NITZAVIM 5782 CORTA MA LUNGA
B’H’ Questo Shabbat 28 Elul 5782 24 Settembre 2022 leggeremo la Parashà di Nitzavìm
PARASHÀ
Deut. 29: 9, 30: 20
HAFTARÀ
Italiani Gios. 24: 1- 18
Milano/Torino/Sefarditi/Ashkenaziti Is. 61:10-63:9
Rosh Hashanà è il compleanno dell’universo, il giorno nel quale Dio creò Adàm e Khavà ed è considerato il capo d’anno Ebraico. Inizia al tramonto della sera del 1 tishré (25 settembre 2022) e finisce dopo il crepuscolo, il 2 tishré (27 settembre 2022).
Una brayta insegna che Rabbi Eli’èzer disse (Talmud Rosh Hashanà 11a):
«Come sappiamo che il mondo è stato creato nel mese di tishré? Grazie a questo verso, quando Dio disse: “[La terra] faccia la terra crescere l’erba, piante che producano semi, alberi da frutto…”.
E in che mese, in effetti, la terra produce erba e alberi da frutto che danno frutto?
È nel mese di tishré che coincide con la fine dell’estate. Quando, all’epoca, era oramai quasi autunno e la pioggia cadeva sulla vegetazione e la faceva crescere, come è detto: Una bruma saliva dalla terra e irrigava…».
Rosh Hashanà è il giorno in cui Dio ha completato la creazione di questo mondo con la creazione di Adàm, l’uomo originario. Il primo atto di Adàm fu quello di proclamare l’Onnipotente come Re dell’Universo, invitando tutte le creature (Salmo 93): Venite, prostriamoci; inginocchiamoci, davanti ad Hashèm, Colui che ci ha creato! Celebrando l’anniversario della nascita del genere umano, la festività di Rosh Hashanà è imperniata sull’accettazione della sovranità di Hashèm sulla nostra vita personale, su tutto il mondo e sull’intero universo.
Ogni anno, proclamiamo la regalità Divina e riaffermiamo il nostro impegno a servire Dio e a vivere secondo la Sua volontà, sicuri che le nostre preghiere saranno accolte e che ci sarà concesso un anno prospero e sereno.
Tali speranze sono espresse nell’augurio: “Leshanà tovà tikatèv vetekhatèm – Che tu possa essere scritto e sigillato per un anno buono”.
La luce di questo periodo ci sosterrà per tutti i mesi a venire.
Auguro a tutti che grazie alle nostre preghiere il Re dei Re ci benedica e ci doni l’arrivo di Mashìakh presto ai nostri giorni, Amen.
MELE O MIELE?
Domanda:
Rosh Hashanà mangiamo mele intinte nel miele come augurio di un nuovo anno dolce.
Durante il rito della sera di Rosh Hashanà facciamo tanti atti simbolici e il più importante e più famoso di tutti è proprio MELE e MIELE.
La domanda è spontanea, perché questa usanza è la più osservata da tutti e perché si unisce proprio le mele e miele? Ci sono molti cibi dolci. C’è qualcosa di significativo tra di loro?
Risposta:
C’è una differenza tra la dolcezza di una mela e la dolcezza del miele.
La mela è un frutto dolce che cresce su un albero. Non c’è niente di sorprendente: molti frutti sono dolci per cui è una dolcezza NATURALE e SCONTATA.
Ma il miele deriva da un’ape un insetto che non solo è immangiabile ed amaro, ma ancora peggio delle volte ci può pungere e fare male.
Tuttavia il miele che produce è dolce, addirittura il miele è più dolce delle mele!!!
Allo stesso modo, ci sono due tipi di dolcezze nella nostra vita: abbiamo momenti di celebrazione familiare, successi nelle nostre carriere, trionfi personali e relazioni armoniose. Questi sono momenti dolci che diamo per scontati, proprio come la mela che è dolce, perché un frutto è dolce.
