DEVARIM 5784: 4 LEZIONI + 6 LEZIONI SUL 9 DI AV

3 Agosto 2024 1 Di HaiimRottas

Questo Shabbàt 10 AGOSTO 2024, 6 del mese di AV 5784 leggeremo la Parashà di Devarìm. Shabbàt Chazòn
Deuteronomio 1: 1 – 3: 22
HAFTARÀ  Chazòn
Isaia 1: 1-27.

PAROLA: 90% ALLE DONNE!!! Ogni volta che iniziamo a leggere il quinto libro di Devarìm per me è una festa poiché il libro esordisce (v. 5) con il racconto che Moshè ha tradotto la Torà in 70 lingue rendendola comprensibile a tutte le nazioni del mondo, ovvero ha trasportato la santità della Torà in tutte le lingue e in tutto il mondo, io ho dedicato la mia vita a tradurla in maniera approfondita in italiano. È risaputo che il patto che Dio ha fatto con Israèl di rivelare il monoteismo nel mondo non è circoscritto al popolo ebraico, bensì ha lo scopo di rivelare l’infinito in TUTTO il mondo e in tutte le lingue e tutte le culture. Questo argomento richiede tanto inchiostro, ma cerchiamo di riassumere la riflessione del Rebbe su questo importante tema, che la traduzione della parola di Hashèm dall’ebraico nelle altre lingue del mondo è un’opera meritevole dal valore inestimabile. Quanto più la traduzione è accurata e fedele al testo originale, tanto più il lettore potrà entrare in comunicazione con i Cieli superiori attraverso un canale privilegiato che è quello della propria lingua madre. Non a caso l’opera di traduzione e diffusione dei testi sacri in italiano è la missione principale della nostra casa editrice Mamash, che da anni, si occupa di rendere comprensibili al pubblico italiano testi come la Torà, i Salmi e le preghiere che fino a pochi anni fa erano inaccessibili a molti proprio per l’ostacolo della lingua. “Queste sono le parole che Moshè disse a tutto Israele…” (Devarìm 1, 1). Con questa frase ha inizio il quinto Libro della Torà, il Libro di Devarìm, o “Parole”. Benché’ tutti i cinque Libri della Bibbia siano stati trascritti da Moshè, il Talmud differenzia il libro di Devarìm dai primi quattro Libri: i primi quattro furono trascritti, parola per parola, come dettato da Hashèm a Moshè, mentre il Libro di Devarìm fu scritto da Moshè. Nondimeno il Libro di Devarìm è considerato come uno dei cinque Libri della “Torà Scritta”, il che implica che anche le parole stesse (non solo i concetti e le idee) sono state trasmesse da Hashèm. Questa dimensione controversa è dovuta al fatto perché Moshè ha annullato il suo ego personale per essere in completa sintonia con la volontà divina, al punto che la “Divinità parlò dalla sua bocca” (Midràsh Shemòt Rabbà). Perciò da una parte è Moshè che pronuncia il quinto libro con la sua comprensione, ma dall’altra parte Moshè si annulla totalmente alla parola di Hashèm senza sentire il proprio io, praticamente Moshè è presente ma non presente allo stesso tempo. La Torà è composta da due elementi principali: la Torà Scritta (i cinque libri di Moshè) e la Torà Orale (Mishnà, Talmud, Midrash). La Torà Scritta parla a noi, mentre la Torà Orale parla attraverso di noi. Entrambe derivano dalla rivelazione sul Sinày. Ma, mentre la Torà Scritta fu messa per iscritto al tempo di Moshè, quella orale si sviluppò e continua a svilupparsi nelle generazioni con lo studio e l’applicazione di essa da parte del popolo ebraico. A causa dell’unicità del modo in cui il libro di Devarìm è stato trascritto – generato dalla mente di Moshè, ma allo stesso tempo interamente e inequivocabilmente costituito dalle parole di Hashèm, esso funge da ponte tra la Torà Scritta e quella Orale. La Torà Scritta e quella Orale necessitano di questo ponte, poiché rappresentano due dimensioni della Torà e dello sviluppo del nostro rapporto con essa. La Torà Scritta parla con la voce “maschile” di autorità e trascendenza. È una voce che non può essere sfidata o alterata, un prodotto interamente perfetto e completo. Non vi si può aggiungere né eliminare nemmeno una singola lettera. La Torà Orale, d’altro canto, è un dialogo continuo, di costante crescita, analisi e applicazione che ricorda maggiormente l’approccio “femminile” alla comunicazione. Benché solo grandi studiosi di Torà che hanno acquisito esperienza con le linee guida dell’esegesi possano contribuirvi, la Torà Orale va avanti grazie a discussioni e analisi nello studio, e trovando applicazione alle varie situazioni che sorgono. Sia la tradizione orale che quella scritta sono parti innegabili della Torà divina, la voce di Hashèm su come condurre le nostre vite per creare un mondo perfetto. Entrambe lavorano in congiuntura per esprimere la volontà di Hashèm nel nostro mondo, e per creare l’ebraismo che si adatta a ogni circostanza senza perdere la santità della Torà, ma solo il secondo aspetto della Torà, la parte femminile della Torà Orale, contempla la nostra partecipazione quando emerge e si sviluppa nel corso del tempo. Il Talmud afferma che “dieci misure di parola sono state date al mondo, e nove di esse sono state assegnate alle donne”. Alcuni potrebbero interpretare quest’affermazione come lodevole nei confronti delle donne, altri come sprezzante nei confronti del