BEKHUKOTAY 5784: MANGIARE DURANTE IL LAVORO!
Questo Shabbat 24 IYÀR 5784 1° Giugno 2024, leggeremo la Parashà di Bechukkotài
Lev 26:3-27:34
HAFTARÀ
Italiani Ez 34:1-15
Milano/Torino/Sefarditi/Ashkenaziti Ger 16:19-17:14
Si legge il 5° Pirke Avot
Benedizioni, Castighi e Valutazioni
Nella porzione della Torà che leggiamo questa settimana, Bekhukotày, Dio comunica al popolo ebraico le idilliache benedizioni che lo attendono se rispetterà l’alleanza con Lui. Tale “lieta promessa” è seguita dall’avvertimento che se il popolo ebraico non riuscirà a svolgere il proprio ruolo di rappresentante di Hashèm in questo mondo, sarà soggetto a tremende maledizioni e punizioni. Immediatamente dopo questa sezione della parashà, conosciuta come “tokhakhà”, ossia “rimprovero/castigo”, la Torà inizia un argomento totalmente nuovo: le leggi “dell’erkhìn”, che significa “valutazione”.
Queste leggi specificano come una persona può impegnarsi a donare il proprio valore o il valore di un altro essere umano al Sacro Tempio. La Torà specifica la somma esatta che si dovrà versare per mantenere fede all’impegno assunto con il Santuario. Tale somma, tuttavia, non era calcolata in base alla forza o al carattere dell’individuo, ma è determinata dal valore “xx” che la Torà stabilisce in base al genere (maschile o femminile) e all’età dell’individuo. Ad esempio, “l’èrekh” o valore standard, di un maschio di età compresa tra i 20 e i 60 anni è di cinquanta shèkel d’argento (circa 425 grammi d’argento). Non faceva alcuna differenza se la persona su cui si determinava il valore fosse un neurochirurgo o uno spazzino, non importava se essa fosse un Moshè, oppure un povero emarginato, l’importo da donare dipendeva solo dall’età e dal sesso. Se una persona si impegnava a donare al Tempio il corrispettivo del valore di un bambino di cinque anni, doveva dare 20 shèkel d’argento (circa 170 grammi); per un bambino di un anno, doveva pagare cinque shèkel d’argento ecc…
Ovviamente questi numeri non riflettono il reale valore di un essere umano, sempre che una simile cosa fosse possibile. Una persona non ha un “prezzo”. Piuttosto, questi sono numeri simbolici che la Torà attribuisce ai diversi generi e alle diverse fasce d’età che rispecchiano alcune caratteristiche degli esseri umani.
Questi sono solo alcuni esempi e alcuni concetti sintetici di un argomento vasto e complicatissimo, tanto che vi è un intero trattato nel Talmud, Erkhìn, dedicato solo a questo argomento. Non è intenzione dell’articolo quella di spiegare o descrive questa istituzione della Torà. Infatti, quello che vogliamo sottolineare è che l’ordine della Torà sempre meticoloso, poiché ogni volta che alcuni concetti, leggi o comandi sono messi in un certo ordine, soprattutto se inseriti nella stessa parashà, essi esprimono sempre un legame tra essi. Pertanto, bisognerebbe domandarsi qual è il legame tra il tokhakhà, il castigo severo e duro; e le leggi di valutazione che mettono in discussione il “valore” di ogni singolo essere umano, uomo, donna e bambino?
La Forza della Tzedakà
Due risposte: una matematica e morale, l’altra psicologica.
La prima spiegazione è fondata sugli insegnamenti del Baal Haturìm, Rabbi Ya’akòv ben Ashèr, uno dei grandi saggi medievali, 1269-1343. Le leggi “dell’Erkhìn, valutazioni”, sono presentate dalla Torà in questo ordine: 50 shèkel, 30 shèkel, 20 shèkel, 10 shèkel, 5 shèkel, 3 shèkel, 15 shèkel e 10 shèkel, per vari gruppi di età e sesso. Il totale di tutte queste categorie distinte risulta essere 143 shèkel. Tale numero corrisponde alla somma esatta delle maledizioni nella Torà: 45 nella porzione di questa settimana, Bekhukotày, più le 98 presenti nella porzione di Ki Tavò nel libro del Deuteronomio. Pertanto la Torà ci sta dicendo come “l’antidoto” per il tokhakhà, ossia “rimprovero/castigo” di Hashèm, è la mitzvà di Erkhìn, la mitzvà di come valutare la tzedakà: questo istituto, infatti, consisteva nell’impegno di una persona di donare una, spesso consistente, somma di denaro al Tempio. In definitiva la Torà ci insegna come 143 shekalìm di tzedakà annullano i 143 castighi presenti nella Torà. Questo è il potere del dare.