Poi c’è un diverso tipo di dolcezza, una dolcezza che proviene nei tempi di ostacoli e prove: quando le cose non vanno nel modo in cui vorremmo; quando ci colpisce una tragedia; quando il nostro lavoro rischia di saltare; quando non riusciamo a raggiungere gli obiettivi che ci proponiamo; quando i nostri rapporti con gli altri divengono tesi e sono messi a dura prova; o quando ci sentiamo abbandonati.
Nel momento in cui affrontiamo queste sfide queste ci sembrano amare e insormontabili, come la puntura di un’ape che non ha niente di buono e ci provoca solo dolore.
Ma se siamo forti e sopportiamo i tempi difficili con la forza interiore che abbiamo e superiamo gli ostacoli per trasformarli in felicità, riveleremo gli strati nascosti della nostra personalità. Aspetti che non avremmo mai saputo di avere se non fossimo stati messi alla prova. Come avere un motore di una Ferrari e andare a 50km all’ora. Senza un autodromo con dei lunghi rettilinei, non scopriremmo mai il potenziale della nostra “Ferrari”.
Qualcosa di più profondo viene estrapolato quando siamo testati. La tensione in una relazione è dolorosa, ma non c’è niente di meglio che riconciliarsi dopo quella tensione.
Perdere un lavoro è degradante, ma spesso troviamo cose più grandi e migliori per andare avanti: SI CHIUDE UNA PORTA E SI APRE UN PORTONE!
La solitudine può intristirci, ma ci può aprire i livelli più alti di conoscenza di sé.
Abbiamo tutti passato degli eventi negativi nelle nostre vite che in quel momento erano MOLTO dolorosi, ma in retrospettiva abbiamo detto: “Grazie a Dio per i tempi difficili, immaginate dove saremmo senza di loro!”
Così mangiamo mele e miele il primo giorno del nuovo anno: due parole molto simili, ma il miele ha la lettera “I” in più, che ha qualcosa in più da darci.
Ci si benedice l’un l’altro e ci si augura che nel prossimo anno le mele ci porteranno tanta dolcezza (tanti eventi felici) e che le api con i loro pungiglioni (prove della vita) diventino ancora più dolci delle mele e che potremo vedere il bene nascosto in tutti gli ostacoli e prove delle vita e uscirne più forti di prima!
LA DOLCEZZA DEL MIELE È SUPERIORE ALLE MELE, SOLO SE NELLE PROVE VIENE FUORI LA NOSTRA “FERRARI NASCOSTA”!
SHANA TOVA UMETUKA – ANNO FELICE E “MOLTO” DOLCE
Un caro Shabbat Shalom e Shanà Tovà
Rav Shlomo Bekhor
CHI HA IL DIRITTO DI “RIMPACCHETTARE” L’EBRAISMO?
Se “Uscire Dalla Scatola o No”: Un Dibattito Lungo 2000 Anni!
La porzione di questa settimana (Vayèlekh) racconta gli eventi drammatici che si sono verificati durante l’ultimo giorno di Mosè sulla terra. Tra le tante cose che egli ha fatto in quella fatidica giornata ha TRASCRITTO l’intero Pentateuco, i Cinque Libri della Torà. I rotoli di Torà che usiamo oggi sono copie, di copie, di copie dell’originale rotolo della Torà scritto da Mosè nel giorno del suo passaggio, il 7 Adar dell’anno 2488, esattamente 3.292 anni fa.
Dopo aver completato la scrittura di tutta la Torà, Mosè comanda ai Leviti: «Prendi questo rotolo della Torà e mettilo al fianco dell’Arca dell’Alleanza del Signore tuo Dio e sarà come un testimone per te» (Vayèlekh 31, 26). Il Tabernacolo nel deserto e più tardi il Tempio di Gerusalemme ospita l’Arca Santa contenente le due Tavole con incisi i Dieci Comandamenti e il nuovo rotolo della Torà, appena completato, deve essere posto al fianco di questa Arca.
