YOM KIPPUR 5785, 11 LEZIONI su YOM KIPPUR IMPERDIBILI!!!

9 Ottobre 2024 0 Di HaiimRottas

Quest’anno Yom Kippur 10 Tishrì 5785, cadrà SHABBAT 12 OTTOBRE 2024

PARASHÀ
1° Sefer Shachrit: Lev 16 – 17, 16
2° Sefer Shachrit: Num 29, 7;11
HAFTARÀ
Shachrit: Is. 57, 14-58, 14

PARASHÀ

Minchà: Lev 18, 1;30

HAFTARÀ

Minchà Italiani: Ob. 1, 21; Giona 1, 1-4; Michà 7, 18-20
Sefarditi: Giona1, 1-4, 11; Michà7, 18-20 Ashkenaziti: Giona 1, 1-4, 11

In onore del nuovo anno, è un grande merito aumentare la beneficenza in particolare prima di Kippur. Aiutaci a continuare il nostro lavoro. Nessun contributo è troppo piccolo (concetto legato a questa riflessione).
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Il vero significato di Kippùr può essere appreso attraverso una storia esemplare che ci permette di capire come gli errori che, inevitabilmente, commettiamo nella nostra vita, possono diventare dei trampolini per il futuro. Non a caso un noto proverbio italiano recita “sbagliando si impara”.

Rosh Hashanà, appena trascorso, è stato momento dell’esame di coscienza e dei buoni propositi. È un momento in cui siamo stati chiamati a metterci in discussione, a provare a capire quali errori abbiamo commesso e come correggerli per intraprendere una strada migliore nel futuro anno. Tutte queste buone intenzioni e propositi, però, possono e devono trovare la loro definitiva consacrazione nel grande giorno dell’espiazione per eccellenza, Yom Kippur.
I giorni che vanno Rosh Hashanà a Kippur, infatti, sono un momento fondamentale per ogni essere umano, senza un esame di coscienza e una conseguente modifica di alcuni nostri comportamenti non ci può essere progresso, ma questa “nuova” coscienza che ci apprestiamo a raggiungere non parte da una tabula rasa: il nostro punto di riferimento deve essere l’insegnamento millenario della tradizione ebraica.  Faccio riferimento a uno di questi insegnamenti che può essere utile sia per gli esami di coscienza personali sia per quelli collettivi delle comunità.
Nei Pirkè Avòt è scritto che il mondo poggia su tre cose: sulla Torà, sulla avodà (servizio nel Santuario / preghiera) e sulla ghemilùt chassidìm (far del bene al prossimo).

Relatività 1
Un ebreo di Odessa ne incontra un altro.
“Hai sentito che Einstein ha vinto il premio Nobel?”
“Oh, per cosa?” “Ha sviluppato questa teoria della relatività”.
“Sì, e cosa sarebbe?”
“Significa che se cinque capelli sulla testa sono relativamente pochi, cinque capelli nella zuppa sono relativamente molti”.
“E per questo ha vinto il premio Nobel?!”

Relatività 2
Davìd e Reuvèn erano soci in affari ed entrambi erano appassionati giocatori di golf.
“Reuvèn, ascolta”, esclamò un eccitato Davìd. “Quegli acquirenti che abbiamo rincorso da mesi ci hanno chiamato per dirci che hanno prenotato un incontro per giocare a golf nel loro esclusivo country club questo sabato, alle 8 di mattina”.

“Mi dispiace, rispose Reuvèn, non posso andare. È Shabbàt e sarò in sinagoga”. “Tu, in Sinagoga?! Ma di cosa stai parlando? Questa è una GRANDE cosa! E, comunque, TU in shul da quando? Da quando ti conosco sei sempre stato ateo. Quando eravamo bambini eri addirittura comunista”.
“Senti Davìd, tutto questo è stato prima che Goldstein arrivasse in città. Ti ricordi, quando è arrivato come rifugiato senza un soldo in tasca.  Ora è multimilionario. Alcuni dicono che potrebbe valere miliardi. Bene, adesso Goldstein mi dice che è tutto merito del fatto che va in sinagoga e parla con Dio”. “Reuvèn, ti aspetti che io creda che TU andrai in sinagoga per parlare con Dio??? Sei un ateo radicale. Dai smettila di vendermi ‘l’acqua bagnata…’”.
“No! Non hai capito” Risponde Reuvèn. “Goldstein va alla sinagoga per parlare con Dio. Io vado alla sinagoga per parlare con Goldstein!”.

Un Piccolo Passo per l’Umanità È un Passo da Gigante per Hashèm
Quale Sarebbe la Novità?
Teshuvà, o pentimento, è uno dei più grandi doni che l’Ebraismo e la Torà hanno dato all’umanità. Essa è l’idea che Dio conceda delle seconde possibilità. Questa è un concetto fondamentale dell’esperienza ebraica ed è scritta in innumerevoli punti della Torà, inoltre è il fulcro di questo nuovo anno, mentre diamo il benvenuto a Yom Kippur.
Quindi può risultare sorprendente il fatto che Rabbì Akiva, il famoso leader e studioso del Talmud vissuto nel II secolo e.v., circa 1500 anni dopo il Sinai e il dono della Torà, sembrasse sorpreso e persino sbalordito dall’idea che Dio potesse concedere una seconda possibilità al peccatore che si pente. Ci riferiamo a un’affermazione fatta da Rabbì Akiva, che da allora ha guadagnato fama nei canti e nella liturgia ebraica, registrata nella Mishnà (Trattato Yomà).
Rabbi Akiva disse: Quanto sei fortunato, o Israele! Davanti a chi ti stai purificando, e chi ti purifica? Nostro Padre nei cieli! Come è scritto (Ezechiele 36), “Io vi aspergerò acque purificatrici, e sarete purificati”, ed è detto (Geremia 17), “Hashèm è il mikvè (bagno rituale) di Israele”, proprio come il mikvè purifica l’impuro, così anche Dio purifica Israele.
Nel versetto originale la parola “mikvè” è tradotta con il significato di “speranza”, nel senso che Hashèm è la “speranza di Israele”. Rabbì Akiva, invece, interpreta questa parola come un riferimento al “mikvè”, una raccolta di acqua naturale per purificare il corpo, vestiti e oggetti.
Quale innovazione, quale idea rivoluzionaria sta insegnando Rabbì Akiva che non è stata già appresa da oltre mille anni? Che Dio purifica l’impuro, perdona i penitenti e assolve il peccatore? Questo è un principio del pensiero ebraico che risale ad Abramo! Questa idea è fondamentale per l’ebraismo stesso. È vecchia quanto Mosè e gli ebrei del vitello d’oro, da quando Dio dà ad Adamo una seconda possibilità, dopo aver mangiato dall’albero della conoscenza.
Tale concetto, quello per cui è che Dio purifica il popolo di Israele, è fondamentale per tutto il periodo che va dal mese di Elùl, a Rosh Hashanà, fino a Yom Kippur (esso è ampiamente discusso nel Libro di Vayikrà – Levitico). Poi “arriva” Rabbì Akiva, 1500 anni dopo la creazione di Yom Kippur, e dichiara una tale novità!? Quanto sei fortunato Israele dice il Rabbi. Perché? “Perché tuo padre nei cieli ti purifica dalle tue macchie”. Sembrerebbe che Rabbì Akiva abbia improvvisamente “scoperto l’America”, quando in sostanza sta ripetendo un antico assioma che troviamo in tutto il Tanàkh!
La domanda più forte, però, è quella che per sostenere questo pensiero il Rabbì Akiva cita versetti che sono stati trascritti circa 500 anni prima e che affermano chiaramente questa stessa verità! Eppure, anche i versetti che cita provengono da Ezechiele e Geremia, piuttosto che dai Cinque Libri di Mosè, che affermano chiaramente la stessa verità. Avrebbe potuto riportare, ad esempio, il versetto di Vayikrà, citato prima in questa stessa Mishnà: “Perché in questo giorno Egli ti perdonerà, per purificarti da tutti i tuoi peccati…” Non si può essere più chiari di così.
Tuttavia, anche se si potesse trovare una ragione per cui il rabbino Akiva ripete questa antica idea, perché anche la Mishnà avrebbe dovuto registrarla? La Mishnà è una raccolta di leggi ebraiche originali e non il luogo in cui registrare sentimenti ispiratori che non ci insegnano nulla di nuovo e innovativo.