Popolo di Valore o di Valori?
La seconda spiegazione, presentata dal Kotzker Rebbe, Rabbi Menachem Mendel Morgenstern (Polonia 1787-1859), è la seguente. Uno dei doni più grandi del popolo ebraico è stato quello di non aver mai permesso che le numerose ed enormi umiliazioni e persecuzioni subite nel corso dei millenni da parte di molte nazioni potenti, definissero la sua identità interiore, dignità e destino. Un esempio su tutti sono stati “leoni impavidi” che pochi mesi dopo aver lasciato i campi di Auschwitz andarono a “ricostruire Gerusalemme”. Oppure, altri “leoni” quelli che, appena tornati dal lungo esilio babilonese, si misero a ripopolare Israele e costruire, nonostante le mille difficoltà e pericoli, quello che diventerà il Secondo Tempio. Per non dire delle traversie subite e della determinazione avuta dal popolo ebraico che, appena uscito dall’Egitto dopo secoli di tremenda schiavitù, trascorse quarant’anni nel deserto pur di raggiungere l’agognata Terra Promessa. Quante difficoltà, morti e dolori. E poi appena giunti in Israele, sotto la guida di Yehoshu’a, ancora molti anni di guerra prima di conquistare la Terra promessa. E questo solo per non citare i pogrom, i ghetti, le persecuzioni subite sotto l’impero romano, i vari regni medioevali e rinascimentali in Europa e nei paesi arabi, i vari tentativi di sterminio e assimilazione forzata. Dopo ogni singola tragedia il popolo ebraico è sempre riuscito a rialzarsi e riprendersi. Potrebbe bastare molto meno, no?
All’opposto, molti altri popoli o culture hanno sopportato sofferenze orribili, ma non sono mai riuscite a riabilitarsi emotivamente. Rimanendo eterne vittime dei loro oppressori. E anche dopo essere stati liberati, si è trattato di una libertà puramente esteriore, ma il loro senso interiore di identità e libertà è stato cancellato.
Quindi è più che lecito domandarsi da dove ha tratto il popolo ebraico la forza per emergere da ogni disastro con il coraggio e la fiducia necessari per ricostruire e prosperare? La risposta la troviamo nell’ordine della porzione di questa settimana, Bekhukotày! Dopo aver enumerato tutte le future possibili sofferenze che gli israeliti subiranno dalle nazioni che li circondano, la Torà prosegue discutendo il valore di ogni singolo essere umano. Qualunque cosa ti accada, la Torà ci suggerisce, ognuno di noi continua ad avere “valore” come individuo e come parte di una nazione. E, come nel passato, il nostro “valore” può e deve contribuire al Santo Tempio, alla rivelazione della presenza Divina nel mondo e in definitiva all’era messianica.
Le Caratteristiche di un Popolo Eletto
Dopo che i nazisti invasero il piccolo villaggio di Klausenberg, in Romania, iniziarono a celebrare la sconfitta degli ebrei nel loro consueto modo crudelmente sadico. Radunarono tutti gli ebrei in un cerchio nel centro della città e poi fecero sfilare nel mezzo del cerchio il loro Rebbe, Rabbi Yekutiel Yehudà Halberstam (1905-1994).
Il Klausenberger Rebbe fu successivamente portato ad Auschwitz, dove morirono sua moglie e 11 dei suoi figli. Sopravvisse alla guerra e andò in America, dove si risposò, ebbe altri figli e costruì un grande movimento chassidico. Ha costruito anche il bellissimo ospedale Laniado a Netanya, in Israele.
