VAETKHANAN 5784: COME EDUCARE I FIGLI CON SUCCESSO!
B’H’ Questo Shabbat 13 AV 5784
17 AGOSTO 2024
leggeremo la Parashà di VAETKHANAN
Deuteronomio 3: 23 – 7: 11
HAFTARÀ
Italiani: Isaia 40, 1-16
Milano/Torino/Sefarditi/Ashkenaziti: Isaia 40, 1-26
Shabbàt Nachamù.
Questo Shabbàt si chiama il Shabbàt di consolazione, SHABBAT NAKHAMU, e per ben sette settimane leggeremo una haftarà di consolazione per la distruzione del Santuario (gli italiani hanno il minhag di leggere solo tre haftaròt consolatrici).
Per cui iniziamo un periodo felice e consolatore e non a caso il giorno più felice dell’anno cade proprio sei giorni dopo il 9 di Menakhèm Av, ovvero Domenica sera e Lunedì sarà il QUINDICI DI AV e nel calendario ebraico è il giorno più felice dell’anno.
Il decimo e ultimo dei Dieci Comandamenti narrati nella porzione di questa settimana (Vaetkhannàn) recita: “Non desidererai la moglie del tuo prossimo; non desidererai la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, e qualunque cosa che appartenga al tuo prossimo”. (Deuteronomio 5, 17; Esodo 20, 14).
La struttura del versetto sembra strana. All’inizio, la Torà specifica sette cose che non dovremmo desiderare: “Non desidererai la moglie del tuo prossimo; non desidererai la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino”. Ma poi, alla conclusione del versetto, la Torà afferma: “E qualunque cosa che appartenga al tuo prossimo”. Perché questa inutile ripetitiva ridondanza? Perché non dichiarare semplicemente all’inizio “Non desidererai nulla che appartenga al tuo prossimo”, il che includerebbe tutti i dettagli? E se la Torà non volesse basarsi su generalizzazioni, desiderando specificare i dettagli, perché puntualizzare solo alcuni elementi e poi comunque tornare a una generalizzazione, “E qualunque cosa che appartenga al tuo prossimo”?
Oggi il 15 di Av è chiamato Tu Beav ma in realtà il suo vero nome è Khamesh Esre Beav.
Alcuno lo soprannominano erroneamente il “S. Valentino Ebraico” solo perché è il giorno che le ragazze uscivano e ballavano nei campi e i ragazzi venivano a scegliere l’anima gemella.
Ci sono tante spiegazioni del perché questo giorno sia così speciale, solo il Talmud da 8 ragioni, poi nella mistica e chassidut troviamo un mondo intero di profondità spaziale.
La Torà afferma «Non c’era festa più grande in Israele del 15 di Av e Yom Kippur». Il Talmud riporta infatti diverse ragioni per cui il 15 di Av è una festa che supera le altre.
Riporto 5 ragioni talmudiche sul significato di questo giorno per cui si commemora il 15 di Av:
1) il giorno in cui le tribù ottennero il permesso di riunirsi e le tribù di Beniamino ottennero il permesso di entrare a far parte della comunità di Israel.
2) il giorno in cui la generazione del deserto cessò di morire.
3) il giorno in cui Hoshea ben Elah rimosse le guardie che Yeravam ben Nevat aveva posto nelle strade in modo che Israele non potesse fare il suo pellegrinaggio (a Gerusalemme) nelle feste.
4) il giorno in cui fu concesso dì seppellire i morti, dopo Betar.
5) il giorno in cui terminarono di tagliare il legno per l’altare.
L’importante è gioire in questo giorno felice e portare i fiori alla moglie o alla fidanzata o a un famigliare e fare un gesto sentimentale di amore.
Una buona azione valle più di mille parole.
***
Essendo questo Shabbàt di consolazione a proposito troviamo questo interessante racconto nel Talmud.
Accadde che Rabbàn Gamlièl, Rabbi El’azar ben Azaria, Rabbi Yehoshua e Rabbi Akiva salirono a Yerushalayim. Quando giunsero al monte Tzofim essi strapparono le loro vesti. Quando giunsero al monte del Tempio, videro una volpe uscire dal posto del Santo dei Santi. Gli altri iniziarono a piangere, Rabbi Akiva invece rise.
Gli chiesero: “Perché ridi?”.
Egli rispose loro: “Perché piangete?”.
