PINKHAS 5784 : 5 LEZIONI
Questo Shabbàt 27 Luglio 2024 21 del mese di TAMMUZ 5784 leggeremo la Parashà di Pinkhàs PARASHÀ
Num 25: 10 – 30: 1
HAFTARÀ
Geremia 1:1 – 2:3
pdf PARASHA INTEGRALE PINEKHAS CON PANORAMICA, RIASSUNTO E HAFTARA
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Nella Torà ci sono lettere più grandi o più piccole della norma che nascondono un messaggio celato. Una di esse è la nun finale della parola משפטן-il loro giudizio. Il midràsh dice (Tankhuma Pinekhàs 9) che Moshè ha temporaneamente dimenticato la regola che in assenza di figli maschi l’eredità passa alle figlie femmine. In tal caso la nun finale (che ha il valore numerico di 50), insolitamente grande, allude al 50° livello dell’intelletto. Questa nun anomala spiega perché a Moshè non gli era stato ancora rivelato questo elevatissimo livello di conoscenza del divino. Questo concetto è collegato ai due modi in cui può essere letta la parola לפני che può voler dire sia davanti e sia superiore: “il loro giudizio dinanzi ad Hashèm” o “sopra Hashèm “. Quest’ultimo modo allude al 50° livello che trascende il livello di Hashèm il Tetragramma, pertanto esso non è percepibile da un essere umano. Per questo motivo è scritto che Moshè si era “dimenticato” la regola dell’ereditarietà delle femmine, poiché questa regola non la poteva apprendere in quanto il 50° livello, che è “sopra (il livello di) Hashèm”, è un livello troppo elevato (come la nun grande), anche per Moshè (Rabbenu Bekhaye).
Moshè, infatti, raggiungerà questo livello solo nel giorno della sua morte sul monte Nevò, parola che in ebraico נבו forma l’acronimo “נ nun – בו bo” – “50 in esso”: solo nel giorno della morte Moshè percepisce il 50° livello.
Yekhidà-Autosacrificio:
il Quinto Livello dell’Anima
La parashà di Pinekhàs si apre con la continuazione della vicenda che ha avuto inizio alla fine della precedente parashà di Balàk. Come abbiamo già sottolineato, il racconto di Pinekhàs è una parte della più ampia storia dell’incontro del popolo ebraico con l’alleanza moabita - midyanita, alla vigilia del suo ingresso nella Terra di Israèl.
Dopo aver descritto la ricompensa di Pinekhàs per aver fermato sia l’improvviso declino morale del popolo ebraico, sia la piaga divina che ne è derivata, la Torà procede con il descrivere il censimento causato dalla decimazione generata dal flagello. Questo censimento funge da prologo alla successiva discussione delle questioni pertinenti alla conquista della Terra Promessa, in quanto essa dovrà essere divisa in base ai risultati del conteggi.
Dopo il censimento, la Torà discute:
• le leggi dell’ereditarietà,
• il passaggio del comando da Moshè a Yehoshù’a,
• i sacrifici pubblici giornalieri e quelli festivi supplementari da offrire nel Santuario.
Sappiamo che il nome di una parashà si estende a tutto il suo contenuto, non solo alla sua parte iniziale. Quindi la domanda è: che cosa hanno a che fare il censimento, le leggi dell’ereditarietà, il passaggio del comando e le offerte quotidiane e festive con Pinekhàs? Inoltre, perché la storia di Pinekhàs si divide tra la fine della parashà precedente e l’inizio di questa? Sarebbe stato più logico concludere la storia (che richiede solo pochi versetti, dopo tutto) alla fine della parashà di Balàk e iniziare la successiva parashà, ossia quella di Pinekhàs, con il censimento. È vero, il censimento è reso necessario dagli eventi della storia di Pinekhàs, ma esso è collegato con l’imminente conquista di Israèl e quindi si inserisce bene con l’argomento successivo.
