REE 5784 : 3 LEZIONI
Questo Shabbàt 31 Agosto 2024, 27 del mese di AV 5784 leggeremo la Parashà di Reè
PARASHÀ Deuteronomio 11: 26 – 16: 17
Haftarà: Isaia 54, 11-55, 5
Si annuncia
Rosh Chòdesh
REE
David Goldberg si imbatte per strada in una persona che assomiglia moltissimo al suo vecchio amico Jack. “Jack”, dice. “Sei ingrassato e i tuoi capelli sono diventati grigi. Sembri qualche centimetro più basso di quanto ricordassi e le tue guance sono gonfie. Inoltre, cammini in modo diverso e persino con un suono diverso. Jack, cosa ti è successo?” “Non sono Jack”, gli dice l’altro signore. “Mi chiamo Sam!” “Wow Jack! Hai persino cambiato il tuo nome”, gli dice David.
Due Segni
Nella parashà di Reè troviamo per la seconda volta (dopo Sheminì) la descrizione di tutti gli animali terrestri che sono permessi, o kasher, ossia idonei al consumo secondo la Torà, e quelli terrestri sono identificati nella porzione della Torà di questa settimana da due caratteristiche diverse.
In primo luogo, l’animale deve essere ruminante, ossia “sollevare il suo vomito” e masticarlo nuovamente. Ciò significa che dopo aver ingoiato il suo cibo, l’animale deve rigurgitarlo dal primo stomaco alla bocca per rimasticarlo. Questo cibo rigurgitato è chiamato “cud”. In secondo luogo, l’animale deve avere gli zoccoli spezzati e l’unghia completamente divisa in due (Vayikrà 11, 1-7).
Ad esempio, la mucca, la capra, la pecora e la gazzella possiedono entrambe queste caratteristiche e sono quindi kosher. L’asino e il cavallo, invece, che mancano di entrambe queste caratteristiche, sono definiti animali non kosher. Il maiale, che ha gli zoccoli spaccati ma non mastica il suo vomito, e il cammello, che mastica il suo, ma non ha gli zoccoli spaccati, sono animali non kosher (Vayikrà ibid. Devarìm 14, 4-8). Perché queste particolari caratteristiche fanno sì che un animale diventi kosher, ossia idoneo per l’anima di una persona?
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Una storia commovente ci aiuterà a capire la riflessione di questa settimana e il significato profondo delle prove della vita, delle sfide continue che potrebbero metterci in crisi.
Come dice la nostra parashà quando abbiamo una difficile prova dobbiamo sapere che è un dono dall’Alto per risvegliare in noi una forza infinita nascosta.
La vita è come una montagna russa: più è grande la discesa e più è grande la salita dopo!
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Il rabbino Fischel Schachter ha raccontato la storia successa verso la fine anni 50’, di una donna sopravvissuta all’Olocausto, che si stabilì in America dopo la guerra e rimase sposata per dodici anni senza avere figli. Un giorno era seduta in uno studio medico in Madison Ave. a Manhattan, e il dottore, esaminando le sue cartelle cliniche, le disse: “Signora, per favore mi ascolti. Lo dico a suo vantaggio: si arrenda. Dal punto di vista medico, non c’è niente che possiamo fare perché lei possa avere figli. Quando i capelli cresceranno dal mio palmo, allora avrà un figlio (ovvero mai)».
La donna se ne andò e salì sull’autobus di Madison Avenue. Durante il viaggio, ha osservato la sua vita passata. Ha ricordato gli orrori che ha vissuto da ragazza in Polonia, quando la famiglia aveva una botola sotto il tavolo della sala da pranzo e andavano a nascondersi sotto il pavimento quando i nazisti si avvicinavano. Si era offerta volontaria per chiudere la botola, metterci sopra il tappeto e poi nascondersi sopra un mobile. Quando era nascosta tutta rannicchiata nel suo nascondino, ascoltava terrorizzata mentre i nazisti perquisivano la casa, rompendo i mobili mentre passavano da una stanza all’altra. Più volte, la famiglia è stata salvata. Ma alla fine, i nazisti notarono un punto debole sul pavimento e scoprirono la botola. Questa ragazza vide i nazisti trascinare via la sua famiglia. Lei era l’unica sopravvissuta alla guerra.