sesso più loquace; in realtà essa semplicemente spiega il potere femminile di espressione, dialogo e comunicazione. Due Livelli Consequenziali La Torà Scritta e quella Orale rappresentano due fasi della nostra relazione con la Torà. Al primo livello la mente è assorbita con la Torà come prestazione intellettuale. La relazione a questo livello può essere paragonata a un incontro soggetto-oggetto, un “Io” di fronte a un “esso”. Il secondo livello emerge quando la Torà diviene non solo un’acquisizione di conoscenza, ma un personale punto d’incontro, un “Io” di fronte a un “tu”, o meglio ancora una relazione tra “noi”. Il nostro rapporto con la Torà può cominciare dunque come attività intellettuale che richiede sforzo, concentrazione e coinvolgimento, ma questo non è il fine ultimo. Solo nel secondo livello della Torà Orale raggiungiamo il punto di esperienza personale e relazione con la Torà. Hashèm ha voluto che noi fossimo suoi partner nella Creazione e che crescessimo fino al secondo livello dove non solo traduciamo la Sua volontà nel nostro mondo, ma la Sua volontà diventa una parte intrinseca della nostra personalità, così possiamo usare le nostre parole e azioni per esprimerla. Non siamo più come uno studente che prende meccanicamente appunti durante una lezione, ma come uno studente così connesso al suo mentore, che le sue parole riflettono perfettamente le idee, le posizioni e filosofie del suo insegnante. I Saggi ci dicono che non solo Moshè usò queste parole quando trasmise il Libro di Devarìm, ma a quel punto, egli tradusse anche l’intera Torà nelle settanta lingue delle originarie settanta nazioni del mondo. Questa traduzione non solo riflette il ponte che il Libro di Devarìm offre alla Tradizione Orale, ma spianò anche la strada dell’intera Torà alle future traduzioni. Rappresenta la personale comunicazione e comprensione di tutta la Torà da parte dell’intero genere umano in ogni tempo con differenti necessità e domande. La traduzione della Torà di Moshè nelle settanta lingue era la chiave della trasmissione della Torà in tutti i tempi, da parte di ogni persone e in tutto il mondo. Il Libro di Devarìm era rivolto alla generazione che stava per entrare nella Terra Promessa. La traduzione riflette cosa questa generazione e ognuna delle generazioni successive, necessitava: la personale esperienza della Torà in modo diverso dalla generazione precedente. I loro genitori avevano lasciato l’Egitto quaranta anni prima e assistito al meraviglioso dono della Torà, nel miracoloso, appartato, spirituale assetto del deserto. Ma questa nuova generazione era quella che sarebbe entrata nella Terra di Israele per vivere una naturale e materiale esistenza. Precisamente, poiché essi sarebbero stati toccati dalle responsabilità del mondo fisico, la Torà non poteva rimanere un chiuso esercizio spirituale e intellettuale fuori da loro stessi – come qualcosa a cui avevano oggettivamente assistito – ma piuttosto doveva divenire qualcosa di intimo che avrebbero potuto trasmettere nella materia che stavano per iniziare a lavorare per elevarla nello spirito, e così trasportare la santità anche nell’ambito del contesto delle nuove circostanze terrene. Questo poteva succedere solo se avevano imparato dal loro leader, Moshè, come utilizzare le proprie parole per creare una comunicazione divina. Moshè dimostrò loro come sperimentare la Torà assaporandola nella propria lingua, nelle proprie parole. Egli fu il ponte dalla maschile, oggettiva esperienza della Torà Scritta verso la più personale, femminile esperienza della Tradizione Orale. Mentre la traduzione e l’apertura della Torà al nostro personale dialogo potrebbe sembrare una denigrazione della santità e della divina assolutezza della Torà, in realtà questa è l’elevazione ultima della Torà. Hashèm desidera che la Torà divenga una parte della nostra esperienza, che è in ultima analisi molto più intima e significativa dell’oggettivo studio di un testo statico. È per questo motivo che questa sezione della Torà si legge sempre lo Shabbàt prima del 9 di av, il più triste giorno del nostro calendario. Devarìm ci ricorda che, come l’inaugurazione e la traduzione della Torà che sembra solo in apparenza una discesa della divinità, così anche la perdita del Tempio e il conseguente esilio sfoceranno in una più grande elevazione. Infatti nella Redenzione finale, nell’era messianica alla fine del nostro viaggio, anche noi sperimenteremo una più intima relazione con Hashèm, grazie alle nostre sofferenze durante l’esilio. Il messaggio di Devarìm è che attraverso un’apparente discesa della Torà viene l’ultima ascesa. Rendendo la Torà un’esperienza personale, “traducendola” nella nostra lingua e trasmettendola con le nostre parole, noi soddisfiamo il fine ultimo del nostro mondo, di raggiungere una relazione tra “noi” e la Torà. Devarìm, parole, ci insegna il potere delle nostre parole, nel venire usate come un dialogo divino continuo con il mondo materiale per rettificarlo fino al traguardo finale e totale raffinamento con l’arrivo di Mashìakh amen.

Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor

 

Ci troviamo nei giorni di lutto perché ci avviciniamo al giorno più sfortunato per Israél. Il Talmud elenca le principali 5 disgrazie. Le peggiori sono la distruzione dei due Santuari di Yerushalayim che noi piangiamo ogni anno. In realtà gli eventi negativi sono tantissimi. Ogni anno si aggiunge un altro mattone in questo palazzo negativo. Così come questi giorni si trasformeranno in giorni di grande gioia anche questa guerra si trasformerà in una grande e immediata vittoria.
5 DIVIETI
Come di kippur anche per il 9 di av ci sono i 5 divieti: mangiare, lavarsi, profumarsi, calzare scarpe di cuoio e avere rapporti coniugali.
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Ti riporto qui di seguito un commento sulla parashà e una storia sul 9 di Av.
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Storia Napoleone BET HAMIKDASH
Sappiamo che Napoleone era quasi come un messia per gli ebrei dell’epoca. Ovunque arrivava portava pace e democrazia agli ebrei.
Un anno vinse una battaglia l’ 8 di av ed entrò vittorioso in città la sera che era il 9; ma si stupì della non presenza degli ebrei. Si informò e gli dissero che gli ebrei erano al tempio in lutto. Rimase molto sorpreso di questa mancanza e chiese ma perché sono in lutto?
Per la distruzione del grande Santuario, gli risposero.
Allora Bonaparte si chiese: ma quanti anni fa è stato distrutto? 10-20 anni? Convinto che le persone che piangevano avessero visto il Santuario prima della distruzione. Gli dissero che era stato distrutto 1.700 anni prima. Egli non riuscì a digerire il fatto che, dopo così tanti anni ancora, tutto il popolo ogni anno il 9 di av soffrisse per questa tragedia.
Allora disse che, se dopo così tanti anni ancora lo piangevano, sicuramente prima o poi sarebbe stato ricostruito.
Perfino Bonaparte aveva capito che, se dopo quasi 2000 anni ancora non si dimentica questa disgrazia, vuol dire che presto ritornerà il Santuario.

 

Se l’ha capito Bonaparte cerchiamo di capirlo anche noi! Attendiamo con fervore la redenzione e speriamo che quest’anno non dovremo digiunare, poiché il 9 di Av verrà trasformato in bene, diventando il giorno più felice dell’anno, bimhera beyamenu, amen.

Il Dono del Rimprovero
 

Moshè attende l’approssimarsi della sua morte prima di ammonire Israèl. Una delle ragioni è che vuole aspettare la sconfitta del re degli emorei.

 

אַחֲרֵי הַכֹּתוֹ אֵת סִיחֹן מֶלֶךְ הָאֱמֹרִי… וְאֵת עוֹג מֶלֶךְ הַבָּשָׁן וגו׳: (דברים א, ד)

[Moshè rimproverò Israèl] «Dopo aver sconfitto Sikhòn, re degli emorei… e ‘Og, re di Bashàn». (1, 4) 

Le persone accettano un rimprovero più facilmente, dopo aver ricevuto qualche beneficio materiale dalla persona che le ha riprese. Rimproverando qualcuno, infatti, gli stiamo facendo un favore spirituale, quindi, accompagnando questo favore spirituale con uno materiale, ci assicuriamo che chi ammonisce e chi viene ammonito percepiscano questo rimprovero nella giusta luce, piuttosto che considerarlo un atto di cattiva volontà.
Con il suo esempio, Moshè ci mostra che questo principio si applica perfino quando un individuo o un gruppo ha bisogno di un importante rimprovero anche per un peccato grave come quello di costruire un Vitello d’Oro. 
Quindi il fatto che Moshè rimprovera solo “Dopo aver sconfitto Sikhòn…” e aver aiutato materialmente Israèl, impariamo che per aiutare qualcuno a ritornare nel giusto sentiero della vita, dovremmo offrirgli il nostro aiuto più completo, sia materiale, sia spirituale.
Aiutando gli altri in questo modo, siamo meritevoli di avere l’aiuto di Hashèm nel trovare il nostro percorso nella vita, così come il Suo aiuto nel provvedere ai nostri bisogni materiali e dei nostri caro.

Tratto dal nuovo libro in stampa “Saggezza Quotidiana”.

DEVARIM

La riflessione che segue è dedicata al primo anniversario della dipartita del mio caro padre Yaakov ben Shlomo che, da ottimo commerciante quale era, ha capito il vero significato e scopo della vita e quindi dove “investire buona parte degli utili”.
Mio padre non solo ha investito buona parte dei suoi guadagni nell’aiuto del prossimo e per divulgare lo studio della Torà, ma ha voluto che i suoi figli diventassero degli studiosi e diffondessero la Torà e la Chassidùt nel mondo.
In questa speciale occasione ho pensato di scrivere questa riflessione che non solo rappresenta bene la sua personalità ma è anche molto attuale.
Infatti, in questo difficile periodo, alla vigilia dell’imminente redenzione messianica, la società subisce un apparente aumento dell’oscurità materiale, ovvero si manifestano le “doglie del parto di Mashìakh”. Oggi verso la fine del 6° millennio questa oscurità si palesa spesso nella confusione anomica e nel crescente desiderio di materialità e consumismo. È un periodo dove è sempre più difficile mantenere un giusto equilibrio psicologico e dove molte persone non si sposano o scelgono di non avere una discendenza. Questo squilibrio danneggia lo sviluppo della società. Ma quale può essere la causa di ciò e come si può correggere?
(continua sotto)
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Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.

 

Shabbat Shalom

Rav Shlomo Bekhor
Ci troviamo nella settimana del lutto per la distruzione del primo e secondo Santuario di Yerushalayim, per la quale effettuiamo questo Giovedì il digiuno del 9 di Av.
 
