VAYESHEV e CHANUKÀ 5785: 8 LEZIONI

Questo Shabbàt 21 Dicembre 2024, 20 del mese di Kislèv 5784 leggeremo

la Parashà di Vayèshev Gen. 37,1-40,23

Si legge l’Haftarà di Amos 2:6 – 3:8

siamo arrivati alla nona parashà che anticipa sempre la festa di Khanukkà.
Questo venerdì e Shabbàt festeggiamo il 19/20 di Kislèv il capodanno della chassidut, quando Rabbi Shnèur Zalman è uscito dalla prigionia e ha iniziato a divulgare la chassidut e la mistica ebraica.
A questo riguardo diceva spesso il grande maestro:
“In cielo, puoi scoprire il Dio dei cieli. Solo nelle trincee puoi incontrare il Dio che è sopra il cielo” (Rabbino Shneur Zalman di Liadi)

Il Dramma di Yossèf

Questo è uno degli episodi più carichi di emozioni della Torà. Yossèf, su istruzione del padre, fa visita ai fratelli, che stanno pascolando il gregge di Ya’akòv nella città di Shekhèm (Nablus).

I fratelli, che disprezzano Yossèf, lo scorgono da lontano e si rendono conto che, senza nessuno che li veda, possono uccidere Yossèf e inventare una storia che sarà impossibile da confutare.
Solo Reuvèn, il maggiore tra i fratelli, protesta. Il testo biblico afferma (Vayèshev 37, 21 – 22): “Reuvèn udì e lo salvò dalle loro mani. Disse: «Non uccidiamolo!». Reuvèn disse loro: «Non versate sangue. Gettatelo in questa fossa che è nel deserto: non mettetegli le mani addosso». [Disse ciò] per salvarlo dalle loro mani”.
È interessante notare come la Torà raramente descrive le pulsioni interiori delle persone. In questo caso, tuttavia, la Torà fa un’eccezione, rivelandoci le vere motivazioni di Reuvèn, desideroso di salvare Yossèf.

BAMBINI LASCIATI NELLA FOSSA
La Santità Narcisistica

Mentre la storia continua, i fratelli accettano il consiglio di Reuvèn, quindi gettano Yossèf in un pozzo vuoto e si siedono per mangiare un pasto. Nel mezzo del pasto, vedono una carovana araba in viaggio verso l’Egitto. “Yehudà disse ai suoi fratelli: «Quale vantaggio ci sarà se uccideremo nostro fratello e ne terremo la morte celata? Orsù vendiamolo agli Ismaeliti! Non mettiamogli le mani addosso, poiché egli è nostro fratello, carne nostra»” (37, 26 – 27). Quindi con il consenso dei fratelli, Yossèf viene venduto e portato in Egitto come schiavo, dove, 13 anni dopo, diventerà viceré e Primo Ministro d’Egitto.

Il Digiuno di Reuvèn

Reuvèn non era presente durante la vendita. Quando Reuvèn tornò alla fossa, racconta la Torà, e vide che Yossèf non c’era, si lacerò le vesti. Tornò dai fratelli e disse: «Il fanciullo non c’è e io dove posso andare?» Quindi, i fratelli immersero la tunica di Yossèf nel sangue e la presentarono a Ya’akòv, che esclamò: «È la tunica di mio figlio! Una bestia feroce l’ha divorato! Yossèf è stato proprio sbranato!»” (37, 30 – 33).
Dov’era Reuvèn durante la vendita di Yossèf? Il testo è oscuro, ma, come al solito, offre uno scorcio: i fratelli vendettero Yossèf mentre erano a metà di un pasto. La Torà, forse, ha condiviso con noi questo dettaglio irrilevante per suggerirci il motivo dell’assenza di Reuvèn: lasciò la scena perché non poteva mangiare con i suoi fratelli. Perché?

Rashi, citando la tradizione midrashica, afferma che Reuvèn indossava il sacco e digiunava da quando, circa un decennio prima, aveva peccato contro suo padre come racconta la Torà: “Rakhèl morì e fu seppellita sulla via per Efràt, che è Bet Lèkhem. Ya’akòv eresse una stele sulla sua sepoltura, che è la lapide tombale di Rakhèl fino a oggi… Reuvèn andò e giacque con Bilhà, la concubina di suo padre. Israèl udì questo fatto” (Bereshìt 35, 19 – 22).
Rashi, seguendo la tradizione talmudica della Torà Orale, illumina lo sfondo dietro questo incidente. Quando Rakhèl morì, Ya’akòv, che di solito risiedeva nella sua tenda, spostò il suo letto nella tenda di Bilhà, la ancella di Rakhèl. Per Reuvèn, il figlio maggiore di Leà, questa fu una provocazione insopportabile, un vero e proprio “schiaffo in faccia” alla sua sensibile madre. Era già abbastanza grave che Ya’akòv avesse preferito Rakhèl la sorella minore a Leà che era la più grande finché era in vita Rakhèl, ma era intollerabile che preferisse un’ancella a sua madre. Quindi, spostò il letto di Ya’akòv dalla tenda di Bilhà a quella di Leà.
Sebbene l’incidente con il letto fosse avvenuto nove anni prima, Reuvèn stava ancora cercando il modo per pentirsi. Pertanto, non si unì ai suoi fratelli nel loro pasto e non fu presente durante la vendita di Yossèf. Nove anni dopo, Reuvèn stava ancora digiunando e purificando il suo cuore dal suo intervento inopportuno nella vita intima di suo padre.
Questo comportamento scorretto di Reuvèn viene paragonato come se si fosse accoppiato alla concubina (vedi commenti su Bereshìt/Genesi 35, 22 edizione Mamash si può trovare sul seguente link https://www.mamash.it/prodotto/genesi-bereshit/ ).

La Causa dell’Esilio

C’è qualcosa di molto inquietante in questo racconto. L’assenza di Reuvèn, durante la vendita di Yossèf in Egitto, fu il risultato della sua sincera e intensa aspirazione a purificarsi completamente; fu una conseguenza della sua unica sensibilità spirituale ed emotiva, che lo spinse a riparare il suo “paesaggio morale” interiore, un decennio dopo il suo errore. Eppure questo “comportamento santo” di Reuvèn è la causa indiretta della vendita di Yossèf come schiavo visto che Reuvèn, il primogenito, non avrebbe acconsentito. Alla fine la vendita di Yossèf porta in ultima analisi al tragico esilio ebraico in Egitto, allora qual è il simbolismo dietro questa vicenda? Proprio quando cerca di riparare a un errore Reuvèn ne causa involontariamente uno peggiore? E che cosa impariamo da questo?
Il messaggio è inequivocabilmente chiaro. L’esilio non ha necessariamente origine in un comportamento corrotto, distruttivo e malvagio; a volte è proprio il cammino verso la sacralità e la santità che può spingere un popolo all’esilio.
Si potrebbe essere vestiti di sacco, si potrebbe digiunare, pentirsi, pregare e meditare, ed essere completamente separati dal materialismo e dall’avidità. Ma se ci si impegna in questi nobili atti, mentre un ragazzo giace intrappolato in una fossa, anelando alla sua libertà, le proprie esperienze spirituali potrebbero essere una forma di “sacro narcisismo”, e in definitiva la genesi dell’esilio.
Come si può raggiungere i cieli mentre un fratello è bloccato in una sorta di “fossa infernale”? Come si può scalare montagne mentre un fratello giace nell’abisso? Come si può liberare la propria vita mentre tuo fratello sta per essere reso schiavo?
La Torà ci insegna l’origine di tutti gli esili del popolo ebraico. Proprio quando le nostre più alte aspirazioni ci fanno smettere di sentire il pianto di un bambino dentro una fossa ecco che poniamo le condizioni per rendere quel bambino un profugo.

Voltare le Spalle

Anche oggi, molti bambini e ragazzi si ritrovano sull’orlo dell’abisso, fisicamente o psicologicamente. Abuso, depressione, rabbia, alienazione, disperazione e cinismo hanno travolto molti giovani e li hanno gettati in un “pozzo senza fondo”, indirizzandoli verso una vita da schiavi. Eppure alcuni di noi sono troppo impegnati a “digiunare e pentirsi”, troppo impegnati a perfezionare se stessi spiritualmente, per raggiungere questi ragazzi e aiutarli a uscire dalle loro fosse.
Più di tre millenni fa la Torà ci ha insegnato che questo atteggiamento è la genesi dell’esilio. Quando i nostri fratelli giacciono in fosse di disperazione e alienazione, dobbiamo cessare tutto per sollevarli dalle loro fosse e restituirli al loro padre che attende il loro ritorno.
A volte può accadere che un maestro o un’autorità religiosa “deragli” dal suo ruolo approfittandosi e fiducia della fragilità dei suoi piccoli. Un tale atteggiamento è un tradimento del nucleo e dell’essenza dell’ebraismo e del nostro ruolo di ambasciatori di verità, giustizia e compassione.

Dimentica Te Stesso

Il 19 di Kislèv che quest’anno cade questo venerdì, ha segnato il giorno in cui il rabbino Shneur Zalman di Liadi (1745-1812), fondatore del chassidismo Chabad, fu liberato dalla prigionia zarista, nel 1798. Lui e il movimento e gli insegnamenti chassidici furono liberati e autorizzati a esistere e prosperare.

Questo, in effetti, è stato uno dei profondi insegnamenti del rabbino Shneur Zalman, l’Alter Rebbe (il Rebbe anziano, come è conosciuto in Chabad). “Se sali nei cieli della tua anima e del cosmo, potresti raggiungere uno stato di coscienza più ampio, ma questo potrebbe essere egoismo spirituale, concentrandoti sui tuoi desideri e sulle tue brame, piuttosto che su ciò che Dio vuole da te. Quando raccogli il coraggio di uscire dal tuo guscio e scendere nelle fosse e nelle trincee dove giacciono giovani anime innocenti, perse e confuse e le sollevi con amore e passione, ora sei un ambasciatore di Dio, non di te stesso”.

In cielo, puoi scoprire il Dio dei cieli. Solo nelle trincee puoi incontrare il Dio che è sopra il cielo.

