LEKH LEKHA 5785: 8 LEZIONI PRECEDENTI

2 Novembre 2024 0 Di HaiimRottas

Questo Shabbàt 9 NOVEMBRE 2024, 8 Cheshvàn 5785 leggeremo la Parashà di

Lèkh Lekhà Gen. 12,1-17,27

HAFTARÀ:
Is. 40,25-41,17 (Italiani)
Is. 40,27-41,16 (Milano/Torino/Sefarditi/ashkenaziti)

Questa settimana leggiamo la terza porzione del libro della Genesi che inizia con la cronaca di Avrahàm (Abramo), scelto da Hashèm per fondare il popolo di Israèl e per mezzo del quale sar invertito quel processo di degenerazione morale che ha “imprigionato” e continua a “imprigionare”, l’umanità con i furti e atti immorali.
Il nome di questa porzione (Lekh Lekhà) deriva dalle prime parole di Hashèm ad Avrahàm: “Va’…”, quando gli dice di lasciare la natia Mesopotamia (odierno Iraq) per stabilirsi nella Terra Promessa. Qui sotto una nuova riflessione su Lekh Lekha SPAZIALE.
***
Durante i suoi viaggi, Avrahàm ha sfidato il paganesimo, e combattuto anche fisicamente chi voleva negare il monoteismo. Quando suo nipote Lot viene catturato dai 4 fortissimi re lui va a combatterli e libera suo nipote dopo aver sconfitto questi terribili potenti.
Essendo figli di Avrahàm impariamo che la priorità di Israele è insegnare al mondo il monoteismo assoluto e il valore della vita anche rischiando la propria vita come quando libera suo nipote Lot, perché non esiste niente di più importante di salvare un’anima. Anche se Avrahàm non condivideva i valori di suo nipote e avevano avuto delle liti, comunque non esita Avrahàm di rischiare la sua vita per salvare un altra vita di una persona (Lot) con valori opposti a suoi.
Oggigiorno il Satàn cerca di dividerci tra sinistra e destra ma non dobbiamo cadere in questo tranello e ricordare l’esempio di Avrahàm che si imbatte in una missione impossibile per salvare Lot anche se non aveva la “tessera” del suo partito.

Speriamo che presto il grande lavoro iniziato da Avrahàm, nel diffondere la consapevolezza che la fonte di ogni realtà deriva in ogni istante da Hashèm, l’unico Dio, concluderà immediatamente questo processo di trasformazione dal “culto della morte”, come praticato dai terroristi di Hamas, al culto alla vita come voluto dalla Torà. Grazie a ciò presto vedremo la redenzione totale con Mashìakh presto nei nostri giorni, amen.

A 90 ANNI, UN UOMO CAMBIÒ LA SUA VITA
Dio Parla a Ogni Anima; un Uomo lo Ha Sentito

La Questione del Rambàn
Uno dei più importanti commentari alla Torà fu scritto da Nakhmanide, Rabbi Moshè ben Nakhmàn (1194–1270), noto come Rambàn. È considerato una delle più grandi personalità medievali del mondo ebraico: uno straordinario studioso, filosofo, medico, cabalista e commentatore della Torà. Crebbe e visse per la maggior parte della sua esistenza a Girona, in Spagna. Verso la fine della sua vita, fu costretto a lasciare la Spagna (dopo aver vinto un dibattito nel 1263 contro Pablo Christiane, un ebreo convertito al cristianesimo) e si trasferì a Gerusalemme. È anche considerato una figura importante nella riorganizzazione della comunità ebraica a Gerusalemme dopo la sua distruzione da parte dei crociati nel 1099.
Differentemente dalla maggior parte dei commentatori, che si sono focalizzati sul significato di un versetto, una storia o di una legge, il Rambàn, si è spesso soffermato sulla struttura della Torà. Da questa ottica Nakhmanide solleva un affascinante interrogativo sull’apertura della porzione di questa settimana Lekh Lekhà: che fine ha fatto la biografia di Avrahàm?
Il Tanàkh, infatti, ci presenta costantemente nuovi personaggi che assumono ruoli diversi e svolgono compiti diversi. Prima di iniziare le loro storie, sono scritte alcune parole sul loro background per darci un contesto, per consentirci di capire perché sono stati scelti per il loro ruolo. Prendiamo Nòakh come esempio, di cui abbiamo appena letto la settimana scorsa, la Torà non inizia la sua storia dicendoci che Dio gli disse di costruire un’arca e salvare se stesso e la sua famiglia dal Diluvio. Innanzitutto, la Torà ci fornisce le informazioni di base. “La terra era corrotta e Nòakh trovò grazia agli occhi di Dio. Questa è la storia di Nòakh che era un uomo giusto nella sua generazione. Nòakh camminava con Dio”. Solo successivamente la Torà continua dicendoci che Dio parlò a Nòakh del diluvio e gli ordinò di costruire un’arca. Quindi da ciò è possibile capire perché è stato scelto proprio lui.
Oppure, prendiamo Moshè. La Torà non inizia la sua storia dicendoci che Dio si è presentato un giorno nella sua vita e lo ha convocato per redimere il popolo. Innanzitutto, apprendiamo il suo background che è cresciuto nel palazzo del Faraone, che ha salvato un ebreo da un egiziano che lo picchiava a morte, che ha cercato di impedire a due ebrei di litigare e di come ha salvato delle giovani donne da dei pastori che le molestavano al pozzo di Midyàn. Quando Moshè viene scelto, sappiamo già che si tratta di un uomo di educazione regale (che conosce il funzionamento del palazzo) e di coraggio morale. In questo modo possiamo capire perché lui è stato scelto.
Lo stesso vale per Sansone, Samuele, Davide e Geremia, le loro storie non emergono dal nulla.
Ma c’è una eccezione, e probabilmente è la sua figura più importante: Abramo o meglio nel suo nome originale Avrahàm.

Il Mondo all’Improvviso 
Proprio all’inizio della parashà di questa settimana Lekh Lekhà (12, 1-3) è scritto: “Hashèm disse ad Avrahàm: ‘Vai via dalla tua terra, dal luogo in cui sei nato e dalla casa di tuo padre, alla terra che ti mostrerò. Farò di te una grande nazione, ti benedirò, esalterò il tuo nome e sarai [tu stesso] una benedizione… in tuo nome saranno benedette tutte le famiglie della terra’”.
Perché proprio Avrahàm? Cosa ha fatto per guadagnarsi questa missione speciale da Dio?
La Torà non dice nulla su Avrahàm prima di questo incontro. Tutto ciò che ci viene detto, ma solo alla fine della parashà precedente (Nòakh) è che un uomo di nome Tèrakh aveva tre figli, Nakhòr, Avrahàm e Haràn: quest’ultimo morì mentre suo padre era ancora in vita, Nakhòr sposò una donna di nome Milkà; e Avrahàm sposò una donna di nome Sarai, che era sterile. Tutto qui!
Sulla base di quanto scritto nella Torà, Avrahàm non è altro che un ragazzo normale che vive a Kharàn, nell’attuale Iraq. E poi, all’improvviso, la Torà ci racconta di come Dio parlò ad Avrahàm, gli disse di lasciare la sua terra e di trasferirsi a Canaàn, e di come gli promise che avrebbe cambiato il mondo! Dio gli disse che sarebbe stato il padre di una grande nazione e che tutte le nazioni sarebbero state benedette da lui; Dio gli promise la Terra di Canàan come eredità eterna e lo trasformò nel padre di una nuova civiltà, incaricato della missione di cambiare il paesaggio del pianeta. Tutto il resto si basa su questo comando iniziale di Dio ad Avrahàm. Tuttavia, perché è stato scelto proprio Lui?
Di sicuro, il Talmud e i Midrashìm offrono numerose storie sulla giovinezza di Avrahàm, la sua ricerca della verità, la sua infinita curiosità e il desiderio di scoprire l’origine dell’esistenza; la sua battaglia contro i suoi connazionali e il re Nimròd; i suoi sacrifici per la verità e per le convinzioni che ha sposato. Eppure, dal testo biblico tutta la storia di Avrahàm sembra frutto di una combinazione casuale di eventi! Non viene raccontata nemmeno una singola narrazione sulle virtù uniche di Avrahàm per sottolineare le sue qualità straordinarie. Non c’è nemmeno un singolo versetto che racconti la sua grandezza. Su queste apparenti lacune della Torà si fonda l’acuta considerazione sollevata dal Rambàn.

