AKHARE MOT 5784 – IL GIORNO DOPO IL DOMANI!

1 Maggio 2024 0 Di HaiimRottas

B’H’ Questo SHABBAT 26 NISSAN 5784,  4 Maggio 2024 leggeremo la Parashà di Akhare Mot:  Lev 16:1 – 18:30

HAFTARÀ
Amos 9:7-15

Si annuncia Rosh Chodesh

Si legge il 1° Pirkè Avot

IL SILENZIO DEL MALE


Conversazione Fatale

Akharè Mot, racconta il tragico episodio della morte prematura dei due figli di Aharòn, Nadàv e Avihù. Il giorno in cui fu inaugurato il Tabernacolo nel deserto e i quattro figli di Aharòn furono consacrati come sacerdoti, i due figli più grandi entrarono nel Tabernacolo e non ne uscirono vivi. Il Talmud (Sinedrio 52a) racconta la seguente storia per spiegare la causa della loro morte: “Una volta accadde che Mosè e Aharòn camminavano lungo la strada e Nadàv e Avihù (i due figli di Aharòn) camminavano dietro di loro e tutto Israele camminava dietro di loro. Disse Nadàv ad Avihù: ‘Quando moriranno questi due anziani e tu? Così che io potrò guidare la generazione?’ Allora Dio disse loro: ‘Vedremo chi seppellirà chi!’”.

Un Midràsh Criptico
Ora, questa storia ha generato un Midràsh criptico (Nàkhal Kedumìm del Chida Parashà Akharè Mot): “Quando Giobbe venne a sapere della morte dei due figli di Aharòn, fu preso da una paura tremenda. Fu questo evento che costrinse il migliore amico di Giobbe, Eliù, a dichiarare (Giobbe 37, 1): Per questo il mio cuore trema e sussulta?”. Questo Midràsh sembra strano. Perché l’episodio di Nadàv Avihù suscitò una paura così profonda nel cuore dell’amico di Giobbe?
Rabbi Chaìm Yossèf Davìd Azulaei, il saggio e mistico italiano del XVIII secolo, conosciuto come il Chida, presenta la base della seguente interpretazione di questo oscuro Midràsh. Nel suo libro Chomat Anach questa spiegazione è citata “nel nome dei Saggi della Germania”.

I Tre Consiglieri
Il Talmud riferisce che Giobbe prestò servizio nella squadra dei consiglieri del Faraone, l’imperatore d’Egitto. Gli altri membri della squadra erano Bil’àm e Yitrò. Quando la popolazione ebraica in Egitto cominciò ad aumentare in modo significativo, trasformandosi da una piccola famiglia di settanta membri in una grande nazione; il Faraone, colpito dal timore che questo gruppo di rifugiati alla fine potesse costituire una minaccia per il suo regno, consultò i suoi tre consiglieri su come affrontare il “problema ebraico”.
– Bil’àm scelse un approccio crudele e tirannico. Suggerì, infatti, al Faraone di annegare tutti i neonati ebrei e di costringere ogni maschio ebreo adulto a lavorare come schiavo.
– Giobbe rimase in silenzio. Non condannò gli ebrei né alla schiavitù né alla morte, ma non difese i loro diritti alla vita e alla libertà.
– Yitrò fu l’unico dei tre che si oppose al crudele piano di Bil’àm. Per sfuggire all’ira del Faraone, che abbracciò con entusiasmo la “soluzione finale” di Bil’àm, Yitrò fuggì dall’Egitto fino a Midyàn, dove visse per il resto dei suoi anni.

Il Talmud mette in relazione le conseguenze dei rispettivi comportamenti dei consiglieri:
Bil’àm fu ucciso molti decenni dopo durante una campagna militare ebraica in Medio Oriente (Bemidbàr 31, 8);
Giobbe fu afflitto da varie malattie e tragedie personali. Proprio come Bil’àm, egli ricevette una punizione “misura per misura”. Ciò dimostrò chiaramente a Giobbe il suo stato di apatia morale. Infatti, se fosse stato davvero turbato dalla situazione delle vittime ebree, avrebbe espresso la sua obiezione al piano di Bil’àm, anche se avesse pensato che protestare non avrebbe portato alcun risultato, chi tace acconsente.
Yitrò, invece, “unica voce” della moralità nel palazzo egiziano, meritò non solo Mosè come genero, ma anche discendenti che prestarono servizio come membri della Corte Suprema ebraica (Sinedrio) di Gerusalemme. Rappresentando lealmente i principi ebraici di giustizia e moralità, anche Yitrò, quindi, venne ricompensato misura per misura.

