KHUKAT e Balàk 5783: 5 LEZIONI
Questo Shabbàt 1° Luglio 2023, 12 del mese di Tamùz 5783 leggeremo le Parashot di Khukàt e Balàk:
Numeri 19: 1 – 22: 1
HAFTARÀ
Italiani Michà 5, 4 – 6, 8
Milano, Torino, Sef., Ash.: 5,6-6,8
PARASHA INTEGRALE KHUKKAT CON PANORAMICA, RIASSUNTO E HAFTARA
Questa settimana ci sono due parashòt Khukkat Balak (solo in diaspora). Mando solo la seconda parashà dal nuovo libro che è stratosferica a dir poco, poiché in essa c’è scritto tutto e in particolare la profezia messianica che è lo scopo della creazione del mondo…
Consiglio vivamente di trovare il tempo di studiarla in questi giorni BH.
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Sulla base di quanto affermato nel libro di Mishlè (10, 7): “Il nome dei malvagi imputridirà”, i saggi insegnano (Talmùd Yomà 38b) che non è permesso attribuire al proprio figlio il nome di un malvagio. È quindi, alquanto sorprendente che la parashà di Balàk sia chiamata così, prendendo nome da una figura estremamente negativa della storia ebraica.
È vero che anche la parashà di Kòrakh prende nome da un peccatore; egli tuttavia era un Israelita, i cui figli avrebbero fatto teshuvà, come è scritto: “I figli di Kòrakh non morirono” (Bemidbàr 26, 11), Inoltre, anche lui, in fin dei conti, dovrà fare teshuvà. L’Arìzal dice che questo si impara dal versetto del libro dei salmi (92,13), dove è scritto che lo “tzaddìK (ק) katamàR (ר) yifràkaH (ח)”, “il giusto fiorirà come la palma”, le cui ultime lettere della frase formano il nome di Kòrakh, קרח. Quindi alla fine anche lui ritornerà e diventerà un giusto, nonostante la gravità della sua ribellione. Pertanto, Kòrakh non è paragonabile al malvagio Balàk, nemico giurato di Israèl più di chiunque altro. La domanda, quindi, sussiste: com’è possibile che un’intera parashà della Torà prenda nome da una persona di questo genere?
Balàk è il simbolo dell’allontanamento dal bene e dalla santità. Il Tzèmakh Tzèdek insegna (Or Hattorà Bemidbàr, p. 900) che il nome di Balàk deriva dal termine bolkà (Yesha’yà 24, 1), ossia “morte e distacco”. D’altro lato, lo Shlà afferma (Bemidbàr 363, 2) che Balàk era un grande saggio in misura molto maggiore dello stesso Bil’àm da lui assoldato, poiché conosceva il futuro di Israèl e la genealogia del regno di Davìd e di Mashìakh, inoltre sapeva che quest’ultimo potente uomo [Mashìakh] sarebbe disceso da lui”. Rut la moabita, da cui sarebbe poi disceso re Davìd e da cui discenderà Mashìakh, era infatti essa stessa discendente di Balàk!
Balàk è quindi simbolo di un genere ben preciso di santità, ossia di quella che nasce dalla trasformazione del male in bene e dell’amaro in dolce. Balàk in principio era l’opposto del bene ed era simbolo del distacco totale da esso; da lui, tuttavia, sarebbe in futuro discesa la massima espressione della santità, nelle figure di re Davìd e di Mashìakh.Ancora Meglio
L’operato spirituale si suddivide in due categorie: l’esecuzione del bene e la trasformazione del male. Lo studio della Torà e l’osservanza delle mitzvòt sono il compimento del bene nella sua forma più fondamentale, pura e sostanziale. Tuttavia, quando una persona combatte contro il male fino a trasformarlo addirittura in bene, si manifesta il secondo genere di operato spirituale, che procura ad Hashèm “grande soddisfazione”.
Tale è, ad esempio, la teshuvà che trasforma i peccati volontari in meriti e porta la persona a un livello estremamente elevato, irraggiungibile persino dai più grandi tzaddikìm (Yalkùt Shim’oni Bereshìt 2, 20).
È a questo genere di operato che la Torà allude, chiamando un’intera parashà della Torà a nome di Balàk. Tuttavia, il Balàk della Torà non è quello “originale”, il malvagio, bensì quello “corretto”, rettificato, trasformato durante le generazione al punto di divenire l’avo di re Davìd e Mashìakh stesso. Egli è pertanto simbolo della trasformazione più radicale del male in bene, fino al bene più assoluto.
