SHOFETIM 5784 : 7 LEZIONI
Questo Shabbàt 7 Settembre 2024, 4 del mese di ELUL 5784 leggeremo la Parashà di Shofetìm.
PARASHÀ:
Deuteronomio 16,18 – 21,9
HAFTARÀ RITO ITALIANO:
1° Samuele 8,1-22
HAFTARÀ RITO Milano/Torino/Sefarditi/Ashkenaziti:
Isaia 51,12 – 52,12
SHOFETIM
Un uomo esce con una donna per la prima volta. Nelle prime tre ore, l’uomo parla solo di sé, della sua storia, dei suoi successi e dei suoi interessi. Alla fine, si gira verso di lei e gli dice: “Basta parla-re di me; ora dimmi cosa pensi di me?!”.
Perché Disprezzare le Pietre Singole?
La porzione della Torà 48° di questa settimana, Shofetìm, comunica il seguente interessante co-mandamento (Devarìm 16, 22): “Non ti erigerai nessuna stele; questa è una cosa che il Signore tuo Dio disprezza”. Il commentatore basilare biblico, Rashi, spiega questo come un divieto di erigere un altare di una sola pietra, anche se l’intento è quello di utilizzarlo come luogo di culto divino, dove le offerte sarebbero state presentate a Dio.
Sebbene altrove la Torà (Shemòt 15, 22) consenta l’esistenza di altari fatti di pietra nel Tempio Sa-cro di Gerusalemme e nel Tabernacolo nel deserto, Rashi spiega che questo è vero solo per gli al-tari composti da molte pietre, non da una singola pietra: questa è anche la differenza tra l’espressione ebraica “Matzevà” e “Mizbéakh”. Matzevà è un altare fatto di una singola pietra mentre Mizbèakh è un altare costruito con molte pietre, infatti una lapide eretta su una tomba è chiamata in ebraico Matzevà, poiché è fatta di un’unica grande pietra (esse sono consentite perché non sono usate come altari per le offerte, ma come monumenti per i defunti).
Tuttavia, rimane da comprendere la logica di un tale ragionamento. Che differenza vi può essere se si presenta un’offerta su un altare fatto di una pietra o di molte pietre?
PERCHÉ L’ATEISMO HA DIFFICOLTÀ CON LA VERA DIVERSITÀ
E PERCHÉ LA VERA RELIGIONE LA CELEBRA
Rashi spiega che la differenza non è intrinseca ma storica. In origine, ai tempi dei Patriarchi, i no-stri antenati costruivano singoli pilastri di pietra per il servizio divino e “questo era benvoluto da Dio”. Tuttavia, una volta che i Cananei adottarono questa pratica e iniziarono a costruire altari di pietra singola per offerte idolatre, comprese le orribili pratiche dell’antica idolatria, Dio rigettò questi tipi di altari.
Quindi, questo sarebbe il vero motivo? Solo perché alcune popolazioni usavano una singola pietra per gli atti idolatrici non è stato più possibile usarla in modo positivo? I pagani adoravano anche il sole, la luna o l’acqua, ma noi li usiamo e ne godiamo in modo benefico.
Abbracciare le Diversità
Ciò che questa proibizione di pilastri formati da un’unica pietra potrebbe insegnarci è che, sebbene esista un solo Dio, gli altari costruiti dall’essere umano per servirlo non dovrebbero e non potrebbero essere fatti di una sola pietra, di un solo colore, dimensione, forma e qualità.
Nel paganesimo, o nell’ateismo moderno, l’essere umano tende a crearsi un “dio”, o un qualche potere superiore, o filosofia di vita, secondo la propria immagine. La propria mente ed ego definisco-no ciò che è essenziale e ciò che è di suprema importanza come se fosse un valore divino. Quando “dio” è un prodotto dell’immagine dell’uomo, questo dio è inevitabilmente definito dalle proprietà dell’immagine di quellindividuo. Poiché non ci sono due immagini umane identiche, ne consegue che il “dio” dell’immagine del prossimo, non può fungere anche da mio “dio”. Il mio “dio” deve es-sere adorato a “modo mio”, in base alla mia percezione di chi è Dio e di cosa rappresenta. Pertanto il mio altare deve essere costruito solo con una pietra: la mia.