Una volta arrivata in America, voleva disperatamente fondare una famiglia per dare continuità alla sua famiglia e al popolo di Israèl. E ora, dopo dodici lunghi anni, le sue speranze erano andate in frantumi.
Disse a se stessa: “Non ho motivo di scendere da questo autobus la mia vita non ha più senso”. E così rimase sull’autobus, seduta lì per il resto della giornata. Alla fine della giornata, l’autista l’ha informata che stava guidando l’autobus fino al garage per la notte e che doveva scendere.
“Non ho niente per cui vivere per cui non ho ragione di scendere”, mormorò!
“Ascolta, signora”, disse l’autista, “ho avuto una giornata difficile. Non so quale sia il tuo problema, ma non lo risolverai restando su questo autobus, la soluzione è altrove”.
Scese dall’autobus e disse: “Padrone del mondo, sei sempre stato con me. Mi hai salvato la vita innumerevoli volte, ho visto l’orrore davanti ai miei occhi e mi hai portato qui, l’unica rimasta della mia famiglia. Mi hai permesso di ricominciare la mia vita, e così sono nelle Tue mani. Non ho il diritto di arrendermi. L’autista dell’autobus ha assolutamente ragione: non mi hai salvato la vita perché vivessi sull’autobus di Madison Avenue. Per favore dimmi cosa fare, non mi arrenderò. Continuerò a servirti, qualunque cosa accada”.
Un anno dopo questa signora ha avuto un figlio contro ogni logica e al contrario del pronostico del dottore di Madison av.
Quel bambino è cresciuto, si è sposato e ha avuto nipoti. Quando questa donna è morta, aveva abbastanza nipoti e pronipoti da far rizzare i capelli a quel dottore…
Il rabbino Fischel Schachter, uno studioso acclamato e molto amato, caloroso conferenziere internazionale, affascinante narratore e autore di libri di Torà e altro, ha aggiunto di aver sentito questa storia in prima persona dalla donna stessa, che conosceva abbastanza bene. Era sua madre.
Il rabbino ha concluso dicendo che ci sono momenti nella nostra vita in cui le nostre speranze andranno in frantumi e tutto ciò su cui abbiamo puntato andrà improvvisamente perduto. In tali momenti, possiamo facilmente cadere nella disperazione e provare un senso di tradimento o disperazione. Ma non dobbiamo arrenderci. Dovremmo invece dire, come ha fatto sua madre: “Hashèm, non devo capire, ma tutto nella mia vita è nelle tue mani. Farò del mio meglio per riuscire nella difficile posizione in cui mi hai messo e non ascoltare il dottore di Madison av.”. Se possiamo farlo, allora avremo l’emunà e fede per superare le difficili sfide della vita e solo così apriamo le porte alla salvezza e alle benedizioni infinite che altrimenti non sarebbero mai state disponibili per noi, se non grazie alla prova superata.
LE PROVE NON SONO UN DOLORE SONO BENEDIZIONI POTENTISSIME SUPERIORI AL NORMALE!
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Un caro Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
COME SEMINARE FELICITÀ
Un istituto di beneficenza ebraico non aveva mai ricevuto una donazione dall’uomo più ricco della comunità, così il rabbino David, il direttore esecutivo dello tzedakà (beneficenza) telefona al ricco signore:
“Dai nostri documenti risulta che lei è un uomo molto ricco, ma non hai mai dato neanche un centesimo in beneficenza”, inizia il rabbino, “Non vorreste aiutare la comunità?”.
L’uomo risponde: “Nei suoi documenti è anche scritto che mia madre è gravemente malata e delle costosissime cure mediche a cui deve sottoporsi?”.
“Ehm, no,” mormorò il rabbino.
“O che mio fratello è cieco e disoccupato? O che il marito di mia sorella è morto lasciandola al verde con quattro figli?”.
“Io … io … non ne avevo idea” risponde il sempre più imbarazzato rabbino.