Per capire questo occorre ricordare come nella panoramica della precedente parashà, la Torà descriva dettagliatamente la storia di Balàk; ci sono lezioni da imparare che sono essenziali prima dell’ingresso del popolo ebraico nella Terra di Israèl: le profezie messianiche e l’idea che l’imperativo messianico debba essere applicato anche agli aspetti più bassi del creato. Allo stesso modo, la Torà racconta il secondo atto del dramma della vicenda di Moàb - Midyàn e la storia di Pinekhàs per trasmettere una lezione essenziale che il popolo ebraico deve imparare prima di entrare nella Terra di Israèl; così pure noi dobbiamo apprende tale lezione per riuscire a entrare nelle nostre “terre promesse” personali su piccola scala, anche per accelerare l’ingresso definitivo nella Terra Promessa con l’avvento del Messia.
Qual è questa lezione?
Paradossalmente si potrebbe dire, e forse inizialmente anche in modo preoccupante, che la nostra devozione ad Hashèm non deve essere limitata dalla Torà. Prima di uccidere Zimrì e Cozbì, Pinekhàs si consulta con Moshè, il quale gli dice che sebbene la Torà permetta, a chi è sopraffatto dallo zelo, di uccidere qualcuno sorpreso nell’atto di un rapporto intimo immorale, questa è una legge che non viene insegnata, poiché nessuno può essere istruito a fare questo. In realtà, i saggi disapprovano un simile atto. Inoltre, il colpevole è autorizzato a uccidere l’uomo eccessivamente zelante per autodifesa mentre viene aggredito. In altre parole, uccidendo Zimrì, Pinekhàs sta facendo una cosa non richiestagli dalla Torà, disapprovata dai saggi e che per giunta ha messo a rischio anche la sua stessa vita.
Tuttavia, agendo con zelo e ignorando la voce della prudenza, Pinekhàs mette fine al comportamento peccaminoso del popolo, sospende la piaga che lo sta decimando e guadagna il sacerdozio per se stesso e la sua progenie. Chiaramente, quindi, Pinekhàs agisce con ragione.
Per comprendere appieno le implicazioni di ciò, dobbiamo esaminare più da vicino la triplice connessione tra Dio, la Torà e Israèl.
La Torà, lo sappiamo, è il libro di istruzioni di Hashèm per il creato in generale e per il popolo ebraico in particolare. Essa ci insegna come relazionarci con il mondo per realizzare il nostro scopo sulla terra.
La Torà ci trasmette queste lezioni attraverso il nostro intelletto. Leggiamo la Torà, comprendiamo ciò che dice e la seguiamo. Se non capiamo parti di essa, continuiamo a studiarla e a cercare istruzioni dai suoi insegnanti finché non la comprendiamo. Eppure, sicuramente il legame con Hashèm è superiore al legame che possiamo filtrare attraverso il nostro intelletto. Come abbiamo notato in precedenza, esiste una dimensione spirituale della relazione tra Hashèm e Israèl, trasmessa attraverso la Torà, che trascende, oltrepassa ed è completamente al di sopra della dimensione dell’intelletto. L’essenza interiore dell’ebreo è legata sovrarazionalmente a Dio e, se le conseguenze di questo legame non sembrano sempre razionali, questo non deve sorprenderci o scoraggiarci.
In altre parole, la Torà parla al nostro intelletto, ma allo stesso tempo apre le finestre alla dimensione sovraintellettuale della nostra relazione con Hashèm. Le Sue richieste su di noi sono esteriormente razionali ma sublimemente sovrarazionali.
Apparentemente, la Torà ci richiede di sacrificare le nostre vite solo in certi casi. Se qualcuno minaccia di ucciderci nel caso non volessimo commettere un atto di adulterio, idolatria o omicidio, siamo costretti a rinunciare alle nostre vite piuttosto che compiere queste azioni. Oppure, anche nel caso in cui un regime al potere dichiari una guerra totale alla Torà e vieti di osservare i suoi precetti, allora saremmo comunque tenuti a rischiare la vita in qualsiasi modo pur di osservarli. In tutti gli altri casi, tuttavia, non siamo tenuti a sacrificare le nostre vite e, di fatto, dovremmo trasgredire le leggi della Torà pur di rimanere in vita. Quando la Torà richiede il sacrificio delle nostre vite è perché in queste circostanze il sacrificio di sé è razionale.