C’è Rotolo e Rotolo
L’esatta posizione del rotolo della Torà sul lato dell’arca ha ispirato un dibattito tra i saggi del Talmud (Torà Orale): Rabbì Meìr sosteneva che il rotolo della Torà doveva essere collocato nell’Arca, a lato delle Due Tavole; Rabbì Yehudà era del parere che una mensola sporgeva dall’esterno dell’Arca e che il rotolo della Torà veniva posto su quel ripiano.
Essendo questa discussione parte della Torà Orale vuole dire che entrambe le opinioni sono VERE e ogni versione ha un messaggio di vita celato voluto da Dio.
Le loro diverse tesi originano non da loro mere interpretazioni personali, ma dal fatto che i due grandi maestri accoglievano una tradizione differente delle parole di Mosè sopra citate: «Prendi questo rotolo della Torà e mettilo al fianco dell’Arca». Secondo Rabbì Yehudà il verso “al fianco dell’Arca” deve essere inteso letteralmente e che quindi il rotolo della Torà stava fuori dell’Arca. Rabbì Mèir, d’altra parte, ha ricevuto dai suoi maestri, che le parole “a fianco dell’Arca” intendono solo dirci che il rotolo della Torà deve essere posto non tra le due tavole della legge ma piuttosto sul lato delle tavole accanto alla parete interna dell’Arca.
Alcune domande:
Non è chiaro perché Rabbì Meìr interpreta in un modo che (apparentemente) distorce il significato letterale delle parole “sul fianco dell’Arca”? Perché Rabbì Meìr non abbraccia la semplice e diretta spiegazione di Rabbì Yehudà secondo cui quando Mosè istruì di appoggiare il rotolo della Torà “sul fianco dell’Arca” significa letteralmente fuori dall’Arca?
In secondo luogo, perché c’è la necessità avere il rotolo della Torà così vicino all’Arca?
Come spiegato, numerose volte, tutti i comandamenti ed episodi della Torà sono la trascrizione del progetto che Dio ha fatto per noi, una sorta di “mappa” per guidarci negli impervi e insidiosi percorsi della vita. Come può un essere umano del XXI secolo godere della saggezza e trarre ispirazione da un antico comandamento solo per il fatto che è stato messo un rotolo della Torà al fianco dell’Arca, piuttosto che dentro? In un momento in cui non abbiamo l’arca e il Tempio quale tipo di utilità può avere oggi per noi il precetto che Mosè diede ai Leviti?
La Radice e I Rami
I nostri saggi hanno detto che i dieci comandamenti ricevuti nel monte Sinày e iscritti sulle due Tavole dell’Alleanza che si trovano dentro l’Arca Santa, raffigurano la quintessenza dell’intera Torà: tutte le prospettive, i temi, le idee, le leggi, l’etica e le storie dei cinque libri della Torà sono incapsulate nelle sole 620 lettere dei Dieci Comandamenti. Quindi, tutta la Torà di Mosè è essenzialmente un commento ai Dieci Comandamenti che elabora e spiega il significato di questi dieci pilastri della fede ebraica.
Se le tavolette costituiscono la fonte, l’epicentro, il nucleo dell’ebraismo; i cinque Libri sono la loro elaborazione, spiegazione ed espansione.
Il dibattito tra Rabbì Mèir e Rabbì Yehudà, circa la collocazione del rotolo della Torà, non è solo un argomento tecnico sulla vicinanza di due entità fisiche; ma piuttosto una divergenza sulle metodologie fondamentali, sullo sviluppo e la divulgazione dell’ebraismo.
Quanto abbiamo bisogno di sostenere la connessione tra il nucleo della Torà e la sua interpretazione? Siamo in grado di “staccarci dalla scatola” contenente le Tavole dei dieci comandamenti senza perdere la “sostanza, il suo fulcro”?
Questo non è affatto un dilemma astratto. Come si comunicano le verità antiche a una giovane generazione modellata in una vita secolare? Come si presenta una Torà che ha più di 3.332 anni di età a un uomo moderno abituato a interagire con gli IPhone del 21° secolo? Come facciamo a spiegare o rendere attuale la frase: “In principio Dio ha creato il cielo e la terra” ai laureati della Normale di Pisa o dell’Università Statale di Milano per i quali Charles Darwin ha più sovranità, in questo mondo, di Mosè?