(Questo articolo è basato su un discorso tenuto dal Rebbe di Lubàvitch, Shabbàt Parashà Khayè Sarà 5736 – 1975; tratto da uno scritto di Y. Y. Jacobson)

IL BUONGIORNO CHE HA SALVATO L’UMANITA’ 
un evento molto strano di GRANDE insegnamento di VITA accade nella parashà di Vayèshev, che è la sezione settimanale di Torà che leggiamo sempre prima di Khanukka. Il Shela Hakkadosh spiega che ogni parashà settimanale è strettamente collegata con la festività che cade in quella settimana. Infatti, ci sono molti collegamenti tra Khanukka e Vayèshev e l’approfondimento che segue ci illuminerà meglio questo legame. Poiché Khanukka è la vittoria dello spirito sulla materia, del male contro il bene, troviamo nel racconto di Yossèf un comportamento esemplare, in cui lo spirito, la fede e la speranza travolgono i pensieri terreni e la materialità, come un messaggio di luce e di coraggio che emerge dal buio, proprio come i lumi di Khanukka.

Yossèf è un ragazzo molto bello e affascinante, un eletto da Dio, perché ogni cosa che tocca diventa oro, fino al punto che il suo padrone, il grande ministro Potifar (capo della macelleria), lo nomina responsabile di tutta la sua casa.
Così, in breve tempo il nuovo “profugo” scappato da Israele, e venduto come servo, fa carriera molto in fretta, e dopo essere caduto dalle stelle (figlio prediletto di Ya’akòv, l’uomo più famoso al mondo) alle stalle, si rimette in piedi grazie alla sua onestà e al timore di Dio. Infatti, la chiave del suo successo è espressa dal verso in maniera chiara: Aveva sempre Dio nella sua bocca… ovvero per ogni cosa diceva: se Dio vuole, con l’aiuto di Dio, a Dio piacendo.
Sappiamo che queste parole sono la garanzia di un SUCCESSO sicuro.
Nonostante la sua onestà, il successo e la grande fede, Yossèf finisce in prigione per una colpa molto grave: l’accusa è che ha tentato di violentare la moglie del suo padrone, ma la realtà è che lui non ha voluto tradire il suo padrone coricandosi con sua moglie, ma la donna per ripicca ha accusato Yossèf del contrario assoluto.
Una “colpa” così grave è degna della peggiore punizione. Perciò Yossef viene buttato in prigione, incarcerato in una cella buia e isolata, la peggiore esistente nel paese, quella riservata ai peggiori criminali SOLO perché è stato onesto e fedele.
Dopo 10 anni di durissima prigionia e isolato da tutti (stile 41 bis), arrivano nella sua cella nientemeno che due MINISTRI considerati anche loro due “gravi” criminali degni di una cella dentro un pozzo, usata per trattenere questi delinquenti nella massima sofferenza.

Un bel giorno Yossèf vede che i suoi coinquilini sono giù di morale e chiede loro: Madua pnekhem raim hayom – perché oggi siete giù di morale?
Essi gli raccontano il loro strano sogno, che li deprime perché non riescono a capirne il messaggio celato. Allora Yossèf interpreta il sogno di ognuno dei ministri: uno di loro verrà salvato e ritornerà al suo posto dopo tre giorni, l’altro verrà ucciso dopo tre giorni. Così i ministri si calmano e si stupiscono della profondità di Yossèf. Poi Yossèf chiede loro di ricordarlo al Faraone, perché lui non ha colpe che giustifichino il suo essere in prigione, ed è stato venduto come schiavo per un malinteso, e domanda anche di mettere una buona parola col Faraone.
Alla fine si avvera a pennello l’interpretazione di Yossef, ma i ministri si dimenticano di lui e rimane altri due anni in prigione.
Dietro questa storia troviamo qualcosa di INCREDIBILE.

LA RISPOSTA DEL REBBE DI LUBAVITCH
In un discorso tenuto nell’anno 5628 (1968) nello Shabbàt di Vayèshev, il mio maestro il Rebbe di Lubavitch, chiede: Con quale coraggio Yossèf chiede ai ministri “Come mai siete giù di morale? Come mai vi vedo tristi OGGI?”. Visto che si trovano nella peggiore cella dentro un pozzo fangoso cosa dovrebbero fare i due carcerati: ballare come a un matrimonio? Devono forse essere gioiosi e brillanti? Ma Yossèf non si fa intimidire dallo status nel quale si trovano tutti e tre chiedendo: “PER QUALE RAGIONE SIETE TRISTI OGGI?”.
Un’altra domanda: Come mai Yossèf si preoccupa di loro? Non sono suoi parenti o conoscenti. Perché prende a cuore il loro stato d’animo e perché la Torà santa ci racconta questo dettaglio?
Essendo ministri sicuramente erano amici di Potifar, che era il ministro che l’aveva gettato in prigione. Per cui era da immaginare che anche loro erano antisemiti come lo era Potifàr, fino al punto che uno dei due aveva contribuito a mettere Yossèf in prigione. C’era ben poco da soffrire per loro! E allora perché Yossèf soffre per loro?
Terza domanda: Yossèf sembra che abbia una vita così stellare e luminosa al punto che quando incontra i due ministri, ha subito la reazione di dire loro: SU DI MORALE, perché essere tristi? Come se per lui fosse tutto splendente. Ma in realtà sappiamo che non era così. Da dove proviene la forza che permette a Yossèf di avere una reazione così positiva?
Non dimentichiamo che Yossèf è reduce da una vita di grandi dolori. Sua madre muore quando lui ha nove anni. All’età di diciassette anni i suoi fratelli lo buttano nel pozzo pieno di serpenti e cercano di ucciderlo. Non parliamo di banditi o mafiosi ma dei suoi FRATELLI!!! Poi viene venduto come schiavo in una terra straniera, privato della libertà e di tutto. Poi ancora buttato nella peggiore prigione condannato all’ergastolo e salvo solo grazie agli eventi legati ai sogni del Faraone, che hanno obbligato gli egizi a tirare fuori Yossef dalla prigione e cambiare la sua sentenza.
Qualsiasi terapista, psicologo se dovesse valutare la gioia di Yossèf in prigione, con una vita così disastrata, lo considererebbe un pazzo.
Nonostante tutto lui ha il coraggio di essere così tanto gioioso che quando vede i due ministri non sono felici come lo è lui, egli è FORTEMENTE STUPITO e afferma: COSA MAI VI È SUCCESSO OGGI???
Quarta domanda: Cosa può immaginare Yossèf di fare per loro? Può liberarli dalla prigione? Cosa serve, se a priori non potrà fare niente, per annullare questa depressione dei ministri?
Il Rebbe trae un insegnamento da questa storia con una riflessione grandiosa, che rappresenta le basi dell’ebraismo, e di come OGNI ebreo deve vivere, quale deve essere l’approccio alla vita, e che è anche una delle basi del pensiero Chassidico.
Nel mondo odierno è accettato che una persona sia triste. È quasi normale in una società così esigente. A tal punto che se uno gioisce ci chiediamo cosa c’è di sbagliato che lo porta a essere così felice. Invece se uno è miserabile allora è tutto nella norma.
Nella tradizione ebraica è stato accettato per molto tempo che più uno è santo, più è elevato spiritualmente e più deve essere giù di morale, perché sta portando il mondo sulle proprie spalle. Oppure che più uno è elevato e sente la lontananza dal Padre Eterno, e più potrebbe essere migliore.

FELICITA’: LA BASE DI TUTTO
Ma il Baal Shem Tov ha rivoluzionato questo pensiero e dopo di lui ancora di più lo ha fatto il Rabbi Shneur Zalmen con la Chassidut Chabad, la quale afferma che per essere vicini a Dio occorre esserlo solo con gioia e felicità. L’unica strada per essere vicino a Dio è solo positività. La vita è fatta di tante onde forti che provano a buttarci giù, ma la nostra missione è quella di rimanere in piedi forti. Se uno non cade fisicamente, ma cade in depressione a causa della situazione e delle vicende, è comunque schiavo delle sue paure e si è staccato dalla provvidenza Divina, che orchestra ogni minimo evento che accade in questo mondo, proprio come un direttore d’orchestra.
Ci sono infinite storie Chassidiche che esprimono questo messaggio fondamentale di vita.
Alla fine Yossèf non si fa intimidire dagli eventi e dalle tragedie che gli succedono. Visto che Dio è la mano nascosta di tutto ciò che succede, lui sa che c’è uno scopo per le prove che sta subendo. La vita è fatta di sfide continue che ci manda il Creatore per elevarci e rinforzare la nostra fede. Per metterci in condizione di scavare nella profondità della nostra anima e trovare quelle forze nascoste che sono radicate in noi per poter superare queste sfide. SOLO grazie alle prove noi possiamo svelare queste armi segrete che non verrebbero mai usate se non in queste circostanze.
Perciò quando Yossèf vede i due ministri non riesce ad accettare il loro stato d’animo e chiede: COME MAI SIETE TRISTI OGGI? Visto che il mondo viene creato ogni momento di nuovo e non è mai stato abbandonato dal Creatore, sicuramente c’è un significato per tutto quello che succede, e neanche il peggiore evento può permetterci di abbatterci, perché il mondo viene creato ogni secondo di nuovo da Dio, e anche in questo secondo Dio vuole che il mondo sia in queste condizioni e con queste prove.
Come conseguenza di questa forza di vita Yossèf riesce a salvare la vita a questi prigionieri che stavano per suicidarsi a causa della tragedia e della depressione che stavano subendo. In seguito, all’età di trent’anni, diventa viceré quando riesce a interpretare i sogni del Faraone, sempre grazie al fatto che non si lascia sopraffare dagli eventi ma rimane padrone della sua vita.
Infatti NON SONO GLI EVENTI A RENDERCI INFELICI, SIAMO NOI CHE DECIDIAMO DI ABBATTERCI DAVANTI AGLI EVENTI.
In altre parole: E’ UNA NOSTRA SCELTA ESSERE FELICI, E’ UNA NOSTRA SCELTA ESSERE TRISTI.
Grazie all’interpretazione dei sogni di Yossèf, durante i sette anni di abbondanza viene raccolto il cibo per i sette anni di carestia. Grazie alla positività di Yossèf, che riesce a rimanere sempre sereno e lucido – e così facendo riesce a interpretare i sogni dei ministri e poi del Faraone – Yossèf stesso SALVA L’UMANITÀ dalla CARESTIA!