Un Uomo Ha Ascoltato
Sono state suggerite molte risposte (Likuté Sukkòt vol. 25). Oggi, condividerò un’intuizione del Sefàt Emèt, Rabbi Yehudà Leib Alter, il terzo Rebbe di Gur, basata su un insegnamento dello Zohar. È breve, semplice e profonda. Le parole “Lekh Lekhà” sono in realtà dette da Dio a ogni persona, in ogni momento, ma fu solo Avrahàm a sentire la chiamata.
La Torà non parla del background di Avrahàm per spiegare perché Dio gli parlò, in quanto Dio non parlò (solo) a lui; Dio lo disse, e lo dice anche oggi a ogni persona. “Vai via dalla tua terra, dal luogo in cui sei nato e dalla casa di tuo padre, alla terra che ti mostrerò”, questa è la chiamata divina per ogni anima, ogni giorno. Se ci fosse stata la biografia di Avrahàm, si sarebbe potuto pensare erroneamente che il richiamo dall’Alto fosse rivolto solo lui per via dei suoi meriti e del suo sacrificio per diffondere il monoteismo assoluto.
La comunicazione crea un legame tra due persone. Se parlo, ma tu non ascolti, o non senti, è come se non stessi parlando con te. “Dio ha parlato ad Avrahàm”, non perché Dio ha parlato solo ad Avrahàm, ma perché Avrahàm lo ha ascoltato. Aveva l’ “antenna” emotiva, psicologica e spirituale che gli ha permesso di interiorizzare la chiamata divina.
“Questa persona mi parla davvero”, è un’espressione che spesso usiamo. Può darsi che quella persona stia parlando anche ad altri, ma in qualche modo, “solo io so come ascoltare quello che dice e lo capisco”. Ad esempio, anche gli uccelli parlano in qualche modo; gli uccelli che nidificano sugli alberi “parlano” tutto il tempo, così come le gazzelle, le marmotte, le tartarughe, gli alberi e persino le rocce. “Parlano” stillando energia e vitalità, con messaggi, suoni, gesti e canzoni, ma non sentiamo e non comprendiamo quello che hanno da dire, poiché non abbiamo gli strumenti per decodificare la loro “musica”, quindi non ci parlano. Grandi maestri talmudici capivano le lingue degli animali, degli alberi, quindi non è impossibile comprendere la loro lingua, solo che oggigiorno non disponiamo più di tali conoscenze.
Dio, invece, parla a ciascuno di noi. E il Suo messaggio è: Lekh Lekhà. Andate avanti. Uscite dalla vostra routine. Uscite dai vostri pregiudizi, dai vostri punti ciechi, dalle vostre paure, traumi e da tutte le voci che vi legano e vi hanno trasformato in esseri umani limitati e timorosi. Apritevi all’espansivit divina; allargate i vostri orizzonti e diventate più grandi del vostro piccolo ego. Concedetevi di intraprendere un viaggio, verso la destinazione che Dio ci crea, anche se ciò significa lasciare andare tutto ciò che ci è familiare. Allontaniamoci dai nostri sé superficiali e apriamoci alla luce infinita divina della nostra profonda essenza. E per realizzare ciò occorre creare un radicale cambiamento di modello di vita: dall’egocentrismo, all’egocentrismo infinito del divino.
Dio chiama ognuno di noi e gli dice: Allontanati dalla tua prospettiva ristretta e inizia a vedere le cose dalla Mia prospettiva, dal punto di vista privilegiato della verità assoluta e dell’unità infinita. Esci dalla tua ristretta orbita egoistica e cambia il mondo! Facendo così arriverai al tuo sé più vero, alla tua parte più interna più profonda e infinita.
È una chiamata rivolta a ogni cuore umano, ma fu Avrahàm ad ascoltare la chiamata e ad agire di conseguenza. Sapete perché Avrahàm divenne la persona a cui Dio pronunciò queste parole fatali? Perché le udì! Quanti di noi sono capaci di ascoltare e interiorizzare davvero questo invito divino? Avrahàm lo era, ed è così e per questo che è diventato il primo ebreo e il primo grande rivoluzionario che è andato contro corrente e ha cambiato la storia.

L’Incredibile Storia di Avrahàm Vetzler
Sai chi ha sentito la chiamata di Lekh Lekhà? Un altro uomo di nome Avrahàm — Avrahàm Vetzler. Alcuni anni fa, il rabbino Chaim Heber, ambasciatore Chabad a Beer Sheva, in Israele, ricevette una chiamata.
“Ciao, mi chiamo Avrahàm Vetzler. Ho 90 anni. Prima che Dio riprenda la mia anima, voglio imparare la Torà”. Una telefonata strana, per usare un eufemismo.
“Certo”, risponde il rabbino Chabad. “Verrò a casa tua e studieremo la Torà”.
“No. Non puoi mangiare niente a casa mia. È completamente non-kosher. Verrò io da lei”.
Così, cominciarono a studiare la Torà insieme. Dopo alcuni mesi, Avrahàm celebrò il suo bar mitzvà all’età di 90 anni. Qualche tempo dopo, iniziò a osservare lo Shabbàt. E poi, un giorno, chiamò il rabbino e gli disse: “Ho smesso di comprare cibo non kosher, vieni a rendere la mia cucina kosher!”
Nel 2017, Avrahàm fece scrivere un Sèfer Torà (Rotolo della Torà) in memoria dei suoi genitori e l’intera comunità danzò, mentre introduceva la nuova Torà nella sinagoga.
Fu allora che il rabbino Heber si voltò verso di lui e gli chiese: “Avrahàm! Devi spiegarmi il mistero. Cosa è successo all’improvviso all’età di 90 anni che ti ha spinto a studiare la Torà?”
Lui rispose: “Sono un ebreo ungherese. Sono nato nel 1927. Nel 1944, siamo stati deportati dai tedeschi. I miei genitori sono stati assassinati. Erano ebrei osservanti della Torà, persone sante e pie. Mi sono arrabbiato così tanto con Dio e con l’ebraismo che quando sono uscito dai campi di sterminio, ho deciso di abbandonare del tutto l’ebraismo e la vita ebraica. Qualche tempo fa, un vicino mi ha invitato a cena per un venerdì sera. Sono andato a casa sua e ho visto la padrona di casa, Chana Rechima, accendere le candele dello Shabbàt. Non vedevo una donna accendere le candele dello Shabbàt da più di 80 anni. All’improvviso, ho avuto un flashback di quando ero un bambino a casa mia in Ungheria, era venerdì sera, e mia madre accendeva le candele e pregava Dio in silenzio, con le lacrime che le rigano il viso. Tutto mi è tornato in mente in quel momento. Il giorno dopo ti ho telefonato e ti ho chiesto di iniziare a studiare la Torà”.
Immaginate: 80 anni fa, una donna ebrea accese delle candele e chiese a Dio che suo figlio crescesse come un bravo e orgoglioso ebreo. Poi viene presa dai nazisti e assassinata, suo figlio sopravvive ma butta via tutto. La fiamma dello Yiddishkeit (dell’ebraismo) apparentemente, si era spenta, almeno per questa famiglia. Ma 80 anni dopo, quel ragazzo, Avrahàm, sente la chiamata “Lekh Lekhà!”. Un suo avo, Avrahàm il patriarca, lasci in eredità quel dono a tutti i suoi discendenti. Se ascoltiamo, anche noi possiamo sentire quella chiamata.
Rav Akiva iniziò a studiare la Torà a 40 anni; Avrahàm Vetzler iniziò a studiarla a 90 anni.
Il 27 ottobre 2020, 9 kheshvàn, 5781, l’ungherese Avrahàm Vetzler ha restituito la sua anima al Creatore in Israele. Aveva 94 anni. Le preghiere di sua madre con le candele accese furono esaudite.
A 90 anni, Avrahàm sentì la chiamata di Lekh Lekhà.