“Allora” disse l’uomo “se non do i soldi NEANCHE a loro, perché dovrei darli a te?”.
Nella porzione della Torà che leggiamo questo Shabbat troviamo tre precetti simili ma, allo stesso tempo, diversi. Anche l’ordine con cui sono stati scritti ha un significato importante: rappresentano un processo di evoluzione crescente.
Il primo precetto riguarda il raccolto di una nuova pianta: il divieto di cibarsi del frutto di ogni albero nuovo per i primi 3 anni. E di portare il raccolto dei frutti del quarto anno a Gerusalemme e mangiarlo nella città santa. Ovviamente ciò che non si riesce a finire si lascia ai poveri della città.
Il secondo precetto riguarda l’obbligo di donare la decima del raccolto ai poveri (che comprende l’obbligo della decima di ogni tipo di beni utili).
L’ultimo precetto è quello che ci ordina di non richiedere indietro un prestito se è passato il settimo anno, l’anno sabbatico, poiché dopo questo periodo tutti i crediti vengono annullati (se non si fa pruzbul: un meccanismo mediante il quale i debiti vengono trasferiti a un bet din-tribunale religioso, rendendo pubblici i debiti privati e quindi esigibili). Ma dice la Torà di fare attenzione nel sesto anno di evitare di prestare ai bisognosi per via della paura che, arrivato l’anno sabbatico, i crediti saranno annullati.
Questi tre precetti hanno in comune un punto: l’uomo non deve mai dimenticare chi è il vero padrone del suo guadagno. La natura umana è quella di darsi tanti meriti quando si ha successo e dimenticarsi la vera fonte di tutte le benedizioni: IL CREATORE.
Purtroppo la nostra indole è quella di ragionare con DUE PESI E DUE MISURE: il successo è merito nostro e il dolore è “colpa di Dio”! Quando le cose vanno male è sempre colpa di Dio e ce la “prendiamo con Lui perché ci fa andare le cose storte”. Quando si ha successo l’ego umano riesce sempre a sostituirsi alla vera fonte delle benedizioni.
Questo spiega lo stato di depressione o tristezza causato dalle perdite economiche: poiché non riusciamo a vedere e capire che tutto è programmato dall’alto e che noi dobbiamo solo fare il massimo sforzo per cogliere la benedizione divina.
Ovvero non è colpa nostra e non è merito nostro se “non scende la pioggia per irrigare i campi seminati”, quindi è inutile e dannoso cadere nelle tristezza o depressione per i nostri mancati guadagni.
A questo punto capiamo la logica della sequenza dei tre precetti nella porzione di Ree di questa settimana:
1. Portare il raccolto del quarto anno a Gerusalemme significa che non siamo noi i veri padroni del raccolto. Dopo 3 anni che non abbiamo potuto godere della fatica del nostro seminato, Hashèm ci chiede di andare alla città santa per mangiare il raccolto del quarto anno. Come a dire di non illudersi di poter fare quello che vogliamo con i nostri beni e che il GUADAGNO E’ MERITO NOSTRO.
2. Dopo la prima lezione arriva la seconda che ci insegna a dare la decima ai poveri. Ma se noi abbiamo faticato perché dobbiamo dare il 10% agli altri??? Qui la lezione è più forte del precedente precetto dove noi godiamo del guadagno, anche se dobbiamo farlo nella città santa. In questo caso dobbiamo dare ad ALTRI quello che abbiamo faticato NOI CON IL NOSTRO SUDORE. Questo per insegnarci che anche il nostro guadagno in realtà è la benedizione dall’Alto. Hashèm che è socio di maggioranza del nostro utile si accontenta del 10%.
3. Infine col terzo precetto impariamo che non solo bisogna dare ai bisognosi, ma bisogna anche imprestare a un amico che non è povero pur sapendo che si rischia di non poter riscuotere il credito.
Quando applichiamo le regole divine impariamo dei messaggi celati che sono la medicina MIGLIORE per avere una vita sana, felice e armoniosa.