Certo, un individuo potrebbe arrivare a tollerare quelle persone e quelle opinioni con cui la “mia immagine del mio dio” può essere compatibile. Ma solo se essa non esce dai limiti “dai ranghi” predefiniti dalla mia immagine del divino, altrimenti quelle persone meritano di essere cacciate e perseguitate. Un tale punto di vista, inevitabilmente, non lascia spazio alle opinioni del prossimo se divergenti dalle mie.
Differentemente, la fede dell’Ebraismo, l’idea del Monoteismo, dichiara al contempo sia l’unicità di Dio che la pluralità dell’uomo. Il Dio trascendente dell’Ebraismo è oltre l’universo, ma anche ol-tre di qualsiasi definizione spirituale. Dio non è definito da alcuna forma, aspetto o caratteristica, fisica o spirituale. Non lo creiamo a nostra immagine, poiché è Lui che crea noi a Sua immagine. L’Ebraismo sprona ogni persona a vedere l’immagine di Dio non secondo la propria immagine, per-ché ogni persona sa, sente e percepisce la realtà di Dio in maniera diversa e limitata.
Nessuno di noi conosce tutta la verità ma ognuno di noi ne conosce una parte. Come una sinfonia composta da molte note, ognuno di noi costituisce una nota individuale nella sinfonia divina e insieme completiamo la musica. Se Dio volesse che ogni singolo Lo sperimentasse e Lo servisse allo stesso modo, allora le diversità sarebbero inutili. Pertanto, Lui non avrebbe creato un mondo così variegato.
La Vera Religione Celebra la Diversità
La diversità all’interno della religione non è solo un fattore che dobbiamo accettare con riluttanza; è un motivo di valida celebrazione. Ci concede l’opportunità di incontrare Dio poiché è solo nel volto dell’altro che possiamo scoprire la parte di Dio che manca nel nostro volto. Il risultato di una relazione con un Dio trascendentale è un crescente apprezzamento delle differenze tra le persone, differenze che non devono essere considerate semplicemente come tollerabili, ma come l’essenza di un’esperienza umana e religiosa ricca e gratificante. “La diversità è l’unica vera cosa che abbiamo tutti in comune, celebriamola ogni giorno”, disse una volta un uomo saggio. La diversità è la traccia di un Dio indefinito che c’è nella specie umana.
Una delle sfide più grandi che l’umanità si trova ad affrontare oggi è la convinzione radicata di molti musulmani che coloro che non abbracciano l’Islam, come fede e stile di vita, siano infedeli e debbano essere convertiti o uccisi, ciò che il cristianesimo aveva fatto nei secoli passati (questo passaggio di ruolo che persiste oggi nell’Islam è documentato nello Zòhar il libro dello Splendore).
A un altro livello, e in un modo molto più sottile e raffinato, una delle sfide che molte comunità devono affrontare oggi (una sfida che ha pervaso la storia di tutte le religioni dall’inizio dei tempi), è un senso di tribalismo che ha trovato “un nido” anche tra molti ebrei devoti. Il “mio modo” di servire Dio è l’unico vero modo, e se qualcun altro intraprende un percorso diverso vuol dire che è nella “squadra sbagliata”, conseguentemente non merita rispetto.
Molti di noi, infatti, ritengono che nella costruzione degli “altari”, le strutture in cui serviamo Dio, ci sia spazio solo per una singola pietra, un singolo percorso, un singolo sapore e un unico stile, escludendo qualsiasi altra cosa che non si adatti alla nostra immaginazione religiosa o educazione. Eppure, paradossalmente, sono proprio i percorsi del paganesimo, del politeismo o dell’ateismo che invitano a un altare fatto di una singola pietra, mentre è proprio il percorso monoteistico di un Dio singolare che accoglie un altare diverso, fatto di molte pietre distinte. Le strutture costruite dall’uomo per servire Dio sono, per definizione, diverse e individualistiche.
Questa potrebbe essere la ragione più profonda per cui durante il tempo dei Patriarchi l’altare in pietra singola era ben accetto da Dio e quindi utilizzato. Perché durante il tempo dei Patriarchi, prima del sorgere della nazione ebraica e del monoteismo assoluto, ognuno dei Patriarchi incarna-va una modalità particolare nel servire Dio, che divenne il paradigma del servizio in quella genera-zione.