Pertanto, finché l’ebreo esegue le regole a livello razionale sacrificherà la sua vita solo in queste situazioni. In tutti gli altri casi, egli sa che la Torà preferisce che egli trasgredisca le Sue leggi piuttosto che rinunciare alla propria vita e, quindi, questo è ciò che farà.
Quando, tuttavia, ci si sente così fortemente connessi ad Hashèm al punto che la ragione e i fondamenti logici non hanno effetto sul nostro legame con il Creatore, quando la propria coscienza è oltrepassata dalla propria essenza divina, che è intrinseca e legata con Hashèm in maniera sovrarazionale, allora non ci pesa di seguire la Torà quando ci richiede di sacrificare la vita in qualche caso particolare. In una tale situazione, l’unica preoccupazione sarà Dio, poiché la persona agisce spinta dalla sua brama per le cause di Hashèm, senza valutare le conseguenze per la sua stessa vita. Quando, in una tale situazione, l’individuo sente che il programma di Hashèm nel mondo è in qualche modo minacciato, agisce senza nessun dubbio. Questa intensità della coscienza della volontà di Hashèm pone costantemente la persona pronta al sacrificio di sé.
Lo scopo della vita è rendere questo mondo, e noi stessi, una dimora per Hashèm, riempiendo ogni angolo della creazione con la realtà Divina. Quindi, questa prontezza al sacrificio di sé simboleggia l’intensità della coscienza di Dio che caratterizzerà il futuro messianico. Non solo questo: l’autosacrificio è proprio ciò che porterà il futuro messianico, poiché per raggiungere una completa coscienza divina, l’obiettivo della creazione, dobbiamo uscire dai limiti della razionalità ed entrare in un livello di unione con Hashèm che supera i limiti della dimensione logica.
Questo, quindi, è il motivo per cui la lezione di Pinekhàs è così cruciale per Israèl, mentre sta per entrare nella Terra Promessa. Questa è la prima volta che la Torà indica la necessità di andare oltre i suoi dettami. Avendo sentito parlare delle profezie messianiche di Bil’àm e avendo messo gli occhi sul vero scopo della loro imminente conquista, il popolo ebraico deve ora rendersi conto che questo obiettivo può essere raggiunto solo se mostra la vera identificazione interiore con Hashèm e i Suoi obiettivi, senza limitare se stesso alla mera letteralità della legge.
Lo stesso vale per ognuno di noi nelle nostre vite personali. Ogni volta che siamo in procinto di raggiungere un grande obiettivo per il quale stiamo lottando, dobbiamo prima mettere a tacere le voci interne della negatività e dell’opposizione. Inoltre, dobbiamo essere consapevoli che questo non è il momento di porre limiti alla nostra dedizione. La prova di una vera devozione ai nostri ideali è la volontà di dare tutto per quello in cui crediamo.
Ancora, lo stesso vale adesso per noi tutti, mentre ci troviamo sulla soglia della Redenzione finale e dell’ingresso nella Terra di Israele. Ciò che ci è richiesto ora è la disponibilità a mettere da parte tutto il resto e a “schierare in campo” e dimostrare ciò che abbiamo di migliore e di più grande, per poter vedere la storia concludersi verso il suo destino messianico.