 
 
 
Il mio maestro e mentore il Rebbe di Lubavitch aveva molto parlato nel 1988 dell’importanza di attuare le virtù di sua moglie Chaya Mushka quando era mancata. Mi ricordo come ripeteva in ogni discorso il verso nell’Ecclesiaste (cap 7, 2): E IL VIVO PRENDERÀ A CUORE [gli insegnamenti ricevuti dalla persona che non vediamo temporaneamente] – וְהַחַי יִתֵּן אֶל לִבּוֹ
 
DIVORZIARE PER SPOSARSI
(continua da sopra)
Secondo lo Zohar lo scopo della creazione di questo mondo è che Dio ha voluto manifestare la sua bontà alle creature. Come una persona generosa che desidera qualcuno a cui fare del bene .
Questo scopo essenziale della creazione si riflette anche sugli uomini che, essendo creati a immagine di Dio, viene chiesto loro di imitare il Creatore.
Perciò uno degli aspetti fondamentali della vita è quella di DARE. Solo che l’essere umano per formarsi e crescere, deve ricevere dai suoi genitori del nutrimento ad esempio, insegnamenti ecc. Per cui nella prima fase della vita siamo più dei  “RICEVENTI” allo scopo di raggiungere, da adulti, una diversa e superiore consapevolezza: non siamo in questo mondo solo per ricevere ma per dare, per cambiare e trasformare il nostro ambiente.
Pertanto, occorre riconoscere che tutto quello che abbiamo ottenuto in gioventù è solamente una preparazione per arrivare a dare. Quindi abbiamo il dovere di trasformarci da soggetti riceventi in donatori tramite la comprensione di questo processo. Anche perché un ulteriore problema è posto dalla intrinseca natura umana che rende molto più attraente e comodo ricevere piuttosto che dare.
Pertanto rischiamo sempre di rimanere bloccati in una fase intermedia dove non si matura la consapevolezza dell’importanza di dare e per comodità si rimane al “livello di riceventi” senza sposarsi e avere figli.

 

Un’Unica Creatura
Questo fondamentale concetto è impresso nel primo Libro della Torà (Genesi 2, 24). Quando Hashèm dice, alla prima “coppia” dell’umanità, Adamo ed Eva: “L’uomo quindi lascerà suo padre e sua madre; si unirà a sua moglie e diventeranno un’unica creatura”. Questo comando divino può essere diviso in tre parti.
La prima di queste è relativa alla frase: “…lascerà suo padre e sua madre..”, e preliminarmente ci impone una domanda importante: ma a quale padre e madre si riferisce qui Hashèm? Dato che ovviamente Adamo non aveva un padre e una madre fisici. In realtà, la Torà qui parla di Adamo ed Eva come “prototipi” di tutto il futuro genere umano. Come se Hashèm stesse dicendo di ricordarsi che in futuro, quando gli uomini vorranno sposarsi, dovranno prima abbandonare il loro precedente rapporto di dipendenza con il padre e la madre, affinché possano trasformarsi da riceventi a donatori e dare continuità all’umanità, compiendo così lo scopo della propria esistenza. Perché senza la natura di dare non esiste un matrimonio sano e duraturo.
La seconda parte del versetto nella Genesi “si unirà a sua moglie”, significa che dopo che l’uomo ha maturato il fatto di dover dare, deve agire unendosi alla propria donna, l’anima gemella, in matrimonio. Questo passaggio è prevalentemente un atto di generosità che impegna entrambi gli sposi a rinunciare a buona parte delle loro personali pretese al fine di sottomettersi ad un progetto comune più grande e importante di loro che è lo scopo stesso della nostra creazione.
Se non si acquisisce questa consapevolezza le persone non si sposeranno mai, oppure lo faranno, ma sarà un matrimonio difficile. La base del matrimonio è dare alla consorte affetto, amore aiuto e non di ricevere, come molti pensano, tante attenzioni o sentimenti.
La terza e ultima parte: “…diventeranno un’unica creatura”, ci insegna che lo scopo finale dell’unione tra l’uomo e la donna è quello di diventare un’unica persona. Ma questo può succedere dopo aver abbandonato i genitori che ci hanno abituato a ricevere e dopo aver maturato una profonda unione basata sul dare. Solo così “si unirà” e solo allora l’unione matrimoniale genererà dei frutti: la prole.

Un Divorzio Particolare
Un approfondimento di come crescere spiritualmente per realizzare la missione di Hashèm lo troviamo in un altro capitolo della Torà. Qui, inusualmente, proprio nella porzione dove vengono stabilite tutte le regole per il matrimonio (parashà Ki Tetzè Deuteronomio 24, 1) si parla del suo opposto: l’indesiderato, pur se permesso, modo per terminare il rapporto matrimoniale, ovvero il divorzio ebraico/ghet: “Quando un uomo prende in moglie una donna (nel caso ci fossero problemi insormontabili nella coppia)… si deve dare un documento di ripudio”.
Il matrimonio nell’ebraismo non garantisce un risultato ottimale, quindi può essere sciolto con un documento che l’uomo consegna alla donna, chiamato ghet. A volte, purtroppo, può esserci un’incompatibilità profonda tra i coniugi che può essere sanata solo attraverso lo scioglimento del vincolo matrimoniale, ma al fine di evitare un’unione infelice e potenzialmente dannosa per entrambi.
Qui si pone un’altra domanda obbligatoria, perché nello stesso versetto dal quale si imparano tutte le regole di matrimonio viene introdotta la procedura del divorzio?
La Torà ci sta dicendo che per sposarci dobbiamo DIVORZIARE dalla nostra natura iniziale di essere dei riceventi poiché un sano matrimonio richiede la separazione dal proprio “io”.
La conferma di questa tesi biblica, la troviamo anche nel Talmud, dove il trattato che riguarda i divorzi (Ghittìn) è riportato prima di quello che tratta dei matrimoni (Kiddushìn)!!!?
Ci sono diverse risposte sul perché il Talmud ci dà questo ordine apparentemente illogico anche a livello di spiegazione semplice, ma se ci addentriamo nella mistica e nella chassidùt scopriamo un messaggio di vita molto potente: occorre divorziarsi prima di sposarci, ma non dalla nostra futura o presente “anima gemella”, bensì dalla nostra natura egoista, con cui siamo nati, la quale ci porta a ricevere solamente per appagare il nostro IO e i nostri desideri.
Pertanto sia la Torà che il Talmud ci invitano a trasformare la nostra tendenza egoistica in un desiderio di dare con generosità e senza doppi fini. Chi rimane in uno stato di “recipiente” e vuole solo essere riempito, come un bambino, difficilmente potrà decidere di sposarsi o comunque avere un matrimonio felice e duraturo. Invece un uomo che riesce a diventare un “contenitore” pieno del desiderio di dare, avrà un matrimonio solido e duraturo pieno di soddisfazioni. Quindi prima i Ghittìn, divorzi e solo dopo i Kiddushìn, matrimoni!