Quando siamo consapevoli che noi siamo solo delle marionette e che il successo non è merito nostro ma di Dio, allora avremo una benedizione infinita poiché non saremo più limitati al successo umano che è limitato.
Come si dice in italiano: SIAMO NELLE MANI DI DIO.
La lettura si conclude: chi è largo con il prossimo e capisce chi è il vero padrone è degno di una benedizione infinita e grande soddisfazione dei suoi beni.
Come scrive il Tanya: “Chi semina tzedakà (opere benevoli) ha una ‘ricompensa’ di verità” (Proverbi 11). La parola “semina”, relativo alla carità, si riferisce al fatto che essa fa “germogliare” la Verità Superna, la verità di Hashèm, proprio come una pianta che germoglia rivela ciò che è stato seminato in precedenza. Questo si ottiene attraverso atti di bontà e di vera gentilezza.
La Torà è il nostro manuale di vita. Come ogni oggetto va usato secondo il suo compendio, così anche la nostra vita, psiche e anima funzionano come “Dio comanda” e quando si seguono le norme di come sono stati creati, funzionano in maniera ottimale.
Quando seguiamo gli insegnamenti saremo sempre felici, perché stiamo seguendo il manuale per come siamo stati creati.
Un augurio di benedizione infinita e tanto successo.
Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
לעילוי נשמת אבי מורי ורבי ועטרת ראשי
יעקב בן רחל ושלמה
In memoria di mio padre Yaakov ben Shelomo
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Nel Talmùd (Sanhedrìn 90b) è raccontato che la regina Cleopatra chiese a rabbi Meìr: «Io so che i morti vivranno di nuovo, poiché è scritto: ed essi spunteranno dalla città come l’erba dalla terra (Salmi 72, 16). Ma quando si alzeranno, saranno nudi o vestiti?». Egli rispose: «Puoi dedurre la risposta osservando un chicco di grano che viene introdotto, sepolto “nudo” nella terra, esso ne scaturisce avvolto in molte vesti; tanto più lo saranno i giusti, che vengono sepolti nei loro abiti».
La resurrezione dei morti è uno dei pilastri della fede ebraica. Senza questa fede e certezza manca uno dei fondamenti della fede.
Anche se il corpo si decompone in realtà è solo un’apparenza, perché c’è un osso che non si decompone mai e che si chiama LUZ.
Questo è il primo osso della colonna vertebrale che, guarda caso, è proprio quell’osso dove è scritto tutto il DNA della persona.
Questa è la ragione per la quale secondo la Torà non bisogna cremare i corpi dei defunti, perché di fatto si andrebbe in contrasto con la fede relativa alla ricomposizione del corpo.
Sappiamo che il lutto è diviso in tre stadi: la settimana, i trenta giorni e il primo anno.
Questa differenza è collegata con i tre cicli che l’anima deve passare di rettificazione e giudizio: il primo ciclo è molto severo, il secondo lo è in misura inferiore e successivamente meno ancora.
Così anche il nostro lutto segue in parallelo questi tre cicli e il lutto si alleggerisce per via dell’alleggerimento che l’anima subisce durante il primo anno.
Questo settimana il 5 di Elul (5 Settembre) commemoro il trentesimo di mio padre, perciò ho voluto dedicare la riflessione su questo argomento, in memoria di mio padre Yakov ben Shlomo: che la sua dipartita aiuti ad aumentare la nostra fede nell’era messianica e nella resurrezione dei morti.
(continua sotto)
Shabbàt e domenica sarà Rosh Khodesh Elùl, l’ultimo mese dell’anno. Si tratta di un momento importante; infatti, Elùl è il periodo dove la grazia divina è più presente. Non a caso, nel corso di questo mese, Moshé, dopo aver passato 40 giorni sulla montagna, ricevette la misericordia e il perdono di Ha-Shèm, per questa ragione i sefaraditi iniziano proprio dal mese Elùl a recitare le selihot.