Tutta la storia ha inizio quando Yossèf vede due persone tristi perché sono dominate dai problemi, e lui invece è diametralmente opposto, e chiede loro: come è possibile che siate tristi? Egli è talmente gioioso ogni secondo della sua vita che non può sopportare qualcuno triste vicino a lui, perciò chiede subito: PERCHÉ SIETE TRISTI, PERCHÉ SIETE DEPRESSI? Come posso aiutarvi? Pur non avendo nessuna idea di come potrebbe aiutarli, non esita a cercare di tirarli su di morale.
Alla fine il BUONGIORNO di Yossèf gli permette di salvare loro la vita, la sua gioia di vita non gli permette di vedere persone abbattute. Poi, grazie all’interpretazione del sogno, uno di loro si ricorderà che c’è qualcuno in cella che è un genio a interpretare i sogni, perché non si lascia buttare giù dagli eventi della vita.
E così dopo altri due anni di prigionia (dopo avergli promesso che l’avrebbe salvato subito se egli stesso si fosse salvato) il ministro consiglia al Faraone di chiamare Yossèf, il quale, grazie alla sua interpretazione e ai suoi consigli al Faraone, raccoglie il cibo che salverà TUTTA L’UMANITÀ!
Si potrebbe scrivere un libro intero su questo concetto che è la chiave per vincere tante sfide della vita, perché questo racconto rappresenta la missione di ogni anima in questo mondo. Perciò portiamoci sempre dietro questa grande lezione: che un solo BUONGIORNO può salvare l’intera umanità.
Forse per questo si dice in italiano: il buongiorno si vede dal mattino! Perché dal buongiorno di un mattino un carcerato ha salvato il mondo intero!
Khanukka sameach!
Rav Shlomo Bekhor

NASCONDINO. UNO, DUE, TRE … ORA TOCCA A TE!
Vayèshev

Continuando con il nostro appuntamento settimanale, anche oggi vi proponiamo due brani tratti dal libro “Saggezza Quotidiana”. Questa settimana è una settimana speciale in quanto si celebra la festività di Khanukkà, ma questo Shabbàt sarà ancora più speciale, poiché non solo si dovranno accendere ben sei candele di Khanukkà, ma sarà anche il primo giorno di Rosh Kòdesh, il “primo del mese” che inaugura il nuovo mese del calendario ebraico, Tevèt.
I brani scelti per voi oggi, sono collegati con i due aspetti principali della festa di Khanukkà: miracoli e assimilazione.
Come è noto i greci non volevano uccidere o distruggere il popolo ebraico o l’ebraismo. Il loro obbiettivo era invece quello di far diventare il popolo ebraico e l’ebraismo “normale” simile alle filosofie e religioni del mondo. Al fine di raggiungere questo obbiettivo utilizzavano premi e punizioni. I greci erano ovviamente generosi e accoglienti con gli ebrei che si assimilavano, quanto severi e duri con quelli che invece continuavano ad essere fedeli alla Torà.
Apparentemente i greci avrebbero dovuto avere “gioco facile”… vogliamo mettere una comoda vita contro il rispetto di ben 613 precetti/mitzvòt? Invece così, grazie a Dio, non fu! E grazie agli insegnamenti cassidici del Rebbe possiamo trovare utili insegnamenti e considerazioni anche su questo aspetto.
Il secondo brano del libro “Saggezza Quotidiana”, invece, ci parla dei miracoli “scontati”, ossia di quelle cose che noi essere umani tendiamo a dare come “dovute”, senza pensare che in fondo anche loro sono un evento miracoloso, anche se non rivelato. Khanukkà infatti, si basa su due miracoli che trascendono l’ordine della creazione e, quindi, la razionalità: una boccetta d’olio che invece di un giorno dura ben otto giorni e la miracolosa vittoria di un gruppo di sacerdoti, male armati e addestrati, contro uno dei più forti, numerosi e preparati eserciti di allora. Tuttavia, questi due aspetti non solo non cozzano tra loro, ma si completano. Hashèm, ovviamente, essendo infinito, può fare tutto ciò che vuole e desidera. Quindi non esiste un aspetto di Dio che può essere limitato. Come Hashèm può rivelarsi al di là e al di fuori delle regole da Lui poste nella creazione, come nei miracoli di Khanukkà, il suo infinito potere si manifesta altrettanto anche nella “finitudine”, ossia nella Sua capacità di “autolimitarsi” e occultarsi nel mondo. Entrambi questi aspetti manifestano l’infinito di Hashèm e sono in qualche modo “miracolosi”, sia che ce ne accorgiamo sia che non ce ne accorgiamo.

Con la decima porzione del libro della Genesi, continua la cronaca di Yossèf. Comincia due anni dopo (mikètz, significa “alla fine di” in ebraico) rispetto a quando Yossèf chiede al coppiere del faraone di intercedere per lui. Questa volta è il faraone che cerca un interprete qualificato per i due sogni che ha fatto. Yossèf interpreta in modo convincente i sogni del faraone, avvertendolo che dopo sette anni di abbondanza vi saranno sette anni di carestia. Questo fatto porta il faraone a nominare Yossèf come viceré d’Egitto. L’inizio della carestia, fa scendere i fratelli di Yossèf in Egitto, per comprare il cibo che Yossèf ha immagazzinato, durante gli anni di abbondanza. Quando Yossèf li vede, escogita un modo per stabilire se loro hanno abbandonato il precedente odio verso
di lui e se sono pronti a unirsi a lui nel far progredire la famiglia nella sua missione divina.
*
Il faraone rimane così colpito dall’abile interpretazione di Yossèf del suo sogno che lo nomina viceré d’Egitto, per consentirgli di attuare il suo piano. Dopo essere stato nominato viceré, Potifàr l’ex padrone di Yossèf, gli dà sua figlia in moglie. Durante i sette anni di abbondanza, Yossèf ebbe due figli: Menashè ed Efràyim.

Ricordando per Progredire

Yossèf, chiamò il primogenito Menashè . . . e chiamò il secondo figlio Efràyim. (41, 51–52)

Vivere in esilio ci impone di usare due approcci, apparentemente contraddittori, verso il mondo in generale: da un lato, dobbiamo stare costantemente in guardia contro le influenze dannose; dall’altro, dobbiamo affrontare il mondo esterno per influenzarlo positivamente.
Chiaramente, influenzare l’ambiente circostante è un risultato più grande del semplice mantenimento dei nostri valori. Tuttavia, per mantenere i nostri valori dobbiamo prendercene cura, perché se dimentichiamo le nostre radici non avremo più nessun contributo da offrire al mondo.
I due figli di Yossèf, nati e cresciuti in Egitto, personificano questi due aspetti della vita in esilio. Yossèf, non a caso, chiama il suo primogenito Menashè (che significa “[l’esilio] induce a dimenticare”), per non scordare la sua famiglia e le sue origini, e il secondo figlio Efràyim (“darà frutti”), per enfatizzare che il nostro scopo è quello di influenzare positivamente il mondo.

*

Ya’akòv manda i suoi figli – tranne Binyamìn – in Egitto per comprare il grano. Yossèf li riconosce, ma loro no. Yossèf escogita un piano per vedere se sono pentiti del loro comportamento passato: minaccia di non riceverli la prossima volta, a meno che non portino Binyamìn con loro. Una volta che Binyamìn arriverà in Egitto, Yossèf potrà inventare una scusa per tenerlo lì. Se i fratelli combatteranno per Binyamìn, dimostreranno di essersi pentiti della loro gelosia per i figli di Rakhèl. Ya’akòv è riluttante a mandare Binyamìn in Egitto, ma gli altri figli lo convincono che non c’è scelta. Così, Ya’akòv acconsente, ma prima di rimandarli in Egitto con Binyamìn prega per il loro successo.

Miracoli Naturali

[Dopo aver preparato un dono da inviare a Yossèf, tramite i suoi figli, Ya’akòv pregò] «Che Hashèm Onnipotente (Shaddày) vi conceda misericordia dinanzi a quell’uomo». (43, 14)

La saggezza convenzionale afferma che la preghiera è necessaria in situazioni disperate. I figli di Ya’akòv presumono che Yossèf trattiene il fratello, poiché sospetta che siano dei ladri o spie, così pensano che basti un dono per placarlo.
Dalle parole di Ya’akòv ai suoi figli, tuttavia, impariamo che anche quando il risultato favorevole sembra perfettamente naturale, non dovremmo mai presumere di poterlo raggiungere senza l’assistenza divina. Dobbiamo sempre pregare non come rimedio secondario, ma come misura principale.
Sebbene occorra creare canali naturali per facilitare le benedizioni di Hashèm, dovremmo renderci conto che in realtà Egli controlla ogni aspetto della nostra vita, sia materiale, sia spirituale. Solo quando ci rendiamo conto di questo, possiamo veramente percepire che gli eventi “naturali”, nelle nostre vite, sono in realtà miracoli celati nella natura.