Questo concetto è fondamentale soprattutto in questa generazione che è sempre più passiva anche a causa dei social media e questa pigrizia rischia di impedirci a diventare persone “attive”, ovvero di crescere e spogliarsi dalla natura egocentrica umana, quindi trasformarci in donatori e poterci sposare.

Lutto Apparente
In questo periodo delle “Tre settimane” sembra che Dio ci abbia dato il “ghet” e apparentemente ci abbia mandato via dalla Sua presenza. Non a caso nella Meghillà di Ekhà, Israèl è paragonato ad una donna abbandonata dal marito, ossia a una situazione dove il matrimonio è finito. Tuttavia, come in questo periodo delle “Tre settimane”, questo allontanamento è solo preliminare a una grande maturazione e crescita spirituale di Israèl finalizzata a una rapida, rinnovata e eterna unione con Hashèm, lo sposo.
Questo concetto lo troviamo anche nella parashà di questa settimana di Devarìm dove si parlano dei rimproveri agli errori commessi durante il tragitto nel deserto. Questa lettura è un invito a maturare gli equilibri giusti della vita e a costruire un matrimonio sano con il nostro “sposo” in cielo in modo da sviluppare un matrimonio NON a senso unico. Se vogliamo ricevere salute, prosperità, gioia dal Creatore dobbiamo prima dare e collegarci con Lui, eseguendo la Sua volontà facendo le mitzvòt studiando la Torà: chi da riceve sempre molto di più!

Questo richiamo all’essere donatori mi ha accompagnato da sempre, vedendo mio padre che pensava prima al prossimo e poi a se stesso.
Nell’anniversario della morte di mio padre, il 5 di av (quest’anno cade questa domenica 26 Luglio), che è nello stesso giorno della dipartita del grande tzaddìk Arìzal, questa riflessione relativa al dover superare la natura egocentrica umana, è il messaggio più idoneo e trova in mio padre un grande esempio.
Anche se non lo vediamo in realtà l’anima è eterna e anche il suo esempio in terra è eterno perché ha lasciato un’impronta nei suoi figli e conoscenti che continuano sulla scia del suo esempio di dare.

Ci troviamo nelle tre settimane di lutto per la distruzione del Santuario e, come dicono i profeti, questa separazione dalla rivelazione di Hashèm è solo temporanea ed essa risveglia in noi il profondo amore verso nostro Padre in cielo (una fiamma che il buio dell’esilio non spegnerà mai).
Anche la mancanza di un genitore in terra è solo temporanea e presto saremo consolati perché tutte le anime tornano nei loro corpi con l’arrivo di Mashìakh, presto nei nostri giorni.

 
 
Il Santuario di Gerusalemme che piangiamo questo Giovedì e per il quale digiuniamo è pronto in cielo a scendere al suo posto, dobbiamo colmare questo “vuoto” per il quale il mondo può esistere senza il Santuario, senza che il monoteismo sia rivelato. Non appena maturiamo la consapevolezza che il mondo non può continuare a nascondere la verità e che Hashèm deve rivelarsi nel mondo e in particolare nel Santuario, noi potremo così riempire il vuoto della mancanza del Santuario.
Come il Rebbe ci ha spiegato che solo vivendo la redenzione e desiderando fortemente che la verità si sveli a tutti, allora potremo meritare di costruire il Santuario spirituale dentro le nostre vite e da lì potremo costruire il terzo e ultimo Santuario.
 
La causa principale della distruzione del santuario era l’odio ingiustificato, per cui la medicina è l’amore gratuito.
 
Invito ogni amico e lettore a prendere un’iniziativa di amore e benevolenza in memoria di mio padre, per tenere vivi i suoi insegnamenti per riscostruire il Santuario presto nei nostri giorni. Vivere il creato come sarà nella redenzione, quando non ci sanno più i poveri perché ci sarà abbondanza nel mondo, non ci sarà più odio e gelosia, non ci saranno guerre e le armi saranno trasformate in strumenti per coltivare la terra, gli animali feroci diventeranno erbivori e non ci saranno più rapaci e tutti i morti si rialzeranno presto nei nostri giorni, amen.

che potremo meritare di vedere la consolazione di Gerusalemme e del mondo, quando questi giorni si trasformeranno nei giorno più felici dell’anno: veyehafhu yamim elu…
Rav Shlomo Bekhor

 
DEVARIM
 
Consiglio vivamente di vedere questo corto video che spiega in breve il significato della redenzione, in questi giorni del periodo che dobbiamo riflettere sulla mancanza del santuario:
NUOVA LEZIONE VIDEO DEVARIM 5778:
https://youtu.be/TDyhIrHhZy8
OGNI MONETA HA LE SUE DUE FACCIE!
 