Un augurio a tutti noi di riuscire a sentire il nostro Lekh Lekhà prima di compiere 90 anni.

Questa storia di Avrahàm Vetzler si è ripetuta tante volte una in particolare mi ha toccato è la seguente.
A Milano negli anni Novanta, un mio carissimo amico di origine egiziana, Maurizio Gabbai, ha sentito il richiamo di studiare la Torà a un’età avanzata ed era molto assetato della luce della Torà. Da importante imprenditore e fondatore di Forma Italiana società di import export, decide di non perdere più tempo a rincorrere la materia e matura una consapevolezza di trasformazione di stile di vita diventando un esempio anche per me, in altre parole MAI DIRE MAI.
Dal giorno che ha iniziato a sentire il suo LEKH LEKHÀ ha preteso di non essere più chiamato Maurizio, ma RAV MOSHE, non solo col nome ebraico ma anche RAV perché gli piaceva questo titolo che dimostrava il suo spirito di forte di aver migliorato il senso della sua vita.
Quando l’anima si sincronizza e si collega con il messaggio universale ed eterno di LEKH LEKHÀ, non si può rimanere Maurizio, perché si accende la vera identità dell’anima e si diventa RAV MOSHE.

Tratto da uno scritto di Y. Y. Jacobson

ABRAMO: PREPARARE MATÀN TORÀ

Questo scritto analizza la sequenza delle prime tre parashòt del primo Libro della Torà (Bereshìt, Nòakh e Lekh Lekhà) che riflettono tre diverse epoche della storia spirituale dell’umanità.
In questa riflessione, il Rebbe analizza e spiega le origini spirituali che caratterizzano queste epoche. Il Rebbe si sofferma sul confronto, fatto dallo Zohar, tra Nòakh, che non pregò per la generazione distrutta dal Diluvio; Avrahàm, che pregò per gli abitanti di Sodoma, ma solo per il merito dei giusti; e Moshè, che difese le stesse persone che avevano fatto il vitello d’oro, pregando per tutti gli ebrei e non solo per i giusti tra loro.
Una Settimana Veramente Gioiosa

C’è un noto insegnamento del suocero del Rebbe, il Rebbe Rayàtz, su queste tre parashòt: “Bereshìt è una parashà gioiosa, poiché Hashèm ha portato all’esistenza il mondo e tutti gli esseri creati… ma la sua conclusione non è così piacevole (i peccati di quella generazione). Tuttavia, nel suo insieme, la parashà è gioiosa. Nòakh è la parashà del Diluvio; una settimana scoraggiante, ma si conclude con una nota allegra con la nascita del Patriarca Avrahàm. La settimana veramente gioiosa è quella della parashà Lekh Lekhà; poiché in tutta l’intera settimana viviamo con Avrahàm, il nostro Patriarca”.

Le parole del Rebbe, “La settimana veramente gioiosa è Lekh Lekhà”, indicano che anche il passo associato alla fine della Parashà Nòakh che parla della nascita di Avrahàm non è “veramente gioiosa”, come lo è la settimana in cui cade la Parashà Lekh Lekhà.

Dato che tutti gli eventi contenuti nella lettura settimanale della Torà sono correlati, se una parashà nel suo insieme è scoraggiante significa che c’è qualcosa che manca nella gioia, anche alla fine di quella parashà. Allo stesso modo, la parashà Bereshìt, anche se nel suo insieme è una parashà gioiosa, poiché la sua conclusione è “non così piacevole”, la gioia genuina manca nell’intera parashà.

Ciò richiede ulteriori spiegazioni: apparentemente, il contenuto delle parashòt avrebbe dovuto essere strutturato in modo diverso. Poiché nel complesso, se la parashà Bereshìt è “una gioiosa parashà” e la Parashà Nòakh nel suo insieme è “una settimana scoraggiante”, la conclusione “non così piacevole” della Parashà Bereshìt avrebbe dovuto essere logicamente collocata all’inizio della Parashà Nòakh e la conclusione “allegra” della Parashà Nòakh (la nascita di Avrahàm) avrebbe dovuto logicamente essere collocata all’inizio della Parashà Lekh Lekhà.