NASCONDINO. UNO, DUE, TRE … ORA TOCCA A TE!
Vayèshev
Anche questa settimana, alla vigilia sello Shabbàt, vi presentiamo dei brani estratti dal libro
“Saggezza Quotidiana”, il commento dei Cinque libri della Torà, basato sugli insegnamenti
chassidici del Rebbe e dei suoi predecessori.
Tuttavia, questa settimana è stato celebrato un giorno molto speciale: il 19° giorno del mese ebraico
di Kislev (che quest’anno cade il 24 novembre) è considerato il “Rosh Hashanà/Capodanno del
chassidismo”. Fu in questa data, nell’anno 1798, che il fondatore del Chassidismo Chabad, il
rabbino Shneur Zalman di Liadi (1745-1812), fu liberato dalla sua prigionia nella Russia zarista. Più
che una mera liberazione dalla prigionia, questo fu un evento straordinario, un vero spartiacque tra
il “prima e il dopo”, nella storia ebraica e di tutta l’umanità. Il rabbino Shneur Zalman di Liadi, noto
come l’Alter Rebbe, è stato tante cose: un mistico, un filosofo, un’autorità halachica, un
compositore, un talmudista, ma fu soprattutto una guida spirituale, che creò un percorso pratico che
permettesse a chiunque di avvicinarsi ad Hashèm. Attraverso le sue opere, in particolare il libro del
Tanya, ha annunciato e promulgato una nuova era nella rivelazione dell’“anima interiore” della
Torà.
Quando nacque Alter Rebbe, il Baal Shem Tov esclamò: “Una nuova anima è scesa per illuminare il
mondo”. Una “nuova anima” – non contaminata dal peccato – emana luce divina incontaminata e
brillante, non solo illuminando gli altri, ma permeandoli e trasformandoli in potenti fonti di luce. Il
Baal Shem Tov fece di tutto per mantenere, già prima della nascita, il segreto di questa nuova anima
che doveva arrivare in questo mondo e delle incredibili capacità di cui sarebbe stato dotato il futuro
Alter Rebbe. Ma quale poteva essere il motivo di tanta segretezza? Non sarebbe stato più logico
informare tutti del grandioso evento che stava per accadere?
Una parziale risposta la troviamo proprio nella parashà di questa settimana come commentata dagli
insegnamenti cassidici del Rebbe e dei suoi predecessori.
Con la nona porzione del libro di Bereshìt inizia la cronaca del figlio di Ya’akòv, Yossèf (Giuseppe).
Egli condivide con i fratelli i suoi sogni in cui s’immagina come il futuro leader della famiglia di
Ya’akòv. Ciò convince i suoi fratelli a credere che egli sia una minaccia per la missione divina della
famiglia, quindi decidono di eliminarlo. È venduto in Egitto come schiavo, dove assume una
posizione di responsabilità nella famiglia del suo padrone, dopo di che viene messo in prigione a
seguito di accuse infamanti. Questa narrazione è interrotta dal racconto di come il figlio di Ya’akòv,
Yehudà (Giuda) è stato messo al bando dalla sua famiglia e successivamente ingannato dalla vedova
dei suoi figli, Tamàr.
Attraverso due dei più enigmatici episodi della Torà: la vendita di Yossèf da parte dei fratelli e lo
scabroso comportamento di Yehudà e Tamàr; possiamo arrivare a comprendere, almeno in parte,
l’ambiguo “gioco” tra le forze del bene e del male quando devono operare assieme in questo mondo
di materia. Attraverso questi due episodi del libro “Saggezza Quotidiana” possiamo anche spiegare
il motivo del segreto che ha circondato le qualità dell’Alter Rebbe.
Quando un bene deve operare ed essere rivelato in questo mondo, quando esso è molto forte e
trascendente, può causare una forte reazione delle “forze del male”, “gli oppositori”, il cui compito
è proprio quello di mettere alla prova ogni forma di bene. In altre parole, affinché un “bene” che
vuole operare in questo mondo “sia bene vero” deve essere capace di superare sfide e opposizioni e
quest’ultimo è proprio la missione che Dio ha dato alle forze del male in questo mondo creato.
Tuttavia, a volte vi possono essere delle rivelazioni così potenti e l’unico modo che hanno per
operare in questo mondo efficacemente è quello di riuscire ad “ingannare” l’opposizione del male,
un po’ come giocare a “nascondino” con esse… tale inganno può essere fatto attraverso il
“nascondere” il bene come nel caso della nascita dell’Alter Rebbe oppure attraverso il
“dissimulare” il male dove invece vi sarà solo bene.

Mentre pascolano le loro greggi, i fratelli di Yossèf complottano il modo migliore per eliminare lui e
la minaccia che credono rappresenti. Ya’akòv decide di mandare Yossèf a cercarli, perché
preoccupato di non vederli ritornare. Senza volerlo Ya’akòv spinge Yossèf verso il pericolo.
Affidandosi alla Divina Provvidenza
Prima che [Yossèf] si avvicinasse a loro (i suoi fratelli), cospirarono contro di lui. (37, 18)
Sebbene non abbiano né voluto, né previsto le conseguenze delle loro azioni, i fratelli causano la
futura ascesa al potere di Yossèf e la sopravvivenza dell’intera famiglia di Ya’akòv. L’esperienza di
Yossèf dimostra chiaramente che, anche se non ce ne accorgiamo, tutto ciò che ci accade è
orchestrato da Hashèm a nostro vantaggio. Pertanto, risulta sciocco e improduttivo arrabbiarsi con
coloro che sembrano danneggiarci.
Sebbene possano effettivamente essere colpevoli per le loro azioni, non possono farci nulla che Egli
non voglia. Piuttosto, dovremmo fare imparando da Yossèf che ha ripagato il male dei suoi fratelli
con la gentilezza e ha continuato ad amarli, nonostante il loro odio verso di lui.
——————————————————————–
Yehudà (Giuda) convince i suoi fratelli di vendere Yossèf come schiavo, quindi mandano a Ya’akòv
la veste di Yossèf, imbrattata di sangue di capra. Ya’akòv si dispera inconsolabilmente. I fratelli
rimproverano Yehudà per non aver suggerito di restituirlo a Ya’akòv. Quindi, i fratelli allontanano
Yehudà, che, dopo aver lasciato Khevròn, si sposa e ha tre figli.
Quando diventano adulti, Yehudà sposa il maggiore con una donna di nome Tamàr. Quando il
marito di Tamàr muore, Yehudà le fa sposare il suo secondo figlio; quando anche il secondo figlio
muore, Yehudà ha paura di maritare il suo terzo figlio con lei. Tamàr si traveste da prostituta per
ingannare Yehudà in modo da poter avere dei figli da lui.
Lo Scopo del Male
ִּ[Yehudà] chiamò [il primogenito di Tamàr] Pèretz. (38, 29)
Il Messia discenderà da Pèretz, il figlio di Yehudà che ha avuto da Tamàr. Per capire il perché è
necessario che la luce del Messia entri nel mondo in modo così apparentemente scandaloso,
dobbiamo ricordare che Hashèm ha creato il male solo perché vi sia una libera scelta. Affinché la
libera scelta esista, le forze del male e le forze del bene devono essere perfettamente bilanciate.
Quando la linea della discendenza messianica sta per entrare nel mondo, le forze del male
“argomentano” che l’equilibrio può essere ribaltato contro di loro. Pertanto, l’unione che genera
l’antenato del Messia deve avvenire in un modo che le forze del male possono considerare
vantaggioso per loro.
Proprio come nella strategia militare, quando un esercito a volte finge di ritirarsi per attirare il
nemico in una posizione vulnerabile, le forze della santità danno un’illusoria vittoria alle forze del
male, nella forma di questo atto apparentemente peccaminoso, al fine di ottenere il sopravvento

לעילוי נשמת יעקב בן שלמה

In memoria di Yaakov ben Shelomo

IL VOLTO DI ADAMO

Previsione Meteorologica Indiana

Era autunno e gli indiani di una remota riserva chiesero al loro nuovo capo se l’inverno sarebbe stato freddo o mite. Dato che era un capo indiano in una società moderna non gli erano mai stati tramandati gli antichi segreti su come interpretare le nuvole e i venti. Pertanto, quando guardava il cielo non poteva dire quale sarebbe stato il tempo. Tuttavia, per essere al sicuro, rispose alla sua tribù che l’inverno sarebbe stato davvero freddo e che i membri del villaggio dovevano raccogliere legna per essere pronti ad affrontare il terribile inverno.

Ma essendo anche un leader pratico, dopo diversi giorni ebbe un’idea. Andò alla cabina telefonica, chiamò il Servizio Nazionale Metereologico e chiese: “Il prossimo inverno sarà freddo?”.

“Sembra che questo inverno sarà piuttosto freddo”, risponde un esperto del servizio meteorologico. Quindi il Capo tornò dal suo popolo e disse loro di raccogliere ancora più legna per essere preparati.

Una settimana dopo, chiamò di nuovo il Servizio Nazionale Meteorologico “sarà un inverno molto freddo?”.

“Sì”, risposero “Sarà sicuramente un inverno molto freddo”. Il capo tornò di nuovo dal suo popolo e ordinò loro di raccogliere ogni pezzo di legno che riuscivano a trovare.

Due settimane dopo, chiamò di nuovo il Servizio Nazionale Metereologico. “Assolutamente sicuri che l’inverno sarà molto, ma molto freddo?”

“Assolutamente” risposero “sarà uno degli inverni più freddi di sempre”.

“Ma come potete esserne così sicuro?” chiese il capo. Un esperto del Servizio Nazionale Meteorologico gli rispose: “Gli indiani stanno raccogliendo legna come dei forsennati…”

Il Dramma Di Yossèf (Giuseppe)

La parte di questa settimana (Vayèshev) racconta la drammatica storia di Yossèf, un giovane estremamente bello, che attira la lussuriosa immaginazione della moglie del suo padrone. Lei cerca disperatamente di coinvolgerlo in una relazione, ma lui la rifiuta fermamente. Poi venne il fatidico giorno, “Quando entrò in casa per fare il suo lavoro e nessuno dei servi era in casa. Lei lo afferrò per il mantello e supplicò: “Giaci con me!” Yossèf corse via da lei, lasciandole il suo mantello in mano e fuggì fuori” (Genesi 39, 11-129).

Umiliata e furiosa, usò il mantello come prova che era stato lui a tentare di violarla. Pertanto suo marito, Potifàr, mise in prigione Yossèf. In quel luogo lui trascorse i successivi 12 anni della sua vita fino a quando, per una sorprendente serie di “miracolosi” eventi, fu nominato nientemeno che il VICERÉ oppure con un termine moderno: Primo Ministro dell’Egitto.

Qual È Il Punto?