Come si critica in maniera costruttiva?
Come mai Devarìm si legge sempre prima del 9 di Av il giorno della distruzione del Santuario.
Come mai i primi due Santuari sono stati distrutti e il terzo sarà eterno.
Un’antologia basata sulle prime 3 SEFIROT ci aiuterà a capire il valore di TIFERET:  la sefirà della luce dell’equilibrio e della perfezione che rappresenta la luce del terzo Santuario, la costruzione ETERNA.
Anche nel nome del Shabbat KHAZON che è lo Shabbàt prima del 9 di av troviamo questa doppia identità:
da una parte khazon è la visione del profeta Esaia dei peccati di Israèl e della distruzione del Santuario.
Dall’altra khazòn si riferisce alla visione che ogni ebreo potrà avere del terzo Santuario in questo Shabbàt come spiegato nella lezione video.
Come è possibile che la stessa parola racchiude due concetti opposti? Perché in ogni cosa, anche la peggiore, esiste l’altra faccia della moneta. Tutto dipende a cosa vogliamo dare risalto: chi cerca il negativo troverà quello; chi cerca il positivo troverà quello e sarà felice.
Avere una vita felice è come una miniera d’oro che dobbiamo custodire da tutti gli estranei (ladri) che vogliono sottrarcela, infatti le difficoltà e le sfide non sono altro che prove: dei trampolini per elevarci più in alto, in ebraico prova ed elevazione sono le stesse lettere, NISAYON.
Ognuno ha il libero arbitrio di scegliere la faccia della moneta giusta poiché:
NESSUNO AL MONDO HA IL DIRITTO DI TOGLIERCI LA FELICITÀ DELLA VITA!
 
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Al seguente link troverai la lezione sulla nostra parashà in formato mp3:
http://www.virtualyeshiva.it/2006/07/27/devarim-5766-il-corretto-rimprovero-nel-momento-giusto/
dal seguente link si può scaricare il file audio immediatamente, senza aprire la pagina web:
http://www.virtualyeshiva.it/files/06_07_27_devarim5766_rimproveromosheprimadimorire_nonumiliare_storiamogliehaninabentardion.mp3

IL CORRETTO RIMPROVERO, 

NEL MOMENTO GIUSTO!

I grandi insegnamenti di Moshè nella gestione delle relazioni con gli altri!
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Lezioni sul Devarim e Santuario e Tisha Beav:
http://www.virtualyeshiva.it/2019/08/04/devarim-5772-2-lezioni/

 

 

REGOLE DEL DIGIUNO DI 9 DI AV

Ci troviamo nei giorni di lutto perché ci avviciniamo al giorno più sfortunato per Israél. Il Talmud elenca le principali 5 disgrazie. Le peggiori sono la distruzione dei due Santuari di Yerushalayim che noi piangiamo ogni anno. In realtà gli eventi negativi sono tantissimi. Ogni anno si aggiunge un altro mattone in questo palazzo negativo. Così come questi giorni si trasformeranno in giorni di grande gioia anche questa guerra si trasformerà in una grande e immediata vittoria.
Il nove di Av è stato spostato a domenica. Perciò il digiuno inizia dal tramonto di Shabbat pomeriggio.
Questo Shabbat pur essendo il nove di Av non si manifesta nessun lutto perché è Shabbat se non alcuni dettagli come rapporti coniugali e lo studio della Torà da metà del giorno di Shabbat.
Perciò le scarpe di gomma non si possono mettere finché non è finito Shabbat. Perciò si usa andare a casa a fare il terzo pasto con pane (senza alcun segno di lutto come l’uovo etc) e solo quando è finito Shabbat si dice la frase che chiude lo Shabbat (barukh hamavdil ben kodesh lekhol) e solo dopo si possono mettere queste scarpe.

Ti riporto qui di seguito un commento sulla parashà e una storia sul 9 di Av.

Storia Napoleone BET HAMIKDASH

Sappiamo che Napoleone era quasi come un messia per gli ebrei dell’epoca. Ovunque arrivava portava pace e democrazia agli ebrei.
Un anno vinse una battaglia l’ 8 di av ed entrò vittorioso in città la sera che era il 9; ma si stupì della non presenza degli ebrei. Si informò e gli dissero che gli ebrei erano al tempio in lutto. Rimase molto sorpreso di questa mancanza e chiese ma perché sono in lutto?
Per la distruzione del grande Santuario, gli risposero.
Allora Bonaparte si chiese: ma quanti anni fa è stato distrutto? 10-20 anni? Convinto che le persone che piangevano avessero visto il Santuario prima della distruzione. Gli dissero che era stato distrutto 1.700 anni prima. Egli non riuscì a digerire il fatto che, dopo così tanti anni ancora, tutto il popolo ogni anno il 9 di av soffrisse per questa tragedia.
Allora disse che, se dopo così tanti anni ancora lo piangevano, sicuramente prima o poi sarebbe stato ricostruito.
Perfino Bonaparte aveva capito che, se dopo quasi 2000 anni ancora non si dimentica questa disgrazia, vuol dire che presto ritornerà il Santuario.

Se l’ha capito Bonaparte cerchiamo di capirlo anche noi! Attendiamo con fervore la redenzione e speriamo che quest’anno non dovremo digiunare, poiché il 9 di Av verrà trasformato in bene, diventando il giorno più felice dell’anno, bimhera beyamenu, amen.

5 DIVIETI
Come di kippur anche per il 9 di av ci sono i 5 divieti: mangiare, lavarsi, profumarsi, calzare scarpe di cuoio e avere rapporti coniugali.