Proprio come con Pinekhàs, Hashèm aiuterà coloro che dimostrano il sacrificio di sé di fronte alle avversità; Egli benedirà i loro sforzi con il successo. La storia ha dimostrato che coloro che non si piegano alle minacce dei nemici dell’ebraismo alla fine prevalgono. Questo è il motivo per cui la storia di Pinekhàs è divisa tra due parashòt, quella di Balàk e quella di Pinekhàs: dopo aver lasciato l’autosacrificio nella prima parashà, adesso la Torà si concentra sulla ricompensa per insegnarci che il sacrificio di sé ha successo e ci porterà fino alla Redenzione finale.
***
Dimensioni Profonde
Nella terminologia cabalistica, il sacrificio completo di sé (Pinekhàs) manifesta, il più alto dei cinque livelli dell’anima, quello di Yekhidà (Unica). Quando essa si rivela ci si congiunge ad Hashèm senza tramiti (intelletto, emozioni etc), un collegamento tra l’anima e Hashèm, a un tale livello, per cui l’individuo è consapevole di se stesso solo come una “parte di Dio”. In questo livello anche se si rimane paradossalmente consci dell’esistenza di se stessi (come parte di Hashèm), allo stesso tempo si è consapevoli del fatto di non esistere, poiché totalmente dissolti nella realtà di Hashèm.
Gli altri quattro livelli inferiori dell’anima – Nèfesh, Rùakh, Neshamà e Khayà – si esprimono attraverso i “poteri” o le facoltà che l’anima trasmette vitalizzando il corpo: rispettivamente l’azione fisica (es. mani e piedi), l’emozione (cuore), l’intelletto (testa) e volontà (tutto il corpo). Al contrario, Yekhidà è troppo sublime per esprimersi attraverso qualsiasi facoltà o immagine dell’anima, ma al contempo le comprende tutte.
In questo livello l’anima è una parte di Hashèm e ha un legame infinito con Lui, poiché è la scintilla del Creatore stesso che è dentro di noi. Diversamente, gli altri quattro livelli inferiori fanno parte della dimensione del creato (come i quattro mondi creati che corrispondono ai quattro livelli dell’anima) e non del Creatore, poiché esse ci permettono di unirci ad Hashèm solo in modo “indiretto”; ad esempio Rùakh, il secondo livello, ci connette attraverso le emozioni. Il livello di Yekhidà, invece, è l’espressione di Hashèm, la Sua luce infinita, un tutt’uno con Lui, infatti yàkhad significa anche “unito”.
Oggigiorno non siamo consapevoli di questo aspetto profondo dell’anima che raramente si manifesta (es. nel giorno di Kippùr), ma in futuro, nell’era messianica, diventerà l’aspetto dominante della nostra coscienza. Questo quinto livello rifletterà il cambiamento generale nella creazione quando la “luce divina”, che ora è troppo intensa per essere rivelata nel mondo, si rivelerà nella realtà creata e il mondo rifletterà la vera realtà dell’universo, che oggi il creato nasconde: la mano di Hashèm che è rivestita dietro un guanto chiamato “natura”.
Proprio come i quattro livelli dell’anima saranno pervasi della luce infinita di Yekhidà, così anche i quattro mondi spirituali di Atzilùt, Berià, Yetzirà e Assiyà saranno infusi dalla “luce divina” trascendente.
A un livello più profondo, la dinamica tra consentito e vietato esiste solo negli stati mentali del percorso creativo – razionale di un essere umano; invece nella forza iniziale dell’intuizione creativa, Khokhmà, la persona è in uno stato di auto-trascendenza in cui il suo ego è temporaneamente sospeso, annullato, (bitùl) dal lampo di luce che lo ha illuminato. Nella fase successiva dello sviluppo razionale dell’uomo, entra in scena il secondo livello dell’anima, Binà, dove la nuova intuizione viene analizzata nelle sue componenti e integrata nella struttura mentale. Questa è un’esperienza inversa, in cui l’individuo è piuttosto consapevole di se stesso e cerca di comprendere la nuova intuizione alla luce di ciò che già conosce.