Le guardie delle SS iniziarono a schernire e prendere in giro il Klausenberger Rebbe, tirandogli la barba e spingendolo di qua e di là. I vili soldati puntarono le armi contro di lui, mentre il comandante cominciava a dirgli beffardamente: “Dimmi, rabbino,” ridacchiò l’ufficiale, “credi davvero di essere ancora il popolo eletto?”
I soldati presenti scoppiarono a ridere. Ma il Rebbe no e, con voce serena, rispose forte e chiaro: “Certamente”.
L’ufficiale si arrabbiò. Sollevò il fucile e lo ruppe sulla testa del Rebbe. Il Rebbe cadde a terra. C’era rabbia nella voce dell’ufficiale che urlò, per farsi sentire da tutti i presenti: “Pensate ancora di essere il popolo eletto?”.
Ancora una volta, il Rebbe annuì e disse: “sì, lo siamo”. L’ufficiale si infuriò. Diede un calcio al mento del Rebbe e disse sempre più rabbiosamente incredulo: “Stupido ebreo, te ne stai qui a terra, picchiato e umiliato, in una pozza di sangue. Cosa ti fa credere di rappresentare un popolo eletto?”
Con la bocca grondante sangue, il Rebbe rispose. “Finché non siamo noi a prendere a calci, a picchiare e a uccidere delle persone innocenti, delle donne e bambini incapaci di difendersi, siamo il popolo eletto”.
Alziamoci!
Molti di noi hanno sperimentato perdite, abusi e dolore nella propria vita. Ci sono individui che fin dalla tenera età è stato trasmesso il messaggio che loro e le loro vite non valgono nulla. E spesso questi individui per anni sono costretti a lottare per smentire questo deviante paradigma di se stessi, in cui sono cresciuti, per cercare di crearsi una vita sana e benedetta.
Arriva la Torà e insegna a tutti noi che dopo aver sperimentato turbolenze nella vita, dopo aver sopportato un “tokhakhà”, un’esperienza dura, assicuriamoci di non permettere a quell’esperienza e i messaggi legati ad essa di farci dubitare del nostro valore e soprattutto dei valori eterni contenuti nella Torà. Potremmo essere stati sottoposti a prove durissime, ma non lasciamo che il “combattente” che è in noi soccomba.
Far Uscire il Succo
Il vero valore e la dignità di una persona emergono nei momenti di dolore e disperazione. Così come le vere qualità delle persone, la loro profondità e maestosità, emergono proprio dopo un “tokhakhà”, ossia un’esperienza dolorosa.
Quando il rabbino Yoèl Teitelbaum, il Satmar Rav (1887-1979), visitò Israele, un ebreo ungherese venne e gli chiese una benedizione prima della sua partenza per gli Stati Uniti. Questo ebreo espresse il timore che, dopo il ritorno del Satmar Rav in America, non ci sarebbe stato più nessuno che fosse degno di chiedere una benedizione. Il suo Rebbe gli disse: “Vai da qualsiasi ebreo che abbia un numero tatuato sul braccio e chiedigli una benedizione. Quando trovi una persona simile, non hai bisogno della mia benedizione”.
Violenza nelle Scuole
In una delle molte “sparatorie” accadute in America (Texas, il 24 maggio 2022), Salvador Ramos, 18 anni, ha aperto il fuoco alla Robb Elementary School di Uvalde, uccidendo diciannove studenti e due insegnanti e ferendo diciassette persone. Questo è successo per via di una crisi psicologica che ha invaso Ramos.
Ciò di cui i giovani in America e non solo, hanno bisogno più di ogni altra cosa è un’educazione morale, un’educazione sui valori e sul carattere, fondata sulla verità eterna che la dignità di ogni vita è assoluta e non negoziabile.
Certo, è assurdo che un diciottenne possa procurarsi legalmente un mitragliatore, senza alcuna indagine. Ma, oltre a ciò, quando a ciascuno dei nostri figli viene insegnato, fin dalla più tenera età, che tutti noi siamo responsabili verso Dio e che Egli si aspetta che onoriamo la vita e che siamo gentili gli uni con gli altri, l’omicidio non farà mai parte del linguaggio di un adolescente, anche se in crisi.
Auguro a tutti noi di riuscire nelle nostre vite a introiettare e praticare il più possibile gli insegnamenti eterni della Torà, affinché possiamo contribuire a far giungere subito ai nostri giorni il Giusto Mashìakh.