Perché questo episodio è riportato in dettaglio nella Torà? La Torà, infatti non è un libro di storia o una biografia, almeno in senso letterale. La Torà omette la maggior parte degli eventi dei suoi protagonisti, tranne quelli che sono essenziali per trasmettere insegnamenti specifici al lettore. E anche quando racconta una storia, omette molti dettagli quando non sono rilevanti per un grande insegnamento. Ad esempio, quando Abramo è stato coinvolto in una guerra tra nove re, la Torà non spiega cosa ha causato esattamente la ribellione dei cinque re, contro gli altri quattro. Oppure, cosa disse Isacco a Rebecca quando scoprì che Giacobbe aveva preso le benedizioni al suo posto? Ecc.

In sostanza, in moltissimi episodi importanti, la Torà omette dettagli che potrebbero essere estremamente rilevanti e preziosi sotto molteplici punti di vista: storici, sociali, filosofici. Quindi perché, in questi versetti della vicenda di Yossèf, la Torà si sofferma su questo episodio scabroso apparentemente insignificante rispetto agli esempi citati sopra?

Questo è ancora più strano se riflettiamo sull’obiettivo di queste porzioni della Torà, ossia quello di mettere in relazione il modo in cui Israèl è finito in Egitto. Pertanto, leggiamo della vendita di Yossèf come schiavo in Egitto, della sua pena detentiva e del suo incontro con i ministri del faraone, della sua liberazione dalla prigione e della sua designazione come viceré del paese in un momento critico di carestia. Carestia che è il motivo fondamentale per cui il padre di Yossèf e la sua intera famiglia si trasferiscono in Egitto. Fatti che originano il conseguente esilio egiziano e che porteranno, quindi, fino all’esodo e al Dono della Torà sul monte Sinày.

Pertanto, e ancora di più, sorge la domanda sul perché la Torà ha ritenuto necessario mettere in relazione la storia della “lotta” di Yossèf con la moglie del suo padrone? Perché è importante per noi conoscere dettagliatamente l’episodio che ha causato la sua prigionia?

Il Volto Di Giacobbe

Il Midràsh spiega il significato della frase che Yossèf “entrò in casa per fare il suo lavoro e nessuno dei servi era in casa”. Che tipo di lavoro doveva fare Yossèf?

Il Midràsh risponde che il “lavoro” di Yossèf era quello di cedere ai desideri della moglie del suo padrone. Infatti, dopo tutte le incessanti insistenze e le minacce di lei alla fine Yossèf cedette. Tuttavia, mentre l’unione sessuale tra loro stava per compiersi, all’improvviso, gli apparve il volto di suo padre Giacobbe. Questa visione fece sì che Yossèf trovasse la forza di respingere il suo potente impulso. Quindi, lasciò la sua veste in mano di lei e fuggì via.

Ma cosa poteva esserci nel volto di Giacobbe da far trovare a Yossèf la forza di negare il soddisfacimento di una tale tentazione?

Lo Schiavo Solitario

Per trovare una risposta riflettiamo più da vicino sulle condizioni psicologiche e fisiche di Yossèf durante quel fatidico giorno in cui la moglie del suo padrone lo ha quasi intrappolato in una relazione illecita.

Yossèf divenne uno schiavo all’età di 17 anni in un paese straniero. Non possedeva nemmeno il suo corpo: il suo padrone esercitava il pieno controllo della sua vita, come il destino di tutti gli schiavi antichi e moderni. Yossèf non aveva un solo amico o parente al mondo. Sua madre morì quando aveva nove anni e suo padre credeva che fosse morto. I suoi fratelli sono quelli che lo hanno venduto come schiavo e che lo hanno derubato della sua giovinezza e della sua libertà. Si può solo immaginare il profondo senso di solitudine che pervadeva il cuore di questo ragazzo.

Questo è il contesto che ci serve a comprendere la lotta di Yossèf. Una persona in tale isolamento è naturalmente travolta da tentazioni di tutti i tipi, estremamente potenti, ed è anche probabile che creda che una sua singola azione faccia poca differenza nello schema finale delle cose. Dopotutto, cosa aveva da perdere Yossèf se avesse ceduto alle richieste di quella donna? Nessuno avrebbe mai potuto scoprire cosa fosse successo tra i due. Inoltre, Yossèf non doveva tornare a casa la sera per affrontare un coniuge o un padre spirituale, né doveva tornare in una famiglia o in una comunità di elevato rango morale. Questo atto non avrebbe danneggiato le sue prospettive di un buon matrimonio, né lo avrebbe fatto espellere da una yeshivà… Sarebbe rimasto dopo quell’evento, proprio come era prima di esso! Quindi, qual è il grosso problema di impegnarsi in una relazione di quel tipo…?

Oltretutto, dobbiamo prendere in considerazione il potere posseduto da quella nobildonna egiziana: era nella posizione di poter trasformare la vita di Yossèf in un paradiso o in un inferno vivente.

Inoltre, questa storia ha avuto luogo prima del Dono della Torà, quando l’adulterio divenne proibito anche sotto minaccia di morte. Nel tempo di Giuseppe, invece, si potrebbe addirittura sostenere che, alla luce delle minaccia rappresentata dalla moglie del suo padrone, sarebbe stato ammissibile, forse persino obbligatorio, per la legge ebraica allora vigente (halakhà) impegnarsi in quella unione!

Quale era, allora, il segreto dietro la rettitudine morale di Yossèf? Cosa ha permesso a uno schiavo solitario e fragile di respingere una tentazione così straordinaria?

“Il volto di suo padre Giacobbe”! Questo è ciò che ha dato a Yossèf la straordinaria forza d’animo di vincere il suo impulso e di respingere con enfasi il richiamo della nobildonna. Ma perché? Giacobbe viveva a molti km di distanza, ignaro del fatto che suo figlio fosse vivo. Qual era la magia che stava nella sua fisionomia?

L’attimo Di Adamo

Il Talmud presenta una tradizione secondo cui la bellezza di Giacobbe rifletteva la bellezza di Adamo, il primo essere umano formato Hashèm. Pertanto, quando Yossèf vide il volto di Giacobbe, stava vedendo anche il volto di Adamo.

Adamo, lo sappiamo, è stato incaricato da Dio di non mangiare dal frutto dell’ “albero della conoscenza”. La sua disobbedienza a questa direttiva ha cambiato per sempre il corso della storia umana e mondiale. Sebbene abbia fatto qualcosa di apparentemente insignificante, semplicemente mangiando un solo frutto da un singolo albero, questo “minuscolo” atto vibra ancora attraverso la coscienza dell’umanità fino ad oggi.

Come mai? Perché ogni singolo essere umano fa parte del modo in cui cielo e terra sono intrecciati. Il sogno di Dio non è di essere solo, ma di avere l’umanità come partner nel continuo compito di rettificare il mondo. Qualunque cosa facciamo, avanziamo o ostacoliamo la redenzione; riduciamo o potenziamo il potere del male. Qualcosa di eterno e divino è in gioco in ogni decisione, ogni parola, ogni azione compiuta da ogni singolo uomo, donna o bambino (Talmud, Sanhedrìn 37a e Tanya capitolo 41).

Quando Yossèf vide il volto di (Giacobbe che rifletteva il volto di) Adamo, reclamò una dignità interiore irremovibile; si ricordò che Yossèf è una candela di Dio illuminata nella via cosmica. Vedere il volto di Adamo ha ricordato a Yossèf come un singolo atto, eseguito in un solo momento da un solo uomo, ha un effetto eterno, cambiando la storia per sempre.

Questa è la ragione per cui la Torà descrive così in dettaglio questo dramma di Yossèf. Durante i nostri solitari momenti di miseria, quando anche noi possiamo sentire che nessuno si prende cura di noi e siamo soli in un grande universo indifferente, non dovremmo mai cadere in preda al facile sfogo della gratificazione immorale.

Dobbiamo ricordarci che è in gioco qualcosa di molto reale e assoluto in ogni momento della nostra esistenza e in ogni atto che facciamo.

Potremmo, addirittura arrivare a vedere le nostre azioni individuali compiute nella vita privata come insignificanti. Tuttavia, ci insegna la Torà, che queste decisioni “creano” la storia.

Se solo aprendo gli occhi potessimo vedere il volto di nostro Padre che ci sussurra, attraverso i quieti venti della storia, che non siamo delle creature isolate in un mondo opprimente e gigantesco, in cui il nostro comportamento è insignificante.

Anche adesso, in questo preciso momento, Dio ha bisogno di noi, di me e te per portare la redenzione nel Suo mondo grazie all’avvento del Mashiàkh, presto ai nostri giorni, Amen.

(Basato su un discorso del mio maestro e mentore il Rebbe di Lubvitch, dato il 19 di Kislev 5721, 8 dicembre 1960, e su uno scritto di Y.Y. Jacobson)

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Due cowboy si imbattono in un indiano sdraiato a pancia in su e con l’orecchio a terra. Uno dei cowboy si ferma e dice all’altro: “Vedi quell’indiano?” “Sì” dice il secondo cowboy. “Guarda”, dice il primo, “sta ascoltando il terreno e può sentire cose per chilometri in qualsiasi direzione”. Proprio in quel momento l’indiano alza lo sguardo ed esclama: “Carro coperto a circa due miglia di distanza: due cavalli, uno marrone e uno bianco: uomo, donna, bambino e articoli per la casa nel carro”. “Incredibile!” Dice il cowboy al suo amico. “Questo indiano sa quanto sono lontani, quanti cavalli, di che colore sono, chi è nel carro e cosa c’è nel carro. Incredibile!”. L’indiano alza lo sguardo e gli risponde “li ho incontrati circa mezz’ora fa!”.