L’Ipocrisia di Giobbe
Cosa passò per la mente di Giobbe dopo questo fatto? Piacerebbe pensare che Giobbe si considerava moralmente inferiore al suo collega Yitrò che, con un atto di enorme coraggio, si oppose a un re superpotente e protestò contro il suo programma di genocidio. Quindi, ci piacerebbe immaginare che quando Giobbe torn a casa quella sera disse a sua moglie: “Ho scoperto oggi di essere un politico senza spina dorsale e codardo che è capace di vendere la sua anima al diavolo solo per mantenere la sua posizione nel governo”.
Invece, purtroppo, andò diversamente. Giobbe, come è accaduto nel passato e accade tutt’oggi, non prese in considerazione questo pensiero nemmeno per un momento. Al contrario, Giobbe si considerava il pragmatico e Yitrò l’idiota. “Cosa ha guadagnato Yitrò dal dire tutta la verità?”, Giobbe deve aver pensato tra sé: “Ha perso la sua posizione ed è stato costretto a fuggire. Ha agito come un fanatico. Invece Io, Giobbe, impiegando le mie abili capacità diplomatiche e rimanendo in silenzio, continuo a servire come consigliere senior del Faraone e quindi sarò in grado di assistere il popolo ebraico, sottilmente e discretamente, dall’interno dei ranghi governativi del potere”.
Per decenni, Giobbe camminò per i corridoi del palazzo egiziano saturo di un sentimento di ipocrisia e contentezza. Tuttavia questi suoi sentimenti lo illusero fino al giorno in cui seppe della morte dei figli di Aharòn.

La Sconvolgente Scoperta di Giobbe
Quando Giobbe chiese cosa avrebbe potuto causare la morte prematura di questi due stimati tzaddikìm, gli fu risposto con il famoso episodio talmudico citato all’inizio di questo articolo:
“Una volta accadde che Mosè e Aharòn camminavano lungo la strada e Nadàv e Avihù (i due figli di Aharòn) camminavano dietro di loro e tutto Israele camminava dietro di loro. Disse Nadàv ad Avihù: ‘Quando moriranno questi due vecchi e tu?’, così che io potrò guidare la generazione?’ Allora Dio disse loro: ‘Vedremo chi seppellirà chi!’”
Giobbe rimase sbalordito da questa risposta e si domandò: “Posso capire perfettamente perché Nadàv è stato punito, poiché è stato lui a pronunciare queste parole sbagliate. Ma perché suo fratello Avihù è stato punito? Non ha detto nulla”.
Poi arrivò la tremenda risposta per Giobbe: “Avihù? E stato punito perché è rimasto in silenzio!”
Quando un delitto avviene davanti ai tuoi occhi, il tuo silenzio è assordante. Non c’è spazio per il silenzio!

Di fronte allo spregevole antisemitismo, proveniente dai suprematisti bianchi, o da qualsiasi altra fonte di destra o di sinistra, tutte le “brave persone” che rimangono in silenzio diventano complici del crimine. Le idee hanno potere. Fu la propaganda del partito nazista ottant’anni fa e il seguente silenzio delle alte classi intellettuali sia germane che non, che permise a milioni di tedeschi di diventare assassini attivi di milioni di persone.
Quando l’odio verso gli ebrei resta incontrastato senza proteste, le conseguenze possono essere terribili. Nel corso della storia è stata l’inazione di coloro che avrebbero potuto agire, l’indifferenza di coloro che avrebbero dovuto capire a permettere tante tragedie.
In definitiva fu il silenzio della voce della giustizia, quando contava di più, che ha reso possibile il trionfo del male (Hailé Selassié, l’ultimo imperatore d’Etiopia).

Tratto da un articolo di Y. Y Jacobson

 

FINITO KIPPÙR… SUBITO A CASA!

Il Sommo Sacerdote, l’uomo più santo tra i sacerdoti, a loro volta i più santi tra il popolo ebraico, nel giorno più santo di tutti, Kippùr, e, come se non bastasse, nel luogo più santo al mondo il Kòdesh Hakodashìm; cosa gli ordina di fare la Torà una volta terminato l’estenuante, difficilissimo e delicatissimo servizio di Kippur? DEVE TORNARE a casa sua da sua moglie!?
Certo il Sommo Sacerdote doveva essere sposato per prestare servizio, però che significato può avere l’ordine di tornare a casa subito dopo il servizio di Kippur? Non era già ovvio che sarebbe stato così? Essendo sposato, il Sommo Sacerdote dove sarebbe dovuto andare al termine del suo servizio, se non a casa!

