KHUKAT 5784: LA RAGIONE DELLA LOGICA!
Questo Shabbàt 13 Luglio 2024, 7 del mese di Tamùz 5784 leggeremo la Parasà di Khukàt:
Numeri 19: 1 – 22: 1
HAFTARÀ
Giudici 11, 1-33
PDF KHUKKAT PANORAMICA
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Ecco il riassunto della Parashà:
La mitzvà della Parà Adumà. Esposizione dettagliata del decreto della Torà concernente la Parà Adumà (vacca rossa), di almeno tre anni, completamente rossa, senza difetti e che non abbia mai portato un giogo. Le ceneri di questo animale, mischiate ad altri componenti, verranno utilizzate per l’aspersione e la purificazione di coloro che hanno contratto impurità.
Il rituale di purificazione. Coloro che avessero contratto impurità, venendo a contatto con un cadavere, resteranno impuri per sette giorni; essi potranno decontaminarsi tramite l’acqua di aspersione e di purificazione. Chiunque, in stato di impurità, dovesse entrare nel Tabernacolo, lo contaminerebbe, meritando quindi di essere reciso dalla congregazione.
Morte di Miryàm. Il popolo di Israèl si accampa nel deserto a Kadèsh; lì muore e viene sepolta Miryàm. La penuria di acqua provoca un tumulto e il popolo si raccoglie intorno a Moshè e ad Aharòn per protestare. Hashèm ordina a Moshè di parlare alla roccia perché faccia uscire l’acqua. Egli, invece, batte due volte la roccia con il suo bastone e l’acqua ne esce abbondante. Dopo questo gesto, Hashèm accusa Moshè e Aharòn di non aver santificato il Suo nome in pubblico, di conseguenza decide che non saranno loro a condurre la nazione nella Terra Promessa.
Il re di Edòm non permette a Israèl di passare. Moshè invia dei messi al re di Edòm, chiedendogli di permettere al popolo ebraico di attraversare il suo territorio per proseguire il viaggio. Edòm rifiuta e Israèl rispetta i suoi confini.
Morte di Aharòn. Il viaggio prosegue fino al Monte Hor, qui Hashèm annuncia a Moshè che la morte di Aharòn è imminente. Egli dovrà salire in cima al monte con il figlio El’azàr e Moshè; lassù farà indossare i propri abiti a El’azàr, designato suo successore nella carica di Sommo Sacerdote (Cohèn Gadòl). Il corpo di Aharòn resterà sul monte e il popolo osserva il lutto per trenta giorni.
Scontro con il re di ‘Aràd. Israèl si scontra con il re cananeo di ‘Aràd, lo sconfigge e conquista le sue città. Nel corso del viaggio che costeggia i confini di Edòm, il popolo si lamenta per la manna, il cibo troppo inconsistente e che hanno mangiato per trentotto anni, ribellandosi. Hashèm gli scaglia contro i serpenti serafìm e molti muoiono a causa dei loro morsi. In seguito, per porre fine alla punizione, Egli ordina a Moshè di costruire un saràf di rame e di posizionarlo in cima a un bastone. Quelli che erano stati morsi quando lo hanno guardato sono guariti.
La Guerra con Sikhòn e con Og. Invio di messaggeri a Sikhòn, re degli emorei, per chiedere il permesso di attraversare il paese. Sikhòn rifiuta e muove guerra a Israèl, che lo sconfigge e occupa il paese degli emorei. In seguito, anche Og, re del Bashàn, attacca Israèl ma, con l’aiuto di Hashèm, anch’egli viene battuto e il suo territorio conquistato.
Battaglia Contro Og e la Conquista del Bashàn
Alla fine del mese di tishré 2.488, i figli di Israèl dovettero affrontare un altro terrificante nemico: Og, il re del Bashàn. Colmo d’ira contro questa nazione che aveva ucciso Sikhòn e il suo esercito, egli aveva mobilitato le sue truppe per il combattimento.
