: “Perché siamo qui? Dov’è Dio nel mondo?”. Queste o domande simili possono a volte entrare nelle nostre menti e nelle nostre vite. A volte ci può sembrare di essere nella stessa condizione di una persona che fatica molto per un lavoro, senza vedere i frutti del suo impegno. Quindi, possiamo arrivare a dubitare che ci sia veramente qualcuno dietro alla porta dell’ufficio con su scritto “Direttore Generale”. E poi, accade l’inaspettato! Riusciamo anche solo per un momento di vedere “l’ombra del Grande Capo” uscire dalla Sua stanza. Allora ci esaltiamo di questo. Vedere Dio è in fondo il desiderio a volte nascosto di ognuno di noi, la nostra meta. Il solo pensare di poter assistere alla manifestazione della Sua infinità (Or En Sof), il miracolo, ci infonde una scarica di adrenalina. Possiamo arrivare a sentirci sopraffatti da una tale grandezza. Tutto il resto si dilegua e rimane solamente la nostra anima che si alza davanti all’infinita grandezza di Dio. Ora, i miracoli rivelati di questa portata non si verificano ogni giorno… In effetti, una rivelazione come questa, a un livello incredibilmente alto di Or En Sof, è avvenuta soltanto due volte in tutta la nostra storia. Una volta è accaduto in occasione della divisione del Mar Rosso e, in seguito, quando è stata data la Torà. E ora vediamo quale influenza hanno avuto queste rivelazioni su di noi. Sono passati 3333 anni e ancora ne parliamo! Ci aggrappiamo in ogni modo possibile a questa esperienza. Come se fosse il cibo per un corpo e una mente affamata o il salario per un lavoratore. Ma 3333 anni sono un lungo tempo di attesa e noi oggi cosa possiamo fare? Dobbiamo cercare di avvertire la luce infinita – Or En Sof altrove, come vedere i miracoli insiti nelle storie di Purìm e di Khanukkà. C’è un solo problema, su cui dobbiamo lavorare: il miracolo rivelato, non sempre basta, poiché c’è ancora bisogno della nostra fede. A volte anche se assistiamo a un evento miracoloso è possibile comunque pensare che “Sarebbe potuto succedere comunque…”. Oltretutto ci sono miracoli che vengono chiamati “caso” o “coincidenze”. Perdiamo un autobus e il corso della nostra vita cambia per sempre; sbagliamo il numero di telefono e troviamo così un amico che abbiamo perso di vista da tempo: miracoli talmente insondabili che neppure le persone a cui accadono riescono a capire completamente che cosa sia veramente successo. Uno dei messaggi importanti di Purìm è la vittoria contro il più grande nemico di Israèl che Amalèk dalla quale discende Hamàn. L’arma più forte di Amalèk per negare l’esistenza di Hashèm viene espressa nella Torà ‘karkhà’ che viene anche dalla parola ‘mikrè’ casuale. La prima cosa da fare per negare la mano del Creatore dietro la natura è la casualità ovvero succede ogni giorno per cui non è un miracolo. Il sole è la sua natura di sorgere ogni mattina è una cosa normale. Questo pensiero è opposto alla Torà perciò dicono i maestri: COINCIDENZA NON E’ UNA PAROLA KASHER –IDONEA! Le manifestazione naturali, anche se sono sempre presenti nelle nostre vite non sono scontate. Proviamo a riflettere sul fatto che il sole sorge e tramonta ogni giorno, la rugiada è sempre presente nella terra, la vegetazione, i prodotti della terra crescono anche in luoghi totalmente inospitali, almeno apparentemente. Eppure queste e molti altri fenomeni “naturali” spesso sono considerati come “scontati”. Senza soffermarsi sul fatto essenziale che ogni cosa e quindi anche ogni fenomeno naturale esiste e si perpetua solo perché Dio permette che sia così. Ma assistere a questo tipo di miracoli è come la divisione del Mar Rosso? Certamente No! Tuttavia è necessario applicare il nostro intelletto e meditarvi sopra. Potremmo pensare che “Ok, tutto questo è miracoloso, ma devo faticare per capirlo. E anche a questo punto, il concetto è al di sopra della mia portata. Che gusto c’è? Non è come vedere il Profeta Elia o la manna che scende dal cielo o un altro fatto strabiliante. Non mi lascia sopraffatto. Non mi appaga”. E quindi continuiamo a vivere nella speranza di un’altra rivelazione “veramente miracolosa”. Vogliamo vederla, ci proviamo, ma spesso non la vediamo. Andiamo avanti a vivere, desiderando cose che non possiamo ottenere, o nel migliore dei casi, possiamo avere solo per una frazione di secondo, e poi sparisce.