Due Parole in Più
Molte volte, quando studiamo la Torà, potremmo scoprire che se ci sono due domande sullo stesso testo, una domanda troverà risposta risolvendo l’altra. Anche qui, infatti, c’è un problema sulle parole conclusive di Rabbì Akiva: “Proprio come il mikvè purifica l’impuro, così anche Dio purifica Israele”. Ogni parola nella Mishnà è precisa. Non viene usata una parola in più, nemmeno per bellezza estetica. Ogni parola è stata attentamente revisionata dal Rabbì Yehudà il Capo ed è sia esatta che necessaria. Rabbì Yehudà ha scelto tra migliaia di raccolte, insegnamenti e manoscritti e ha inserito nella Mishnà solo le migliori e più esatte formulazioni.
In questa affermazione di Rabbì Akiva, a quanto pare, abbiamo due parole superflue. Avrebbe dovuto scrivere semplicemente: “Proprio come un mikvè purifica, così anche Dio purifica Israele”. Perché aggiungere le parole extra, “purificare l’impuro”? Sappiamo tutti che un mikvè è designato per purificare qualcuno che è impuro! Chi altro andrebbe al mikvè se non qualcuno che è impuro? Perché affermare l’ovvio? Eppure, in queste due parole apparentemente superflue si cela un segreto meraviglioso. Ma prima, dobbiamo capire un po’ il funzionamento di un mikvè.

Tutto o Niente?
Esistono diversi gradi di impurità e diversi metodi di purificazione. Molti di essi erano per lo più rilevanti nei tempi biblici e durante i giorni del Tempio, quando le persone dovevano stare molto attente a mantenere la loro purezza rituale per poter entrare nel Tempio o mangiare il cibo sacro dei sacrifici. Ecco perché la maggior parte degli ebrei oggi non visiterebbe più il Monte del Tempio, poiché non si può entrare nel suo spazio se si è ritualmente impuri. Anche se è in rovina comunque la santità del luogo del Tempio è eterna e rimane sempre anche oggi.
Ad esempio, se si tocca un roditore morto, si diventa impuri per un giorno e si può diventare puri semplicemente immergendosi in un mikvè e aspettando il tramonto. D’altro canto, se si tocca un cadavere umano, si diventa impuri per una settimana e si ha bisogno di un lungo processo di immersione in un mikvè, oltre a essere cosparsi di una miscela di acqua e cenere della giovenca rossa.
Ora, immaginiamo se qualcuno è diventato impuro per entrambi i motivi: ha toccato sia un roditore che un cadavere umano. È inevitabilmente impuro a causa del cadavere per una settimana, indipendentemente dal fatto che vada o meno al mikvè per l’impurità del roditore. Il mikvè, solitamente efficace per la purificazione dall’impurità dei roditori, sembra ora priva di significato a causa della più rigorosa impurità del cadavere che rimane, fatalmente, per una settimana. In un simile caso che beneficio ci sarebbe nell’andare al mikvè? Sembrerebbe nessuno, poiché la persona rimarrà comunque impura, dato che ha anche toccato un cadavere.
Tuttavia, non è così! E qui scopriamo qualcosa di affascinante. La legge è che un mikvè purificherà e rimuoverà l’impurità minore (nel caso citato quella del roditore), anche se il grado più severo di impurità rimarrà (quella da cadavere)! Questa è dunque la profonda innovazione di Rabbì Akiva. “Proprio come un mikvè purifica la persona impura” che è destinata a rimanere impura, anche dopo essere andata al mikvè, così anche Dio purifica il penitente che rimane ancora, in qualche modo, distante e separato da Dio!
Una persona che non è pronta a pentirsi e a tornare completamente a Dio non è pronta a fare il grande passo e a rinunciare a tutti i suoi peccati e ai suoi crucci. Pertanto, una tale persona potrebbe pensare che Dio accetti tutto o niente. Potrebbe pensare: o mi pento veramente di tutto, o non faccio niente. O cambio completamente la mia vita, o non mi preoccupo affatto. Dal momento che so che non posso apportare così tanti cambiamenti nella mia vita, non vorrei nemmeno iniziare a farli.
Immaginate se qualcuno, un debitore, un investitore, un socio, vi dovesse 50.000 euro, ma non avesse né il desiderio, né l’intenzione di pagarvi tutto e subito. Non è che neghi di aver preso in prestito i soldi, è solo che non gli interessa restituire il debito o forse non ha i soldi.
Poi una bella mattina, forse il giorno prima di Yom Kippur, il nostro caro ingrato e audace debitore o partner si presenta alla porta annunciandoci orgoglioso: “Voglio pagarti 5.000 euro!” “5.000?? per cosa sono? Mi devi 50.000!!” “Lo so, ma seriamente, ho voglia di restituirti solo 5.000. Per ora, dimentichiamo il resto. Ci occuperemo di questo un’altra volta. Ok? Affare fatto oppure no?” Come reagire a ciò? Probabilmente molti di noi butterebbero fuori quest’uomo a testa in giù, con i suoi miseri 5.000 euro. Che faccia tosta!