Og era l’ultimo discendente dei temibili giganti dell’epoca precedente il Diluvio. Nessun altra creatura aveva un aspetto così imponente e particolare, e tutta la sua persona emanava crudeltà. I nostri saggi spiegano che per uno solo dei suoi pasti necessitava di mille buoi, e che beveva mille brocche d’acqua. Egli costruì sessanta città, e l’ultima che fece fortificare aveva dei bastioni altissimi. La sua forza si reputava non avesse eguali se non in quella di uno dei suoi figli, che lo superava in altezza.
Quando Moshè apprese che Og era sul punto di dichiarare guerra, si preoccupò moltissimo. Moshè, nostro maestro, non dubitava della forza fisica di Og, ma più di ogni altro, sapeva che davanti all’Onnipotente tutte le nazioni non sono che nullità. Moshè non aveva smesso di ripetere agli ebrei che non bisognava temere i nemici; li aveva rimproverati quando avevano rivelato la loro paura dei kenaaniti in seguito al rapporto degli esploratori. Cosa temeva, dunque, Moshè?
Aveva paura che l’Onnipotente potesse aiutare Og, facendo questo ragionamento: «Io ho solo centoventicinque anni, mentre quest’uomo ne ha più di cinquecento! L’Onnipotente deve avere dei buoni motivi per avergli accordato una vita così lunga. È Og che ha informato il nostro patriarca Avrahàm del fatto che suo nipote Lot era stato fatto prigioniero: può essere che questa mitzvà lo protegga».
Inoltre, Moshè temeva che i figli di Israèl avessero commesso un peccato durante la guerra con gli emorei, prendendo qualcosa dal bottino. Se l’accampamento non era puro da ogni peccato, Hashèm non avrebbe assistito ulteriormente il popolo ebraico. Hashèm rassicurò Moshè: «Non temete! Ho sottomesso l’angelo protettore di Og e ho lasciato il gigante in vostro potere. Dovete riservargli lo stesso trattamento che avete rivolto a Sikhòn, re degli emorei. È vero che gli ho concesso una lunga vita per avere rivelato ad Avrahàm della schiavitù di Lot, ma ora ti spiego il motivo perverso che lo ha spinto a compiere questa mitzvà. Egli desiderava Sarà per la sua bellezza e voleva attirare Avrahàm in battaglia, sperando che morisse, per poter prendere Sarà in sposa. Egli riceverà il castigo per i suoi pensieri malvagi: sarà consegnato in tuo potere e lo ucciderai con le tue mani».
Moshè ordinò ai figli di Israèl di stabilire l’accampamento per la notte in prossimità della città di Edrè’i, dove viveva Og, e di prepararsi al combattimento per l’indomani. Di mattino presto, Moshè si recò ai piedi della muraglia che circondava la città. Gli parve molto più alta del giorno precedente: il gigante Og si era seduto sulla sua cima e i suoi piedi toccavano terra.
«Cosa succede?» si chiese Moshè. «Hanno eretto un muro in cima ai bastioni durante la notte?».
Rispose Hashèm: «No, Moshè. È Og in persona ciò che vedi. Ora lo vincerai».
Pronto a passare all’azione, Og aveva in mente di annientare il popolo ebraico senza nemmeno ricorrere alle armi. Sollevò una roccia gigantesca (in realtà era una montagna), dicendo: «Questa roccia è lunga tre parsa’òt, esattamente quanto tutto l’accampamento, mi precipiterò su di essi e li distruggerò in un solo colpo».
Hashèm sventò il piano di Og facendo arrivare un esercito di cavallette che assalirono la roccia e la rosicchiarono fino a renderla friabile: nel momento in cui Og la volle gettare sugli ebrei questa gli si sbriciolò fra le mani e gli ricadde sul collo e sulle spalle. Og tentò di sbarazzarsene, ma essa rimase piantata nella sua carne.
Nel frattempo Moshè, che era alto dieci ammòt, si servi di un’ascia della stessa lunghezza e fece un salto verso l’alto di dieci ammòt, colpendo Og nel tallone. Con il piede schiacciato, il gigante cadde nella direzione opposta a quella dell’accampamento (in modo che la roccia non potesse causare danni), e morì. Gli ebrei uccisero anche i figli di Og, vinsero l’esercito nemico e presero possesso del territorio di Bashàn.