Quando una persona viene catapultata nella trascendenza divina di Khokhmà non ha bisogno di preoccuparsi dell’autocontrollo. detto “privazione”. Finché l’auto-annullamento di Khokhmà permane, il suo ego non cercherà di deviare la persona nell’indulgenza nei confronti di se stesso. Ma per comprendere a fondo l’intuizione di Khokhmà deve per forza passare nell’ambito di Binà che consente di elaborare e valutare la nuova intuizione in relazione alla consolidata percezione mentale della persona, che deve necessariamente invocare il potere protettivo della privazione, stando attento alla propensione del proprio ego a enfatizzare eccessivamente i propri interessi personali. Pertanto è necessario che una persona discenda dal suo stato trascendente di Khokhmà – illuminazione, al fine di integrare la nuova visione nella propria vita, altrimenti la sua intuizione gli sfuggirà e scomparirà. Quindi, il processo di elaborazione di Binà è necessario per la crescita e lo sviluppo.
Tuttavia, al fine di mantenere lo sviluppo dell’idea, fedele all’intuizione iniziale che l’ha generata, l’individuo deve periodicamente rivivere qualcosa dell’esperienza di Khokhmà. Facendo questo, la sua Binà non lo porterà fuori strada.
Questo concetto di rivivere l’intuizione di Khokhmà per proteggere lo sviluppo di Binà è simile al processo in cui un giudice annulla i voti che altrimenti sarebbero prescritti a una persona. Questo avviene perché si eleva colui che fa il voto a un livello in cui non è più necessario rispettarlo, similmente al processo dell’elevazione di Binà in Khokhmà
Allo stesso modo la storia della parashà di Pinekhàs simboleggia l’elevazione di Binà in Khokhmà: Pinekhàs trascendendo ogni logica razionale acquisisce il sacerdozio. Questo simboleggia il nuovo rapporto e la nuova consapevolezza che vi sarà nel futuro messianico tra l’uomo e Hashèm.
Tratto dalla panoramica del nuovo libro della Torà Bemidbàr
PINHAS: COME MAI FIGLIE DI ZLOFKHAD SUPERANO MOSHÈ?
Nella Torà ci sono lettere più grandi o più piccole della norma che nascondono un messaggio celato. Una di esse è la nun finale della parola משפטן-il loro giudizio. Il midràsh dice (Tankhuma Pinekhàs 9) che Moshè ha temporaneamente dimenticato la regola che in assenza di figli maschi l’eredità passa alle figlie femmine. In tal caso la nun finale (che ha il valore numerico di 50), insolitamente grande, allude al 50° livello dell’intelletto. Questa nun anomala spiega perché a Moshè non gli era stato ancora rivelato questo elevatissimo livello di conoscenza del divino. Questo concetto è collegato ai due modi in cui può essere letta la parola לפני che può voler dire sia davanti e sia superiore: “il loro giudizio dinanzi ad Hashèm” o “sopra Hashèm “. Quest’ultimo modo allude al 50° livello che trascende il livello di Hashèm il Tetragramma, pertanto esso non è percepibile da un essere umano. Per questo motivo è scritto che Moshè si era “dimenticato” la regola dell’ereditarietà delle femmine, poiché questa regola non la poteva apprendere in quanto il 50° livello, che è “sopra (il livello di) Hashèm”, è un livello troppo elevato (come la nun grande), anche per Moshè (Rabbenu Bekhaye). Moshè, infatti, raggiungerà questo livello solo nel giorno della sua morte sul monte Nevò, parola che in ebraico נבו forma l’acronimo “נ nun – בו bo” – “50 in esso”: solo nel giorno della morte Moshè percepisce il 50° livello.
Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
Pubblico dal nuovo libro della Torà la panoramica di Pinekhas basata sui grandi insegnamenti del mio maestro il Rebbe di Lubavitch e metto il pdf della parashà intera con la sintesi e la haftarà.
Ogni lettore può avere il merito di essere socio di questa grandissima opera ed è fonte di grande benedizione.