Piccole Teshuvòt!
Ecco di cosa sta parlando il Rabbì Akiva. Ci rivolgiamo a Dio più volte all’anno, ma in particolare per tutto il periodo di Elùl e a Rosh Hashanà, in preparazione del grande giorno dell’espiazione di Kippur. Tutti noi, però, in un modo o nell’altro, proviamo un senso di rimorso o rimpianto particolari per una, o più cose nella nostra vita che hanno bisogno di essere riparate. Magari siamo anche pronti a voltare pagina, a fare dei seri cambiamenti nella nostra vita per una trasformazione completa, ma c’è quel piccolo peccato, quella piccola bugia o imbroglio, che ci continua a tormentare. E pertanto vogliamo davvero togliercela dal nostro cuore.
Potremmo aver ferito qualcuno in modo drammatico, aver fatto qualcosa di sbagliato, oppure essere stati coinvolti in qualcosa che tormenta ancora le nostre coscienze. Quindi proviamo a pentirci, fare teshuvà, solo di quella cosa. Chiedendo a Dio, o a chiunque abbiamo fatto del male, di perdonarci per quell’unica azione. Cosa succederà con il resto dei nostri problemi non ci interessa, per il momento, poiché non abbiamo tempo o energie per occuparci anche degli altri peccati.
Ma quella “piccola teshuvà”, vale comunque qualcosa? A Dio importa questo tipo di pentimento? Arriva Rabbì Akiva e dice: “Proprio come un mikvè purifica l’impuro, per colui che RIMARRÀ IMPURO anche dopo il mikvè, poiché ha contratto un’impurità molto più grave e seria per la quale non può fare nulla in quel momento, il mikvè agisce comunque e lo purificherà dall’impurità minore, esattamente allo stesso modo Dio purifica Israele!”.
Perché Dio non agisce come farebbe qualsiasi persona normale e non ci rinfaccia il nostro misero tentativo di riconciliazione? A questo proposito Rabbì Akiva è come se ci dicesse: “La ragione è che Dio è il nostro ‘Padre nei cieli’, un padre che attende con ansia il minimo segno positivo da parte dei suoi figli. Un buon padre abbraccerà e apprezzerà il più piccolo sforzo che suo figlio fa per entrare in contatto con lui, indipendentemente e ignaro del fatto che il figlio ha sbagliato in molti altri aspetti della vita”.

Oggi, tutti gli psicologi e gli educatori concordano sul fatto che il modo giusto per educare è focalizzare e richiamare l’attenzione anche sui più piccoli successi positivi dei nostri figli e costruire su di essi qualcosa di positivo. L’educazione attraverso la critica è stata sfatata e si è dimostrata futile nel migliore dei casi e distruttiva nel peggiore. Ma Rabbì Akiva disse un concetto simile quasi 2000 anni fa. Dio è il genitore amorevole per eccellenza. Quando vede che qualcuno fa anche il più piccolo movimento di teshuvà, indipendentemente da quanto gli resta ancora da fare, Dio “abbraccia” e accoglie, immediatamente questo movimento con il più profondo amore e lo purifica proprio come farebbe un mikvè. Questa è un’innovazione rivelata e sposata in modo del tutto appropriato da Rabbì Akiva, il grande “amante del popolo ebraico e della Torà”, l’uomo che ha compiuto un lungo e arduo viaggio da pastore analfabeta quale era (che in realtà odiava anche la Torà e gli studiosi), fino a diventare un Saggio preminente e leader del popolo ebraico, attraverso uno dei momenti più difficili della sua storia.

Risolvere una Cosa
Quanti di noi non hanno tentato un qualcosa perché hanno avuto paura di fallire? Quanti di noi rinunciano ai propri sogni perché sanno che non li realizzeranno mai perfettamente? Quanti di noi rimangono paralizzati dal perfezionismo? Quanti di noi guardano alle cose come a tutto o niente e quindi non iniziano i lavori che sanno di non poter mai portare a termine completamente? Quanti di noi si privano di eseguire una mitzvà, che ci è così cara, solo perché abbiamo paura di non riuscire a diventare “completamente religiosi”? Pensiamo che se non facciamo tutto bene, non faremo niente di giusto e che quindi tanto vale rimanere fermi.
Rabbì Akiva ci sta dicendo che una persona deve sapere che Dio apprezza e custodisce ogni singola mitzvà che fa. Dio abbraccia e custodisce ogni atto di cambiamento. Anche se ci pentiamo di un solo errore nella nostra vita e lo correggiamo, Dio lo accetta pienamente e ci purifica. Qualunque cosa riusciamo a realizzare, qualsiasi passo riusciamo a fare in avanti, verso una vita migliore, più ispirata e divina, è infinitamente prezioso agli occhi di Dio che può purificare anche colui che rimane ancora impuro. Può essere un “piccolo passo” per l’uomo; ma per Dio è un “passo da gigante”.

Questa innovativa interpretazione della Mishnà fu condivisa dal Rebbe di Lubàvitch durante un discorso pubblico (“farbrengen”), mentre concludeva lo studio del Trattato Yomà sullo yartziet di sua madre, Tishrè 5730, 1969.
Tratto da uno scritto di Y. Y. Jacobson

SIGNIFICATO DI KIPPUR

Il vero significato di Kippùr può essere appreso attraverso una storia esemplare che ci permette di capire come gli errori che, inevitabilmente, commettiamo nella nostra vita, possono diventare dei trampolini per il futuro. Non a caso un noto proverbio italiano recita “sbagliando si impara”.

Questa storia è ambientata nella multinazionale IBM di più di settanta anni fa, quando uno dei suoi più importanti manager fece un errore che costò alla società ben 12 milioni di dollari dell’epoca. Questo importante manager fu convocato dal “Grande Capo” dell’IBM dell’epoca, Thomas John Watson (Campbell, 17 febbraio 1874 – New York, 19 giugno 1956).

Il manager esordì dicendo: “Caro signor Watson, sono perfettamente consapevole di aver fatto un gravissimo e imperdonabile errore e di aver fatto perdere tantissimi soldi alla società; quindi, sono perfettamente consapevole che il mio errore è stato così grave che non merito altro che il licenziamento. Ecco sono venuto per presentarle le mie dimissioni immediate”.

Sorprendentemente il gran capo della IBM esordì dicendogli: “Ma come, cosa stai dicendo, licenziarti?! Su di te, per la tua formazione, abbiamo investito ben 12 milioni di dollari grazie alla GRANDE esperienza che hai maturato con questa perdita e adesso dovremmo licenziarti???”.

Da questa storia impariamo come, secondo la Torà, i peccati possono diventare dei meriti. Ma come è possibile una simile cosa?
Il motivo è che quando usiamo i nostri peccati, errori e cadute che abbiamo avuto, per migliorare e diventare più forti di prima, noi riusciamo a trasformare l’errore, oramai avvenuto, in una forza positiva che ci permette di rafforzarci e migliorare, invece che distruggerci e abbatterci.
Proprio come ha insegnato Thomas, il “Gran Capo” dell’IBM, al suo manager.
Questo è il segreto di Yom Kippùr. Ossia di imparare a trasformare i nostri errori, cadute e peccati in occasioni di crescita.
Pertanto, Buon Kippùr e una buona crescita!!!