Perché Celebrare L’olio?
Laccensione di una Menorà, durante gli otto giorni di Khanukkà, commemora un antico miracolo, circa 2300 anni fa, avvenuto nel grande Tempio di Gerusalemme. Dopo la vittoria degli israeliti nei confronti degli oppressori greci (che hanno profanato il tempio e tentato di distruggere l’ebraismo), è stata trovata nel Santuario solo una piccola ampolla d’olio d’oliva PURO che poteva bastare solo per 1 giorno, ma in miracolosamente ha bruciato per otto giorni. Il tempo necessario affinché gli israeliti riuscissero a produrre nuovo olio purissimo, per la quotidiana accensione del Candelabro del Tempio.
Per commemorare questa dimostrazione di grazia divina, in un mondo solitamente schiavo della natura, i saggi di Israèl istituirono la festa di Khanukkà, della durata di otto giorni, nella quale accendiamo una candela in più ogni notte.
In questo senso, l’olio raffigura l’essenza della narrativa di Khanukkà ed è la parte centrale della “festa delle luci del miracolo”. In effetti, in molte famiglie, le lampade di Khanukkà consistono in stoppini, immersi nell’olio d’oliva, che riproducono la luce della Menorà del Santuario. Durante tutta la festività si mangiano vari cibi tradizionali: frittelle di patate, Ciambelle, Sufganiot e Babka al Cioccolato; ma tutte queste pietanze hanno in comune un ingrediente: l’OLIO.
Non è una strana usanza questa, molto irrazionale? Il miracolo dell’olio, sembrerebbe, di minore importanza rispetto alla vittoria militare. Oltretutto si è trattato di un miracolo accaduto dietro le porte chiuse del Tempio, con solo pochi sacerdoti come testimoni. Un evento, riguardante un simbolo religioso, senza apparenti conseguenze sulla vita, la morte o la libertà del popolo ebraico. Se Israèl fosse stato sconfitto dai greci, probabilmente, oggi non ci sarebbe più un popolo ebraico. Invece, sempre secondo la logica, se l’olio non avesse bruciato per otto giorni, al massimo la Menorà non sarebbe stata accesa per quella settimana e l’esistenza di Israèl non sarebbe stata irrimediabilmente compromessa!
E allora perché il fulcro della festa di Khanukkà è diventato l’olio?
Molti approfondimenti sono stati offerti. In questo saggio presentiamo una spiegazione simbolica, relativa all’universo psicologico interiore dell’uomo.
(continua sotto)

UNA BOMBA ATOMICA IMPERDIBILE!
poi in questi tempi di quarantene è un must.
CHANUCCA’ E PARASHA’ VAYESHEV: UN LEGAME PROFONDO
IL BUONGIORNO CHE HA SALVATO L’UMANITA’

https://www.facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10154696185660540
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SIGNIFICATO PROFONDO DI KHANUKKA

https://youtu.be/w1ByI2wakQE
https://www.facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10158836932720540
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YOSSEF E LA TENTAZIONI MATERIALI

https://www.facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10158836987870540
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IL SIGNIFICATO PROFONDO DEL MIRACOLO DI KHANUKKÀ
I Paradossi dell’Olio, Una Guida di Vita    

Le Quattro Qualità Dell’olio Di Oliva
A)    L’olio d’oliva è prodotto frantumando e battendo le olive mature che devono essere severamente “UMILIATE e PRESSATE”, per tirare fuori olio puro.
B)     L’olio d’oliva PENETRA profondamente nelle sostanze solide. Sappiamo tutti quanto sia difficile rimuovere il grasso oleoso che si fa strada nelle nostre dita o nei nostri vestiti. Vari oli sono stati usati, nel corso della storia, come rimedi per ferite e malattie corporee, poiché l’olio penetra nel corpo, ben oltre il suo tessuto esterno.
C)    L’olio non si MESCOLA con altri liquidi. Quando si tenta di mescolare olio con acqua, l’olio rimarrà distinto e non si dissolverà in essa.
D)    Non solo l’olio non si mescolerà e dissolverà in altri liquidi, ma si SOLLEVERÀ, fluttuando sopra qualsiasi altro liquido.
Queste, a livello simbolico, appaiono come caratteristiche paradossali. Anche se pressato, “umiliato” duramente, comunque sale verso l’alto! Non si mescola con gli altri liquidi e allo stesso modo penetra nelle sostanze solide. Quindi, altrettanto paradossalmente è possibile porci questa domanda: ma l’olio è “umile” o “arrogante”?

Da Spirituale A Fisico
Negli scritti mistici ebraici tutte le proprietà fisiche, di qualsiasi oggetto, sono considerate come un continuum delle loro proprietà metafisiche. Ogni oggetto o essere o cosa esistente ha origine nel regno dello spirito ed è derivato e rappresentato da una particolare sublime energia. Quindi, tale l’energia si evolve per trasformarsi in materia, dando origine a particolari caratteristiche fisiche che rispecchiano la loro fonte spirituale.
Questo concetto costituisce un elemento estremamente ricco nell’ebraismo.
Dal punto di vista della Torà, le verità della scienza, della fisica, della chimica, della biologia ecc.; le verità della filosofia, della spiritualità e della psicologia, si fondono in un mosaico perfetto, poiché il mondo fisico discende da quello spirituale per cui i due mondi si rispecchiano.
Lo stesso principio vale anche per l’olio: le quattro qualità sopra menzionate, sono essenzialmente la manifestazione fisica dei QUATTRO ATTRIBUTI SPIRITUALI e PSICOLOGICI dalla quale proviene l’olio.
Queste, a loro volta, evolvono e assumono le QUATTRO FORME FISICHE di espressione sopra delineate.

Quattro Principi Cardinali
Nella nostra vita, e in particolare durante la festa di Khanukkà dobbiamo imparare a diventare “simili all’olio”, e sviluppare le sue quattro proprietà.
A)    Se pressate le olive producono olio puro! Questo rappresenta la nozione di UMILTÀ: l’antitesi dell’arroganza e dall’eccesso di SÉ. Significa vedere noi stessi, per chi siamo veramente. Essere pronti a scoprire i nostri pregiudizi, punti ciechi ed errori. Solo questo ci permette di crescere genuinamente senza la contaminazione del nostro EGO.
B)    Il risultato diretto di questo pressione è la capacità di diventare come l’olio, così da riuscire a PENETRARE profondamente negli altri. Quando siamo altezzosi e pomposi (di solito a causa della mancanza di autostima e quindi della necessità di creare una fiducia in un sé delirante), siamo incapaci di condividere “noi stessi” con gli altri, o di permettere loro di condividere “se stessi” con noi. Ci nascondiamo in una bolla, per paura di essere vulnerabili e autentici. In questo modo, NON POSSONO NASCERE VERE RELAZIONI. Solo quando il nostro falso ego è pressato, per scelta o per circostanze della vita, abbiamo il coraggio di mostrarci nel mondo e agli altri, con il nostro vero “io”. Solo così possiamo connetterci, profondamente, con il cuore delle altre persone. Non a caso, durante il periodo di Khanukkà leggiamo la storia di Yossèf, come si trasforma dalle “stalle alle stelle”, come passa dalla peggiore prigione egizia a diventare il viceré della super power dell’epoca. La forza per scalare la vetta più alta dell’Egitto è arrivata a Yossèf, solo grazie all’umiltà che aveva sviluppato, prima a casa di Potifàr come schiavo e poi nella prigione più degradata, riservata ai peggiori criminali. Solo la grande umiltà fiorita in Yossèf gli ha permesso di arrivare così in alto. Molto spesso per raggiungere il successo spropositato, paradossalmente, è fondamentale essere umili.
C)    L’umiltà non deve mai permetterci di essere abbattuti e le relazioni genuine non devono limitarci troppo. Non dobbiamo mai rinunciare alla nostra identità individuale, per DISSOLVERCI COMPLETAMENTE nelle emozioni o nelle scelte degli altri. La bellezza di una relazione magica risiede in due individui distinti, ciascuno con la propria personalità, che scelgono di condividere se stessi, l’uno con l’altro. Proprio come l’olio, dobbiamo sapere come gestire e sentire le profonde emozioni che coinvolgono le relazioni con gli altri essere umani, senza esserne consumati o annullati. Come l’olio, dobbiamo sempre conservare la nostra identità.
Il grande maestro rabbino Menachem Mendel di Kotzk (1787-1859), ripeteva spesso, durante le sue lezioni, un fantastico proverbio, così significativo per le nostre vite che sarebbe sempre da tenere bene in mente:
“Se io sono io, perché tu sei te. E se tu sei te stesso, perché io sono io…
Allora io non sono io e tu non sei tu.
Ma se io sono io, perché io sono io. E tu sei te stesso, perché tu sei tu, allora io sono io e tu sei te”.
Questo non è solo un proverbio, esso è un FARO che ci illumina e guida in ogni istante della nostra vita. Molte persone, infatti, vivono in base a quello che gli altri pensano di loro: “io sono io” solo in base a quello che gli atri pensano di me, e non in base a quello che io potrei essere, alle qualità potenziali che io posso svelare…
Bensì, a volte si può impostare la propria vita solo in funzione di quello che pensano gli altri di me, in base ai “like” che ricevo su un sito social… una VITA SUPERFICIALE che produce inevitabilmente comportamenti immaturi e frivoli. Questo è il più grande male del nostro terzo millennio: MANCANZA DI AUTOSTIMA.
Dal terzo insegnamento dell’olio, impariamo come non “mescolare” la nostra identità per appagare gli altri o subordinarla a un loro apprezzamento, come l’olio che mantiene sempre la sua essenza, anche se si trova assieme ad altri liquidi.
D)    Questo triplice processo di schiacciamento in noi stessi, di rafforzare i legami con il prossimo, senza perdere la nostra individualità, dovrebbe alla fine farci salire, proprio come l’olio. Dovrebbe lanciarci verso l’alto e farci “fluttuare” sopra tutto ciò che è intorno a noi. Dobbiamo riuscire a comprendere che siamo una “Parte del Divino” e che in ogni momento, della nostra vita, siamo degli “ambasciatori” di Dio nel mondo. Solo questo ci permette di sentirci al di sopra delle difficoltà e ostacoli che potremmo incontrare in noi stessi o negli altri.
Questa nuova consapevolezza deve nascere, non dall’arroganza, ma dal rendersi conto che il nostro nucleo è parte dell’infinito, proprio come l’olio, anche noi dobbiamo riuscire a salire in alto.
Il Talmud afferma: “Il messaggero di una persona è proprio come il mittente”. Se Dio ci ha scelti e ci ha mandati in missione in questo mondo, significa che in qualche modo “agiamo al Suo posto e per Suo conto”, quando eseguiamo la Sua volontà. Siamo messaggeri Dio, poiché siamo simili a Lui! Se riusciamo a identificare questa realtà, nulla potrà ostacolare la nostra ascesa come l’olio.
Questo è il profondo significato mistico del miracolo dell’ampolla d’olio di Khanukkà. Il motivo per cui il fulcro di questa festività e le nostre attenzioni si rivolgono all’olio è perché questa storia cattura il significato, il giusto “ritmo della vita” che dobbiamo avere.
Ognuno di noi, dovrebbe diventare come una Menorà: riuscire a splendere dentro e fuori, allo scopo di illuminare il mondo. Dobbiamo essere simili all’olio, nei suoi quattro aspetti principali:
1.    RISCOPRIRE L’ARTE DELL’UMILTÀ E DELL’INTEGRITÀ;
2.    RIUSCIRE A PRESENTARCI SINCERAMENTE NELLE NOSTRE RELAZIONI;
3.    CONSERVARE SEMPRE LA NOSTRA INDIVIDUALITÀ;
4.    RICONOSCERE SEMPRE QUELLA PARTE DI NOI CHE È PIÙ IN ALTO.