In questo mese, occorre impegnarsi più del solito ad adempiere le mitzvòt,inoltre è bene abbondare in tzedakà che, insieme allo studio della Torà e alla preghiera, è uno dei tre pilastri che sorreggono il mondo. La tzedakà, infatti pervade di spiritualità la materia: avvicina le persone livellando le disuguaglianze economiche e, soprattutto, ci rende simili ad Ha-Shèm,poiché ci fa abbandonare il consueto ruolo di “chi riceve” e assumere quello di “chi dà”.
Approfittiamo di questo periodo per “esercitarci” in questa mitzvà! Mettiamo un bossolo nelle nostre case, in ufficio o in macchina; e insegniamo ai nostri figli a investire tempo e denaro a favore del prossimo.
Ti riporto un commento di grande insegnamento di vita ed equilibrio anima e corpo.
Un augurio di benedizione infinita e tanto successo.
Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it.
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Un caloroso Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
http://www.virtualyeshiva.it/
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CICLO DI LEZIONI DI MISTICA E KHASSIDUT:
I LIVELLI DELL’ANIMA
Hashem ha creato l’anima che è una parte di se stesso, qualcosa quindi di divino e l’ha suddivisa in cinque livelli:
néfesh, rùakh, neshamà, khayà, yekhidà.
Il livello più basso dell’anima è il livello di nefesh da cui derivano le energie di tutte le azioni fisiche: scrivere, parlare ecc.
Il secondo livello dal basso è quello di rùakh da cui viene fuori l’energia che genera i sentimenti: bontà, rigore, clemenza ecc.
Il terzo livello dell’anima è neshamà con cui si acquisisce la forza di riflettere, di usare l’intelletto. E’ importante porre l’accento sul fatto che il sentimento e l’intelletto appartengono a due distinti livelli dell’anima e che quest’ultimo è per sua natura, superiore al sentimento.
Continuando ancora lungo i sentieri dell’anima approdiamo ai suoi due ultimi livelli, sempre partendo dal basso, che sono: khayà e yekhidà. Il livello di khayà corrisponde al volere dell’anima, mentre il livello di yekhidà rappresenta l’apice e l’essenza dell’anima e corrisponde al piacere.
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ESISTE LA RESURREZIONE DEI MORTI?
(continua da sopra)
Pietra miliare della fede nell’avvento messianico, la Resurrezione dei Morti affonda le radici nel periodo dei profeti ma la sua fonte risale comunque alle allusioni contenute nel Pentateuco.
I nostri occhi e le nostre menti di esseri umani non possono guardare né percepire ciò che è avvenuto prima della nostra nascita. A maggior ragione, non sono neppure in grado di vedere cosa ci accadrà domani o in un futuro più lontano. Per questo, ogni volta che i saggi ci illuminano a proposito di questo futuro incognito, attribuiamo inestimabile valore a ognuna delle loro parole e consideriamo i loro insegnamenti come fossero perle. I loro occhi “telescopici” riescono a vedere molto oltre i nostri e a scoprire segreti profondi che solo loro sono in grado di rivelare e trasmettere all’umanità.
Ormai, per molte persone, l’espressione talmudica hilchetà lemeshichà (legge per i giorni del Messia) non riguarda più un’epoca così lontana da sembrare priva di significato concreto o irreale: si tratta invece di un’era che – come promesso e garantito più volte dal Rebbe di Lubavitch – è proprio alle porte!
Come spiega infatti Maimonide – e approfondisce il Rebbe – lo studio dei concetti e delle leggi dell’epoca che seguirà la venuta del Messia avvicina concretamente quel momento, oltre a permetterci di non farci cogliere “impreparati” quando ci troveremo di fronte a questa realtà che non sarà più soltanto un sogno o una speranza.
Come Prima Più di Prima
Nello Zohàr è scritto che i zadikim, ovvero le persone giuste, da quando lasciano il corpo hanno una grande elevazione spirituale nei mondi superiori, ma non solo. Anche nel mondo materiale possono realizzare molto più di quanto potevano fare prima perché non hanno più i limiti del corpo e possono essere in più posti allo stesso tempo e possono influenzare migliaia di persone contemporaneamente in maniera infinita, senza limitazioni.