Non Desistere
In questo insegnamenti si cela anche una ulteriore importante lezione. Talvolta, quando i risultati di un esame di coscienza non sono soddisfacenti, si rischia di lasciarsi prendere dalla delusione e forse anche scoraggiarsi. La Torà, quindi, insegna che è possibile sopraffare il male e addirittura trasformarlo in bene assoluto!
Ciò vale anche per il prossimo. Talvolta, una persona può sembrare totalmente staccata dall’ebraismo e da Hashèm, ma si tratta di una realtà solo apparente. La vicenda di Balàk ci insegna che una tale situazione non impedirà a una simile persona di ribaltare completamente la propria situazione, fino a farle riscoprire la scintilla di Mashìakh che ha nell’anima.
tratto dal nuovo libro della Torà Bemidbàr
PARASHA INTEGRALE BALAK CON PANORAMICA, RIASSUNTO E HAFTARA
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link del pdf della riflessione settimanale da stampare per la tavola di Shabbat
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Ti riporto sotto i link delle lezioni.
Un caro Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
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Battaglia Contro Og e la Conquista del Bashàn
alla fine del mese di tishré 2.488, i figli di Israèl dovettero affrontare un altro terrificante nemico: Og, il re del Bashàn. Colmo d’ira contro questa nazione che aveva ucciso Sikhòn e il suo esercito, egli aveva mobilitato le sue truppe per il combattimento.
Og era l’ultimo discendente dei temibili giganti dell’epoca precedente il Diluvio. Nessun altra creatura aveva un aspetto così imponente e particolare, e tutta la sua persona emanava crudeltà. I nostri saggi spiegano che per uno solo dei suoi pasti necessitava di mille buoi, e che beveva mille brocche d’acqua. Egli costruì sessanta città, e l’ultima che fece fortificare aveva dei bastioni altissimi. La sua forza si reputava non avesse eguali se non in quella di uno dei suoi figli, che lo superava in altezza.
Quando Moshè apprese che Og era sul punto di dichiarare guerra, si preoccupò moltissimo. Moshè, nostro maestro, non dubitava della forza fisica di Og, ma più di ogni altro, sapeva che davanti all’Onnipotente tutte le nazioni non sono che nullità. Moshè non aveva smesso di ripetere agli ebrei che non bisognava temere i nemici; li aveva rimproverati quando avevano rivelato la loro paura dei kenaaniti in seguito al rapporto degli esploratori. Cosa temeva, dunque, Moshè?
Aveva paura che l’Onnipotente potesse aiutare Og, facendo questo ragionamento: «Io ho solo centoventicinque anni, mentre quest’uomo ne ha più di cinquecento! L’Onnipotente deve avere dei buoni motivi per avergli accordato una vita così lunga. È Og che ha informato il nostro patriarca Avrahàm del fatto che suo nipote Lot era stato fatto prigioniero: può essere che questa mitzvà lo protegga».
Inoltre, Moshè temeva che i figli di Israèl avessero commesso un peccato durante la guerra con gli emorei, prendendo qualcosa dal bottino. Se l’accampamento non era puro da ogni peccato, Hashèm non avrebbe assistito ulteriormente il popolo ebraico. Hashèm rassicurò Moshè: «Non temete! Ho sottomesso l’angelo protettore di Og e ho lasciato il gigante in vostro potere. Dovete riservargli lo stesso trattamento che avete rivolto a Sikhòn, re degli emorei. È vero che gli ho concesso una lunga vita per avere rivelato ad Avrahàm della schiavitù di Lot, ma ora ti spiego il motivo perverso che lo ha spinto a compiere questa mitzvà. Egli desiderava Sarà per la sua bellezza e voleva attirare Avrahàm in battaglia, sperando che morisse, per poter prendere Sarà in sposa. Egli riceverà il castigo per i suoi pensieri malvagi: sarà consegnato in tuo potere e lo ucciderai con le tue mani».
Moshè ordinò ai figli di Israèl di stabilire l’accampamento per la notte in prossimità della città di Edrè’i, dove viveva Og, e di prepararsi al combattimento per l’indomani. Di mattino presto, Moshè si recò ai piedi della muraglia che circondava la città. Gli parve molto più alta del giorno precedente: il gigante Og si era seduto sulla sua cima e i suoi piedi toccavano terra.
«Cosa succede?» si chiese Moshè. «Hanno eretto un muro in cima ai bastioni durante la notte?».