Uno studente di liceo, al primo giorno di lezione, sente il suo insegnante, chiaramente un ateo, dire all’inizio della giornata di lezione:
“Studenti, c’è qualcuno qui che può vedere Dio? Se è così, alzi la mano. Se c’è qualcuno che può sentire Dio, per favore alzi la mano. Se c’è qualcuno che può sentire l’odore di Dio, alzi la mano”. Dopo una breve pausa, senza alcuna risposta da parte degli studenti, il professore conclude: “Poiché nessuno può vedere, annusare o sentire Dio, questo prova in modo definitivo che Dio non esiste”.
Allora lo studente alza la mano e chiede, rivolgendosi alla classe:
“Studenti, qualcuno può vedere il cervello del professore? Qualcuno può annusare il cervello del professore?”. Dopo una breve pausa, conclude: “Allora il cervello del professore non esiste!”.
Un Profeta in Fuga
Il libro di Giona composto da 4 capitoli, viene letto durante il servizio pomeridiano del giorno solenne di Kippùr (quest’anno cade mercoledì sera 15 settembre) e racconta una delle vicende più emozionanti e fantastiche della Torà.
La storia narra di come il profeta Giona, vissuto nell’anno 700 a.e.v., decide di “scappare” da Dio dopo che Egli lo ha invitato a viaggiare da Gerusalemme fino alla capitale assira di Ninive.
Arrivare a Ninive oggigiorno non è difficilissimo (guerre permettendo ovviamente…). Tutto quello che bisogna fare è partire da Haifa, in Terra d’Israel, e seguire il famoso oleodotto fino a Mosul, in Iraq. Là, al di là del fiume Tigri, sulla riva sinistra, di fronte a Mosul, si trovano le rovine dell’antica Ninive: una delle prime mai costruite, dal re Nimrod, il padre del popolo assiro, al tempo di Abramo. Sotto i potenti re assiri la città fu ampliata e abbellita. Il re Sargon costruì un forte muro intorno a Ninive, inglobandola ad altre tre città. Era questa la città “allargata” che il profeta Giona descrive come una città che si percorreva in un “Viaggio di tre giorni”, che all’epoca era una delle città più eleganti, ricche e potenti del mondo.

GIONA: UNA PSICOLOGIA ATOMICA DI VITA!

Quindi Dio ordina al profeta di recarsi in questo maestoso luogo per cercare di portare al pentimento, teshuvà, la sua numerosa popolazione traviata e corrotta da ogni genere di immoralità.
Invece Giona si rifiuta di eseguire il suo dovere e si reca nella vecchia città portuale di Giaffa dove sale a bordo di una nave in viaggio verso la Tunisia, e dove pensa di trovare una “tregua, un riparo da Dio…” (v. 1, 3). “Allora Dio scatenò un forte vento verso il mare, e ci fu una grande tempesta nel mare, così che la nave sembrava destinata a naufragare. I marinai si spaventarono e gridarono, ciascuno il suo dio; gettarono in mare le merci che erano sulla nave, per alleggerirla… Ma Giona era sceso nella stiva della nave e si sdraiò e si addormentò profondamente” (v. 1, 4-5).
Il comandante si avvicina a lui e gli dice: “Come fai a dormire così profondamente? Alzati! Chiama il tuo Dio! Forse Dio avrà clemenza su di noi e non moriremo!” Si dicono l’un l’altro: “Venite, tiriamo a sorte, affinché possiamo determinare a causa di chi è caduta su di noi questa calamità”. Così tirano a sorte e la sorte cade su Giona. Gli dicono: “Raccontaci … di cosa ti occupi? Da dove vieni? Qual è la tua terra? A che popolo appartieni?” (1, 6-8).
Un Grido nell’Oscurità
Giona accetta su di sé la colpa della tempesta che minaccia le loro vite, poiché ha tentato di fuggire da Dio. Quindi il profeta suggerisce ai marinai di gettarlo in mare, affinché si calmi, perché sa che è lui la causa di questa grande tempesta. Allora i marinai sollevano Giona e lo gettano in mare, e il mare smette di infuriare. Mentre è in mare, un grosso pesce inghiotte Giona, che rimane lì per tre giorni. Questo episodio molto strano e che rasenta la fantascienza, è ricco di insegnamenti mistici e di filosofia di vita.
Dalle interiora del pesce, Giona parla a Dio: “Ho gridato a Dio per la mia angoscia, e mi ha ascoltato. Dal ventre dell’inferno ho gridato e Tu hai sentito la mia voce. Mi hai gettato negli abissi, nel cuore dei mari, e le inondazioni mi hanno circondato; tutti i tuoi flutti e le tue onde sono passati su di me” (2, 2-4). Allora ho detto: “Sono stato cacciato da davanti ai tuoi occhi; eppure guarderò di nuovo verso il Tuo Santo Tempio. Le acque mi circondavano, fino alla morte; le profondità mi hanno inghiottito, le canne erano aggrovigliate intorno alla mia testa. Sono disceso alle basi delle montagne, la terra con le sue sbarre chiuse su di me per sempre; eppure tu hai tirato su la mia vita dalla fossa, o Signore mio Dio. Quando la mia anima svenne dentro di me, mi sono ricordato di Dio; e la mia preghiera è giunta a Te, al Tuo Santo Tempio…” (2, 5-8).

Il Ritorno di Giona
Allora Dio comanda al pesce, di vomitare Giona sulla terraferma (Giona 2, 11). Solo adesso, il profeta assume la sua missione divina, viaggiando verso la capitale assira dove provoca una trasformazione morale nei cuori della popolazione. Il profeta ha un tale successo che l’intera civiltà malvagia si impegna a ridefinire la propria vita e le proprie relazioni pentendosi profondamente e cambiando lo stile di vita corrotto. Ma quando Giona scopre che Dio ha davvero accettato il pentimento della popolazione e non distruggerà la città, si rattrista perché non ritiene che la città debba essere perdonata per i molti anni di comportamenti immorali e malvagi. Pertanto chiede a Dio di ucciderlo affermando che: “La mia morte è migliore della mia vita”.
Da buon “educatore”, Dio risponde a Giona dandogli una vera e propria lezione di vita e per giunta in un modo molto creativo. Mentre Giona riposa alla periferia di Ninive, una pianta frondosa si alza per fornire ombra sopra la sua testa, offrendogli molto conforto e serenità. Quando, la mattina dopo, arriva un’ondata di caldo e un verme mangia la pianta e questa appassisce, Giona esprime la sua profonda angoscia per la perdita. Allora Dio gli risponde: “Hai avuto pietà della pianta per la quale non hai lavorato, né l’hai fatta crescere; visse una notte e morì dopo una notte. E Io … non dovrei avere pietà di Ninive la grande città, in cui ci sono più di centoventimila persone…?”.
Questo versetto conclude i quattro brevi capitoli, ma incredibilmente ricchi di spunti e insegnamenti, del libro di Giona.
Perché leggiamo questa storia durante Kippùr? E qual è l’importanza di questo racconto per le nostre vite?

I Due Strati della Torà
Uno degli elementi più affascinanti della Torà è che tutte le sue storie contengono, oltre al loro significato letterale e concreto, un’interpretazione psicologica e spirituale. Ogni dettaglio di ogni racconto incluso nella Torà contiene un’interpretazione allegorica e metaforica, che simboleggia un evento che è celato nel cuore umano e che ricorre continuamente fino a oggi. I saggi e i grandi maestri hanno, nel corso di 3000 anni, decodificato il significato metafisico interiore della maggior parte delle storie della Torà. Lo stesso vale, ovviamente, per quanto riguarda la storia di Giona e del pesce.
Oltre al significato semplice e letterale di questo episodio commovente, che si svolge in una particolare epoca in un specifico luogo, questo racconto dovrebbe anche essere visto come una metafora di un percorso psicologico e spirituale il cui eco giunge fino a noi oggi. In effetti, lo Zohar afferma, che la storia di Giona è davvero una storia sulla “Vita degli esseri umani in questo mondo”. Oppure come direbbe Celentano: questa è la storia di (ogn)uno di noi…
È questa la storia, quella “interiore di Giona”, che cercheremo di esplorare.