Tuttavia è bene ricordare che ciò non significa che Dio condoni ogni atto compiuto in Suo nome. Il Dio della Torà ha creato standard universali assoluti di moralità ed etica che ci vincolano tutti. Ma queste regole non provengono dal “mio ego” o dalla “mia zona” di comfort, bensì da una verità assoluta che deve includere e avvantaggiare ogni essere umano. In questo contesto al popolo ebraico Hashèm ha donato un sistema assoluto di Torà e mitzvòt. Eppure, all’interno di questa cornice, ogni essere umano possiede il suo percorso unico verso la Verità.
Uno dei grandi maestri chassidici ha espresso tale concetto in questo modo (Tanya capitolo 44): “Le leggi concrete della Torà sono le stesse per tutti noi, ma l’esperienza spirituale della Torà, i sentimenti di amore e timore reverenziale, contengono infiniti percorsi, uno per ogni persona, secondo la sua identità individuale”. Questo concetto può essere paragonato agli 88 tasti di un piano-forte che si prestano a infinite combinazioni. Gli stessi tasti consentono così tante espressioni di-verse. La religione autorevole deve accogliere, non temere la diversità e l’espressione individuali-stica. Quando si coltiva veramente una relazione con Hashèm, un Dio che non è definito da alcuna immagine o colore, sappiamo che in presenza dell’alterità, possiamo incontrare un frammento di verità a cui non è possibile accedere all’interno delle nostre predefinite strutture individuali frutto esclusivo del nostro ego.
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In conclusione vi proponiamo una storia riguardante il Rebbe che è emblematica rispetto all’argomento di questo articolo. Una volta un giornalista del New York Times chiese al Rebbe che cosa significasse essere un Rebbe e un Leader. La risposta fu a dir poco strana: “Essere un Rebbe significa essere un buon amico”. Il giornalista rispose attonito che aveva tanti buoni amici che non sono grandi Leader. Il Rebbe, comprendendo lo stato d’animo del giornalista, gli chiese “ma se i tuoi amici conoscessero tutti i tuoi pensieri, sei sicuro che rimarrebbero tuoi amici?”. Il giornalista colpito da una tale affermazione rispose “no, probabilmente non sarebbero più miei amici”. Quindi il Rebbe disse “vedi proprio questo contraddistingue un Rebbe: conoscere i pensieri delle persone e rimanere un loro buon amico”.
Questo saggio è basato su Mei Hasheloakh, del grande maestro chassidico Rabbi Yosef Mordekhai Leiner di Izhbitz (1800-1854), vol. 1 a Shofetìm 16, 22; e sugli insegnamenti del Rebbe di Lubàvitch Likuté Sikhòt vol. 18 Parashà Kòrakh e i riferimenti ivi annotati. Vedi anche Likuté Maharàn I, 34:4, in parte tratto da uno scritto di Y. Y. Jacobson
A Dio piacendo, siamo oramai giunti quasi alla fine e dell’opera e prossimi a pubblicare il testo definitivo del libro “Saggezza Quotidiana”. Anche oggi alla vigilia di questo Shabbàt vi proponiamo un estratto del testo. Ricco di spunti interessanti per le nostre vite.
Con la quinta sezione del libro del Deuteronomio continua il secondo discorso di addio di Moshè a Israèl. La sezione si apre con Moshè che ordina a Israèl di nominare dei “giudici” (shofetìm, in ebraico) in tutta la terra di Israele, per risolvere le cause e far rispettare la legge. Continua con le istruzioni di Moshè riguardo agli altri capi del popolo ebraico: il re, i sacerdoti e i profeti.
La Chassidut spiega come ogni cosa scritta nella Torà è un insegnamento per noi da applicare nelle nostre vite quotidiane. In questa parashà ne troviamo uno particolarmente utile, ma al contempo, difficile da applicare. Difendersi dalle lusinghe e distrazioni della vita mondana è particolarmente difficile, ma grazie agli insegnamenti del Rebbe possiamo trovare anche gli strumenti, gli “anticorpi”, che ci aiutano a difenderci da queste insidie.
A BHE SÌ BHE, SÌ BHE ABHE… HO VISTO UN RE…
A Dio piacendo, siamo oramai giunti quasi alla fine e dell’opera e prossimi a pubblicare il testo definitivo del libro “Saggezza Quotidiana”. Anche oggi alla vigilia di questo Shabbàt vi proponiamo un estratto del testo. Ricco di spunti interessanti per le nostre vite.