Tre Parashòt per Tre Servizi Divini

La spiegazione a quanto detto sopra sta nel fatto che ognuna di queste tre letture della Torà rappresenta una fase distinta nella storia spirituale del mondo. La superiorità della parashà Lekh Lekhà, rispetto alle due precedenti, è che “per tutta l’intera settimana viviamo con Avrahàm, il Patriarca più importante il pioniere del monoteismo”. Come è noto, la storia spirituale del mondo è divisa in tre ere di duemila anni: due millenni di caos, tòhu, due millenni di Torà e due millenni di preparativi per far giungere l’era messianica (notare bene che anche il periodo dell’era messianica è compresa in questi due millenni).
La seconda fase inizia con gli sforzi di Avrahàm nel diffondere la consapevolezza di Dio: Avrahàm, iniziò i preparativi per giungere al Dono della Torà sul Sinày. Come è noto, solo con Matàn Torà vi è stata veramente la connessione dei regni spirituali superiori con questa bassa terra fisica. Su questa base, è logico presumere che il vantaggio della parash Lekh Lekhà, che si concentra interamente sul nostro Patriarca Avrahàm il cui ruolo è preparare il mondo per il Dono della Torà, sicuramente avrà a che fare con il tema dell’unione del mondo spirituale con quello fisico.
Questo tema serve a spiegare il perché la parashà Lekh Lekhà è la terza lettura della Torà, proprio come la Torà che viene data nel terzo mese, che poi è divisa in tre parti. Infatti Bereshìt, la prima parashà, si concentra sul tema della Creazione, dove Hashèm fa nascere il mondo e questo esprime il potere dei regni superiori; il tema della Parashà Nòakh, la seconda, è il raffinamento dei regni inferiori realizzato attraverso il servizio divino di Nòakh, “l’uomo giusto”, e in particolare, attraverso il Diluvio che aveva lo scopo di purificare il mondo dalla sua impurità spirituale; il tema della Parashà Lekh Lekhà, la terza, è la fusione dei regni superiori e inferiori.
Riassumendo: a) nella prima fase, Bereshìt, l’enfasi è sulla rivelazione dall’Alto, quindi lo stato del mondo in cui ha luogo quella rivelazione non è significativo, poiché la rivelazione di Hashèm è infinita e illimitata. b) La seconda fase, Nòakh, mette in evidenza il raffinamento del regno inferiore, poiché in questa fase Hashèm si “relaziona” al regno inferiore non come Egli è nella Sua infinità, ma come Lui desidera debba essere la condotta delle persone in basso. c) Nella terza fase, Lekh Lekhà, Dio rivela la Sua infinità, ma permette che essa sia interiorizzata nell’uomo, così come egli esiste in questo regno inferiore.
Su questa base si può capire il perché la parashà Nòakh si apre con il versetto (6, 9) “Queste sono le discendenze di Nòakh” e non con la sua nascita. Il motivo è che il fulcro di questa parashà è ciò che Nòakh ha ottenuto attraverso il SUO servizio divino, come evidenza Rashi che la parola toledòt “prole/discendenza” intende anche che le progenie dei giusti sono le loro buone azioni che LUI ha realizzato. Tuttavia, questo concetto non si applica alla nascita di Nòakh che non è una conseguenza del lavoro di Nòakh, perciò è scritto proprio alla fine della parashà Bereshìt (6, 8) che “Nòakh trovò grazia agli occhi di Hashèm”, ossia che la cosa avvenne non come risultato del servizio di divino di Nòakh, ma in virtù di un risveglio dall’alto, cioè unicamente su iniziativa di Dio. Riassumendo, la cosa significativa da notare è che mentre le discendenze di Nòakh si trovano proprio all’inizio della omonima parashà, perché sono considerate frutto del servizio svolto da Nòakh, quindi in base alla sua condotta umana; la parashà Bereshìt che, come detto sopra, si caratterizza dalla rivelazione dall’alto al basso dell’infinito divino, come un sorta di dono, finisce mettendo in luce il fatto che Hashèm ha deciso di Sua iniziativa che Nòakh nascesse come un uomo che “aveva trovato grazia” di fronte a Lui.
Allo stesso modo, alcuni aspetti della vita di Avrahàm sono raccontati specificamente nella parashà Nòakh e non in quella di Lekh Lekhà, perché il suo servizio divino nella preparazione al Dono della Torà (la fusione di spirituale e fisico) iniziò con (e continuò dopo) il comando di Dio a Avrahàm: Lekh Lekhà, “Vai per te”, quando lasciò la terra di Kharàn e si recò in terra d’Israèl. Al contrario, la nascita di Avrahàm, assieme il suo servizio divino che hanno preceduto questo viaggio, furono principalmente una continuazione e un compimento della raffinatezza e dell’elevazione dei regni inferiori iniziata con il servizio divino di Nòakh e per questo si trovano in quella parashà e non in quella successiva di Lekh Lekhà.
Nòakh, Avrahàm e Moshè. Chi Prega e Perché?
È necessaria una spiegazione preliminare per capire come mai il servizio divino di Avrahàm, che costituiva la preparazione per Matàn Torà, iniziò specificamente dopo aver ricevuto il comando di Dio, Lekh Lekhà -“Esci”. Il Midràsh (Bereshìt Rabbà 39, 6) associa questo comando con l’atto di Avrahàm di implorare la misericordia di Hashèm per gli abitanti di Sodoma. In questo, Avrahàm differiva da Nòakh che non implorò la misericordia di Dio per la generazione distrutta dal Diluvio. L’appello di Avrahàm per ottenere da Hashèm misericordia per gli abitanti di Sodoma comprendeva la richiesta che fossero salvati solo nel merito degli individui retti che avrebbero potuto vivere lì. Come spiega lo Zohar (vol. I pag 106), poiché le sue suppliche erano basate sul merito dei giusti, ma dopo che ha udito che nella città non si trovavano dieci giusti, cessò le sue suppliche. Al contrario, Moshè ha difeso le persone che hanno creato il vitello d’oro, tutte indistintamente. Quindi la domanda è, se rispetto a Moshè, Avrahàm non agì in modo del tutto appropriato, perché la sua supplica a Dio per il popolo di Sodoma era limitata, come è possibile che tale condotta sia associata alla fase iniziale dei preparativi per il Dono della Torà?
La risposta è che l’interrelazione dei regni spirituali superiori con i regni materiali inferiori non iniziò effettivamente fino al Dono della Torà; quindi, Il servizio divino di Avrahàm era solo un passo preparatorio. Pertanto, le sue suppliche a favore degli indegni abitanti di Sodoma (che simboleggiavano i regni inferiori e materiali) non potevano essere a causa del loro bene, ma nel merito dei giusti, poiché in quel momento la luce infinita non poteva ancora incidere sulla materia, ossia sui malvagi abitanti di Sedòm. Dunque, i tre diversi modelli di condotta – quello di Nòakh, Avrahàm e Moshè – sono caratteristici delle tre ere in cui vissero: l’era precedente ai preparativi per il Dono della Torà (Nòakh), l’era in cui iniziano i preparativi (Avrahàm), e l’era del Dono della Torà con Moshè.
Durante l’era di Nòakh, l’era precedente ai preparativi per il Dono della Torà, i regni spirituali superiori non avevano alcun collegamento con i regni materiali inferiori. Per questo Nòakh non pregò per la generazione distrutta dal Diluvio. Durante la seconda era, quella di Avrahàm, quando iniziarono le basi per l’interrelazione tra i regni superiori spirituali e inferiori materiali, Avrahàm pregò per gli abitanti di Sodoma, ma solo nel merito dei giusti. E nella terza era, quella di Moshè, quando quell’interrelazione era già stata realizzata, Moshè difese proprio le persone che avevano fatto loro stessi il vitello d’oro, pregando non solo nel merito dei giusti.

L’Insegnante e lo Studente
La seguente analogia della vita quotidiana può chiarire la distinzione tra queste tre ere e le diverse condotte di Nòakh, Avrahàm e Moshè. Essa evidenzia anche la differenza tra l’era di Nòakh, in cui iniziò il raffinamento del mondo, e l’era raccontata in parashà Bereshìt, in cui l’afflusso di energia divina trasmessa al mondo avvenne esclusivamente su iniziativa di Dio, malgrado vi fossero allora anche parecchi giusti che prestavano servizio divino.
In generale, vi sono tre metodi che un insegnante impiega per istruire uno studente: a) Un approccio elementare in cui l’insegnante comunica un concetto profondo allo studente e nient’altro, senza inculcargli un modo di pensare che gli permetta di comprendere tali concetti da solo. b) Un approccio più completo, quando l’insegnante mostra allo studente come comprendere, consentendogli di cogliere le idee da solo.
Ciascuno di questi due metodi possiede un vantaggio che manca nell’altro. Quando si parla di sviluppo delle capacità dello studente, il secondo metodo è chiaramente più efficace, perché l’influenza dell’insegnante modella i processi di pensiero dello studente, consentendogli così di comprendere le idee da solo. Tuttavia, se vogliamo valutare in quale dei due metodi l’insegnamento del maestro è più completo, siamo sicuri che la concezione che lo studente coglierà da solo (attraverso il modo di pensare che l’insegnante gli ha impartito) è di valore inferiore, rispetto alla completezza del concetto di come è nella sua origine nel livello dell’insegnante.
c) C’è ancora un terzo metodo di insegnamento, che incorpora le virtù di entrambi due approcci: l’influenza dell’insegnante ha un effetto così comprensivo sulla mente dello studente che il suo modo di pensare diventa simile a quello dell’insegnante. Ciò consente allo studente di afferrare idee alte e astratte da solo, in un modo simile a quello del suo insegnante.