Tratto da uno scritto di Y. Y. Jacobson
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TERRENI E BUOI DEI PAESI TUOI
Anche quest’oggi vi proponiamo un estratto del Libro edito da Mamash “Saggezza Quotidiana,
basato sugli insegnamenti cassidici del Rebbe e dei suoi predecessori.
Questi brani hanno un filo conduttore comune, ossia riguardano la possibilità che una persona ha di
santificare ad Hashèm qualcosa di sua proprietà: parte di terreno ereditario o il decimo animale nato.
Santificare significa separare qualcosa da qualcos’altro, in questo caso separare un bene dal mondo
materiale e dedicarlo ad Hashèm. Tuttavia si potrebbe pensare che, in entrambi i casi, la persona perda
la possibilità di godere del bene, invece non è così. Il terreno ereditario viene santificato donandolo
al Santuario o ai sacerdoti, mentre l’animale, il decimo, viene santificato, ovvero sacrificato nel
tempio, ma la sua carne verrebbe goduta a Gerusalemme dal proprietario e dalla sua famiglia.
Quindi nel caso del terreno la persona non gode, dal punto di vista materiale, della porzione del bene
che santifica, mentre nel caso dell’animale, si.
Dato che come sappiamo nella Torà nulla è scritto a caso, quale potrebbe essere anche per noi, per la
nostra vita quotidiana, il messaggio celato dietro a questa sottile, ma importante differenza?
Talenti Ereditati
Uno dei simbolismi e significati del bene ereditario sono le nostre qualità, le cose che Hashèm ci ha
donato nel corso della nostra vita. Questo può essere visto in senso “onnicomprensivo”, materiale,
spirituale, caratteriale. Per questo la Torà si riferisce al concetto dell’eredità, perché vi è una
differenza tra un bene acquistato e uno ereditato. Il primo ci appartiene grazie ai nostri sforzi e la
nostra volontà o possibilità di possederlo, infatti se vogliamo e/o possiamo compriamo una bicicletta,
piuttosto che un pallone, oppure non lo compriamo. Dipende in gran parte da noi. Un bene ereditato,
invece, è un bene che ci appartiene per via di un nostro status, particolare, essere figlio di, discendente
di Tizio o Caio. Noi tutti siamo eredi, in qualche modo, di qualcuno che ci piaccia oppure meno, che
lo vogliamo oppure no, almeno in potenza.
Questo rispecchia un tipo di rapporto e legame con Hashèm. Da questo punto di vista, quello che
abbiamo, o perlomeno una parte di esso, dovrebbe essere impiegato per fini divini. Hashèm, ha
affidato alle nostre cure il corpo talenti spirituali che abbiamo, durante la nostra vita, per poterli
raffinare attraverso il perfezionamento di noi stessi e del mondo che ci circonda. Ne consegue che
non abbiamo alcun “diritto” su ciò che possediamo, tanto da poterne abusare o sprecare a nostra
discrezione. Tuttavia, Hashèm sa benissimo che, tranne alcuni individui particolare, non è possibile
per molti di noi riuscire a santificare tutto ciò che siamo e abbiamo, ma almeno ci chiede una parte di
noi, del nostro campo.
E in particolare, così come noi ereditiamo un campo, perché siamo figli di Hashèm, (ossia in virtù di
un rapporto speciale), allo stesso modo dobbiamo comportarci in maniera speciale con i nostri figli,
senza lesinare mezzi, sacrifici e risorse al fine di educarli nel massimo dei valori spirituali possibili.
Perché l’eredità per eccellenza sono loro, la nostra discendenza, i figli ci permettono di essere in
qualche modo “eterni” in attesa del completamento dell’era messianica. Loro sono il vero “raccolto”,
le primizie” del nostro terreno. Loro vano santificati il più possibile nelle vie di Hashèm.
Parti Animali
Nel secondo brano invece, ci troviamo di fronte a un percorso di santificazione personale diverso. Il
sacrificio del decimo animale simboleggia anche l’aspetto animale di noi stessi. Questo è legato ad
un tipo di rettificazione personale che è frutto di un nostro sforzo, di una nostra iniziativa.