Con la quinta sezione del libro del Deuteronomio continua il secondo discorso di addio di Moshè a Israèl. La sezione si apre con Moshè che ordina a Israèl di nominare dei “giudici” (shofetìm, in ebraico) in tutta la terra di Israele, per risolvere le cause e far rispettare la legge. Continua con le istruzioni di Moshè riguardo agli altri capi del popolo ebraico: il re, i sacerdoti e i profeti.
La Chassidut spiega come ogni cosa scritta nella Torà è un insegnamento per noi da applicare nelle nostre vite quotidiane. In questa parashà ne troviamo uno particolarmente utile, ma al contempo, difficile da applicare. Difendersi dalle lusinghe e distrazioni della vita mondana è particolarmente difficile, ma grazie agli insegnamenti del Rebbe possiamo trovare anche gli strumenti, gli “anticorpi”, che ci aiutano a difenderci da queste insidie.
Nell’augurarvi una buona lettura, vi auguro un caro Shabbàt Shalom.
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Devarìm 16, 18 – 17, 13
Moshè istruisce Israèl a nominare giudici e sorveglianti in tutta la terra di Israele per risolvere le cause e far rispettare la legge.
Giudici e Guardiani Interiori
[Moshè istruì Israèl] «Devi nominare giudici e guardiani per te stesso in tutte le tue città». (16, 18)
La parola ebraica usata qui per “città” (she’arekha) significa letteralmente “porte”. Le “porte” dei nostri corpi sono le orecchie, occhi, naso e bocca, attraverso i quali gli stimoli provenienti dal mondo esterno entrano nei nostri corpi e nel nostro mondo personale. Questo verso della Torà di questa settimana, quindi, ci impone di mettere “giudici e guardie” per sorvegliare queste “porte”, contro l’intrusione di qualsiasi stimolo che potrebbe essere dannoso per la nostra salute spirituale.
Ad esempio, dobbiamo sempre essere più cauti su ciò che entra nella nostra bocca perché noi diventiamo quello che mangiamo ed è molto grave perdere l’equilibrio dell’alimentazione giusta. Siamo sempre più inondati di cibi nocivi sempre più pieni di zuccheri o farine raffinate che danneggiano la nostra salute fisica e di conseguenza la salute spirituale e psichica. Come dice il Maimonide che mantenere il corpo in buona salute è un dovere ed è un modo come servire Dio.
Attraverso lo studio della Torà, impariamo quali influenze sono benefiche (e quindi permesse) e quali sono dannose (e quindi proibite). Il lavoro della “guardia”, infatti, è quello di far rispettare le decisioni prese dal giudice.
I nostri “sorveglianti” interiori sono le tecniche che ognuno di noi ha bisogno di coltivare per combattere le voci dentro di noi che si oppongono alle decisioni dei nostri “giudici” interiori.
Perciò riguardo al futuro messianico, Hashèm promette solo di “ricostituire i tuoi giudici come in passato” (Isaia 1, 26), ma non le guardie. Anche nella preghiera più importante della amidà nella undicesima benedizione dove chiediamo la ricostituzione dei giudici non si parla della reintroduzione dei poliziotti, ma solo dei giudici come nella profezia di Isaia.
Questo perché nel futuro messianico la negatività non avrà influenza su di noi, quindi non ci sarà bisogno di misure protettive, di “poliziotti”, per assicurare che seguiremo la volontà di Hashèm.
Nella Torà si parla di tutte le generazioni anche di quelle dell’esilio per cui si raccomanda di nominare sia giudici sia poliziotti. Invece la profezia di Isaia e anche nella amidà si parla solo del futuro messianico, quando l’istinto animalesco sarà annullato per sempre e dovremo solo avere i giudici che ci guideranno, ma non i poliziotti che fanno eseguire la legge, perché non avremo più il dubbio se eseguire la legge in quanto non avremo più libero arbitrio, saremo infatti di fronte alla verità e vedremo la rivelazione infinita di Hashèm nel mondo materiale.
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Devarìm 17, 14–20
Oltre a un sistema di giudici e guardie, Moshè ordina a Israèl di nominare un re.
Il Re Personale
[Moshè disse a Israèl] «Potrai nominare un re su di te scelto da Hashèm». (17, 15)
Sebbene Hashèm non abbia avuto un re dalla distruzione del primo Tempio – e non ne avrà un altro fino all’arrivo del Mashìakh – ci viene ancora detto di nominare un’autorità superiore su di noi, sia individualmente, sia collettivamente, ovunque sia necessario.