Ci troviamo nei giorni di lutto perché ci avviciniamo al giorno più sfortunato per Israél. Il Talmud elenca le principali 5 disgrazie. Le peggiori sono la distruzione dei due Santuari di Yerushalayim che noi piangiamo ogni anno. In realtà gli eventi negativi sono tantissimi. Ogni anno si aggiunge un altro mattone in questo palazzo negativo. Così come questi giorni si trasformeranno in giorni di grande gioia anche questa guerra si trasformerà in una grande e immediata vittoria.
Il nove di Av è stato spostato a domenica. Perciò il digiuno inizia dal tramonto di Shabbat pomeriggio.
Questo Shabbat pur essendo il nove di Av non si manifesta nessun lutto perché è Shabbat se non alcuni dettagli come rapporti coniugali e lo studio della Torà da metà del giorno di Shabbat.
Perciò le scarpe di gomma non si possono mettere finché non è finito Shabbat. Perciò si usa andare a casa a fare il terzo pasto con pane (senza alcun segno di lutto come l’uovo etc) e solo quando è finito Shabbat si dice la frase che chiude lo Shabbat (barukh hamavdil ben kodesh lekhol) e solo dopo si possono mettere queste scarpe.Qui di seguito un commento sulla parashà e una storia sul 9 di Av.Consiglio vivamente di vedere questo video in questi giorni finali del periodo che dobbiamo riflettere sulla mancanza del santuario:
https://www.youtube.com/watch?v=UeVDzbEBhw0Qui i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.

 

Un caloroso Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor

 
DEVARIM
NUOVA LEZIONE VIDEO DEVARIM 5778:
https://youtu.be/TDyhIrHhZy8
OGNI MONETA HA LE SUE DUE FACCIE!
 
Come si critica in maniera costruttiva?
Come mai Devarìm si legge sempre prima del 9 di Av il giorno della distruzione del Santuario.
Come mai i primi due Santuari sono stati distrutti e il terzo sarà eterno.
Un’antologia basata sulle prime 3 SEFIROT ci aiuterà a capire il valore di TIFERET:  la sefirà della luce dell’equilibrio e della perfezione che rappresenta la luce del terzo Santuario, la costruzione ETERNA.
Anche nel nome del Shabbat KHAZON che è lo Shabbàt prima del 9 di av troviamo questa doppia identità:
da una parte khazon è la visione del profeta Esaia dei peccati di Israèl e della distruzione del Santuario.
Dall’altra khazòn si riferisce alla visione che ogni ebreo potrà avere del terzo Santuario in questo Shabbàt come spiegato nella lezione video.
Come è possibile che la stessa parola racchiude due concetti opposti? Perché in ogni cosa, anche la peggiore, esiste l’altra faccia della moneta. Tutto dipende a cosa vogliamo dare risalto: chi cerca il negativo troverà quello; chi cerca il positivo troverà quello e sarà felice.
Avere una vita felice è come una miniera d’oro che dobbiamo custodire da tutti gli estranei (ladri) che vogliono sottrarcela, infatti le difficoltà e le sfide non sono altro che prove: dei trampolini per elevarci più in alto, in ebraico prova ed elevazione sono le stesse lettere, NISAYON.
Ognuno ha il libero arbitrio di scegliere la faccia della moneta giusta poiché:
NESSUNO AL MONDO HA IL DIRITTO DI TOGLIERCI LA FELICITÀ DELLA VITA!
 
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Al seguente link troverai la lezione sulla nostra parashà in formato mp3:
http://www.virtualyeshiva.it/2006/07/27/devarim-5766-il-corretto-rimprovero-nel-momento-giusto/
dal seguente link si può scaricare il file audio immediatamente, senza aprire la pagina web:
http://www.virtualyeshiva.it/files/06_07_27_devarim5766_rimproveromosheprimadimorire_nonumiliare_storiamogliehaninabentardion.mp3

IL CORRETTO RIMPROVERO, 

NEL MOMENTO GIUSTO!

I grandi insegnamenti di Moshè nella gestione delle relazioni con gli altri!
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http://www.virtualyeshiva.it/voglio-aiutare/La lezione approfondisce questi punti, attingendo da fonti midrashiche, testi di mistica ebraica e khassidici, in una cornice unica, chiara e comprensibile per tutti, alla luce degli insegnamenti dei grandi Maestri dell’ebraismo.Per ascoltare le altre lezioni sulla nostra parashà cliccare al seguente link:

 

Perché Non Siamo Moshe?

Nella sua ricapitolazione degli eventi passati, Moshe ricordò come aveva protestato con Ha-Shém, “Non sono in grado di sostenere da solo l’insistenza di questo popolo!” (Devarim 1:12). Come risultato, Ha-Shém consigliò Moshé di scegliere dall’assemblea degli uomini saggi affinché lo aiutassero nei suoi compiti.

A prima vista quest’episodio sembra in qualche modo confuso. Avrebbe potuto Moshé essersi considerato incapace di giudicare il popolo? Proprio lo stesso Moshé che aveva eseguito miracoli per il popolo? Perché all’improvviso si era rivelato necessario fornirgli degli assistenti? Forse che la sua grandezza era diminuita?

Moshe era rimasto un leader forte e potente nei suoi ultimi giorni così come lo era stato quando aveva capeggiato l’esodo dall’Egitto. Tuttavia, Ha-Shém sentì che non sarebbe stato positivo per Moshé monopolizzare il manto della leadership. Se Moshé fosse rimasto l’unico giudice di Am Israél, singoli ebrei avrebbero potuto pensare: “Qual’è l’utilità di cercare di raggiungere le grandi altezze? Dopo tutto, chi può innalzarsi al livello di Moshé Rabbenu?”