Mentre la donazione di parte del “terreno ereditario” rappresenta, dal punto di vista spirituale, i doni
o talenti che Hashèm ci ha donato e che ci chiede di mettere al servizio di un percorso spirituale; il
“decimo animale”, invece, è legato al servizio di rettificare i nostri “piccoli e grandi difetti”, grazie
alla nostra iniziativa e volontà.
Infatti, sacrificare un animale al tempio significa elevare una parte “animale” e “materiale” legata
all’offerente ed elevarla spiritualmente in alto, cosa simboleggiata dal fuoco e fumo del sacrificio.
Per questo motivo una volta adempiuto un tale impegnativo percorso spirituale di rettificazione, la
persona riceveva il godimento della carne, da subito. Tuttavia, se la persona sostituiva l’animale
sacrificale con un altro (atto vietato dalla Torà) entrambi gli animali venivano comunque consacrati
ad Hashèm. In altre parole se una persona, coinvolta in un suo processo di rettificazione personale,
santificazione della sua parte animale, vedeva la possibilità di aiutare un’altra persona, a priori la cosa
veniva vietata perché non bisognava distrarsi dal processo di miglioramento personale, ma se veniva
fatto, entrambi gli animali, ossia le azioni o i percorsi spirituali, venivano considerati santi.
*
Bekhukotày
Ricompensa e Punizione Correttiva; Donazioni
Levitico da 26, 3 fino a 27, 34
La decima e ultima sezione del libro di Levitico si apre con la promessa di Hashèm a Israèl che se
seguirà le Sue “regole” (bekhukotày, in ebraico), sarà ricompensato con benessere e ricchezza
materiale. Tuttavia, Hashèm ammonisce Israèl che se trascurerà le Sue leggi, perderà le Sue
benedizioni. Poi Egli istruisce il popolo ebraico su cosa, come e in quali circostanze è possibile fare
donazioni al Tempio o ai sacerdoti
*
In determinate circostanze, una persona può donare il proprio campo al Tempio o ai suoi sacerdoti.
Onorare i Nostri Figli
ִ
[Hashèm istruì a Moshè di dire a Israèl] «Se un uomo consacra parte del suo campo ereditato ad
Hashèm». (27, 16)
Perché la Torà dovrebbe permetterci di dare al Tempio o ai suoi sacerdoti i beni che Hashèm stesso
ci ha concesso, non è forse ingrato verso Hashèm dare via un dono che Lui ci ha dato? O forse ci
stiamo sottraendo dalla responsabilità che Egli ha posto su di noi, mettendo queste risorse a nostra
disposizione?
La risposta è che tutti i nostri beni appartengono in verità ad Hashèm, che ce li ha affidati alle nostre
cure per raffinarli durante la nostra vita, solo così potremo perfezionare noi stessi e il mondo. Ne
consegue che non abbiamo alcun “diritto” su ciò che possediamo, tanto da poterne abusare o sprecare
a nostra discrezione.
Se questo è vero, per i nostri beni esterni, è vero, ancor di più, per i nostri talenti e i nostri corpi.
Dobbiamo prenderci cura di loro e guidarli verso fini positivi senza poterne abusare o sprecare.
Questo è tanto più vero per coloro a cui diamo molto più valore di noi stessi: i nostri figli. I nostri
figli appartengono ad Hashèm, che li ha affidati alle nostre cure, affinché noi li educassimo per essere
buoni, retti e santi.
La nostra natura di genitori è di non risparmiare sforzi o spese per cercare ciò che è meglio per i nostri
figli. La nostra priorità più alta dovrebbe essere quella di fornire loro un’educazione ebraica, basata
sui valori eterni della Torà. Questo è il modo migliore sia per garantire la loro felicità, più vera e
duratura, sia per farli diventare il tipo di persone che Hashèm vuole che essi siano.
*
Ogni decimo animale nato deve essere offerto come sacrificio e la sua carne mangiata dal proprietario
e dalla sua famiglia. Il proprietario non può sostituire il decimo animale con un altro, ma se lo fa
entrambi gli animali devono essere considerati parte della decima.