L’ETERNITÀ NELLE NOSTRE AZIONI
Come Diventare Cohèn
Un tranquillo pomeriggio, Mr. Forbes, un ebreo non osservante, si presentò nello studio di un rabbino ortodosso e fece la sua proposta: «Mi chiamo Forbes e sono disposto a offrirvi 50.000 dollari se mi fa diventare un cohèn (sacerdote)».
Il rabbino si fece ripetere il nome dell’interlocutore e, a malincuore, dovette rifiutare la proposta dicendo: «Mi dispiace, Mr. Forbes, ma è fuori discussione. Solo se lei è nato cohèn, lo può essere». Mr. Forbes raddoppiò la proposta prontamente, ma si scontrò con un nuovo rifiuto del rabbino. Dopo alcuni rilanci, raddoppi e nuovi rifiuti, il rabbino decise di prendere del tempo per pensare: verificò che si trattasse effettivamente di un miliardario e comunicò a Forbes la buona notizia.
Il giorno dopo, il rabbino e i suoi consiglieri, tra grandi onori e festeggiamenti, conferirono all’uomo una medaglia e il titolo di “cohèn onorario”, in cambio della cifra di un milione di dollari. Al termine della cerimonia, il rabbino osò chiedere come mai per un uomo non religioso fosse tanto importante essere un cohèn.
«Ascolti, rabbino: mio padre era cohèn e mio nonno era cohèn… perché non dovrei esserlo anche io?».
Oltre le Nostre Aspettative
La principale lezione che possiamo trarre della porzione della Torà di questa settimana, Pinekhàs, è che siamo molto più di quanto pensiamo di essere…
Questa fondamentale lezione di vita l’apprendiamo proprio dalla parashà precedente (Balàk) che si è conclusa con un episodio molto bizzarro: un uomo quasi sconosciuto, di nome Pinekhàs, trafigge pubblicamente uno dei leader del popolo ebraico, Zimrì, il capo della tribù di Shimòn, assieme alla sua amante una principessa di midyanita! Poi ha fatto il giro di tutto l’accampamento di Israèl tenendo le vittime moribonde sospese in cima alla lancia per pubblicizzare il suo gesto! Così si conclude la parashà di Balàk.
All’inizio della parashà successiva, Pinekhàs, Dio ci informa che la ricompensa che Pinekhàs ha ottenuto per il suo atto fu che lui e la sua discendenza strinsero un “Patto di pace” e divennero cohanìm (sacerdoti) per sempre.
Tutto questo è molto difficile da capire. Innanzitutto, secondo la legge, se non si nasce cohèn è impossibile diventarlo. Un non ebreo si può convertire e diventare ebreo, ma un non cohèn non può diventare sacerdote. Perciò, come è possibile che Pinekhàs sia diventato un cohèn se non lo era mai stato?
L’importanza di essere o meno un cohèn è dimostrata dal seguente racconto. Una volta, il Rebbe di Lubàvitch disse a un uomo semplice, che era cohèn: «Io, con tutti questi libri – e indicò le centinaia di volumi alle pareti intorno a lui – non potrò mai raggiungere il tuo livello. Tu sei un cohèn, solo tu potrai lavorare nel Santuario». Dopo aver sentito una tale dichiarazione da un uomo eccezionale e fuori da ogni standard come il Rebbe, l’uomo iniziò a piangere dall’emozione.
In secondo luogo, perché proprio un cohèn? Perché Dio non poteva rendere Pinekhàs capo di una tribù ad esempio? E, infine, che cosa sta provando a dirci la Torà in questa occasione? Come è possibile che un fatto tanto sanguinario abbia condotto a un “Patto di PACE”?
Hashèm è Tutto
Innanzitutto, cerchiamo di comprendere perché Pinekhàs abbia ucciso Zimrì.