L’ebraismo e in particolare la festa di Khanukkà, insegna agli esseri umani come diventare simili all’olio. Se desideriamo accendere un fuoco nelle nostre vite, dovremmo dare un’occhiata buona e profonda all’olio d’oliva della Menorà.
È vero che è un’importante usanza mangiare cibi fritti con olio, ma andiamo piano con i cibi grassi che nutrono solo il fisico; cerchiamo, invece di essere “ingordi sul messaggio spirituale dell’olio d’oliva.
Speriamo di illuminare noi stessi e il mondo intero per renderlo idoneo alla rivelazione di Mashìakh che è molto imminente, presto nei nostri giorni, amen.

Una felice festa di Khanukkà e un caro Shabbàt Shalom a tutti voi!

Questo saggio è basato su una lettera del Rebbe di Lubàvitch, scritta il 20 di kislèv, 5708 (1947), e pubblicata nell’Igrot Kodesh vol. 2 pagina 316

VIDEO ESPLOSIVO SU CHANUKÀ

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post dell’anno scorso su Vayèshev IMPERDIBILE:
IL BUONGIORNO CHE HA SALVATO L’UMANITA’
https://www.facebook.com/shlomo.bekhor/posts/10156696822770540

לעילוי נשמת יעקב בן שלמה
In memoria di Yaakov ben Shelomo

IL VOLTO DI ADAMO

Previsione Meteorologica Indiana
Era autunno e gli indiani di una remota riserva chiesero al loro nuovo capo se l’inverno sarebbe stato freddo o mite. Dato che era un capo indiano in una società moderna non gli erano mai stati tramandati gli antichi segreti su come interpretare le nuvole e i venti. Pertanto, quando guardava il cielo non poteva dire quale sarebbe stato il tempo. Tuttavia, per essere al sicuro, rispose alla sua tribù che l’inverno sarebbe stato davvero freddo e che i membri del villaggio dovevano raccogliere legna per essere pronti ad affrontare il terribile inverno.
Ma essendo anche un leader pratico, dopo diversi giorni ebbe un’idea. Andò alla cabina telefonica, chiamò il Servizio Nazionale Metereologico e chiese: “Il prossimo inverno sarà freddo?”.
“Sembra che questo inverno sarà piuttosto freddo”, risponde un esperto del servizio meteorologico. Quindi il Capo tornò dal suo popolo e disse loro di raccogliere ancora più legna per essere preparati.
Una settimana dopo, chiamò di nuovo il Servizio Nazionale Meteorologico “sarà un inverno molto freddo?”.
“Sì”, risposero “Sarà sicuramente un inverno molto freddo”. Il capo tornò di nuovo dal suo popolo e ordinò loro di raccogliere ogni pezzo di legno che riuscivano a trovare.
Due settimane dopo, chiamò di nuovo il Servizio Nazionale Metereologico. “Assolutamente sicuri che l’inverno sarà molto, ma molto freddo?”
“Assolutamente” risposero “sarà uno degli inverni più freddi di sempre”.
“Ma come potete esserne così sicuro?” chiese il capo. Un esperto del Servizio Nazionale Meteorologico gli rispose: “Gli indiani stanno raccogliendo legna come dei forsennati…”

Il Dramma Di Yossèf (Giuseppe)
La parte di questa settimana (Vayèshev) racconta la drammatica storia di Yossèf, un giovane estremamente bello, che attira la lussuriosa immaginazione della moglie del suo padrone. Lei cerca disperatamente di coinvolgerlo in una relazione, ma lui la rifiuta fermamente. Poi venne il fatidico giorno, “Quando entrò in casa per fare il suo lavoro e nessuno dei servi era in casa. Lei lo afferrò per il mantello e supplicò: “Giaci con me!” Yossèf corse via da lei, lasciandole il suo mantello in mano e fuggì fuori” (Genesi 39, 11-129).
Umiliata e furiosa, usò il mantello come prova che era stato lui a tentare di violarla. Pertanto suo marito, Potifàr, mise in prigione Yossèf. In quel luogo lui trascorse i successivi 12 anni della sua vita fino a quando, per una sorprendente serie di “miracolosi” eventi, fu nominato nientemeno che il VICERÉ oppure con un termine moderno: Primo Ministro dell’Egitto.

Qual È Il Punto?
Perché questo episodio è riportato in dettaglio nella Torà? La Torà, infatti non è un libro di storia o una biografia, almeno in senso letterale. La Torà omette la maggior parte degli eventi dei suoi protagonisti, tranne quelli che sono essenziali per trasmettere insegnamenti specifici al lettore. E anche quando racconta una storia, omette molti dettagli quando non sono rilevanti per un grande insegnamento. Ad esempio, quando Abramo è stato coinvolto in una guerra tra nove re, la Torà non spiega cosa ha causato esattamente la ribellione dei cinque re, contro gli altri quattro. Oppure, cosa disse Isacco a Rebecca quando scoprì che Giacobbe aveva preso le benedizioni al suo posto? Ecc.
In sostanza, in moltissimi episodi importanti, la Torà omette dettagli che potrebbero essere estremamente rilevanti e preziosi sotto molteplici punti di vista: storici, sociali, filosofici. Quindi perché, in questi versetti della vicenda di Yossèf, la Torà si sofferma su questo episodio scabroso apparentemente insignificante rispetto agli esempi citati sopra?
Questo è ancora più strano se riflettiamo sull’obiettivo di queste porzioni della Torà, ossia quello di mettere in relazione il modo in cui Israèl è finito in Egitto. Pertanto, leggiamo della vendita di Yossèf come schiavo in Egitto, della sua pena detentiva e del suo incontro con i ministri del faraone, della sua liberazione dalla prigione e della sua designazione come viceré del paese in un momento critico di carestia. Carestia che è il motivo fondamentale per cui il padre di Yossèf e la sua intera famiglia si trasferiscono in Egitto. Fatti che originano il conseguente esilio egiziano e che porteranno, quindi, fino all’esodo e al Dono della Torà sul monte Sinày.
Pertanto, e ancora di più, sorge la domanda sul perché la Torà ha ritenuto necessario mettere in relazione la storia della “lotta” di Yossèf con la moglie del suo padrone? Perché è importante per noi conoscere dettagliatamente l’episodio che ha causato la sua prigionia?

Il Volto Di Giacobbe
Il Midràsh spiega il significato della frase che Yossèf “entrò in casa per fare il suo lavoro e nessuno dei servi era in casa”. Che tipo di lavoro doveva fare Yossèf?
Il Midràsh risponde che il “lavoro” di Yossèf era quello di cedere ai desideri della moglie del suo padrone. Infatti, dopo tutte le incessanti insistenze e le minacce di lei alla fine Yossèf cedette. Tuttavia, mentre l’unione sessuale tra loro stava per compiersi, all’improvviso, gli apparve il volto di suo padre Giacobbe. Questa visione fece sì che Yossèf trovasse la forza di respingere il suo potente impulso. Quindi, lasciò la sua veste in mano di lei e fuggì via.
Ma cosa poteva esserci nel volto di Giacobbe da far trovare a Yossèf la forza di negare il soddisfacimento di una tale tentazione?

Lo Schiavo Solitario
Per trovare una risposta riflettiamo più da vicino sulle condizioni psicologiche e fisiche di Yossèf durante quel fatidico giorno in cui la moglie del suo padrone lo ha quasi intrappolato in una relazione illecita.
Yossèf divenne uno schiavo all’età di 17 anni in un paese straniero. Non possedeva nemmeno il suo corpo: il suo padrone esercitava il pieno controllo della sua vita, come il destino di tutti gli schiavi antichi e moderni. Yossèf non aveva un solo amico o parente al mondo. Sua madre morì quando aveva nove anni e suo padre credeva che fosse morto. I suoi fratelli sono quelli che lo hanno venduto come schiavo e che lo hanno derubato della sua giovinezza e della sua libertà. Si può solo immaginare il profondo senso di solitudine che pervadeva il cuore di questo ragazzo.
Questo è il contesto che ci serve a comprendere la lotta di Yossèf. Una persona in tale isolamento è naturalmente travolta da tentazioni di tutti i tipi, estremamente potenti, ed è anche probabile che creda che una sua singola azione faccia poca differenza nello schema finale delle cose. Dopotutto, cosa aveva da perdere Yossèf se avesse ceduto alle richieste di quella donna? Nessuno avrebbe mai potuto scoprire cosa fosse successo tra i due. Inoltre, Yossèf non doveva tornare a casa la sera per affrontare un coniuge o un padre spirituale, né doveva tornare in una famiglia o in una comunità di elevato rango morale. Questo atto non avrebbe danneggiato le sue prospettive di un buon matrimonio, né lo avrebbe fatto espellere da una yeshivà… Sarebbe rimasto dopo quell’evento, proprio come era prima di esso! Quindi, qual è il grosso problema di impegnarsi in una relazione di quel tipo…?
Oltretutto, dobbiamo prendere in considerazione il potere posseduto da quella nobildonna egiziana: era nella posizione di poter trasformare la vita di Yossèf in un paradiso o in un inferno vivente.
Inoltre, questa storia ha avuto luogo prima del Dono della Torà, quando l’adulterio divenne proibito anche sotto minaccia di morte. Nel tempo di Giuseppe, invece, si potrebbe addirittura sostenere che, alla luce delle minaccia rappresentata dalla moglie del suo padrone, sarebbe stato ammissibile, forse persino obbligatorio, per la legge ebraica allora vigente (halakhà) impegnarsi in quella unione!