Un’Anima che Scappa…
Il nome Giona in ebraico – Yonà – significa “colomba”. Questo volatile, secondo la mistica ebraica, rappresenta simbolicamente l’anima interiore dell’uomo, quel frammento di verità, quel pezzetto di Dio che costituisce il nucleo dell’identità umana e che distingue e rende unico l’uomo da ogni altra creatura. Per questo nel nome Giona in ebraicoיונה  sono contenute tre delle quattro lettere del Tetragramma, ossia la rivelazione infinita di Dio (la quarta lettera la seconda delle due heiה  è comunque sempre presente nel nome Giona perché è la stessa doppiata).
La colomba è uno degli unici animali che quando incontra il suo compagno di vita, rimane per sempre fedele a lui, non scambiandolo mai con nessun altro. Così si comporta l’anima che essendo una parte di Hashèm, il Creatore, è fedelissima a Lui e non lo può “tradire” se non quando viene traviata dal corpo materiale.
Ninive, la città grande, potente e corrotta, è una metafora del pianeta in cui viviamo: pieno di meschinità, vanità e corruzione. Giona (l’anima divina) viene inviato da Dio in missione per rivoluzionare il mondo terrestre e per rivelare la luce spirituale e la santità in ogni aspetto della vita. L’uomo quindi dovrebbe vedere se stesso come un inviato che porta un messaggio; un testimone Con essa della presenza del Dio vivente in questo mondo.
Tuttavia, molto spesso scegliamo di fuggire dalla missione della nostra vita, rifiutando la nostra vera identità di essere dei testimoni. Ci imbarchiamo su una nave, che rappresenta il corpo che contiene l’anima umana, proprio come una nave contiene i suoi passeggeri. Con essa, come Giona, tentiamo di fuggire, fisicamente ed emotivamente, in un luogo dove possiamo più facilmente abbracciare l’illusione di essere più felici quando siamo LIBERI da una missione o da un messaggio e dove possiamo credere di essere unicamente creature che cercano di saziarsi dei propri piaceri e auto gratificarsi di ogni bene e vizio materiale. Quando i piacere terrestri sono molto intensi e prendono il comando della nostra vita, allora i nostri sentimenti manipolano il nostro cervello facendoci ragionare in maniera distorta fino a farci confondere il male con il bene.
Navighiamo allegramente attraverso le acque della vita, ignorando la voce interiore di Dio, cercando di convincerci che comunque siamo o saremo felici.

Tempesta
Tutto sembra a posto e molto “cool”, fino a quando una turbolenza non inizia a scuotere le nostre vite e i nostri vizi. La tempesta del mare nella storia di Giona è una metafora delle circostanze tumultuose che la vita presenta, minacciando la sopravvivenza stessa della nostra “nave” – il nostro corpo e la nostra esistenza.
A questo punto, le persone tendono ad avere due comportamenti diametralmente opposti: molte persone si svegliano dalla loro illusione invocando il vero Padrone del mondo. Oppure al contrario, c’è chi, proprio in quei momenti, si stacca ancora di più dalla propria realtà autentica, perché ha paura della verità.
“I marinai si spaventarono e gridarono, ciascuno al suo dio… Ma Giona scese nella stiva della nave, si sdraiò e si addormentò”. Giona, secondo questa interpretazione, rappresenta l’essere umano che può vedere il mondo stravolgersi o crollare, ma continua a dormire, facendo credere e autoconvincendosi che tutto sia normale, che la sua vita sia una storia di successo. Un simile approccio ha un solo risultato: il tumulto, la tempesta non si placherà anzi…

Un Bisbiglio Divino
A questo punto, l’uomo di solito sperimenta uno stimolo dalla sua coscienza divina. Come nella storia di Giona quando il comandante della nave gli si avvicina e gli dice: “Come fai a dormire così profondamente? Alzati! Chiama il tuo Dio!”.
Anche gli altri marinai parlano con Giona e gli chiedono: “Qual è il tuo mestiere? da dove vieni? Qual è la tua terra? E di che popolo sei?”.
Il comandante, il capitano della nave, simboleggia lo Yètzer Tov, l’istinto al bene, che ognuno di noi possiede, ossia la piccola scintilla di Dio che risiede nell’anima umana. Questa scintilla chiama l’anima, chiedendogli: “Come puoi dormire così profondamente ignorando la tua missione nel mondo? Per quanto tempo puoi negare il fatto che il tuo universo, quello dove ti sei rifugiato, è impazzito? Ricorda da dove è venuta la tua anima”. In sostanza le domande del capitano rappresentano la voce interiore che parla a Giona a ognuno di noi (all’anima e la parte del Tetragramma che è dentro di noi) e ci sprona a svegliarci dal nostro sonno, dal sogno che ci siamo illusi sotto il falso nome di essere “uomini liberi”.

Affogare l’Anima
Tuttavia dopo il richiamo dell’istinto al bene uno strano e malinconico realismo prende il sopravvento su Giona. Il suo impulso morale negativo trova il modo di esprimersi in modo distruttivo con il suggerimento ai marinai di gettarlo in mare per liberarsi del fardello imposto dalla sua stessa esistenza. Questo rappresenta la profonda ansia esistenziale che purtroppo a volte può prendere il sopravvento su molte anime quando scoprono che non potranno mai convincersi veramente che Dio non esista. Giona (l’anima umana) è preso da una sorta di limbo esistenziale che scaturisce da una contraddizione inconciliabile: da un lato il timore, la paura di abbracciare Dio pienamente, dall’altro lato è incapace di fuggire da Dio, di respingerlo. A questo punto l’anima reagisce rassegnandosi alla morte: “Liberati di me e basta”, grida Giona alle contradditorie voci che albergano dentro di sé (rappresentate dal capitano, dai marinai e dalla sua proposta di essere gettato in mare).
In simili momenti di devastazione interiore l’essere umano, dopo aver esaltato il desiderio di morire, spesso si lascia andare completamente e abbandona le sue ultime vestigia di dignità spirituale degradandosi senza limiti e permettendo alla sua anima di essere spazzata via dalle “acque impetuose” del desiderio.
Infatti, Giona, dopo essersi fatto buttare in mare, lascia che è la sua identità umana venga inghiottita e trasformata in una creatura anfibia. Smettendo di considerarsi diverso da un animale, è finalmente “libero” di ignorare veramente la presenza di Dio e abbandonarsi a desideri materiali di ogni tipo. Il Talmud insegna che nel linguaggio biblico i pesci sono una metafora della sessualità disinibita, poiché i pesci si moltiplicano abbondantemente. Giona che viene inghiottito da un pesce deve quindi essere inteso come una metafora di un’anima inghiottita dalla dipendenza sessuale e dalla promiscuità. Il termine ebraico usato nella storia per “pesce”, dagà, può anche essere tradotto come “ansia”. Vale a dire, spesso il desiderio sessuale disinibito rappresenta una risposta emotiva alternativa, un altro rifugio illusorio, al caos della vita. La persona ad esempio, si può lanciare in attività materialistiche, in modo che l’ansia e lo stress straordinario impegnati nel salire le vette sociali ed economiche eclissino nella maniera più profonda la sua anima. Si lascia inghiottire completamente dalla sua carriera fino a quando non dimentica di essere un essere umano.