Zimrì stava cercando di distruggere l’identità ebraica togliendo pubblicamente l’aspetto di santità all’atto sessuale. La novità dell’ebraismo non è che si tratta della religione più valida o più “originale”. Anche se di fatto, l’ebraismo non assomiglia in alcun modo a qualunque altra religione, come diciamo ogni giorno: “Ein K’elokènu – Non c’è nulla come il nostro Dio”. Inoltre Israèl non assomiglia a nessun altro popolo, come notò Bil’àm (Bemidbàr 23, 9): “E un popolo che vivrà solitario tra le nazioni”.
Tuttavia, la vera novità dell’ebraismo è nel suo obiettivo, il suo scopo, ovvero rivelare Hashèm in questo mondo, in ogni sua aspetto, rendendo santo persino ciò che è fisico. Per questo motivo la preghiera Shemà ha un ruolo tanto centrale: è la fonte del comandamento di rendere Hashèm “uno”. Ossia di ottenere la consapevolezza che tutta la realtà, apparentemente multiforme e contraddittoria, a volte, in realtà è l’espressione di Dio, poiché tra Lui e il suo creato non esiste distinzione, Lui è UNO, tutta la creazione appartiene a questo UNO.
Un Gesto Eterno
Perciò l’atto sessuale è definitivamente rivestito di santità poiché, oltre a essere all’origine di ogni vita fisica, della famiglia e della società, è di per sé il più fisico degli atti (cfr. Rabbàn, Vayikrà 19, 2). Tuttavia, proprio per questo è anche il più SANTO degli atti umani. Pertanto è trattato come tale.
Perciò, quando Zimrì prese pubblicamente la donna midyanita per i suoi scopi personali, incoraggiò consapevolmente la distruzione dell’ebraismo.
La Torà riporta che tutti i presenti, compreso Moshè, sapevano che, secondo la Torà, Zimrì doveva essere fermato, ma si bloccarono per un momento.
La grandezza di Pinekhàs fu capire che tutto il mondo si trovava in un delicato equilibrio spirituale e che un solo atto avrebbe potuto far oscillare l’ago della bilancia per il bene o per il suo opposto (cfr. Ràmbam, Hilkhòt Teshuvà 3, 4) e che ogni istante del peccato di Zimrì costituiva una potenziale catastrofe per tutto l’universo. Quindi doveva agire subito e con determinazione assoluta.
Perciò rischiò la vita, uscì dall’oscurità per agire immediatamente e finì per salvare tutto Israele (e tutto il mondo). Egli diede al mondo una vita nuova e la sua ricompensa fu di diventare una persona totalmente nuova: divenne un cohèn e, secondo lo Zòhar e altre fonti, anche l’anima del profeta Eliyahu (che sarebbe nato oltre 600 anni dopo) entrò in lui. L’esistenza di un’anima e il suo venire dentro ad un corpo, sono fasi distinte.
Queste due ricompense, ovvero diventare un cohèn e ricevere l’anima di Eliyahu, sono adeguate ai suoi atti. La Chassidut (Likuté Torà Kòrakh 55, 3) spiega che, sebbene ogni discendente di Avrahàm abbia il potere di benedire (cfr. Bereshìt 12, 2), le benedizioni possono essere ritardate, ossia possono non avere un effetto immediato. Un cohèn, invece no! Il suo potere benedicente è speciale, perché ha il potere di tramutare rapidamente le benedizioni in azione. Questo è il motivo del dono del sacerdozio a Pinekhàs e alla sua discendenza. Una ricompensa adeguata alle azioni rapide di Pinekhàs. Allo stesso modo anche Eliyahu, come Pinekhàs, ha santificato se stesso (Mal. I, 19, 10) per il Patto santo di Dio, per questo le due anime vengono associate in una stessa persona.
Oggi come allora
Tutto questo è molto importante fino ad oggi. Oggi, come allora, il popolo ebraico si trova in condizioni difficili. La fede nel Creatore e nei Suoi comandamenti, nell’unicità del popolo ebraico e del suo posto speciale nella creazione, non sempre è evidente.