Che quest’approccio sia sbagliato è stato dimostrato dalla nomina dei 70 Anziani. Vero, essi non potevano sperare di eguagliare il livello di statura di Moshé, ma a loro modo, anch’essi, raggiungevano la vetta della distinzione. Ciò dimostrava a tutto Am Israél che vi sono molti livelli di grandezza e che ogni individuo ha l’opportunità di raggiungere il proprio grado di importanza. Colui che dona in Tzedakà, o colui che fa visita ai malati può non ricevere il rispetto riservato ad un Grande della Generazione. Ma al loro livello, essi hanno fatto uso delle potenzialità loro donate per mostrare grandezza. È compito di ogni individuo scoprire come può meglio utilizzare i propri talenti per servire Ha-Shém e il popolo ebraico. Se egli soddisfa il proprio potenziale al meglio nel prestare assistenza, per esempio, o insegnando a bambini, allora merita gli onori accordati ad un leader della Torà, e non può mai dire che la grandezza sia lontana da lui.

Una storia ben conosciuta ci é raccontata da Reb Zusha. Egli diceva spesso che dopo che una persona muore e sale in cielo per il giudizio, dovrà difendere le sue azioni e comportamento passati. Ma a una persona non sarà mai chiesto perché non sia stata grande come Moshé, o istruita come rabbi Akiva. Ha-Shém ha dato ad ogni individuo capacità diverse e di conseguenza, non da tutti ci si aspetta che diventino Moshé.

Tuttavia, ad ogni uomo sono state date certe abilità. Gli sarà quindi richiesto di spiegare perché non abbia fatto uso delle doti concessigli da Ha-Shém al massimo possibile. Dovrà giustificare la sua perdita di tempo ed energia. Gli sarà chiesto di mostrare perché non abbia raggiunto il più alto livello di spiritualità che le sue abilità consentivano.

La sola persona alla quale l’individuo sarà paragonato è se stesso. È stato grande come avrebbe potuto diventare?

Questo è tutto ciò che Ha-Shém ci richiede.

Storia Napoleone BET HAMIKDASH

Sappiamo che Napoleone era quasi come un messia per gli ebrei dell’epoca. Ovunque arrivava portava pace e democrazia agli ebrei.
Un anno vinse una battaglia l’ 8 di av ed entrò vittorioso in città la sera che era il 9; ma si stupì della non presenza degli ebrei. Si informò e gli dissero che gli ebrei erano al tempio in lutto. Rimase molto sorpreso di questa mancanza e chiese ma perché sono in lutto?
Per la distruzione del grande Santuario, gli risposero.
Allora Bonaparte si chiese: ma quanti anni fa è stato distrutto? 10-20 anni? Convinto che le persone che piangevano avessero visto il Santuario prima della distruzione. Gli dissero che era stato distrutto 1.700 anni prima. Egli non riuscì a digerire il fatto che, dopo così tanti anni ancora, tutto il popolo ogni anno il 9 di av soffrisse per questa tragedia.
Allora disse che, se dopo così tanti anni ancora lo piangevano, sicuramente prima o poi sarebbe stato ricostruito.
Perfino Bonaparte aveva capito che, se dopo quasi 2000 anni ancora non si dimentica questa disgrazia, vuol dire che presto ritornerà il Santuario.

Se l’ha capito Bonaparte cerchiamo di capirlo anche noi! Attendiamo con fervore la redenzione e speriamo che quest’anno non dovremo digiunare, poiché il 9 di Av verrà trasformato in bene, diventando il giorno più felice dell’anno, bimhera beyamenu, amen.

5 DIVIETI
Come di kippur anche per il 9 di av ci sono i 5 divieti: mangiare, lavarsi, profumarsi, calzare scarpe di cuoio e avere rapporti coniugali.

DEVARIM 5770 – ISRAELE: PERCHE’ ABBIAMO PAURA DI DIRE LA VERITA’?
Talvolta copriamo la verità, o forse è lei che ci copre e protegge!

DEVARIM 5766 – IL CORRETTO RIMPROVERO, NEL MOMENTO GIUSTO!
I grandi insegnamenti di Moshè nella gestione delle relazioni con gli altri!

9 DI AV 5778

SHABBAT DELLA VISIONE + 2 lezioni precedenti sul TERZO SANTUARIO!
Lo Shabbat che precede il 9 di Av, giorno di digiuno per la duplice distruzione del Sacro Tempio, viene definito “Shabbat della visione” in quanto è tradizione leggere un capitolo dal libro dei Profeti (Isaia 1,1 – 27) che inizia con “La visione di Isaia…”

TERZO SANTUARIO 5768 – TERZO SANTUARIO: LA STRUTTURA!
Approfondimento sulla struttura del Terzo Santuario.

TERZO SANTUARIO 5768 – TERZO SANTUARIO: PERCHE’ SARA ETERNO?
Anche se l’Haftarà è molto negativa , perché si occupa della distruzione del Santuario, lo studio della struttura del Beit Hamikdash equivale ad una vera e propria ricostruzione.

9 DI AV 5769 – PERCHE AGLI EBREI PIACE POLEMIZZARE?
Due percorsi di come interpretare il midrash che mette in parallelo i 3 EKHA: MOSHE, YESHAYA, YIRMIYA!

9 DI AV 5768 – UN DIGIUNO PER RICORDARE
Il nove di Av si digiuna per 25 ore (come a kippur) per ricordare la duplice distruzione del Tempio di Gerusalemme, ma non solo.