Quale era, allora, il segreto dietro la rettitudine morale di Yossèf? Cosa ha permesso a uno schiavo solitario e fragile di respingere una tentazione così straordinaria?
“Il volto di suo padre Giacobbe”! Questo è ciò che ha dato a Yossèf la straordinaria forza d’animo di vincere il suo impulso e di respingere con enfasi il richiamo della nobildonna. Ma perché? Giacobbe viveva a molti km di distanza, ignaro del fatto che suo figlio fosse vivo. Qual era la magia che stava nella sua fisionomia?

L’attimo Di Adamo
Il Talmud presenta una tradizione secondo cui la bellezza di Giacobbe rifletteva la bellezza di Adamo, il primo essere umano formato Hashèm. Pertanto, quando Yossèf vide il volto di Giacobbe, stava vedendo anche il volto di Adamo.
Adamo, lo sappiamo, è stato incaricato da Dio di non mangiare dal frutto dell’ “albero della conoscenza”. La sua disobbedienza a questa direttiva ha cambiato per sempre il corso della storia umana e mondiale. Sebbene abbia fatto qualcosa di apparentemente insignificante, semplicemente mangiando un solo frutto da un singolo albero, questo “minuscolo” atto vibra ancora attraverso la coscienza dell’umanità fino ad oggi.
Come mai? Perché ogni singolo essere umano fa parte del modo in cui cielo e terra sono intrecciati. Il sogno di Dio non è di essere solo, ma di avere l’umanità come partner nel continuo compito di rettificare il mondo. Qualunque cosa facciamo, avanziamo o ostacoliamo la redenzione; riduciamo o potenziamo il potere del male. Qualcosa di eterno e divino è in gioco in ogni decisione, ogni parola, ogni azione compiuta da ogni singolo uomo, donna o bambino (Talmud, Sanhedrìn 37a e Tanya capitolo 41).
Quando Yossèf vide il volto di (Giacobbe che rifletteva il volto di) Adamo, reclamò una dignità interiore irremovibile; si ricordò che Yossèf è una candela di Dio illuminata nella via cosmica. Vedere il volto di Adamo ha ricordato a Yossèf come un singolo atto, eseguito in un solo momento da un solo uomo, ha un effetto eterno, cambiando la storia per sempre.
Questa è la ragione per cui la Torà descrive così in dettaglio questo dramma di Yossèf. Durante i nostri solitari momenti di miseria, quando anche noi possiamo sentire che nessuno si prende cura di noi e siamo soli in un grande universo indifferente, non dovremmo mai cadere in preda al facile sfogo della gratificazione immorale.
Dobbiamo ricordarci che è in gioco qualcosa di molto reale e assoluto in ogni momento della nostra esistenza e in ogni atto che facciamo.
Potremmo, addirittura arrivare a vedere le nostre azioni individuali compiute nella vita privata come insignificanti. Tuttavia, ci insegna la Torà, che queste decisioni “creano” la storia.
Se solo aprendo gli occhi potessimo vedere il volto di nostro Padre che ci sussurra, attraverso i quieti venti della storia, che non siamo delle creature isolate in un mondo opprimente e gigantesco, in cui il nostro comportamento è insignificante.

Anche adesso, in questo preciso momento, Dio ha bisogno di noi, di me e te per portare la redenzione nel Suo mondo grazie all’avvento del Mashiàkh, presto ai nostri giorni, Amen.

(Basato su un discorso del mio maestro e mentore il Rebbe di Lubàvitch, dato il 19 di Kislev 5721, 8 dicembre 1960, e su uno scritto di Y.Y. Jacobson)

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COME SI PUO ESSERE FELICI IN PRIGIONE!

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VAYESHEV: COME SI PUO ESSERE FELICI IN PRIGIONE!

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La Parashà di Vayèshev tratta in sintesi i seguenti argomenti:
Gelosia dei fratelli nei confronti di Yossèf, accentuata dalla tunica variopinta regalatagli da Ya’akòv e dai suoi sogni. Yossèf sogna di legare covoni coi fratelli e che il suo covone si erge al di sopra di quelli dei fratelli che si inchinano al suo; sogna anche che il sole, la luna e le undici stelle si prostrano a lui.
Su richiesta del padre, Yossèf raggiunge i fratelli al pascolo. Essi gli tendono una trappola per ucciderlo. Reuvèn, li invita a gettarlo in un pozzo, senza aggredirlo direttamente, con l’intenzione di tornare dopo per salvarlo. Al passaggio di alcuni mercanti ismaeliti, i fratelli decidono di venderlo, quindi portano a Ya’akòv la tunica di Yossèf, intinta nel sangue di un capretto perchè creda che il figlio sia stato divorato da un animale feroce. Grande dolore di Ya’akòv.
Yehudà e Tamàr. Dopo aver lasciato la casa paterna Yehudà si sposa e ha tre figli. Il primo, Er, sposa Tamàr e muore. Il secondo, Onàn, sposa la vedova del fratello e muore. Yehudà indugia a far compiere il levirato al terzo figlio, Shelà; Tamàr vedendo con la profezia che i re di Israele discenderanno dall’unione tra lei e Yehudà, interviene mascherandosi per unirsi a lui. Dall’unione nascono due gemelli, Pèrez e Zèrakh: il primo sarà progenitore di Davìd e Mashìakh.
Yossèf viene condotto in Egitto dove lo acquista Potifàr, ministro del faraone. Tutto ciò di cui Yossèf si occupava era benedetto e coronato dal successo. La moglie di Potifàr si invaghisce di lui e cerca di sedurlo. Rifiutata, la donna accusa Yossèf di aver tentato di possederla ed egli viene imprigionato.
Yossèf, ritrovatosi in prigione con il coppiere e il panettiere del faraone, interpreta i loro sogni: il panettiere sarà messo a morte, mentre il coppiere tornerà alla sua posizione.
Così infatti avviene. Yossèf chiede al coppiere di ricordarsi di lui quando tornerà al suo lavoro, ma questi se ne dimenticherà.

MIDRASHIM

Il Peso della Predilezione (Bereshìt 37,3)
Midràsh Bereshìt Rabbà 84
(a pagina 665 del volume Bereshìt edizioni Mamash).

Yehudà e Tamàr (Bereshìt 38,11-19)
Midràsh Bereshìt Rabbà 85,2
(a pagina 667 del volume Bereshìt edizioni Mamash).

SIKOT

Fra Stelle e Covoni
(a pagina 736 del volume Bereshìt edizioni Mamash).

Legando Covoni
(a pagina 740 del volume Bereshìt edizioni Mamash).

Lottare o Convivere
(a pagina 741 del volume Bereshìt edizioni Mamash).

VAYESHEV 5772: COME VINCERE IL BUIO
La visione terrestre della vendita di Yossèf è ben diversa dalla visione Divina. Due tipi di riscatto e due letture opposte dello stesso evento.

VAYESHEV 5771: YEHUDA E TAMAR UN MATRIMONIO ETERNO TRA HASHEM E ISRAEL
La Chassidut ha portato nel mondo luce e vitalità, per fare rivivere quanto è già presente, senza aggiungere nulla di nuovo! L’arrivo del Baal Shem Tov ha rivoluzionato il mondo ebraico e il rapporto con il divino. Il numero otto rappresenta una dimensione infinita e superiore alla natura, coincide con l’era messianica, come gli otto giorni di khanukkà. Un percorso unico e ricco di approfondimenti chassidici che ci porta a scoprire il legame profondo e mistico tra questa Parashà e la festa di Khanukkà.

VAYESHEV 5770: ESISTE CON HASHEM UN RAPPORTO NEUTRALE?
Il pozzo di Yossèf, vuoto ma pieno di serpenti e scorpioni, è paragonabile al cervello di una persona che, senza parole di Torà, si riempe di cose negative, chi si stacca da D-o entra nell’idolatria. Da questo insegnamento si può comprendere il parallelismo con l’educazione del figlio, se essa manca quest’ultimo non crescerà neutrale. Lo studio della Torà, che è di natura trascendentale, richiede l’annullamento. L’umiltà è la base dello studio.

VAYESHEV 5769: COME SI PUO ESSERE FELICI IN PRIGIONE!
Khanukkà e Purim feste simili ma al contempo molto diverse. Una spirituale, l’altra materiale, miztvòt diverse, collegate alle origini stesse trascendentali delle due festività. La prigionia di Yossèf assume un grande valore, non tornando a casa, dimostrando come nella vita tutto viene dall’Altissimo. Ogni fatto della vita ha un significato. Yossèf non cede alla tristezza, resta positiva, la felicità è in ogni momento una nostra scelta. Essere positivi porta bene a noi e al mondo intero! Solo con la positività si può innalzare questo mondo!

VAYESHEV 5767: DUE TIPI DI SUCCESSO SOVRANNATURALE
Un padre deve comportarsi sempre in maniera equilibrata verso i figli. Pur di dimostrare il valore e il rispetto dei genitori, un figlio può mettere in pericolo la propria vita, proprio come Yossèf. L’assenza della Torà nella nostra vita porta il male. Da questi esempi emergono approfondimenti etici e morali.

VAYESHEV 5766 – LE LUCI DI KHANUKKA
La spiritualità insita nella festa di Khanukkà, segna la vittoria ebraica dell’anima sulla materia. Il legame con la storia di Tamar, attraverso gli insegnamenti della chassidut, ci portano ad approfondire il messaggio di Khanukà, la forza di illuminare e trasformare il buio in luce. Niente può ostacolare la luce di Khanukkà.

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