Secondo Ràshba, il confronto fra Moshè e Og fu di natura spirituale. Og sapeva che l’accampamento ebreo aveva tre parsa’òt di lunghezza e che gli ebrei traevano la loro forza dai meriti dei tre patriarchi.
Ma Og “sradicò la montagna”; egli proclamò che i meriti della “montagna”, ossia Avrahàm (i patriarchi sono chiamati “montagne”) lo avrebbero assistito, poiché egli aveva compiuto la mitzvà di andare in suo aiuto.
Le “cavallette” (secondo un’altra versione, delle formiche), cioè gli ebrei, sbriciolarono la roccia. Gli ebrei sono rappresentati come delle cavallette, che rosicchiano la roccia grazie al potere, che è loro proprio, della preghiera.
Moshè vinse Og grazie al suo merito e alla sua preghiera (descritta come la sua “altezza”) oltre al merito del popolo ebraico (rappresentato dall’ascia) e a quello dei patriarchi (raffigurati dal salto, perché egli ebbe bisogno di compiere un salto indietro di parecchie centinaia di anni). Moshè colpì Og nel “tallone”: egli vinse spiritualmente il merito di Og, che corse tanto veloce che i suoi piedi gli permisero di portare la notizia ad Avrahàm. Non c’è dubbio che Og tentò realmente di scagliare una roccia sugli ebrei e che Dio glielo impedì: per questo dobbiamo recitare una benedizione particolare alla vista di rocce gigantesche.
Secondo Maharshà, il Midràsh menziona l’altezza di dieci ammòt di Moshè come simbolo del fatto che egli vinse Og grazie al merito di avere costruito il Tabernacolo, che era alto dieci ammòt, e per aver donato ai figli di Israèl le tavole sulle quali erano scritti i Dieci Comandamenti.
Secondo altri commentatori, Moshè si servì di un’ascia di “dieci ammòt di lunghezza” per alludere alle dieci condizioni utilizzate nella Scrittura per la tefillà – preghiera (o alle dieci condizioni designanti la teshuvà), meriti che gli permisero di vincere Og.
Sikhòn e Og erano dei nemici molto più pericolosi, per la comunità di Israèl, di Par’ò e del suo esercito. La loro sconfitta era degna di essere celebrata con un cantico particolare. Ma siccome gli ebrei non composero un canto per celebrare la distruzione di questi due nemici, Davìd incluse questo brano nel salmo “Il Grande Hallèl”:
Lodate Hashèm perché è buono, poiché la Sua bontà dura in eterno.
Egli ha ucciso re potenti, poiché la Sua bontà dura in eterno,
Sikhòn, re degli emorìm, poiché la Sua bontà dura in eterno,
E Og, re di Bashàn, poiché la Sua bontà dura in eterno,
E ha dato loro paesi in eredità, poiché la sua bontà dura in eterno,
In eredità a Israèl, Suo servitore, poiché la Sua bontà dura in eterno.
Proseguendo la loro avanzata lungo le rive dello Yardèn, gli ebrei si avvicinarono al territorio di Moàv. Quando i moabiti appresero dell’arrivo del popolo che aveva sconfitto i potenti re Og e Sikhòn, così come i loro eserciti, si spaventarono e fecero venire Bil’àm affinché maledisse gli ebrei, come è spiegato nella parashà successiva.
Aveva paura che l’Onnipotente potesse aiutare Og, facendo questo ragionamento: «Io ho solo centoventicinque anni, mentre quest’uomo ne ha più di cinquecento! L’Onnipotente deve avere dei buoni motivi per avergli accordato una vita così lunga. È Og che ha informato il nostro patriarca Avrahàm del fatto che suo nipote Lot era stato fatto prigioniero: può essere che questa mitzvà lo protegga».