Essi gli dissero: “Un posto talmente sacro del quale si dice, ‘Lo straniero che si avvicina ad esso morirà’, ed ora le volpi lo percorrono e non dovremmo piangere?”. Egli ribatté loro: “È per questo che rido. Poiché è scritto ‘Farò testimoniare per Me, testimoni fedeli, Uria il Sacerdote e Zekharyà figlio di Yeberekhia’. Ora qual è il collegamento tra Uria e Zekharyà? Uria visse nell’epoca del Primo Tempio e Zekharyà visse nell’epoca del Secondo Tempio! Tuttavia la Torà fa sì che la profezia di Zekharyà dipenda dalla profezia di Uria. Con Uria è scritto: ‘Perciò, a causa tua, Tzion verrà arato come un campo; Yerushalayim diventerà dei cumuli ed il Monte del Tempio come le alture di una foresta. Con Zekharyà è scritto: ‘Uomini e donne anziani siederanno ancora nelle vie di Yerushalàyim’.
Fintanto che la profezia di Uria non si era avverata, temevo che anche la profezia di Zekharyà non si realizzasse. Tuttavia ora che la profezia di Uria è stata compiuta, è certo che la profezia di Zekharyà si avvererà”.
Con queste parole essi risposero a lui: “Akiva ci hai confortato! Akiva chi hai confortato!
(Talmùd Makkòt 24B)
SEI UNA PERSONA GELOSA?
Una Storia Olistica
In ebraico, la parola usata per “qualsiasi cosa” e “tutto” è identica, “כל Kol”. Quindi, il decimo comandamento può anche essere tradotto come “Non desidererai la moglie del tuo prossimo; non desidererai la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, e tutto ciò che appartiene al tuo prossimo”. Concludendo il versetto con queste parole, la Torà non ci sta solo istruendo a non desiderare nulla del nostro prossimo, ma ci sta anche aiutando a raggiungere questo difficilissimo stato di coscienza.
Come si può pretendere da una persona di non essere gelosa? Quando si entra in casa di una persona molto benestante, ad esempio, e si osserva le sue condizioni di vita, le sue auto, i conti in banca e il suo stile di vita in generale, come si può non diventare invidiosi?
La risposta è: “Non desiderare tutto ciò che appartiene al tuo prossimo”. Ciò che la Torà ci sta suggerendo è che è davvero facile invidiare la casa o la sposa del nostro prossimo, i suoi servi, il suo bue e il suo asino; tuttavia la domanda che dovremmo porci è: siamo predisposti a desiderare “tutto ciò che appartiene al tuo prossimo?” Siamo pronti ad assumerci tutto della sua vita? A diventare lui?
Non possiamo vedere la vita come una miriade di eventi o esperienze sconnesse. Non possiamo prendere un aspetto della vita di qualcuno e dire “Vorrei aver avuto il suo (o la sua) coniuge, la sua casa, la sua carriera, i suoi soldi…”. La vita è un’esperienza olistica e integrata. Ogni vita, con le sue benedizioni e sfide, con i suoi ostacoli e opportunità, costituisce una storia unica, una narrazione che inizia con la nascita e finisce con la morte. Ogni esperienza nella nostra vita rappresenta un capitolo della nostra storia singolare e unica e non possiamo permetterci il lusso di prendere un capitolo dalla storia di qualcuno senza abbracciare l’intero percorso della sua vita.
Quando si isola uno o pochi aspetti della vita di qualcun altro, è naturale diventare invidiosi. Ma quando si diventa consapevoli di “tutto ciò che appartiene al vicino”, la percezione cambia. Si vuole davvero acquisire tutto ciò che sta accadendo nella sua vita? Spesso la risposta è no, perché per arrivare dove lui è arrivato ha dovuto attraversare degli oceani di sfide, delle disavventure oltre ogni limite.
Un esempio perfetto possiamo averlo dalle olimpiadi appena finite, Paris 2024, che possiamo soprannominare come le “olimpiadi della vergogna”, o meglio della depravazione, in particolare per come si sono comportati con Israele a parte le altre critiche sulla logistica e la Senna inquinata. Nulla da togliere agli atleti sportivi che hanno combattuto come dei leoni con grande merito a ognuno.
Ci sono atleti che hanno faticato allenandosi in maniera sfrenata dalle ultime olimpiadi per vincere almeno una medaglia di bronzo. Diversi di loro sono tornati a casa senza neanche una medaglia, come Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi, pur avendo faticato tantissimo e meritando ampiamente di salire sul podio. Ma ci sono altri che non hanno mai guadagnato una medaglia e stanno faticando ancora prima delle precedenti olimpiadi di Tokyo e pur non avendo raggiunto nessun traguardo, continueranno per altri 4 anni a faticare ogni giorno senza tregua per arrivare almeno a una medaglia.