Dobbiamo presentare l’ebraismo nella sua forma e composizione originale, senza impiegare termini, tecniche e strutture del pensiero moderno o possiamo portare l’ebraismo “fuori dalla scatola” e RICONFEZIONARLO nel linguaggio contemporaneo?
L’argomento è attualissimo! Alcuni insegnanti e divulgatori dell’ebraismo sono accusati di non avere la capacità di comunicare alla “nuova generazione”, mentre altri insegnanti sono accusati di “liberalizzare” troppo il pensiero ebraico e di diluirlo per accogliere la società moderna.
Possiamo prendere esempio da uno dei Dieci Martiri uccisi dai romani nel secondo secolo, Rabbì Khutzpìt HameTurgeman, il cui nome significa Khutzpìt “Il traduttore”. Egli aveva la funzione di tradurre e spiegare alla massa gli insegnamenti del Capo della Yeshivà.
I Cabbalisti dicono che per chiarire e presentare qualcosa in una nuova forma devi avere tanta khutzpà – sfrontataggine, quindi il suo nome era Khutzpìt, poiché elaborava con sue parole l’insegnamento del grande Maestro, per renderlo comprensibile al popolo. Da questo si evince che il messaggio viene tradotto, ma non “adattato”.
La Luce e Il Recipiente
Nel Talmud è espresso un pensiero profondamente commovente su Rabbì Meìr: “È noto al Creatore del Mondo che Rabbì Meìr ha superato tutta la sua generazione e non ha avuto uguali. Perché allora non hanno stabilito sempre la legge secondo la sua opinione? Poiché i Saggi non riuscivano a comprendere sempre la profondità della sua saggezza”. Rabbì Meìr è stato spesso frainteso dai suoi colleghi, poiché le sue idee erano troppo avanzate per i suoi tempi.
Infatti “Meir” in ebraico significa illuminazione. La luce che emerse dalla mente e dal cuore di Rabbì Meìr era troppo profonda per i suoi colleghi e studenti. Perché? Perché Rabbì Meìr seguiva la tradizione secondo cui tutta l’interpretazione e lo sviluppo del pensiero della Torà devono rimanere intimamente legati alla sua fonte. Il commento e l’esposizione non possono mai staccarsi dallo spazio del loro progenitore. Il rotolo della Torà deve essere posto proprio accanto alle Tavole. Chi diluisce la luce della Torà, per renderla pi “accogliente”, compie un’ingiustizia verso l’integrità e la purezza del suo messaggio Divino.
Secondo la tradizione seguita da Rabbì Yehudà, tuttavia, la parola di Dio può lasciare l’Arca Sacra ed essere portata all’esterno per renderla più comprensibile al RECIPIENTE.
Yehudà in ebraico, significa umiltà o sottomissione. Ovvero bisogna abbandonare il proprio stato di coscienza elevato al fine di raggiungere e presentare la Torà allo studente che non può assorbire la luce intensa che c’è “dentro l’Arca”. L’ebraismo, sostenuto da Rabbì Yehudà, doveva essere presentato in modo da renderlo più comprensibile possibile, anche a persone formate in una mentalità diversa e persino a quelle istruite nelle scuole di Atene.
Secondo Rabbì Yehudà, questo è un grande atto nobile che ci costringe a cambiare radicalmente: facile è ripetere le vecchie frasi e parole, per rimanere sicuri negli antichi percorsi. Difficile è invece uscire e trascendere i nostri “sicuri” e “comodi” metodi di insegnamento, per portare la luce e la verità della Torà a quelli che ne sono lontani.
Tuttavia anche per Rabbì Yehudà la Torà deve sempre rimanere collegata alla sua fonte per mezzo di una tavola di legno.