Tre Diversi Tipi di Servizio Divino
Le differenze tra questi tre modelli di istruzione spiegano e mettono in parallelo le differenze tra le tre ere descritte nelle parashòt Bereshìt, Nòakh e Lekh Lekhà.
Il servizio divino degli uomini retti che vissero nelle dieci generazioni da Adamo fino a Nòakh, la prima era, è stato motivato principalmente da un’eccitazione dall’Alto e non tanto dalla forza e l’iniziativa degli stessi individui retti. Ad esempio, Khanòkh che era un uomo giusto, nonostante vivesse in una generazione depravata, nonostante ciò, se Khanòkh fosse rimasto più a lungo tra la gente della sua generazione non sarebbe riuscito a resistere al male del suo ambiente, perciò Hashèm lo ha allontanato da questo mondo anticipatamente (Bereshìt 5, 24). Il motivo di questo è che la sua condotta giusta non era principalmente una conseguenza della sua stessa iniziativa, ma piuttosto un risultato della luce divina dall’Alto. Se fosse rimasto più a lungo in quel mondo depravato, probabilmente sarebbe sceso a un livello in cui la luce dall’alto non sarebbe più potuta arrivare a lui, pertanto non sarebbe stato più in grado, solo grazie al proprio potere, di mantenere l’alto livello di rettitudine che aveva in precedenza. Ciò riflette il primo approccio nell’analogia data in precedenza, punto a): sebbene lo studente comprenda e lavori con il concetto che l’insegnante gli ha trasmesso è comunque incapace di sviluppare nuovi concetti di propria iniziativa.
Invece, il servizio divino degli uomini retti, la seconda era, che vissero nelle dieci generazioni da Nòakh ad Avrahàm era di natura diversa. Essi furono spinti principalmente non dalla luce divina dall’alto, ma dal potere e dall’iniziativa di Nòakh e di coloro che lo seguirono. Di conseguenza, il loro servizio divino si relazionava e aveva un effetto sul mondo che li circondava. Così, lo stesso Nòakh non solo era “un uomo perfettamente giusto nelle sue generazioni” (6, 9) e non poteva facilmente lasciarsi convincere a fare il “male”, ma secondo il Talmud (Sanhedrìn 108a), Nòakh rimproverò anche la generazione distrutta dal Diluvio e la esortò a pentirsi. Tanto più questo vale per l’era immediatamente successiva al Diluvio, quando attraverso i sacrifici che offrì, Nòakh evocò la promessa di Dio (8, 21-22): “Non maledirò mai più la terra… giorno e notte non cesseranno di esistere.” E poi Hashèm gli mostrò “il segno dell’alleanza” (9, 12) l’arcobaleno, che riflette la raffinatezza di questo piano dell’esistenza fisica: prima del Diluvio, infatti, il mondo era di natura grossolana e la materia era rozza e le goccioline d’acqua sospese nel cielo non erano sufficientemente raffinate per rifrangere la luce del sole. Quindi, in tutti quegli anni non c’è mai stato un arcobaleno, ma il diluvio e poi le offerte di Nòakh hanno portato al perfezionamento del mondo materiale necessario per consentire l’apparizione di un arcobaleno.
Tuttavia, il fatto stesso che il servizio divino di quel tempo avesse una connessione con questo regno basso e materiale che è incomparabile con il Divino “superiori”, ha portato a una limitazione: la rivelazione che è stata suscitata attraverso il servizio divino di questi uomini retti ha subito numerose e grandi contrazioni, in modo che dovesse limitarsi e adattarsi secondo la struttura dei regni materiali, come il secondo alunno che limita molto l’insegnamento del maestro. Ora, è possibile interpretare l’affermazione dei nostri Saggi nel Midrsh (Bereshìt Rabbà 32, 6): “Nòakh era privo di fede”. La comprensione del Divino da parte di Nòakh era principalmente focalizzata su quei concetti che possono essere afferrati dalla mente di un mortale, cioè, delle persone in questo umile regno; gli mancava però la comprensione di quelle dimensioni che possono essere comprese solo attraverso la fede, dimensioni che riflettono i regni superiori. Pertanto, solo in questo senso Nòakh è descritto come “mancante di fede”. Per fare sempre riferimento alla analogia dello studente e dell’insegnante, punto b), in cui l’influenza dell’insegnante consente allo studente di sviluppare le proprie comprensioni di natura limitata e sono incomparabili a quelli del maestro.
Invece, il servizio divino di Avrahàm combinava entrambe le virtù sopra descritte. L’inizio e il fondamento del suo servizio divino erano basati sulla logica, sulle prove dell’esistenza di Dio che aveva derivato osservando i fenomeni in questo mondo, cioè la sua consapevolezza di Dio in relazione a questo umile regno materiale. Nello stesso tempo, tuttavia, esibiva una fede perfetta: non mise in dubbio la condotta di Hashèm e si dedicò alla pietà con fede ingenua, con devozione di semplice servitore. Per fare riferimento all’analogia di cui sopra: questo assomiglia al terzo punto c), in cui la capacità intellettuale dello studente si sviluppa fino ad assomigliare alla capacità intellettuale del suo insegnante.

I Preparativi per la Luce Illimitata
L’analogia usata sopra per il servizio divino di Avrahàm che ha solo preparato l’interrelazione dei regni spirituali superiori con i regni materiali inferiori, opera che è stata determinante per ricevere il Dono della Torà, non è la descrizione dell’evento che si è verificato a Matàn Torà: la totale unione tra i regni spirituali superiori con i regni materiali inferiori. Sebbene, come spiegato in precedenza, Abramo avesse effettivamente iniziato il processo per spianare la strada al Dono della Torà, il suo servizio divino e quello dei suoi immediati discendenti non hanno colmato il divario che separa i regni inferiori dai regni superiori, poiché hanno semplicemente avviato il processo che ha consentito di stabilire una vera connessione tra i mondi inferiori e superiori.
Nell’analogia fatta sopra, punto c), quando l’insegnante ha la forza di raffinare e sviluppare la mente dello studente al punto che le sue capacità arrivano a somigliare a quelle dell’insegnante, poiché per arrivare a ciò lo studente deve già avere un buon livello intellettuale, quindi l’intelletto dello studente non è un livello veramente inferiore.
Ancora di più, poiché le doti intellettuali dello studente diventano come quelle del maestro, allora il legame tra insegnante e studente esiste solo al livello in cui la mente dello studente è diventata raffinata e sviluppata attraverso l’influenza dell’insegnante, ma non come la mente dello studente esiste in sé e per sé, prima di ricevere questa influenza.
Per cui questa unione non è il vero legame tra superiore e inferiore, la fusione dei regni spirituali con i regni materiali che sono stati determinati dal Dono della Torà per via di due principali aspetti:
1) la fusione fu stabilita quando i regni inferiori non avevano alcun collegamento con i regni superiori. Infatti, fino al Dono della Torà esisteva una ghezerà, “un decreto” che separava e i due regni l’uno dall’altro. La fusione dei due regni è stata resa possibile solo in virtù dell’infinito potere di Hashèm che non ha limiti e che, pertanto, è capace di unire gli opposti; 2) quindi, la fusione che Matàn Torà ha unito anche il livello che dei regni inferiori nella parte materiale più bassa.
È vero che la rivelazione avvenuta al momento del Dono della Torà avvenne solo dall’Alto mentre questo mondo umile è rimasto nel suo stato naturale senza essere stato raffinato. Pertanto, la relazione tra il Divino e il mondo fisico è apparentemente paragonabile solo al primo metodo di influenza impiegato da un insegnante per impartire la conoscenza uno studente. Tuttavia, al momento del Dono della Torà è stato concesso anche il potenziale per il servizio divino che sarebbe seguito a questo evento per avere un effetto sul mondo fisico e trasformarlo in un recipiente, un mezzo, non solo per trasmettere la luce divina che viene erogata secondo i limiti del mondo, ma anche per trasmettere l’infinita luce divina che non ha limiti. Invero, attraverso questo servizio divino, il mondo sarà una dimora per l’Essenza di Dio nella futura era messianica.