Moshè ordinò ai figli di Israèl di stabilire l’accampamento per la notte in prossimità della città di Edrè’i, dove viveva Og, e di prepararsi al combattimento per l’indomani. Di mattino presto, Moshè si recò ai piedi della muraglia che circondava la città. Gli parve molto più alta del giorno precedente: il gigante Og si era seduto sulla sua cima e i suoi piedi toccavano terra.
«Cosa succede?» si chiese Moshè. «Hanno eretto un muro in cima ai bastioni durante la notte?».
Rispose Hashèm: «No, Moshè. È Og in persona ciò che vedi. Ora lo vincerai».
Pronto a passare all’azione, Og aveva in mente di annientare il popolo ebraico senza nemmeno ricorrere alle armi. Sollevò una roccia gigantesca (in realtà era una montagna), dicendo: «Questa roccia è lunga tre parsa’òt, esattamente quanto tutto l’accampamento, mi precipiterò su di essi e li distruggerò in un solo colpo».
Hashèm sventò il piano di Og facendo arrivare un esercito di cavallette che assalirono la roccia e la rosicchiarono fino a renderla friabile: nel momento in cui Og la volle gettare sugli ebrei questa gli si sbriciolò fra le mani e gli ricadde sul collo e sulle spalle. Og tentò di sbarazzarsene, ma essa rimase piantata nella sua carne.
Nel frattempo Moshè, che era alto dieci ammòt, si servi di un’ascia della stessa lunghezza e fece un salto verso l’alto di dieci ammòt, colpendo Og nel tallone. Con il piede schiacciato, il gigante cadde nella direzione opposta a quella dell’accampamento (in modo che la roccia non potesse causare danni), e morì. Gli ebrei uccisero anche i figli di Og, vinsero l’esercito nemico e presero possesso del territorio di Bashàn.
Ma Og “sradicò la montagna”; egli proclamò che i meriti della “montagna”, ossia Avrahàm (i patriarchi sono chiamati “montagne”) lo avrebbero assistito, poiché egli aveva compiuto la mitzvà di andare in suo aiuto.
Le “cavallette” (secondo un’altra versione, delle formiche), cioè gli ebrei, sbriciolarono la roccia. Gli ebrei sono rappresentati come delle cavallette, che rosicchiano la roccia grazie al potere, che è loro proprio, della preghiera.
Moshè vinse Og grazie al suo merito e alla sua preghiera (descritta come la sua “altezza”) oltre al merito del popolo ebraico (rappresentato dall’ascia) e a quello dei patriarchi (raffigurati dal salto, perché egli ebbe bisogno di compiere un salto indietro di parecchie centinaia di anni). Moshè colpì Og nel “tallone”: egli vinse spiritualmente il merito di Og, che corse tanto veloce che i suoi piedi gli permisero di portare la notizia ad Avrahàm. Non c’è dubbio che Og tentò realmente di scagliare una roccia sugli ebrei e che Dio glielo impedì: per questo dobbiamo recitare una benedizione particolare alla vista di rocce gigantesche.
Secondo altri commentatori, Moshè si servì di un’ascia di “dieci ammòt di lunghezza” per alludere alle dieci condizioni utilizzate nella Scrittura per la tefillà – preghiera (o alle dieci condizioni designanti la teshuvà), meriti che gli permisero di vincere Og.
Sikhòn e Og erano dei nemici molto più pericolosi, per la comunità di Israèl, di Par’ò e del suo esercito. La loro sconfitta era degna di essere celebrata con un cantico particolare. Ma siccome gli ebrei non composero un canto per celebrare la distruzione di questi due nemici, Davìd incluse questo brano nel salmo “Il Grande Hallèl”:
Egli ha ucciso re potenti, poiché la Sua bontà dura in eterno,
Sikhòn, re degli emorìm, poiché la Sua bontà dura in eterno,
E Og, re di Bashàn, poiché la Sua bontà dura in eterno,
E ha dato loro paesi in eredità, poiché la sua bontà dura in eterno,
In eredità a Israèl, Suo servitore, poiché la Sua bontà dura in eterno.
Midrash dal nuovo libro della Torà Bemidbàr