È vero che il corpo di un giusto, come quello di un profeta, non ha alcuna influenza sull’anima perché il zadik non ha l’istinto per il male e il corpo è come se fosse nullo davanti a un’anima molto alta, ma comunque un minimo di limitazione rimane, e solamente quando l’anima lascia il corpo allora tutti i suoi ideali e progetti vengono benedetti e amplificati in maniera fortissima, poiché allora l’anima trasmette l’infinita forza divina non essendo essa più soggetta ai limiti del corpo.
Inoltre lo Zohàr dice che l’anima del marito non abbandona mai la moglie quando il marito viene a mancare prima della moglie, poiché l’anima del marito si accoppia a quella della moglie e l’aiuta da dentro, non da fuori come prima. Ovvero il supporto è molto più grande anche se in apparenza sembra inferiore.
Altri maestri dicono che questo vale anche per i figli: dopo la dipartita di un genitore la presenza della sua anima si unisce a quella dei figli e gli aiuta da dentro e non da fuori, anche perché quando l’anima non ha più i limiti del corpo può dare un apporto molto più alto, a tutti i suoi famigliari e amici.
Posso dire che io personalmente sento questa forza maggiore dopo la dipartita di mio padre e, come per ogni cosa, esiste il mezzo bicchiere pieno e il mezzo vuoto. Per cui anche in questa circostanza abbiamo il dovere di cercare il lato positivo in una perdita di un genitore che è molto dolorosa, ma bisogna andare avanti col ciclo della vita e bisogna fare leva sul lato positivo di una dipartita per poter aumentare gli insegnamenti ricevuti dal genitore, per aumentare i progetti benevoli che il genitore ci ha insegnato a fare e dopo che l’anima si è separata dal corpo può aiutare molto di più a raggiungere quegli obiettivi che sembravano molto difficili, perché abbiamo una marcia in più.
Questo anche spiega il perché i figli e i parenti possono raggiungere dei successi ben superiori: quando l’anima non è più condizionata dai limiti del corpo può influenzare i suoi famigliari in un’abbondanza che non ha paragoni.
Vorrei concludere con un racconto di vita molto importante.
Solo Due Calzini
Questa è una storia vera accaduta non tanto tempo fa.
Si racconta di un membro della famiglia Raichman, una delle famiglie più ricche d’Europa, che era ormai sul punto di lasciare questo mondo. Egli lasciò ai figli e ai familiari due testamenti e disse loro: il primo lo leggerete al momento della mia morte, mentre l’altro lo leggerete solo dopo un mese che mi avranno seppellito. I figli promisero al padre che il suo ultimo desiderio sarebbe stato esaudito, e lo salutarono.
Il signor Raichman morì e i suoi familiari si riunirono per leggere il primo testamento: «Vi chiedo come ultimo desiderio di essere seppellito con il paio di calze che indosso a cui sono molto affezionato e da cui non voglio staccarmi a nessun prezzo e SOLO ESEGUENDO QUESTA CONDIZIONE POTRETE RICEVERE LA MIA EREDITA’».
I figli furono stupiti per la richiesta del padre, si consultarono tra loro ma non trovarono una soluzione. Chiesero ai rabbini, e loro sconcertati dissero che secondo la halachà (legge ebraica) loro padre doveva essere seppellito solamente con un lenzuolo bianco, nient’altro. I figli provarono in tutte le maniere e con tutti i mezzi di persuadere il Bet Din ma non ci fu verso. Dissero i rabbini: «Vi assicuriamo che l’anima di vostro padre, ora che è vicina al padre eterno, sa che non bisogna essere seppelliti con indumenti ed è molto più contenta nel seguire la legge».
Non fu semplice trovare la soluzione, ormai bisognava procedere al funerale e ancora i famigliari tentavano di rimandare. Alla fine furono obbligati di seguire la legge e Raichman fu seppellito senza i suoi amatissimi calzini.
Dopo un mese, i figli desolati e tristi per non essere riusciti ad accontentare l’ultimo desiderio del padre e forse anche per l’eredità che stavano perdendo, si riunirono per leggere il secondo testamento in cui era scritto: «Cari figli e figlie e famigliari. Sapevo che mi avreste seppellito senza calze. La legge è uguale per tutti non importa quanti zeri in banca uno ha!!! Non preoccupatevi e non siate tristi.