La Rinascita dallo Sprofondo
Eppure, paradossalmente, proprio in questo momento, l’anima, per la prima volta, incontra Dio. “Dal ventre dell’inferno ho gridato”, dichiarò Giona. Finché l’anima non raggiunge il “ventre dell’inferno”, rimane impegnata a fuggire da Dio e da se stessa. Solo quando l’uomo raggiunge il suo nadir (il punto astronomico più basso) può scoprire improvvisamente la presenza di Dio che è viva e premurosa.
Ma perché accade ciò? Perché un’anima, per la sua essenza divina, non può mai rimanere in un posto, deve essere sempre in uno stato di movimento. Perciò l’unica domanda è in quale direzione si muove: o sta correndo via da Lui o se non può più scappare allora corre verso Dio. Pertanto, una volta che l’anima tocca il fondo e non può più dirigersi verso il basso, deve iniziare per forza a muoversi verso l’alto.

La Fuga dal Mondo
La riscoperta della verità da parte dell’uomo – che è qui per compiere una missione divina – porta il pesce a sputare l’anima. Ossia, l’uomo è costretto ad abbandonare le sue dipendenze e i suoi desideri ansiogeni. Ora deve intraprende il suo viaggio dentro la società (non più dentro una balena), portando luce alle anime, farle brillare, dando un significato alla vita e portare la Divinità nella sua vita e in quella degli altri in una società mondana ed egocentrica. Tuttavia, presto l’anima si angoscia per la tolleranza che Dio ha verso il mondo falso permettendogli di prosperare. L’anima, una volta scoperta la verità, ossia che Dio esiste ed è l’unica fonte di verità che Regna sul mondo, desidera ardentemente rimanere in un ambiente sacro, ripulito dalla sporcizia delle cose mondane che pervadono l’esistenza materiale. Quindi si domanda: “Perché devo affrontare tanta bruttezza profana?”, grida l’anima. “Dovrei dedicare il resto della mia vita a capire le meschinità dei piccoli esseri umani?”. Come nella storia quando Giona non vuole andare a “insozzarsi” nei peccati della città di Ninive.
Questo è il modello consueto dell’agire umano: dopo che l’anima/l’uomo scopre la presenza vivente di Dio, desidera ardentemente diventare un asceta, sfuggire ai confini di un universo umile e dissolversi nella Sua luce infinita.
In questa fase, Dio rivela a Giona (all’anima), che infondendo nell’empietà la santità si adempie al piano finale di Dio. Solo nel fango del pianeta Terra risplende la gloria della alleanza Divino-umano. L’anima, nonostante la sua naturale resistenza, deve imparare a emulare Dio e ad abbracciare il mondo, non a sfuggirgli.

Due Tipi di Dormienti
Allora perché leggiamo questa storia proprio il giorno solenne di Kippur? Perché ci sono due tipi di dormienti umani: quelli che si trovano in un sonno leggero, che con uno zampillo di ispirazione o turbolenza si sveglieranno e quelli che sono così sommersi nel loro sonno che anche l’esplosione più potente non li smuoverà.
La prima categoria di persone si sveglia al suono dello shofàr a Rosh Hashanà. I suoni primitivi e penetranti del corno di montone, derivanti dalla semplice profondità primitiva dell’interiorità umana, ispirano l’anima a tornare a ciò che è veramente.
Mentre per la seconda categoria dei “dormienti”, quelli dal sonno profondissimo, anche il potente suono dello shofàr non è sufficiente. La nave sta per rompersi a causa della tremenda forza della tempesta, ma loro continuano a dormire. Il Titanic sta per affondare e loro sono sdraiati sulla loro poltrona di prima classe a fumare sigari, ignari e insensibili alla realtà.
Questo può essere rappresentato dal tremendo antisemitismo, da un presidente di una nazione che nega l’Olocausto, oppure da persone che tramano ogni giorno per distruggere un paese e la sua gente, dalla profonda confusione morale ed emotiva nella società, dalla profonda depressione e alienazione tra tanti giovani. Un mondo preso dalla paura e dalla confusione, eppure in tanti, in troppi, sono impegnati a giocare al “gioco della vanità”. Continuiamo a credere e a far credere che la vita sia più o meno normale.

Un Profilo del Faraone
Uno dei maestri chassidici una volta descrisse la reazione del re d’Egitto, il Faraone, dopo il suo celebre sogno sulle vacche e spighe (sogno che anticipò la famosa carestia che causò la discesa del popolo ebraico in Egitto). La Torà descrive la notte in cui il Faraone fece questo sogno misterioso e poi si svegliò. “Allora”, continua la Torà (Genesi 41, 5), “si addormentò e fece un secondo sogno”. Questi due sogni contenevano i segreti della sopravvivenza per l’intero regno d’Egitto. “Bhe, posso capire il fatto che vada a dormire”, ha commentato il Rebbe di Kotzk, “ma una volta che sperimenti un sogno così potente, pieno di segreti sul futuro destino del mondo, come puoi tornare a dormire?! Per questo devi essere un Faraone…!” Infatti quello del Faraone è il profilo di una persona che può sentire 100 squilli di shofàr, ma spegne semplicemente la sveglia e si rimette a letto.

Il Giorno che non Tollera Occultamenti
Poi arriva Kippùr, l’unico giorno all’anno che non tollera le finte apparenze, infatti In questo giorno, il più sacro del calendario, tutti i veli sono sollevati! La pura verità del Dio vivente sfonda tutti i muri, raggiungendo anche coloro che si sono nascosti sotto una miriade di coperture. Durante Kippùr, anche coloro che sono sprofondati nel più profondo dei sonni possono sentire la voce del capitano: “Come puoi dormire così profondamente? Alzati! E chiama il tuo Dio!”.
In questo giorno in particolare e ogni giorno delle nostre vite il nostro “risveglio” non solo porterà grande beneficio a noi e a tutti coloro che ci sono vicini, ma a tutta l’umanità. Il nostro risveglio contribuirà ad accelerare l’arrivo imminente di Mashìakh, presto ai nostri giorni, Amen.

Tratto dal libro di Giona Ed. Mamash e da uno scritto di Y. Y. Jacobson.
Questo saggio è basato su diversi scritti dei maestri di Cabbala e Chassidùt e sugli insegnamenti della guida della nostra generazione il Rebbe di Lubàvitch

Yom Kippur è una festa fondamentale per l’ebraismo. Per arrivare pronti all’evento, non perdete tutte le lezioni di Virtual Yeshiva!