Il Futuro Solo quando ci sarà la imminente Redenzione avremo esperienza di Or En Sof tutto il tempo. La vedremo, la sentiremo, la assaggeremo, la respireremo. Non importerà se Or En Sof dividerà il mare, farà girare la terra sul suo asse, ci procurerà un parcheggio in una strada trafficata, o ci farà aprire un libro ad una pagina che si rivolge a noi consigliandoci proprio su un argomento urgente nella nostra vita; vedremo Or En Sof ovunque. Non dovremo meditare su di essa, non dovremo crederci, né convincere noi stessi. Il velo verrà sollevato e saremo pronti a riceverla. In quel tempo non ci limiteremo a vedere i miracoli, ma riusciremo a comprendere e percepire la presenza di Dio in questo mondo fino al punto di diventare tutt’uno con essa.
Questo ci insegna il “miracolo di Purìm”: quando sembra che non ci sia speranza, che Dio sia svanito nelle nostre vite e nel mondo, proprio quando tutto sembra buio e disperazione; la verità è che Dio è SEMPRE qui con noi. Solo che avevamo i paraocchi. C’è un solo modo di vederlo anche ora. Come, ci chiediamo? Dobbiamo soltanto aprire gli occhi.
http://www.virtualyeshiva.it/2017/03/11/purim-5774-cinque-lezioni/ cinque mega lezioni su Purim
C’Era una Volta Nelle comunità ebraiche, un tempo, quando iniziava il lieto mese di Adàr, era in vigore un’usanza particolare. In attesa di Purìm, sceglievano una persona spiritosa e la nominavano “governatore” della città in occasione di quella festa. Un momento in cui si celebrava un tempo in cui nulla è veramente ciò che sembra. Inoltre, venivano nominati alcuni poliziotti, giudici e altri funzionari che eseguissero gli ordini del “governatore della provincia” per un giorno. Un volta, i chassidìm del rebbe Tzvi di Zhidachov nominarono il giovane e estroverso nipote dello tzaddìk, Koppel, come governatore della provincia, e gli dissero di emettere alcune leggi divertenti. Egli istituì un “consiglio” formato da studiosi della Torà locali, membri di rilievo della comunità che, nel corso dell’anno, si erano distinti per la loro saggezza e la loro serietà. Quando, infine, arrivò Purìm, questi sommi cittadini mostrarono al giovane Koppel il dovuto onore e il rispetto adeguati alla sua alta carica. Dopo parecchi giri di liquore, accompagnati da gioiosi brindisi, tutta l’allegra brigata si recò verso la casa del rebbe ballando e festeggiando. Dopo aver sorriso accogliente e divertito, anche lo tzaddìk fece mostra di grande deferenza nei confronti del personaggio incarnato da suo nipote. Poi, chiese rispettosamente al “governatore” di cancellare le tasse oppressive e antisemite sulle candele e sulla carne kashèr che la sua controparte reale (il vero governatore della zona) aveva imposto nel corso di quell’anno. Il “governatore” esaudì volentieri la petizione come richiesto dal rebbe. Poi, il rebbe chiese a “sua Altezza” di abrogare la legge che imponeva agli ebrei di essere arruolati nell’esercito, ma, sorprendentemente, a questa richiesta suo nipote scosse il capo duramente. Il rebbe lo implorò più volte, con sempre maggior compostezza ed eloquenza, ma il “governatore” continuò a opporsi fermamente. Infine, il rebbe mostrò di essere molto infastidito dal rifiuto. Cambiando tono, ordinò a suo nipote di dichiarare l’intenzione di abrogare la legge della leva immediatamente. Nonostante ciò, il giovane ubriaco non diede ascolto al suo santo zio. Il sorriso scomparì dal volto degli altri chassidìm, quando capirono che il rebbe stava prendendo sul serio la questione, e implorarono Koppel di cedere, ma nemmeno il loro intervento servì a qualcosa. Litigarono con lui, ma non si smosse. «Non c’è niente da fare», insisteva compiaciuto. Lo tzaddìk se ne andò dalla stanza adirato, e si rifiutò persino di guardare suo nipote per il resto della festa. Il giorno successivo, quando tutti erano nuovamente sobri, i chassidìm si rivolsero incuriositi a Koppel, chiedendogli: «Che cosa ti è preso per opporti a tuo zio, il rebbe, con tale testardaggine?». Il giovane impallidì: «Che cosa intendete? Non farei mai una cosa simile! D’altra parte – confessò imbarazzato – ammetto che non mi ricordo nulla di ciò che è accaduto ieri, dopo che siamo andati a casa del rebbe, avevo bevuto troppo». Quando gli dissero tutto ciò che era accaduto, ne fu mortificato. Nonostante tutti i testimoni, faceva fatica a credere di aver agito con tale sfacciataggine nei confronti di suo zio. Quell’anno, le autorità provinciali revocarono veramente le imposte sulle candele e sulla carne, ma la crudele legge che costringeva gli ebrei ad arruolarsi nell’esercito polacco rimase in vigore. Allora, i chassidìm compresero che, durante quel Purìm, avevano assistito a qualcosa che andava al di là della loro comprensione: il loro rebbe non stava scherzando, e ciò che era stato attribuito all’ebbrezza di un giovane, in verità, avrebbe avuto ripercussioni miracolose. Il rebbe, grazie all’intervento divino, era riuscito a capire l’importanza che aveva in mano il “governatore” in quel giorno.