La Necessità di un Amore Radicale
Paralleli ai quattro stati di interrelazione sopra descritti esistono anche attualmente nel servizio divino di ogni individuo.
a) Un modo è parallelo al servizio divino svolto nell’era da Adamo a Nòakh: un servizio sollecitato da un’eccitazione dall’alto, motivato dall’anima, ma che non coinvolge il corpo. È vero, la persona osserva la Torà e le sue mitzvòt con il suo corpo fisico. Tuttavia, il suo intento e i suoi sforzi non sono diretti a influenzare, raffinare ed elevare il corpo. Il corpo è semplicemente un mezzo che gli consente di svolgere il servizio divino. Tanto più una tale persona non è concentrata sull’influenzare e raffinare il mondo che lo circonda.
b) Un secondo modo in cui l’uomo si relaziona con Dio corrisponde al servizio divino svolto nell’era da Nòakh ad Avrahàm: un servizio che nasce dal desiderio degli esseri umani nei regni inferiori di raffinare ed elevare quel regno. In questa modalità, una persona è focalizzata sul corpo e sul mondo che lo circonda, cercando di trasformare il mondo in una dimora per Hashèm. Tuttavia, gli manca la volontà di trascendere la considerazione di se stesso nella misura in cui si sacrifica per realizzare l’intento di Dio che il mondo sia la Sua dimora. Pertanto, agisce solo nella misura in cui sente di doverlo fare, facendo solo ciò che gli è necessario per assolvere la sua responsabilità.
La logica è che quando i regni superiori e i regni inferiori non sono collegati, anche quando un essere limitato (che come parte del regno inferiore) si dedica a soddisfare il desiderio di Dio di dimorare in quei regni, la sua dedizione è limitata, poiché il suo impegno è solo nella misura in cui l’intento di Dio lo illumina, ma non è dedito all’intento del Divino come è nella Sua essenza. Ad esempio, una tale persona cercherà di motivare altre persone e di avvicinarli alla Torà e alle mitzvòt, tuttavia, i suoi sforzi saranno calcolati, estendendosi solo nella misura in cui adempirà il suo obbligo, poiché la sua principale preoccupazione sarà quella di assolvere la sua responsabilità, più che di avvicinare l’altra persona alla Torà. Tale approccio è parallelo alla condotta di Nòakh nei confronti del popolo della generazione distrutta dal Diluvio. Sebbene li abbia rimproverati giorno dopo giorno (Zòhar vol. I pag 68bis) nel corso di 120 anni, lo ha fatto principalmente perché gli era stato comandato di farlo. Perciò, quando il suo rimprovero e la sua supplica di pentirsi rimasero inascoltati, egli non li difese davanti a Dio, né implorò per loro la Sua misericordia con sacrificio di sé.
c) Un terzo approccio attraverso il quale l’uomo si relaziona con Dio è parallelo al servizio divino nell’era della preparazione a Matàn Torà (Abramo). In questo contesto si può già apprezzare la possibilità di una fusione tra i regni superiori e inferiori. Pertanto, una tale persona si impegna anche ad arrivare all’autosacrificio, per adempiere l’intento di Hashèm di fare del mondo una dimora per Lui, e tanto di più, cercherà di avvicinare altre persone alla Torà e alle mitzvòt. Comunque, questo approccio ha anche i suoi limiti, poiché è vero che la persona si rivolge a un’altra persona, tuttavia, il suo intento sarà solo quello di ELEVARE quella persona per avvicinarla alla Torà e a Dio. Non è impegnato con la persona così come esiste nel suo attuale stato umile. Inoltre, si sforza di avvicinare al servizio divino solo gli individui che ritiene siano potenzialmente elevabili da un livello inferiore e che sono attratti da Hashèm. Questo approccio si riflette nella condotta di Avrahàm. È vero che si è dedicato alle persone della sua generazione con abnegazione, senza alcuna preoccupazione per il proprio interesse personale, sforzandosi che le persone riconoscessero che il mondo stesso è uno con Dio. Avrahàm giunse al punto di pregare in difesa degli abitanti di Sodoma. Tuttavia, la sua preghiera consisteva semplicemente nella richiesta che gli abitanti di Sodoma fossero salvati per il merito dei giusti che vi si trovano. E quando Avrahàm scoprì che a Sodoma non si trovavano nemmeno dieci uomini retti, smise di pregare.
d) Il quarto modo è quando una persona ama il prossimo come ama se stesso, cioè con un amore essenziale che supera la ragione e la logica. Per questo è disposto a sacrificarsi per l’altro, anche quando intellettualmente non vede l’altro come dotato di virtù. Inoltre, le sue azioni non si basano sul ragionamento che “forse c’è la possibilità che si possa avvicinare quella persona alla Torà e al servizio divino”, ma solo in virtù dell’amore essenziale che possiede per lui. Ciò è parallelo alla fusione dei regni spirituali superiori con i regni materiali inferiori che è stata determinata con il Dono della Torà, un legame che si estende e comprende gli esseri creati in questo mondo umile poiché esistono a pieno titolo, in uno stato umile. Questo approccio è parallelo alla condotta di Moshè, che era il mezzo attraverso il quale è stata data la Torà e con il quale la Torà è identificata. Si alzò per le persone che modellavano e adoravano il vitello d’oro fino al sacrificio di sé, dicendo audacemente a Dio: “Se non li salvi, cancellami” e inoltre non ha smesso di pregare fino a quando Dio gli ha detto: “Ho perdonato loro, come hai chiesto”.

Uscire dai Propri Limiti
Sulla base di quanto sopra, è ora possibile capire perché la preparazione per la fusione dei regni spirituali superiori e dei regni materiali inferiori determinata da Matàn Torà, iniziò con il comando di Dio ad Avrahàm: “Vai per te”. Quando il servizio divino nel trasformare il mondo in una dimora per Dio è motivato principalmente dai suoi interessi spirituali – per adempiere ai suoi obblighi o simili – c’è qualcosa di fondamentalmente carente in ciò che riuscirà a fare in questo mondo. Un esempio di questo è quando una persona rimprovera un’altra solo perché cerca di adempiere il comando di rimproverare chi trasgredisce i precetti della Torà, e anche quando lo fa cento volte, non avrà un effetto così potente come un rimprovero dato perché uno ha a cuore l’altro e cerca il suo benessere. Questo spiega anche come il motivo per cui gli ammonimenti di Nòakh non hanno influenzato le persone e non le hanno motivate a pentirsi era che non era sinceramente impegnato per il loro benessere.
Al fine di apportare un cambiamento significativo nel mondo, anche in un modo simile a quello che fece Avrahàm prima del Dono della Torà, e quanto più oggi, una persona deve “uscire”, ossia lasciare dietro di sé le proprie preoccupazioni. Deve partire “dalla sua terra, dal suo luogo di nascita e dalla casa di suo padre”. Queste condizioni sono interpretate dalla Chassidut come un richiamo alla volontà individuale, alle abitudini radicate e ai tratti caratteriali innati, e al modo di pensare e questo include i desideri, anche quelli che hanno origine nella santità.