Tutti noi dobbiamo prendere esempio da Pinekhàs e fare qualcosa per salvare la situazione. Non possiamo più attendere un santo o un leader. Come Pinekhàs, ognuno di noi deve fare tutto ciò che è in suo potere per fare pendere il mondo dalla parte del bene… e persino un solo atto può essere sufficiente.
Rashì (Balàk 25, 6) ci dice che il motivo per cui tutti, tranne Pinekhàs, si bloccarono confusi era per dare a quest’ultimo la possibilità di ottenere quanto gli era dovuto. In altre parole, Dio stava aspettando che Pinekhàs dimostrasse il messirùt nèfesh, l’autosacrificio di sé.
Il Rebbe di Lubavitch ci ha informati che Dio sta aspettando che siamo disposti a sacrificare noi stessi anche oggi, in questo momento e in ogni momento: «Fa’ tutto ciò che in tuo potere per portare Mashìakh».
È in nostro potere! E appena una persona inizia, Dio dà un’assistenza infinita: nuovi poteri per compiere cose che non avremmo mai ritenuto possibili. Noi POSSIAMO trasformare questo mondo in una benedizione: in un batter d’occhio vedremo che Eliyahu è già arrivato per annunciare l’arrivo di Mashìakh, e il mondo si trasformerà in un paradiso di bene e di vera pace. Vogliamo Mashìakh ora!!
Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
La vita ci preserva tanti imprevisti e tante sfide. Si rischia di interpretare gli ostacoli in maniera negativa, ma in realtà è solo una nostra interpretazione. Gli eventi di per sé non sono negativi, è la nostra scelta di interpretarli negativi che li fanno diventare negativi.
LA VITA E’ BELLA E CORTA il più grande dono che abbiamo e non possiamo sprecarla perché ci lasciamo guidare dalla negatività, come quelli che riescono a vedere solo il mezzo bicchiere vuoto e sono sempre tristi.
IL NOSTRO MANUALE DI VITA LA TORA’ ci insegna proprio come fare a scegliere di guardare il mezzo bicchiere pieno e di essere ricchi di gioia e di vita, sempre armoniosi e sereni, sempre produttivi e tenaci, perché non esistono eventi tristi: SIAMO NOI A FARLI DIVENTARE TRISTI.
Un fantastico approfondimento di vita sul periodo che viviamo e su Mashiàkh.
Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.
Rav Shlomo Bekhor
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I SAGGI DISCUTONO:
QUALE E’ LA BASE DELL’EBRAISMO?
Sappiamo che la Torà ha rivoluzionato il mondo a livello di filosofia, sociologia e psicologia.
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LA VITA E’ BELLA E CORTA il più grande dono che abbiamo e non possiamo sprecarla perché ci lasciamo guidare dalla negatività, come quelli che riescono a vedere solo il mezzo bicchiere vuoto e sono sempre tristi.
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Un esempio di questo insegnamento lo troviamo in uno dei racconti della parashà di questa settimana che ti riporto qui sotto.
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Rav Shlomo Bekhor
la nuova Parashà di Pinekhàs sarà caricata su Facebook più tardi.
Qui sotto un estratto di un commento dalla nuova Parashà dal nuovo libro in anteprima.
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Vediamo di capire insieme questo concetto in rapporto al sacrificio dell’agnello quotidiano mattina e sera
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LA VERA PACE שלום
PINKHAS
PINKHAS 5770 – COSA VUOLE DIRE AMORE SINCERO!
La domanda base che dobbiamo chiederci: ti amo perché sei bella o sei bella perché ti amo?
PINKHAS 5769 – I SAGGI DISCUTONO: QUALE E’ LA BASE DELL’EBRAISMO?
Sappiamo che la Torà ha rivoluzionato il mondo a livello di filosofia, sociologia e psicologia. Vediamo di capire insieme questo concetto in rapporto al sacrificio dell’agnello quotidiano mattina e sera.
PINKHAS 5768 – NATURA O HA-SHEM?
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