Bisogna Fare Affidamento sui Miracoli? Si può fare affidamento sui miracoli? Oppure ognuno deve prestare attenzione e non correre rischi inutili nella speranza che gli accada un miracolo? Una risposta la possiamo trovare nel Talmud Yerushalmi (Shekalìm 6, 3): uno dei dieci miracoli avvenuti nel Santuario era che i Pani di presentazione rimanevano freschi per una settimana, dal momento in cui venivano portati fino alla loro consumazione. Il Talmud aggiunge che il tavolo sul quale erano posati i Pani era fatto di marmo e non d’argento, affinché non si deteriorassero, perché il marmo è un materiale freddo e l’argento è un materiale caldo. A questo punto chiede il Talmud: “Siccome questo è uno dei miracoli che venivano compiuti nel Bet Hamikdàsh (così come riponevano i Pani caldi, li ritrovavano), perché non potevano riporli sul tavolo d’argento? Comunque non si sarebbero deteriorati, essendo miracolosi!”. La risposta del Talmud è che “Non bisogna fare affidamento sui miracoli, bisogna fare il possibile affinché le cose vadano secondo natura e non si deteriorino”. Anche ove è avvenuto un miracolo, come per i Pani del Santuario, prima dobbiamo fare il possibile affinché non si deteriorino e, solo dopo, può avvenire il miracolo!
Però… i Miracoli Quotidiani? Rabbi Yitzkhàk Arama spiega in riferimento all’affermazione halachica “non fare affidamento sui miracoli” (Kiddushìn 39a): questo non contraddice il fatto che noi assistiamo nelle nostre vite a continui miracoli quotidiani; anzi, chiunque rifiuti tale evidenza nega l’onnipresente bontà divina e potrebbe addirittura venire punito per aver ignorato la miracolosa fondatezza della Provvidenza divina. D’altro canto, tale punto di vista coinvolge enormemente la nostra condotta giornaliera. “Non fare affidamento sui miracoli” significa che noi dobbiamo fare del nostro meglio, ma solo Dio decide autonomamente quali saranno i risultati delle azioni in base al nostro livello spirituale e ai nostri meriti. Quindi ben sapendo che benché non dobbiamo fare affidamento sui miracoli e anzi, dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per compiere ciò che è opportuno, Dio, nella Sua infinita bontà, certamente dirige il mondo in modo miracoloso, “ki le’olàm khasdò”, perché eterna è la Sua benevolenza!
Quando Vediamo un Miracolo, Vediamo Dio Viviamo la nostra esistenza al buio. Ci viene detto di credere, ma più delle volte non riusciamo a percepire la presenza di Dio nelle nostre vite. Dunque, la “strada della fede” spesso può essere dura. In una simile situazione è normale chiedersi: “Perché siamo qui? Dov’è Dio nel mondo?”. Queste o domande simili possono a volte entrare nelle nostre menti e nelle nostre vite. A volte ci può sembrare di essere nella stessa condizione di una persona che fatica molto per un lavoro, senza vedere i frutti del suo impegno. Quindi, possiamo arrivare a dubitare che ci sia veramente qualcuno dietro alla porta dell’ufficio con su scritto “Direttore Generale”. E poi, accade l’inaspettato! Riusciamo anche solo per un momento di vedere “l’ombra del Grande Capo” uscire dalla Sua stanza. Allora ci esaltiamo di questo. Vedere Dio è in fondo il desiderio a volte nascosto di ognuno di noi, la nostra meta. Il solo pensare di poter assistere alla manifestazione della Sua infinità (Or En Sof), il miracolo, ci infonde una scarica di adrenalina. Possiamo arrivare a sentirci sopraffatti da una tale grandezza. Tutto il resto si dilegua e rimane solamente la nostra anima che si alza davanti all’infinita grandezza di Dio. Ora, i miracoli rivelati di questa portata non si verificano ogni giorno… In effetti, una rivelazione come questa, a un livello incredibilmente alto di Or En Sof, è avvenuta soltanto due volte in tutta la nostra storia. Una volta è accaduto in occasione della divisione del Mar Rosso e, in seguito, quando è stata data la Torà. E ora vediamo quale influenza hanno avuto queste rivelazioni su di noi. Sono passati 3333 anni e ancora ne parliamo! Ci aggrappiamo in ogni modo possibile