Protezione dal Male
[Hashèm istruì a Moshè di dire a Israèl] «Se [il proprietario del decimo animale] lo sostituisce,
allora sia esso, sia il suo sostituto saranno santi». (27, 33)
Santificare un animale è una buona cosa. Perché, allora, la Torà proibisce al proprietario di sostituire
un altro animale con quello originale (il decimo) se, così facendo, si santificano entrambi comunque?
Dando la decima dai suoi animali, la persona è sollevata dal suo mondo terreno e coinvolto nel sacro
processo di portare l’animale a Gerusalemme e di mangiarlo lì con la sua famiglia. Ciò gli dava
l’opportunità di deliziarsi nella santità del Tempio e di rinnovare la sua fede. La Torà vuole che il
proprietario approfitti di questo, di concentrarsi sul processo, senza distrarsi su un altro animale non
consacrato.
Normalmente, dovremmo seguire questo consiglio e, se siamo coinvolti in uno slancio divino,
dovremmo rimanere concentrati su di esso, senza mettere a repentaglio e sacrificare la nostra crescita
e sviluppo spirituale, per qualche diversivo materiale. Tuttavia, quando altre persone sono in pericolo
spirituale, dobbiamo ignorare questa proibizione per assisterle. In questi casi, la Torà ci assicura che
Hashèm proteggerà sia noi, sia coloro che eleviamo alla santità ed entrambi rimarremo santi,
nonostante la distrazione.
Alcuni punti della lezione:
1. Ci sono tre livelli di relazione con Ha-shem. Il livello servo-padrone, il livello lavoratore-datore e il livello del socio.
2. Nel Pirkè Avot (cap.3) viene detto: “Lo stato ideale per servire Ha-shem NON è per ricevere una ricompensa”. Il concetto di ricompensa sembra quindi deviare l’uomo dalla sua missione in questo mondo. Lo stesso Maimonide precisa che “dobbiamo fare ciò che è vero per una vera ragione”, illustrando con questo pensiero come una mitzvà effettuata unicamente in funzione della ricompensa viene snaturata. Ma qual è allora l’importanza della ricompensa? La Torà infatti dedica una larga porzione della parashà di Bekhukkotay per illustrare la prosperità e le ricchezze materiali che i Israel avranno se seguiranno le mitzvot.
3. Per comprendere il valore della ricompensa occorre indagare i livelli di relazione con Ha-shem, partendo dal presupposto che il rapporto con D-o assume infatti la natura che noi stessi decidiamo di avere con Lui, come se fosse uno specchio. Dal punto di vista teorico lo schiavo, che non ha identità propria nè autonomia, non potrebbe ricevere alcuna ricompensa; neppure il livello del socio potrebbe garantire un immediato tornaconto; il livello del lavoratore prevederebbe invece una ricompensa solo in funzione della durata del contratto.
4. Da una prospettiva giuridica invece ogni tipo di relazione con Ha-shem comporta una ricompensa anche nel mondo presente. Il padrone, secondo il Talmud, deve trattare lo schiavo come sè stesso, secondo il principio “chi compra uno schiavo, compra un padrone”; il pagamento a favore dello schiavo diventa quindi fondamentale. Il datore di lavoro ha un obbligo di nutrire e mantenere il proprio lavoratore, garantendo pertanto il pagamento di quanto dovuto. Anche il socio infine deve essere pagato in funzione del rapporto che ha con il suo partner.
5. Il Maimonide spiega che ogni forma di sostentamento (ricompensa) deve rappresentare uno strumento per compiere ancora più pienamente le mitzvot. Il Rebbe conferma ciò analizzando come il punto di vista giuridico del Talmud stabilisca da un lato il diritto a chiedere la parnassà ad Ha-shem, dall’altro il dovere ad essere animati dalla volontà di fare di più per Lui, nel momento in cui si riceverà questa abbondanza materiale.
Riassunto.
Perché noi mangiamo in questa vita mentre lavoriamo? Il dovere della ricompensa allo schiavo, lavoratore e socio
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Link per ascoltare la lezione (o effettuare il download):
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Questo Shabbat 27 IYÀR 5782 28 Maggio 2022, leggeremo la Parashà di Bechukkotài
Lev 26:3-27:34
HAFTARÀ
Italiani Ez 34:1-15
Milano/Torino/Sefarditi/Ashkenaziti Ger 16:19-17:14
Si legge il 5° Pirke Avot
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