Dedico questo SPECIALE POST in onore dell’anno della dipartita di mio padre e della festa solenne di Kippùr che cade il 10 di Tishrè (inizio questo martedì sera).
Kippùr è il giorno del perdono tra noi e Hashèm, tra noi e il prossimo. Questo è il giorno del cambiamento, il giorno che ci dice che non è mai tardi per cambiare e che si può sempre iniziare di nuovo, anche se “ieri” non era come volevamo. Tutti noi, infatti siamo creati a immagine divina e abbiamo un tocco di infinità, pertanto possiamo cambiare, anche quando non ci sembra possibile.
QUESTO È KIPPÙR!
Quindi, in onore di questo giorno e della quarta vitamina dell’anima abbiamo raccolto con mio fratello 34 INSEGNAMENTI DI VITA che le dedico a mio padre per dare degli spunti, a tutti noi, al fine di cambiare e migliorare sempre di più.
Ognuna di queste frasi è un concentrato di un messaggio molto forte sul senso della vita. Tanto che potrebbero essere utilizzate per fare una meditazione giornaliera su ognuna di esse. Visto che siamo alla vigilia di Yom Kippùr che è considerato lo Shabbàt degli Shabbàt, ossia che racchiude in un solo giorno la santità degli Shabbàt di tutto l’anno, anche la saggezza di questo scritto può essere letto e meditato tutto assieme, come un “concentrato di saggezza” che può darci la forza necessaria per tutto l’anno.
Con l’augurio che tramite la nostra trasformazione in meglio potremo meritare di avere finito la rettificazione di noi stessi e del mondo e potremo vedere la redenzione finale questo anno, presto nei nostri giorni, Amen.
(coninua sotto)
Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it di Kippùr
Khatimà Tovà!
Rav Shlomo Bekhor
Virtual Yeshiva
se il talmid non va dal rabbi, il rabbi va dal talmid!

500 Shiurim online divisi per argomenti.
Non perdere l’appuntamento con la parash・ mistica e psicologia nella Tora
Per informazioni: www.virtualyeshiva.it
KIPPUR
Al seguente link troverai la pagina web con la lezione sulla nostra parashà:
dal seguente link si può scaricare il file audio immediatamente, senza aprire la pagina web:
per vedere il video della lezione direttamente, cliccare qui:
SMETTIAMO DI BALBETTARE

Dopo quattro millenni, gli occhi del mondo sono sempre puntati su Israele!!!
PERCHE’?

È GRANDE MIZVA fare una donazione di riscatto meglio se prima di Kippur come “kaparot”.
Se volessi aiutare questa mia opera di divulgazione sarà molto apprezzata la tua donazione come kaparot e divulgazione della Torà e in particolare per la pubblicazione del nuovo libro della Torà di Bemidbar – Numeri che sta per uscire:
intestazione: Mamash
iban: IT35L0760101600001019159175
per le altre 8 lezioni di Kippur:
VITALI INSEGNAMENTI di VITA!
(primi dieci)
1) La VITA è come le MONTAGNE RUSSE, più è forte e lunga la discesa, più grande sarà la SALITA dopo!
2) La VITA è come il passaggio del MAR ROSSO, solo quando ci si butta, allora si APRE!
3) La VITA è come andare in BICI, se ci si ferma si CADE!
4) La VITA è come una STELLA, anche nel buio della notte riesce a brillare forte!
5) La VITA è come un paio di SCARPE, se si mettono le proprie (senza guardare gli altri) non si rischia di cadere!
6) La VITA è come l’INVERNO, più fa freddo più dobbiamo essere caldi dentro di noi! (quando l’ambiente è apatico, bisogna aumentare la empatia per bilanciare) ☃
7) La VITA è come la MACCHINA, se non si fa il pieno (di valori) non si arriva a destinazione!
8) La VITA è come il CIBO, più si nutre L’ANIMA e meglio sarà l’equilibrio con il corpo!
9) La VITA è come la LUMINOSITÀ del SOLE, all’alba è forte, raggiunge il picco a mezzogiorno e poi pian piano cala fino a scomparire al tramonto!
10) La VITA è come la PESCA, se si abbocca come pesci alle tentazioni si rischia di morire!
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commento di Kippur dell’anno scorso altamente consigliabile:

L’IMPOSSIBILE È POSSIBILE!