Interiorizzare la Vera Gioia
Le spiegazioni di cui sopra, consentono anche di chiarire il proverbio citato inizialmente che anche se “Bereshìt (nel suo insieme) è un gioioso parashà e… (la fine della parashà) Nòakh è allegra…, la settimana veramente gioiosa è Lekh Lekhà.”
La gioia della parashà Bereshìt deriva dal fatto che Hashèm ha portato all’esistenza il mondo e tutti gli esseri creati. Tuttavia questa gioia è incompleta, poiché portare il mondo in essere dal nulla assoluto rivela un potere divino che non è definito in quanto illimitato, sia nel non essere che nell’essere: il passaggio dal non essere all’essere richiede un potere così illimitato che è una delle prove dell’affermazione che la creazione dell’esistenza deriva dal potere dell’essenza di Hashèm. Dato che il mondo, come descritto nella parashà Bereshìt, esisteva in un modo che il suo stesso essere esprimeva il potere di Dio, quindi era estraneo alla dimensione interiore del mondo così come esiste di per sé. Di conseguenza, la rottura dei confini tra il non essere e l’essere non riceve piena enfasi, poiché il concetto che il potere di Hashèm sia del tutto illimitato è accettato come un dato di fatto e questo rende la gioia imperfetta. Questa imperfezione deriva dal fatto che nell’era descritta nella parashà Bereshìt, il mondo è stato mantenuto solo come risultato del potere di Hashèm, dall’Alto. Questo si manifestò nella diffusa decadenza della generazione del diluvio che portò al desiderio di Dio di cancellare tutta l’esistenza, come descritto alla fine della parashà. Perché, gli esseri creati non avevano iniziato il compito di raffinamento.
Così anche per quanto riguarda la fine di parashà Nòakh: il fattore che porta alla gioia è la nascita di Avrahàm, il primo ad aver iniziato i preparativi per l’annullamento del decreto che separa i regni spirituali superiori da quelli inferiori, regni materiali. Tuttavia, poiché i preparativi effettivi per il Dono della Torà dovevano ancora iniziare, come accennato in precedenza, quei preparativi sono iniziati solo dopo il comando “Vai per te”, pertanto la gioia è ancora incompleta.
È specificamente è solo con la parashà Lekh Lekhà che descrive l’inizio effettivo dei preparativi per l’interrelazione tra i regni spirituali superiori e i regni materiali inferiori, che è “la settimana veramente gioiosa”.

Traduzione integrale di una riflessione del Rebbe di Lubavitch MHM, Likuté Sikhòt vol 15

In questa Parashà HaShèm ordina ad Avràm di lasciare la sua terra natale per una meta che gli indicherà. Tratta inoltre del rapimento di Sarài da parte del faraone.
HaShèm promette ad Avràm la terra di Israele, che avrà un figlio ed una discendenza numerosa come le stelle, cambia il nome di Avràm in Avrahàm e di Sarài in Sarà.

La Parashà di Lekh Lekhà contiene una mitzvà positiva la circoncisione. (17, 10)

Anche oggi, nella settimana di “Avrahàm”, pubblichiamo un estratto del volume “Saggezza Quotidiana”, pubblicato da Mamash, basato sugli insegnamenti del Rebbe e dei suoi predecessori.
Lekh Lekhà è la parashà della Torà che introduce il grande patriarca Avrahàm. Questa figura ha delle caratteristiche uniche che non troviamo in nessun altro personaggio storico. Nonostante che Avrahàm sia nato quasi 4.000 anni fa, la sua vita, i suoi insegnamenti e l’esempio della sua condotta sono considerati, ancora oggi, universalmente fondamentali da quasi tutte le religioni e da moltissime persone.
Cosa ovvia è che il “primo monoteista della storia”, nonché “primo ebreo”, sia centrale e rilevante per una religione come quella ebraica che fonda lo scopo stesso della sua esistenza proprio su queste caratteristiche. Meno ovvio e scontato, invece, è il fatto che molti altri credi e religioni che provengono da esperienze e storie diverse e che nel corso dei secoli, spesso, sono state in conflitto tra loro, riconoscano un ruolo centrale e addirittura esemplare a questo grande personaggio.
I motivi possono essere molti, libri interi si potrebbero scrivere sui “perché” e i “per come” di questo incredibile fenomeno. Oggi invece ci preme riflettere sinteticamente su un aspetto che riteniamo centrale: l’amore.

Amore di Manna
Avrahàm è l’archetipo stesso di questo sentimento, tanto da essere uno il personaggio della Torà più conosciuto e caratterizzato proprio grazie all’amore universale e alla portata di tutti. Chi non apprezza o non sa riconoscere l’amore? Chi non ha pronunciato almeno una volta tale parola con una stretta al cuore? Chi non pensa di aver mai provato tale sentimento nei confronti di qualcuno almeno una volta nella sua vita?
Questo è uno dei sentimenti più potenti ed eterni creati da Hashèm. Non a caso l’amore è associato all’acqua. Questo fluido è un eterno “inno alla vita allo scorrere e al fluire” di qualcosa verso qualcos’altro. Proviamo a pensare all’acqua di un torrente, di una fonte o di una cascata. Anche l’amore di Dio scorre e fluisce sempre e con forza e come tale promuove la vita, dissetandoci e purificandoci. La parola in ebraico di acqua – Màyim (מָים) – ha lo stesso valore ghematrico, 90, della parola – Manna (מן): il mitico cibo che ha nutrito il popolo ebraico nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto. Cibo santo ed etereo che veniva formato solo grazie all’infinito amore di Hashèm per il Suo popolo.
Anche oggi tante persone – che magari non si comportano sempre come un modello di vita, che a volte possono essere anche lontani dai principi del monoteismo – agiscono ho hanno agito sulla base di questo sentimento eterno. Noi stessi possiamo testimoniarlo! Chi non ha mai agito “irrazionalmente” contro ogni evidenza mosso solo da un grande sentimento di amore verso, ad esempio, il proprio figlio, verso Dio, oppure verso un semplice sconosciuto che aveva solo bisogno di aiuto? Chi di fronte a una persona che è capace di “annullarsi” di fronte a un bisognoso non ha mai provato un sentimento misto di “invidia” e “ammirazione”? L’amore di Avrahàm è l’archetipo di un sentimento potente ed eterno che a volte fa somigliare l’uomo a Dio collegandolo a Lui e alla Sua volontà. In una maniera che solo poche altre cose possono eguagliare. Non a caso l’ebraismo associa Hashèm stesso e la sua creazione all’amore tanto che si afferma che tutto è fondato su questo sentimento.