Perciò i saggi dicono a ciascuno di noi: “Procurati un maestro [della Torà]” che dovrai consultare su tutte le questioni della vita spirituale.
Non dovremmo illuderci pensando di poter contare esclusivamente sui nostri “giudici e guardie”, né dovremmo pensare che non ci sia nessuno in grado di comprenderci sufficientemente da servire come nostro “re”.
La Torà, infatti, ci assicura che se cerchiamo una guida, correttamente e diligentemente, troveremo davvero i mentori più adatti ai nostri bisogni spirituali.
Tratto dal nuovo libro in stampa “Saggezza Quotidiana”.
PERCHÉ LA VITA È COME IL CAFFELATTE AL MATTINO?
Come Imparare a non Arrabbiarsi!
Arrivare alla gioia non solo non è scontato, ma neanche è naturale!
Presi come siamo da mille piccoli e grandi preoccupazioni della vita di tutti giorni. Preliminarmente occorre riuscire a fare due piccole e grandi cose!
La prima è quella di capire che la vita è come prendere il caffè al mattino! Ogni persona quando si alza la mattina, di solito si prepara un caffè per iniziare la giornata. Prima mette del caffè amaro, poi ci aggiunge dello zucchero per dolcificarlo. Poi versa acqua bollente e poi un po’ di latte freddo.
Ma prima di bere si fa la benedizione sui liquidi di SHEHAKOL… ovvero tutto accade secondo la tua volontà! La giornata inizia piena di contrasti: amaro dolce, caldo freddo!!!
Prima di bere si fa la benedizione sul liquido e si dice: Ribono shel Olam – Dio Padrone del Mondo, non so come sarà il mio giorno se amaro o dolce, se caldo o freddo ma di una cosa SOLA sono CERTO, che sarà SHEHAKOL NIHYA BIDVARO – TUTTO SARÀ (solo) COME TU VORRAI.
Questo è il modo che ognuno dovrebbe iniziare la propria giornata.
Sapendo che tra tutti i contrasti, Hashèm sceglierà SOLO ciò che è giusto e il meglio per ogni singolo, poiché tutto succede SOLO grazie alla Sua parola – SHEHAKOL NIHYA BIDVARO.
La vita non è sempre dolce e anche l’amaro fa parte del processo di dolcezza poiché se fosse tutto dolce non si saprebbe valorizzarlo, perché sarebbe già scontato e automatico. Ciò che conta è sapere che l’apparente amaro non è causato dagli uomini ma è dal piano superiore. Gli uomini sono SOLO dei “cattivi messaggeri” che vengono scelti per compiere delle missioni.
Come dice il Talmud: “gli uomini malvagi ricevono degli incarichi negativi, e quelli buoni positive mansioni”. Quando notiamo di essere scampati indenni da un male o da una persona maligna, senza faticare, questo vuole dire che quel male non era contemplato nel “programma divino”. Questo significa che se un evento non ci deve succedere questo non accadrà e così viceversa.
Partendo da questo presupposto non ha senso prendersela per un problema perché vorrebbe dire che non siamo veramente credenti. Come dice il Talmud nel trattato di Shabbat: CHI SI ADIRA È COME SE FACESSE IDOLATRIA…
Adirarsi vuole dire credere che esiste un’altra forza che governa l’universo e conseguentemente credere che non è solo Dio che controlla ogni evento. Questa è una falsa illusione che ci causa tanti rammarichi.
Sempre nel Talmud si dice, nel trattato di Berakhòt: così come bisogna benedire e ringraziare per gli eventi positivi, così anche bisogna ringraziare per gli eventi “apparentemente” negativi.
L’importante è seguire l’esempio di Yossef dopo i dieci anni di prigionia molto dura e dire sempre per ogni evento: BARUKH HASHEM – BENEDETTO (GRAZIE) A DIO.
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Prepararsi nel Mese di Elùl
Oggi venerdì siamo il secondo giorno di Rosh Chodesh capomese che è una mezza festa “La Nuova Luna”. Quindi inizia ufficialmente l’importante mese di elùl, il mese della misericordia Divina. Con questo mese, infatti inizia il nostro viaggio nella teshuvà, in preparazione a Rosh Hashanà. Anche se la maggior parte di noi si trova in vacanza, non lasciamoci sfuggire questa preziosa occasione, abbiamo ancora alcune settimane per influire sul “verdetto” finale e modificarlo a nostro favore!