Ho voluto solo darvi un’importante lezione di vita, forse una delle mie lezioni più importanti: con tutti i milioni di dollari che vi ho lasciato ero preoccupato che i soldi vi dessero alla testa e vi sareste comportati con orgoglio non aiutando il prossimo con umiltà come D-o ci comanda. Ebbene sappiate che quando una persona lascia il mondo fisico, non porta con sé niente nella bara, nemmeno un misero paio di calze!».
Ci auguriamo che questi i insegnamenti aiutino a diffondere i valori millenari della Torà, ad avvicinare la tanto attesa venuta del Messia e la Resurrezione, presto ai nostri giorni, amèn!
(alcune parti estratte dal libro della resurrezione dei morti pubblicato da Mamash VIVERE E VIVERE ANCORA)
Shabbàt e domenica sarà Rosh Khodesh Elùl, l’ultimo mese dell’anno. Si tratta di un momento importante; infatti, Elùl è il periodo dove la grazia divina è più presente. Non a caso, nel corso di questo mese, Moshé, dopo aver passato 40 giorni sulla montagna, ricevette la misericordia e il perdono di Ha-Shèm, per questa ragione i sefaraditi iniziano proprio dal mese Elùl a recitare le selihot.
In questo mese, occorre impegnarsi più del solito ad adempiere le mitzvòt,inoltre è bene abbondare in tzedakà che, insieme allo studio della Torà e alla preghiera, è uno dei tre pilastri che sorreggono il mondo. La tzedakà, infatti pervade di spiritualità la materia: avvicina le persone livellando le disuguaglianze economiche e, soprattutto, ci rende simili ad Ha-Shèm,poiché ci fa abbandonare il consueto ruolo di “chi riceve” e assumere quello di “chi dà”.
Un augurio di benedizione infinita e tanto successo.
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Rav Shlomo Bekhor
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I LIVELLI DELL’ANIMA
Hashem ha creato l’anima che è una parte di se stesso, qualcosa quindi di divino e l’ha suddivisa in cinque livelli:
néfesh, rùakh, neshamà, khayà, yekhidà.
Il livello più basso dell’anima è il livello di nefesh da cui derivano le energie di tutte le azioni fisiche: scrivere, parlare ecc.
Il secondo livello dal basso è quello di rùakh da cui viene fuori l’energia che genera i sentimenti: bontà, rigore, clemenza ecc.
Il terzo livello dell’anima è neshamà con cui si acquisisce la forza di riflettere, di usare l’intelletto. E’ importante porre l’accento sul fatto che il sentimento e l’intelletto appartengono a due distinti livelli dell’anima e che quest’ultimo è per sua natura, superiore al sentimento.
Continuando ancora lungo i sentieri dell’anima approdiamo ai suoi due ultimi livelli, sempre partendo dal basso, che sono: khayà e yekhidà. Il livello di khayà corrisponde al volere dell’anima, mentre il livello di yekhidà rappresenta l’apice e l’essenza dell’anima e corrisponde al piacere.——-
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http://www.virtualyeshiva.it/ voglio-aiutare/La lezione approfondisce questi punti, attingendo da fonti midrashiche, testi di mistica ebraica e khassidici, in una cornice unica, chiara e comprensibile per tutti, alla luce degli insegnamenti dei grandi Maestri dell’ebraismo.
Sangue e Anima
Nella parashà di questa settimana troviamo il divieto di cibarsi del sangue:
“Trattieniti però da mangiare il sangue, lo dovrai versare a terra come fai con l’acqua” (Devarim 12, 16)
E ancora:
“Trattieniti però dal mangiare il sangue perché il sangue è la vita (nefesh)…” (Devarim 12, 23)
Per quale motivo la Torà ci vieta di mangiare il sangue?
Proveremo a dare una risposta a questa domanda leggendo i versetti sopra riportati nella prospettiva della mistica ebraica.