a questa esperienza. Come se fosse il cibo per un corpo e una mente affamata o il salario per un lavoratore. Ma 3333 anni sono un lungo tempo di attesa e noi oggi cosa possiamo fare? Dobbiamo cercare di avvertire la luce infinita – Or En Sof altrove, come vedere i miracoli insiti nelle storie di Purìm e di Khanukkà. C’è un solo problema, su cui dobbiamo lavorare: il miracolo rivelato, non sempre basta, poiché c’è ancora bisogno della nostra fede. A volte anche se assistiamo a un evento miracoloso è possibile comunque pensare che “Sarebbe potuto succedere comunque…”. Oltretutto ci sono miracoli che vengono chiamati “caso” o “coincidenze”. Perdiamo un autobus e il corso della nostra vita cambia per sempre; sbagliamo il numero di telefono e troviamo così un amico che abbiamo perso di vista da tempo: miracoli talmente insondabili che neppure le persone a cui accadono riescono a capire completamente che cosa sia veramente successo. Uno dei messaggi importanti di Purìm è la vittoria contro il più grande nemico di Israèl che Amalèk dalla quale discende Hamàn. L’arma più forte di Amalèk per negare l’esistenza di Hashm viene espressa nella Torà ‘karkhà’ che viene anche dalla parola ‘mikrè’ casuale. La prima cosa da fare per negare la mano del Creatore dietro la natura è la casualità ovvero succede ogni giorno per cui non è un miracolo. Il sole è la sua natura di sorgere ogni mattina è una cosa normale. Questo pensiero è opposto alla Torà perciò dicono i maestri: COINCIDENZA NON E’ UNA PAROLA KASHER –IDONEA! Le manifestazione naturali, anche se sono sempre presenti nelle nostre vite non sono scontate. Proviamo a riflettere sul fatto che il sole sorge e tramonta ogni giorno, la rugiada è sempre presente nella terra, la vegetazione, i prodotti della terra crescono anche in luoghi totalmente inospitali, almeno apparentemente. Eppure queste e molti altri fenomeni “naturali” spesso sono considerati come “scontati”. Senza soffermarsi sul fatto essenziale che ogni cosa e quindi anche ogni fenomeno naturale esiste e si perpetua solo perché Dio permette che sia così. Ma assistere a questo tipo di miracoli è come la divisione del Mar Rosso? Certamente No! Tuttavia è necessario applicare il nostro intelletto e meditarvi sopra. Potremmo pensare che “Ok, tutto questo è miracoloso, ma devo faticare per capirlo. E anche a questo punto, il concetto è al di sopra della mia portata. Che gusto c’è? Non è come vedere il Profeta Elia o la manna che scende dal cielo o un altro fatto strabiliante. Non mi lascia sopraffatto. Non mi appaga”. E quindi continuiamo a vivere nella speranza di un’altra rivelazione “veramente miracolosa”. Vogliamo vederla, ci proviamo, ma spesso non la vediamo. Andiamo avanti a vivere, desiderando cose che non possiamo ottenere, o nel migliore dei casi, possiamo avere solo per una frazione di secondo, e poi sparisce.
Il Futuro Solo quando ci sarà la imminente Redenzione avremo esperienza di Or En Sof tutto il tempo. La vedremo, la sentiremo, la assaggeremo, la respireremo. Non importerà se Or En Sof dividerà il mare, farà girare la terra sul suo asse, ci procurerà un parcheggio in una strada trafficata, o ci farà aprire un libro ad una pagina che si rivolge a noi consigliandoci proprio su un argomento urgente nella nostra vita; vedremo Or En Sof ovunque. Non dovremo meditare su di essa, non dovremo crederci, né convincere noi stessi. Il velo verrà sollevato e saremo pronti a riceverla. In quel tempo non ci limiteremo a vedere i miracoli, ma riusciremo a comprendere e percepire la presenza di Dio in questo mondo fino al punto di diventare tutt’uno con essa.
Questo ci insegna il “miracolo di Purìm”: quando sembra che non ci sia speranza, che Dio sia svanito nelle nostre vite e nel mondo, proprio quando tutto sembra buio e disperazione; la verità è che Dio è SEMPRE qui con noi. Solo che avevamo i paraocchi. C’è un solo modo di vederlo anche ora. Come, ci chiediamo? Dobbiamo soltanto aprire gli occhi.
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