Ogni momento è propizio per pregare Hashèm poiché, come ricordato la settimana scorsa, questi sono giorni particolarmente favorevoli: Hashèm scende dal Suo trono ed esce dal Suo palazzo per incontrarci. Pertanto in questo periodo tutto è più facile, poiché possiamo rivolgerci direttamente a Lui.
Cerchiamo di approfittarne per migliorare, molti iniziano a recitare selikhòt da questa domenica, facciamoci carico di una piccola, ulteriore mitzvà, facciamo un po’ di Tzedakà in più e tutto ciò cerchiamo di adempierlo con costanza e con gioia.
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IMPULSIVO DISTRUTTIVO!
Nella parashà di questa settimana Shofetìm: “Non ti erigerai una [di quelle] stele (matzevà in ebraico) che Hashèm, tuo Signore, detesta” (Deut. 16, 22). Ma prima di “avventurarci” nella conoscenza di noi stessi dovremmo imparare a saper riconoscere quali sono queste “cattive abitudini”. In questo ci soccorre, grazie a Dio, l’infinita sapienza della Torà.
Rabbi Tzvi Elimelekh Shapiro di Dinov, commenta questo versetto affermando: “Ci sono persone rigide e intransigenti che hanno usanze e consuetudini alle quali non sono disposte a rinunciare. Come ogni giorno è diverso dagli altri, nessuna situazione è del tutto identica a un’altra. In ciascun frangente il comportamento giusto dipende dalle circostanze particolari del singolo caso e da quelle soltanto!”.
Questo concetto è chiarito dall’esame del versetto citato sopra: non dobbiamo “erigere” un atteggiamento troppo rigido o caparbiamente inflessibile, senza curarci della situazione (matzevà significa stele, ma anche situazione).
Al contrario, dovremmo sempre considerare le esigenze del momento. Ciò che in una data situazione è comportamento lecito, può in un’altra occasione, trasformarsi in una mancanza.
Colui che agisce impulsivamente commette molti errori. Solamente chi tiene conto dell’intera visione dei principi della Torà, dispone della saggezza necessaria per agire correttamente in ogni situazione. Quanto più studiamo la Torà, tanto più grande sarà la nostra capacita di giudizio.
Rabbi Yechezkail Abramsky, nel suo elogio su Rabbi Yitzchak Zev Soloveitchik di Brisk, facendo riferimento al padre di questi, disse: “Chi si trovava in presenza di Rav Chayim Brisker non era in grado di individuare la sua personalità”. Spesso classifichiamo una persona misericordiosa o crudele, tirchia o generosa, e così via, in base al suo comportamento. Rav Chayim, invece, si comportava come la Torà comanda, in base ad ogni singola circostanza.
Il Rebbe prestava molta attenzione nel dare consigli alle persone. Molto spesso diceva a quanti andavano a consultarsi con lui: “Questa è una questione che solo qualcuno che ti conosce a fondo può risolvere. Oppure chiedi a un medico esperto in questo campo!”. La benedizione del Zaddìk passa tramite l’esperto in materia!
Solo riuscendo a sforzarci di fare tutte queste cose potremmo la nostra anima può trarre un beneficio così grande da renderci gioiosi e pieni di buone azioni in modo tale che il nostro verdetto di Rosh Hashanà possa essere sicuramente migliore.
Ma non dimentichiamoci della parashà di Shofetìm, la quale contiene preziosi insegnamenti sempre attuali che ci possono aiutare nella vita di tutti i giorni.
Il Fuoco Brucia Tutto Tranne la Torà!
Nella porzione settimanale della Torà troviamo un versetto di fondamentale importanza: “E non vi sarà in te una persona che passa suo figlio o sua figlia attraverso il fuoco” (Deuteronomio 18, 10).
Secondo il significato semplice di questo versetto, questo è un avvertimento contro un’orribile forma di culto degli idoli in cui i bambini erano fatti passare attraverso il fuoco. Secondo alcuni commentatori si trattava di un rito di purificazione mediante il quale i bambini, non venivano uccisi, ma dedicati all’idolo; secondo altri si tratterebbe di un sacrificio vero e proprio.
Ad ogni modo, in una prospettiva più ampia, questa proibizione ci insegna quanto sia importante l’obbligo di educare i nostri figli sul sentiero della Torà e i suoi valori e delle mitzvòt e di non “bruciarli” con altre credenze. Nella nostra generazione, i genitori devono essere messi in guardia nel concedere ai loro figli troppa libertà.