Ciò significa che c’è una differenza tra presentare l’ebraismo nella terminologia e nella metodologia che può parlare alla mente e al cuore dell’uomo moderno, rispetto al tentativo di trasformare l’ebraismo per renderlo conforme alle tendenze della società moderna. Il primo è un percorso nobile, mentre quest’ultimo percorso è disonesto, poiché non cerca di scoprire il messaggio autentico dell’ebraismo, ma crea una nuova forma di giudaismo che non “disturba” le esigenze dell’ebreo moderno.
Questa distinzione tra i due approcci è stata profondamente offuscata negli ultimi anni e i risultati sono evidenti. L’approccio precedente ha dato a innumerevoli studenti l’opportunità di confrontarsi con le verità divine della Torà; il secondo approccio più “moderno” approccio ha portato la Torà ad “adattarsi” alla fantasia di ogni immaginazione.
Alla fine si arriva alla domanda: quanto siamo sicuri nella verità della Torà? Stiamo impiegando il pensiero moderno per comunicare la Torà e l’ebraismo o lo stiamo alleggerendo per conformarlo agli altri?
Rabbì Yehudà ci risponde così: quando il tuo viaggio è “fuori dalla scatola”, una “tavola di legno” deve sempre connetterti alle originali e intatte “tavolette” all’interno della scatola. Il legame tra il nucleo della Torà e le sue espansioni deve sempre rimanere MOLTO evidente e rivelato. In caso contrario, potresti privare te stesso e i tuoi studenti dalle vibranti fonti di divinità della parola di Dio.
Facili Messaggi
Non molto tempo fa ho avuto una conversazione con un amico, un rabbino popolare, che è fortemente coinvolto nella trasmissione del giudaismo nel mondo secolare. Gli ho detto che, a mio modesto parere, la sua comunicazione dei valori ebraici mancava l’energia che emana da qualcuno che è radicato nel serio apprendimento della Torà. Gli ho detto che occorre dedicare ogni giorno a studiare il Talmud, anche e soprattutto quelle parti che si occupano di leggi complicate e non di “consumo pubblico”. Solo quando sarà radicato nella “fonte della saggezza”, la sua comunicazione al mondo esterno sarà reale ed efficace. Alla fine ha rifiutato il mio consiglio. Eppure credo che questa sia la verità: solo quando sei sommerso nel più alto e profondo livello dello studio della Torà, la tua comunicazione dell’ebraismo sarà autentica ed efficace. Solo allora si potrà trovare la forza di trasportare i Rotoli anche fuori dalla Santa Arca, perché esiste sempre una “tavola di legno” che collega l’esterno verso l’interno.
E qui arriva l’insegnamento fondamentale al giorno d’oggi:
Chi ha il diritto di “RICONFEZIONARE” l’ebraismo? Solo qualcuno che è totalmente umile (Yehudà) e non ha alcun ego coinvolto; qualcuno il cui unico scopo è quello di condividere la parola di Hashèm con gli altri, una persona che è completamente fedele alla fonte autentica. In mancanza di queste qualità si rischia solo di compromettere e diluire, o Dio non voglia, addirittura pervertire, l’acqua pura dell’ebraismo con “batteri patogeni” di tendenze e nozioni che sono estranei alla Torà.
Come è scritto nel primo capitolo delle Massime dei Padri:
«Segui l’esempio di Aharòn: amava la pace e rincorreva la pace. Amava tutte le persone e le avvicinava col suo amore alla Torà».
OCCORRE PORTARE LE PERSONE ALLA TORÀ E NON LA TORÀ ALLE PERSONE!!!
Basato su un discorso del Rebbe di Lubàvitch e uno scritto di YY Jacobson N.Y.
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לעילוי נשמת אבי מורי ורבי ועטרת ראשי
יעקב בן רחל ושלמה
In memoria di mio padre Yaakov ben Shelomo
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Link per ascoltare la lezione (o effettuare il download):
link video:
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in memoria di mio nonno Shlomo ben Hana Bekhor
Chi volesse dedicare una lezione mp3 alla memoria o in onore di un lieto evento, può contattarmi shlomo@mamash.it
Rav Shlomo Bekhor