La chassidùt dietro questo, apparentemente, incomprensibile ordine della Torà ci aiuta a comprendere il significato nascosto di questa richiesta. Lo scopo di raggiungere alti livelli di consapevolezza del Divino nel Kòdesh Hakodashìm, nel giorno di Kippur, non è per un mero “piacere personale”, o per una sorta di gratuita gratificazione che Hashèm dona al Sommo Sacerdote di turno. Il servizio del Sommo Sacerdote, così come quello di tutti noi, è di incidere e rettificare questo mondo materiale in concreto. La massima ispirazione di ognuno, infatti, dovrebbe essere quella di elevarsi spiritualmente per poter applicare le nostre migliorate qualità spirituali alla vita di tutti i giorni.

Tuttavia, la moglie cosa c’entra?
La moglie nella Torà simboleggia anche la casa, la famiglia. Il senso è che questi elementi, ossia il rapporto coniugale e più in generale la vita famigliare, sono, tra gli aspetti della vita materiale, forse i più difficili e impegnativi. Ogni genere di incomprensione e difficoltà, a volte, sono in agguato per rompere o indebolire la shalòm bait (pace famigliare). Questo vera e propria sfida permanente non era, e non è, solo il “campo da gioco” di noi “umili mortali”, ma era una sfida anche per persone di un livello spirituale elevatissimo, proprio come il Sommo Sacerdote. Addirittura, si potrebbe dire che la Santità aggiuntiva, dovuta all’espiazione, la teshuvà, raggiunta in quel giorno e la vicinanza particolare di Hashèm, all’interno del Santo dei Santi, erano, in qualche modo, finalizzate a dare una forza supplementare al Sommo Sacerdote, per migliorare ancora di più i suoi rapporti famigliari, in particolare con la moglie.
L’ideale della vita ebraica, infatti, non è quella di essere dei campioni “solitari”, ma di essere dei “campioni” in una “squadra”. E nel caso del matrimonio vi sono due giocatori, marito e moglie, e un allenatore Hashèm. Solo attraverso l’unione e l’armonia sia spirituale, sia nella vita reale, tra queste componenti: lato maschile, femminile e legame con Hashèm, possiamo creare una dimora per Hashèm in questo mondo e raggiunge la tanto bramata era messianica, presto ai nostri giorni Amen. 

Akharè Mot
Levitico da 16, 1 fino a 18, 30

Yom Kippùr

La sesta sezione del libro di Levitico si apre con Hashèm che si rivolge a Moshè “dopo” (akharè, in ebraico) la morte dei due figli maggiori di suo fratello Aharòn (vicenda raccontata nella terza sezione, Sheminì). Hashèm dà a Moshè le leggi riguardanti il Giorno dell’Espiazione (Yom Kippùr). Questo episodio è seguito da un elenco di vari tipi di comportamento, che Hashèm ha vietato a Israèl, dopo averlo trasformato in “un regno di sacerdoti e una nazione santa” con il Dono della Torà.

Vayikrà 16, 1–17

Il pentimento permette di ripristinare la nostra innocenza originale di fronte ad Hashèm e creare una relazione migliore con Lui, di quella esistita in precedenza. Quando c’era il Santuario i misfatti
più gravi venivano espiati con i rituali e i sacrifici nel Giorno dell’Espiazione (Yom Kippùr). Rituali che venivano eseguiti solo dal Sommo Sacerdote. Alcuni di essi si svolgevano nella camera più intima del Tabernacolo, il “Santo dei Santi” (Kòdesh Hakodashìm).

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La Moglie del Sommo Sacerdote
Aharòn offrirà il suo toro come sacrificio di espiazione, per espiare il peccato per se stesso e per la sua famiglia [sua moglie]. (16, 6)

Affinché i riti del Kippùr siano validi, il Sommo Sacerdote deve essere sposato e ritornare direttamente a casa da sua moglie, dopo aver completato i riti di quel giorno. Lo scopo di raggiungere alti livelli di consapevolezza del Divino nel Kòdesh Hakodashìm è solo quello di applicare questa ispirazione alla vita di tutti i giorni. Le donne personificano la nostra spinta a far diventare il mondo la dimora di Hashèm. Il Sommo Sacerdote tornando a casa da sua moglie e condividendo la sua ispirazione divina con lei, può sviluppare ed espandere la sua consapevolezza Divina. Questo è lo scopo del lavoro di Kippùr.
I riti Sommo Sacerdote del Kippùr ci istruiscono su come rinnovare il nostro rapporto con Hashèm. Promuovere la nostra armonia coniugale è parte integrante dello sviluppo della nostra relazione con Lui. Il marito è responsabile dell’accrescimento spirituale della moglie. Inoltre, dobbiamo sforzarci di armonizzare i nostri lati “maschili”, cioè l’aspirazione alla spiritualità, con i nostri lati “femminili”, cioè l’aspirazione a portare la spiritualità nelle nostre vite quotidiane.

Quando si raggiunge la cima della montagna è ora di tornare casa!