Spesso si sente di genitori che dicono: in un mondo libero e democratico perché non dovremmo permettere ai nostri figli di provare ogni sorta di esperienze? Perché non dovremmo lasciarli andare dove vogliono e vedere tutto ciò che gli piace? Lasciamo che provino tutto così che possano decidere da soli…
Pericolo! Stiamo giocando con il fuoco e il bambino può essere bruciato: NON SI GIOCA COL FUOCO specialmente non sui PROPRI FIGLI!!!
Proteggiamoli dal “fuoco estraneo”. Per esempio dare uno smartphone o ipad collegato a internet a un minorenne, senza alcun filtro è come mettergli in mano della droga che lo renderà dipendente fin da piccolo. È come metterlo vicino a un fuoco!
Perché ancora non ha gli strumenti, gli “anticorpi” per far fronte alla massiccia e indiscriminata mole di informazioni e stimoli di ogni tipo che la rete può dare.
Proteggiamo i nostri figli evitiamo che si facciano male con il fuoco!
Non che gli adulti siano in una condizione migliore: più andiamo avanti e più il mondo diventa dipendente degli smartphone. Probabilmente la maggior parte degli incidenti stradali oggigiorno sono causati dai cellulari…
Adesso possiamo capire più profondamente il versetto della parashà Shofetìm: chiunque venga trascinato dalle proprie emozioni (rappresentate dal figlio) o interessi materiali (rappresentati dalla figlia) verso la ricerca di scorciatoie per comprendere cosa avverrà in futuro, senza affidarsi completamente ad Hashèm, viene scacciato dalla “sacra terra interiore”, lo spazio sacro che ogni uomo dovrebbe costruire dentro di sé attraverso la preghiera e la fiducia incondizionata nel progetto divino.
Non sacrifichiamo i nostri “figli” (stato emotivo e azione fisica) al fuoco del giudizio severo di Dio. Viviamo giorno per giorno rispettando la legge di Hashèm e, in questo modo, l’acqua della misericordia divina tempererà la nostra coscienza.
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Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
לעילוי נשמת אבי מורי ורבי ועטרת ראשי
יעקב בן רחל ושלמה
In memoria di mio padre Yaakov ben Shelomo
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Più di tre secoli fa, a Praga, ebbe luogo una grave contesa tra due “pilastri” della Comunità locale. Rabbi Ya’akov Emden mosse un attacco personale al grandissimo studioso e cabalista Rabbi Yonatan Eybescitz, accusandolo, per oltre un decennio, di essere un eretico. In seguito si pentì e ammise il proprio errore.
Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.
Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
nuova lezione ATOMICA di questa settimana in onore del 30° di mio padre:
QUESTO MONDO È IL MIO GIARDINO PREDILETTO (PARTE I)
youtube: https://youtu.be/
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nuova lezione SUPER
QUESTO MONDO È IL MIO GIARDINO PREDILETTO (PARTE II)
basato sul Maamar 10 Shevat e Likute Sikhot vol 6
youtube: https://youtu.be/vsBU39DyJGs
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POLITICA: PERCHE LA TORA PREFERISCE
LA MONARCHIA ALL’ANARCHIA?
Da un racconto, apparentemente banale, di un viaggio in nave
di Raban Gamliel e Rabbi Yehoshua impariamo il perché della monarchia.
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GIOVENCA SGOZZATA
SHOFETIM 5771 – ORGOGLIO E PREGIUDIZIO?
Come la discordia distrugge famiglie, comunità e nazioni.
SHOFETIM 5770 – POLITICA: PERCHE LA TORA PREFERISCE LA MONARCHIA ALL’ANARCHIA?
Da un racconto, apparentemente banale, di un viaggio in nave di Raban Gamliel e Rabbi Yehoshua impariamo il perché della monarchia.
SHOFETIM 5768 – DUE TIPI DI TESTIMONI
Il cielo, la Terra e Israel: testimoniano il Creatore, in modo diverso!
SHOFETIM 5765 – BUGIE POSITIVE E IL CONCETTO DI GIUSTIZIA
Il concetto di verità possiede due aspetti: la verità assoluta e quella relativa. Come cercare la verità assoluta?
[…] Per ascoltare le altre lezioni sulla nostra parashà cliccare al seguente link: http://www.virtualyeshiva.it/2019/09/02/shofetim-5772-4-lezioni/ […]
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