Rispose Hashèm: «No, Moshè. È Og in persona ciò che vedi. Ora lo vincerai».
Pronto a passare all’azione, Og aveva in mente di annientare il popolo ebraico senza nemmeno ricorrere alle armi. Sollevò una roccia gigantesca (in realtà era una montagna), dicendo: «Questa roccia è lunga tre parsa’òt, esattamente quanto tutto l’accampamento, mi precipiterò su di essi e li distruggerò in un solo colpo».
Hashèm sventò il piano di Og facendo arrivare un esercito di cavallette che assalirono la roccia e la rosicchiarono fino a renderla friabile: nel momento in cui Og la volle gettare sugli ebrei questa gli si sbriciolò fra le mani e gli ricadde sul collo e sulle spalle. Og tentò di sbarazzarsene, ma essa rimase piantata nella sua carne.
Nel frattempo Moshè, che era alto dieci ammòt, si servi di un’ascia della stessa lunghezza e fece un salto verso l’alto di dieci ammòt, colpendo Og nel tallone. Con il piede schiacciato, il gigante cadde nella direzione opposta a quella dell’accampamento (in modo che la roccia non potesse causare danni), e morì. Gli ebrei uccisero anche i figli di Og, vinsero l’esercito nemico e presero possesso del territorio di Bashàn.
Secondo Ràshba, il confronto fra Moshè e Og fu di natura spirituale. Og sapeva che l’accampamento ebreo aveva tre parsa’òt di lunghezza e che gli ebrei traevano la loro forza dai meriti dei tre patriarchi.
Ma Og “sradicò la montagna”; egli proclamò che i meriti della “montagna”, ossia Avrahàm (i patriarchi sono chiamati “montagne”) lo avrebbero assistito, poiché egli aveva compiuto la mitzvà di andare in suo aiuto.
Le “cavallette” (secondo un’altra versione, delle formiche), cioè gli ebrei, sbriciolarono la roccia. Gli ebrei sono rappresentati come delle cavallette, che rosicchiano la roccia grazie al potere, che è loro proprio, della preghiera.
Moshè vinse Og grazie al suo merito e alla sua preghiera (descritta come la sua “altezza”) oltre al merito del popolo ebraico (rappresentato dall’ascia) e a quello dei patriarchi (raffigurati dal salto, perché egli ebbe bisogno di compiere un salto indietro di parecchie centinaia di anni). Moshè colpì Og nel “tallone”: egli vinse spiritualmente il merito di Og, che corse tanto veloce che i suoi piedi gli permisero di portare la notizia ad Avrahàm. Non c’è dubbio che Og tentò realmente di scagliare una roccia sugli ebrei e che Dio glielo impedì: per questo dobbiamo recitare una benedizione particolare alla vista di rocce gigantesche.
Secondo Maharshà, il Midràsh menziona l’altezza di dieci ammòt di Moshè come simbolo del fatto che egli vinse Og grazie al merito di avere costruito il Tabernacolo, che era alto dieci ammòt, e per aver donato ai figli di Israèl le tavole sulle quali erano scritti i Dieci Comandamenti.
Secondo altri commentatori, Moshè si servì di un’ascia di “dieci ammòt di lunghezza” per alludere alle dieci condizioni utilizzate nella Scrittura per la tefillà – preghiera (o alle dieci condizioni designanti la teshuvà), meriti che gli permisero di vincere Og.
Sikhòn e Og erano dei nemici molto più pericolosi, per la comunità di Israèl, di Par’ò e del suo esercito. La loro sconfitta era degna di essere celebrata con un cantico particolare. Ma siccome gli ebrei non composero un canto per celebrare la distruzione di questi due nemici, Davìd incluse questo brano nel salmo “Il Grande Hallèl”:
Lodate Hashèm perché è buono, poiché la Sua bontà dura in eterno.
Egli ha ucciso re potenti, poiché la Sua bontà dura in eterno,
Sikhòn, re degli emorìm, poiché la Sua bontà dura in eterno,
E Og, re di Bashàn, poiché la Sua bontà dura in eterno,
E ha dato loro paesi in eredità, poiché la sua bontà dura in eterno,
In eredità a Israèl, Suo servitore, poiché la Sua bontà dura in eterno.
Proseguendo la loro avanzata lungo le rive dello Yardèn, gli ebrei si avvicinarono al territorio di Moàv. Quando i moabiti appresero dell’arrivo del popolo che aveva sconfitto i potenti re Og e Sikhòn, così come i loro eserciti, si spaventarono e fecero venire Bil’àm affinché maledisse gli ebrei, come è spiegato nella parashà successiva.