Adamo è il nome del primo uomo che viene dall’ebraico ADAM. In realtà Adam non è solo il nome proprio del primo uomo, ma anche il nome comune di ogni uomo:
Questo parola racchiude l’essenza dell’essere umano composto di spirito e materia. A differenza degli animali l’uomo racchiude due opposti e ha la missione di equilibrarli, poiché in questo mondo siamo nel TIKKUN – dell’equilibrio.
La lingua ebraica è la lingua santa e ogni lettera racchiude un’energia che rappresenta l’essenza di ogni parola. Perciò la parola Adam, essere umano, è composta dalle lettere ebraiche che rappresentano la sua essenza: Alef, Dalet, Mem. Quindi la parola ADAM può essere divisa in due parti:
Alef, simboleggia la presenza divina, poiché Alef ha un valore numerico pari ad uno; come si dice nello Shemà Israel che “Hashem ekhad”, “Dio è Uno”. Mentre le altre due lettere Dalet-Mem significa “dam” – “sangue”, poiché queste due lettere rappresentano la parte “inferiore” dell’essere umano, la parte istintiva, “sanguigna”. Infatti l’uomo è composto da un’anima divina e dalla parte sanguina che rappresenta il corpo.
Non ha caso nei versi sopra riportati si mette in relazione il sangue con “nefesh”: ki hadam hu hanefesh – poiché il sangue è l’anima.
Nefesh in ebraico si può intendere sia persona che anima, in una prospettiva mistica rappresenta il livello più basso dell’anima, quello che gli esseri umani hanno in comune con gli animali. Nefesh può essere anche intesa come “l’anima animale”, poiché essa è la fonte dei nostri piaceri materiali.
Tuttavia è da essa che noi traiamo l’energia per muoverci, vivere e migliorare questo mondo. Quindi per impiegare al meglio la nostra nefesh, corpo fisico dobbiamo collegarla con la nostra parte spirituale per elevare la materia: da DAM – SANGUE alla Alef – Dio.
Il sangue rappresenta il massimo della materialità e dei piaceri come una bistecca fiorentina che è piena di sangue. Per questo la Torà pone il divieto di mangiare il sangue, poiché nutrendoci della materialità estrema noi degradiamo la ALEF nel DAM: un percorso opposto al TIKUN.
Quindi la vera essenza dell’essere umano è quella simboleggiata dalla parola Adam: l’equilibrio tra spirito e materia e l’unione fra i due.
In particolare nel mese di Elùl (che il capomese Rosh Khodesh è Shabbat e domenica) abbiamo la forza per collegare la nostra parte animale con quella più santa e vicina a Dio. Solo compiendo le mitzvòt riusciremmo a pervadere la materia di santità e così far “scendere” la grazia e misericordia divina sopra di no.
Come si ottiene l’equilibrio: TIKKUN
Questo concetto trova riscontro in un insegnamento del grande Baal Shem Tov che commenta il Salmo 34, 15 in maniera innovativa, ci avverte e consiglia di utilizzare al meglio, in questo mondo, il nostro Adam, Alef+nefesh:
סוּר מֵרָע וַעֲשֵׂה טוֹב בַּקֵּשׁ שָׁלוֹם וְרָדְפהוּ
“Stai lontano dal male e fai il bene; cerca la pace e rincorrila”
Ogni oggetto fisico, il cui uso è consentito, possiede elementi buoni e cattivi. L’elemento materiale è male, mentre la forza vitale Divina, che rende il fisico vivente, è Bene. La persona che utilizza l’oggetto fisico deve “stare lontano dal male”, non desiderando il piacere fisico, la materialità fine a se stessa, e “fare il bene”, cioè cercare la vitalità Divina che da vita a quell’oggetto. Chi sta lontano dal male (lato materiale) e fa il bene (lato spirituale), mette pace tra il fisico e la Forza Divina che lo anima, crea equilibrio TIKKUN tra materia e spirito e porta pace nel mondo.
REE 5770 – PERCHE’ L’EBRAISMO NON CREDE NEL CRISTIANESIMO? Tredici secoli prima dello sua nascita, Moshè ammonisce il popolo sulla fede cristiana!