ogni giorno dell’anno ha una speciale vitamina che ci può nutrire.
Ci sono vitamine per il fisico, altre per la nostra psiche o anima. Le feste ebraiche sono dei CONCENTRATI di vitamine con una dose maggiore di quella regolare e ogni festa ci nutre TANTISSIMO di una sola vitamina che da più all’anima o alla psiche piuttosto che al corpo.
Ci troviamo alla vigilia della festa di Kippur il giorno del perdono. Per ricevere il perdono in questo giorno solenne Dio ci dice che dobbiamo cambiare, pentirci, chiedere scusa e trasformarci. In altre parole Kippur è la VITAMINA della METAMORFOSI.
Se abbiamo dei vizi storti di ogni genere, se non siamo bravi ad ascoltare i consigli della moglie o i colleghi di lavoro, se non riuscissimo a trovare “spazio” nella nostra vita per il nostro Creatore (che ci chiede di parlare con lui e di seguire il manuale di vita [Torà] che ci ha prescritto per il buon funzionamento della nostra vita), ebbene questo è il giorno dal quale possiamo trarre la VITAMINA per poter cambiare.
Ci sono tantissime spiegazioni sul perché e come mai proprio questo giorno ci da questa forza, ma preferisco condividere la storia di vita di un nostro contemporaneo che può darci un GRANDE esempio di come possiamo cambiare noi stessi e di conseguenza cambiare il mondo e in particolare anche situazioni inguaribili si possono trasformare in bene.
Il professor Reuven Feuerstein (1921-2014) è stato uno psicologo cognitivo dello sviluppo in Israele e fondatore del Centro Internazionale per l’Enhancement of Potential Learning, con sede a Gerusalemme. I suoi sistemi di modificabilità cognitiva strutturale sono stati, a livello mondiale, applicati e implementati in oltre 80 paesi in tutto il mondo.
La sua storia mi lascia sempre ESTEREFATTO ogni volta che la ricordo.
Feuerstein ha avuto una grande stima e amicizia con il mio maestro il Rebbe di Lubavitch. Lui era solito dire che grazie alle benedizioni del Rebbe e il suo incoraggiamento a continuare le sue ricerche, era riuscito a fare tanta strada. Un mio conoscente, che ha parlato con Feuerstein, mi ha raccontato come il professore aveva in tasca sempre un Dollaro del Rebbe di benedizione e successo che portava con orgoglio, poiché diceva che gli dava tanta forza.
È stato intervistato nel giugno del 2011, sei anni fa circa, prima della sua dipartita avvenuta nel 2015:
Come psicologo lavoravo in Israele durante gli anni ‘40. Ho lavorato con i sopravvissuti dell’Olocausto, molti di loro bambini, assolutamente traumatizzati. Per esempio ho visto un ragazzo di 17 anni che pesava solo 34 kg circa e che guardava ogni pezzo di cibo come uno che sta morendo di fame: avrebbe rubato e raccolto ogni cibo possibile.
Naturalmente, le persone chiedevano con stupore: “C’è speranza di guarire per bambini come questo? Saranno mai in grado di costruirsi un futuro? Saranno mai in grado di dimenticare quello che hanno passato?”.
Molti erano del parere che non si poteva fare niente per aiutare questi bambini, perché avevano visto troppe atrocità disumane. Ma ho pensato, “non possiamo permetterci di perdere neanche un figlio”.
Successivamente, sono andato a studiare presso l’Università di Ginevra sotto Jean Piaget e Carl Jung e altri, e nel 1954 ho fondato il Centro Internazionale per l’Enhancement del potenziale di apprendimento (ICELP) a Gerusalemme, dedicato alla teoria che ho sviluppato, che ho chiamato la teoria della “Malleabilità dell’intelligenza”.
Fondamentalmente, ho detto: “Sì, possiamo aiutare questi bambini e tutti i bambini, non importa i loro problemi di sviluppo. Noi possiamo aiutarli a cambiare PERCHÉ SONO ESSERI UMANI CHE HANNO DENTRO DI LORO UNO SPIRITO DIVINO”. L’anima dell’uomo è una parte di Dio. Come Dio è illimitato anche l’uomo è al di sopra dei limiti “apparenti” del suo corpo.
All’epoca ho avanzato questa teoria – che gli esseri umani sono modificabili, che non sono necessariamente limitati dalla loro genetica, ma allora era considerata eresia. La gente semplicemente non credeva che il cervello potesse cambiare, anche se adesso è un dato accettato e confermato che non esiste una parte del corpo così flessibile e modificabile come il cervello.
Il Rebbe sapeva del mio lavoro e lo sosteneva totalmente. Lui spesso mi ha mandato dei bambini, alcuni con problemi di sviluppo, altri più difficili con la sindrome di Down e alcuni che erano epilettici. Ovunque andassi, la gente si avvicinava a me, dicendo: “Il Rebbe vuole che tu vedi il nostro figlio”. Inoltre, io ho ricevuto lettere dal Rebbe su bambini particolari che voleva che vedessi.
Ogni volta che mi ha mandato un caso questo è stato accompagnato dalla sua benedizione, “Zayt matzliach – Che tu possa avere successo”.
Con quella benedizione, ho sempre avuto la sensazione di potere risolvere i casi più estremi e non importava quanto potesse essere difficile in apparenza. Nella mia esperienza o visto che anche le persone con disturbi genetici possono essere trasformati in individui autonomi ed efficienti e di conseguenza hanno potuto avere una vita ebraica regolare e studiare la Torà.
Infatti, è stato dal Rebbe che ho appreso che tale concetto può essere realizzato. Ne ho avuto la conferma con mio nipote che nonostante avesse la sindrome Down ha studiato in yeshiva e ha conseguito gli esami finali nelle scuole superiori (che in Israele chiamiamo bagrut).
Ma, in quel momento sembrava impossibile un risultato simile, perché le persone non credevano a un cambiamento così drammatico. E mi è stato spesso chiesto: “Come puoi dire che questo bambino potrà mai parlare? Come hai il coraggio di dire che questo bambino sarà in grado di leggere o finire la scuola o andare a yeshivà?”
Ho osato dire queste cose a causa delle mie frequentazioni con il Rebbe, che incontravo regolarmente.
Nel 1980, le mie idee erano diffuse dappertutto. Ho pubblicato tre libri e sono stato spesso invitato a tenere conferenze nelle università e sono stato nominato professore a Yale (USA). Ho continuato a sviluppare nuove modalità di formazione che dimostravano come si possono creare nuove sinapsi all’interno del cervello, nuove connessioni che non esistevano prima e in questo modo aiutare i bambini con le condizioni più devastanti.
Vorrei solo dare due esempi.
C’era un ragazzo con una condizione del cervello che gli rendeva difficile concentrarsi e sentire quello che qualcuno gli stava dicendo, la sua capacità di ascolto era molto, molto limitata. Ma il Rebbe mi ha dato la sua speciale benedizione per lui. E malgrado questa condizione del cervello, il ragazzo ha cominciato a imparare e diventare molto più attento nel suo comportamento. I suo progressi furono così importanti che riuscì a far parte del mondo religioso.
Sempre grazie al Rebbe, ho avuto un altro caso, il più difficile di tutta la mia carriera:
a un ragazzo è stato diagnosticato una malattia mentale, nel suo paese di nascita, ed è stato messo in una scuola per bambini problematici. Lì ha vissuto tra i non-ebrei turbati. Influenzato dal loro comportamento il ragazzo è caduto in pessime frequentazioni e di conseguenza è diventato un vero e proprio problema e nessuno credeva che avrebbe mai potuto diventare un essere umano normale e indipendente.
A un certo punto, suo padre è andato a chiedere aiuto al Rebbe che gli ha detto di portarlo da lui.
Grazie all’intervento del Rebbe, Il figlio è venuto qui in Israele ed è stato collocato in una famiglia Chabad. Ha imparato a leggere. Spesso si trovava davanti alla mia porta a leggere Salmi, perché il Rebbe gli aveva detto di leggere il Libro dei Salmi, dall’inizio alla fine, ogni settimana. Cosa che ha fatto per tutti i tre anni che è stato con noi.
Grazie a Dio, tutto è andato molto bene e ho sentito che avevamo fatto quello che il Rebbe ci ha chiesto di fare. Ci siamo sentiti di avere realizzato la nostra missione con successo.
Ma, dopo che questo ragazzo ci ha lasciato ha avuto una ricaduta morale ed è finito in una banda pericolosa, in un luogo da cui poche persone tornano sane. Era coinvolto con persone promiscue, che prendevano droghe; in un mondo dove non ci sono limiti ai peccati.
Quando ho sentito cosa era successo, ho contattato il Rebbe che mi ha risposto: “Non lasciarlo fuori dalle tue mani. Invia qualcuno a trovarlo, riportarlo indietro e continua il tuo grande lavoro: CHI SALVA UNA ANIMA È COME SE SALVASSE IL MONDO INTERO!!!”
Non credevo che uno sforzo di salvataggio avrebbe avuto successo, ma il Rebbe mi aveva insegnato a provare l’impossibile, così ho fatto. Ho mandato qualcuno a prendere questo giovane da queste persone terribili e siamo riusciti a riportarlo a uno stile di vita sano e morale. Era perduto, ma è tornato e oggi è padre di quattro figli, due di loro studiano in yeshivà.
Voglio solo dire che, come psicologo, non avrei mai potuto credere che un miglioramento così esagerato potesse accadere. Di solito, in questi casi, ci arrendiamo, ma il Rebbe non ha rinunciato e ci ha insegnato che non bisogna “MAI DIRE MAI”.
Chiaramente, la psicologia è molto limitata nella sua comprensione dell’altro: spesso è troppo connessa alla comprensione di noi stessi. Questo ci porta a valutare gli altri in base ai nostri canoni.
Ma il modo in cui il Rebbe ha capito la condizione dell’individuo era del tutto diverso. E questo è il motivo per cui diceva: “Sì, fallo. Niente è impossibile”.
Il suo era un modo molto diverso di vedere l’essere umano, non come riflesso del sé, ma come un riflesso dello spirito superiore, una divina sorgente che attinge dall’infinito e non ha LIMITI DI SVILUPPO.
QUESTO KIPPUR RIFLETTIAMO CHE ABBIAMO UNA FORZA INFINITA CHE CI PERMETTE DI CAMBIARE TOTALMENTE: POSSIAMO TROVARE TEMPO PER LA NOSTRA FAMIGLIA SPEGNENDO IL CELLULARE QUANDO SIAMO CON I FIGLI, POSSIAMO STUDIARE LA TORA OGNI GIORNO COME DIO CI CHIEDE E TRASFORMARE IL MONDO VERSO LA REDENZIONE ETERNA, CHE È IMMEDIATA PRESTO NEI NOSTRI GIORNI, AMEN.
Ps.
È cosa buona fare una donazione di riscatto prima di Kippur “kaparot”.
Chi volesse aiutare questa opera di divulgazione, la sua donazione sarà molto apprezzata come kaparot:
intestazione: Mamash
iban: IT35L0760101600001019159175