Midrash dal nuovo libro della Torà Bemidbàr
KHUKAT
Iil Rav incantava gli allievi e tutta la comunità con le sue intuizioni e profonde metafore che coglieva nella Torà, alle sue parole in molti si “risvegliavano” dal torpore esistenziale che la routine quotidiana instilla nelle coscienze.
Il Rav, nonostante fosse uno splendido oratore, era una persona schiva e burbera, difficilmente si riusciva a intercettare il suo sguardo, era un uomo estremamente riservato.
Un giorno, un allievo un po’ troppo audace si alzò in piedi durante una lezione e gli rivolse la seguente domanda:
“Rav, per quale motivo lei è così schivo e non incline ad ascoltare gli altri, non le pare che ciò strida con le sue grandi capacità dialettiche?”
Il Rav rispose molto serenamente:
“Hashèm chiese a Mosè di parlare alla roccia affinché da essa sgorgasse acqua che dissetasse il popolo… la roccia rappresenta l’esteriorità di ognuno di noi, la parte più epidermica e materiale, è la nostra parte più dura e difficile, con i suoi “voglio”, “pretendo”, “desidero”; ma in ognuno di noi vi è anche dell’acqua fresca e pura, una parte sensibile e ricettiva: è la nostra anima, questa parte è celata dietro la scorza dura esteriore, dentro la roccia.
Quando le persone vengono da me, spesso si presentano sotto le loro sembianze esteriori, si mostrano come rocce dure e impenetrabili ed è per questo motivo che spesso non do loro ascolto. Spesso mi fanno perdere la pazienza e vorrei batterle con il mio bastone, ma ciò sarebbe controproducente, come insegna la Torà.
Allora mi limito a parlare alle dure rocce con parole di Torà, che come insegnano i maestri è “acqua”, nella speranza che “acqua attiri acqua”, ovvero che i miei discorsi facciano sgorgare l’anima dalla materia affinché il mondo intero si riempia della gloria di Hashèm!”
L’allievo che aveva posto la domanda si mise di nuovo seduto e non aprì più bocca per molto tempo…
Questo è il tema della seguente lezione online di virtual yeshiva che ti invito ad ascoltare.
Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
Per scaricare cliccare con il mouse destro dal seguente link:
www.virtualyeshiva.it/files/
per la haftarà:
www.virtualyeshiva.it/files/
(Ideale stampare 2 pagine in una foglio A4 fronte e retro per cui saranno solo 16 pagine).
http://www.virtualyeshiva.it/
http://www.virtualyeshiva.it/
PERCHE’ MOSHE NON ENTRA IN TERRA SANTA?
Ha-shem ci insegna un concetto di psicologia FENOMENALE!
Non sempre bisogna comunicare con durezza “picchiando”, ma alcune volte ci vuole, dipende da chi si ha davanti!
Per ascoltare le altre lezioni sulla nostra parashà cliccare al seguente link:
Panoramica della Parashà di Khukkàt
Parashà di Khukkàt prende il nome dal suo passaggio di apertura, che descrive il rito della purificazione dalla contaminazione di un morto, usando le ceneri di una mucca rossa. Questo precetto è descritto come un khukkà – dogma divino senza alcuna spiegazione razionale.
KHUKAT 5770 – 2 PECCATI 2 TIPI DI SERPENTI
Ogni dettagli della Torà ci fornisce un prezioso insegnamento. Per questa ragione ci sono due serpenti: quello non velenoso (nakhash) e il velenoso (saràf). Non basta solo rispettare Dio ma anche i suoi rappresentanti e ogni sua creatura.
KHUKAT 5769 – PERCHE’ MOSHE NON ENTRA IN TERRA SANTA?
Ha-shem ci insegna un concetto di psicologia FENOMENALE!
Non sempre bisogna comunicare con durezza “picchiando”, ma alcune volte ci vuole, dipende da chi si ha davanti!
KHUKAT 5768 – MOSHE NON ENTRA IN ISRAELE! PERCHE’?
Anche l’uomo più umile sulla terra può peccare con un minimo di orgoglio!
Una lezione dedicata al 3 di Tammuz, giorno in cui il Rebbe di Lubavitch ha lasciato questo mondo fisicamente!
KHUKAT/BALAK 5766 – LA RAGIONE DELLA LOGICA!
Perché Ha-shem ci ha dato i precetti logici? Il vestito “aggiunto” dei precetti logici.