L’Essenza Umana
Per ultimo è bene sottolineare anche come la parola Lekh Lekhà può essere tradotta anche come “vai verso di te”, ossia verso il vero il vero “Se” delle persone. La frase, il titolo stesso della parashà di questa settimana, non si riferisce solo ad Avrahàm, ma anche ad ogni essere umano. Questo concetto si collega con quanto detto sopra, circa il fatto che l’Amore è uno dei sentimenti e/o caratteristiche più vicine all’essenza di Hashèm e di conseguenza alla creazione. Proviamo a riflettere su questo per un momento ponendoci una domanda fondamentale: che motivo aveva ed ha Dio di creare e ricreare tutto l’esistente? Lui la perfezione assoluta, l’esistenza e l’origine di ogni cosa anche di ciò che non può essere neanche immaginato da “noi mortali” che motivo aveva per creare l’uomo? Che bisogno ha Dio di noi e della sua creazione? Hashèm non ha bisogno di nulla!
Una risposta la possiamo trovare proprio nell’essenza stessa dell’Amore. Chi ama è mosso esclusivamente dal desiderio di dare in maniera irrazionale, senza un motivo logico. Allo stesso modo all’origine di tutto, Hashèm desiderava dare creare un qualcosa che potesse sentirsi esistente e crescere, migliorare ed evolvere attraverso il libero arbitrio.
Così anche dentro ognuno di noi vi è un’anima che è parte o deriva da Hashèm e quindi anche l’amore fa parte della nostra essenza, del “nostro Io”. Pertanto, quando nella Torà è scritto che Hashèm ordina ad Avrahàm di “andare dentro si se” è come se Dio invitasse ognuno di noi a rivelare l’amore infinito che è dentro di noi, un riflesso dell’essenza di Dio.
Nell’augurare un caro Shabbàt Shalom e un buon proseguo di lettura, ricordo che grazie all’amore potremmo realizzare lo scopo stesso della creazione e rivelare con l’arrivo di Mashìakh l’essenza di Hashèm in questo mondo materiale.

Trasformare una Discesa in Salita

La prima sfida che Avrahàm affronta nella Terra Promessa è la carestia, che avviene subito dopo il suo arrivo e che lo costringe a trasferirsi temporaneamente nel vicino Egitto.

וַיְהִי כְּבוֹא אַבְרָם מִצְרָיְמָה וגו׳: (בראשית יב, יד)
Quando Avrahàm giunse in Egitto. (12, 14)

Invece di permettergli di proseguire il suo rinnovamento monoteistico nella Terra Promessa di Hashèm, Avrahàm viene gettato nella fortezza del paganesimo più grande del mondo. Com’è paradossale vedere questo “ambizioso monoteista”, improvvisamente ridotto a cercare misericordia in un ambiente culturale che si prende gioco di ogni suo ideale.
Eppure, in un rovesciamento miracoloso della sorte, Avrahàm ben presto si accorge che gli egizi implorano la sua pietà e poco dopo lo rimanderanno alla terra d’Israèl con una ricchezza maggiore, con una reputazione più grande e accompagnato da Hagàr: la principessa egizia che diventerà la madre di Yishmaèl (Ismaele), il suo primo figlio. Da allora, è diventato evidente come questa regressione apparente è in realtà uno stadio ulteriore nell’evoluzione di Avrahàm verso i suoi obiettivi.
Allo stesso modo, non dobbiamo mai farci intimidire dal mondo: né da quello fuori di noi, né da quella parte di “mondo” dentro di noi composta dai nostri desideri personali, paure o nozioni preconcette. Una volta che rispondiamo alla chiamata di Hashèm di “andare, verso noi stessi”, non siamo più legati dai limiti delle nostre capacità; anche le palesi regressioni si dimostreranno, alla fine, una parte integrante del processo che ci porterà verso realizzazioni sempre più elevate del nostro scopo divino in questa vita.

Una caro Shabbàt Shalom

Rav Shlomo Bekhor

3° Lekh Lekhà: IO SONO IO, PERCHÉ SONO IO!
https://youtu.be/cEgJaMigvfQ

https://www.facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10158727535145540
Come Tornare Al Vero “Io”
Come mai il primo comandamento monoteistico al mondo che Hashèm da ad Avrahàm è Lekh Lekhà? Come mai è così importante questo comandamento al punto di essere l’inizio di tutte le religioni monoteistiche?
Perché vengono elencati proprio tre tipi di uscite: paese, comunità e casa paterna? L’ordine è insensato perché se Avrahàm è uscito dal paese è già uscito anche dalla casa di suo padre?
Perché non viene specificato il luogo dove deve andare bensì solo: “alla terra che ti farò vedere”?
Da un discorso spaziale del Rebbe su Lekh Lekhà, nell’anno 1989 che ho avuto l’onore di sentire direttamente, apprendiamo una nuova lettura futuristica legata al nostro millennio e di quanto sia importante superare ogni tipo di blocco del passato per poter avere successo nella nostra missione.
Abramo deve uscire dai blocchi emozionali del passato, traumi che potrebbero limitare la sua nuova grande MISSIONE di portare il monoteismo al mondo.

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MIDRASHIM

Alcune riflessioni:
Va’ Via dalla Tua Terra Bereshìt 12, 1-5 Midrash Bereshìt Rabbà 39-41; Midràsh Aggadà 12 (a pagina 634 del volume Bereshìt edizioni Mamash).

L’Ottava Prova:Brit Milà Bereshìt 17, 10-12 Midrash Bereshìt Rabbà 46-47; Tifèret Tziyòn; Midràsh Tankumà Vayerà 4 (a pagina 636 del volume Bereshìt edizioni Mamash).

LEKH LEKHA 5772 – PERCHE’ DOBBIAMO FATICARE PER LAVORARE?
Come mai Avrahàm sogna di ricevere la terra che gli era promessa, solo quando arriva in Terra Santa e vede le persone lavorare i campi con fatica ?

LEKH LEKHA 5771 – AVRAHAM:L’EDUCAZIONE E L’AMORE
Una riflessione sull’importanza dell amore nell’educazione e nei rapporti con il prossimo. L’importanza dell’ospitalità.

LEKH LEKHA 5769 – AVRAHAM: UNO DEI 5 POSSESSI DI HASHEM NEL MONDO
Una riflessione meravigliosa sul valore dell’identità di Avrahàm Avinu e sull’essenza della fede ebraica. Prendendo spunto dalla penultima mishna delle Massime dei Padri Avrahàm viene esaltato come uno dei 5 POSSESSI di Hashem nel mondo. La lezione approfondisce questo tema mettendo in luce la grandezza del patriarca fondatore della fede ebraica.

LEKH LEKHA 5768: COME RETTIFICARE L’AMORE VERSO DIO
Un percorso kabbalistico che unisce Avraham, il primo Patriarca, ai tre protagonisti dell’Eden, una lunga strada per la rettificazione della materia ed essere vicini alla Santità dell’Altissimo.

LEKH LEKHA 5767 AVRAHAM-COME CAMBIARE LE NOSTRE ABITUDINI
Avrahàm un esempio su come possiamo cambiare le nostre abitudini.

LEKH LEKHA 5766: AVRAHAM, EBREO PER SCELTA!
La lezione prende spunto dall’assenza di descrizione nella Torah dei primi 75 anni di Avraham, per analizzare le origini del Popolo ebraico, descrivendo gli elementi profondi radicati nella scelta del primo convertito della storia, nell’unicità di vivere secondo la volontà di D-o.