Ebbene quando noi vediamo uno sportivo che sale sul podio, ci potrebbe venire automatico di invidiarlo e pensare di poter essere anche noi sul tetto del mondo, ma ovviamente la nostra eventuale invidia è “smemorata” sulle fatiche e l’energia necessaria che è servita a quello sportivo per arrivare sul podio. Siamo sicuri di essere in grado di faticare per 10 anni e correre il rischio di non raggiungere nessun traguardo? Credo che siano pochissime le persone che direbbero di si, per cui complimenti per lo sforzo di tutti gli sportivi che non hanno mai mollato e ricordiamoci che prima di invidiarli, dobbiamo anche desiderare tutte le loro tremende e interminabili fatiche.
Quindi la prossima volta che ci sentiamo desiderare la vita dell’altro, chiediamoci se vogliamo davvero essere lui, e passare tutto ciò che lui ha passato se si è disposti a faticare per DIECI ANNI SENZA ALCUNA CERTEZZA DI OTTENERE UNA MEDAGLIA.
Ralph Waldo Emerson aveva ragione quando osservava che “L’INVIDIA È IGNORANZA”.
Prima di Tutto i Soldi!
La preghiera più conosciuta nell’ebraismo deriva proprio dalla parashà di Vaetkhanàn: “Shemà Israèl Ha-shem Elokènu Ha-shem Ekhàd”, “Ascolta O Israele Ha-shem è tuo D-o Ha-shem è Uno”(Deuteronomio 4:6).
Il versetto seguente continua: “E amerai il Signore tuo D-o”, continua il verso, “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutti i tuoi meod”.
Rashi, il più grande commentatore della Torà, interpreta così l’ultima frase – “con tutti i tuoi meod”- “con tutte le tue risorse”, ossia con tutti i tuoi soldi. È normale porci ora la seguente domanda: Se ci è appena stato comandato all’inizio del versetto di amare D-o con tutta la nostra anima – il che significa che dobbiamo essere sempre pronti a sacrificare la nostra vita a D-o – perché ci viene comandato anche di amarlo con tutti i nostri “soldi”? Se siamo pronti a dare la nostra vita per D-o, è inutile specificare che dobbiamo amarlo con tutti i nostri soldi?
Rashi spiega che ci sono individui che danno più valore ai loro soldi che alla loro vita. A queste persone si dice di amare D-o non solo con tutta l’anima MA ANCHE “con tutti i loro soldi”. Si racconta la storia di un comico americano molto conosciuto, Jack Benny, che usava scherzare, con disapprovazione, sulla sua parsimonia. Raccontò al suo pubblico che un giorno camminando per le strade di New York, tardi la notte, sentì all’improvviso un freddo e duro metallo puntato sulla sua schiena e una voce rauca dire: “I tuoi soldi o la tua vita…!” Poiché non rispose immediatamente, l’arma puntata sulla sua schiena fece più pressione sulla sua carne e la voce alle sue spalle si fece più minacciosa: “I tuoi soldi o la tua vita!!” Jack allora rispose: “Ci sto pensando, ci sto pensando…”.
Purtroppo esistono situazioni della nostra vita che dimostrano che ciò accade realmente. Non manca gente, da imprenditori in Iraq a umili agricoltori nello Zimbawe o commercianti in NIGERIA, che inseguono opportunità di lavoro che mettono in pericolo la loro vita in cambio del soprannominato “Vitello d’oro”.
Perciò la Torà insiste sul fatto che dobbiamo amare D-o con tutto il cuore, anima, vita e risorse; dobbiamo essere pronti a dedicare a D-o tutto ciò a cui diamo tanto valore e a cui teniamo di più, con amore.
Spesso ho parlato di questo argomento durante le cerimonie di “Pidyòn Habèn” (riscatto del primogenito), durante le quali si partecipa a uno strano dialogo tra il padre e il Cohèn.
Secondo la Legge della Torà, ogni primogenito appartiene a D-o oppure al Suo rappresentante designato, ossia il Cohèn. Quest’ultimo, perciò, pone la seguente domanda al padre del bambino: “Cosa preferisci darmi, tuo figlio primogenito o i cinque shèkel d’argento che sei obbligato a pagarmi per il suo riscatto?”.
È decisamente una domanda assurda: quale padre normale darebbe via suo figlio quando potrebbe tenerlo per la piccola somma di cinque monete d’argento? Nessuno aspetta con suspense la risposta del padre. In realtà è una questione molto seria. Il sacerdote, ministro di D-o, chiede al padre di questo bambino: per la vita futura di tuo figlio cosa sarà di primaria importanza? La sua vita o lo shèkel?
Il significato della domanda è:
Darai più importanza alla finanza o al tempo da dedicare alla famiglia? Crescerai questo figlio dando più enfasi alle cose materiali o alle cose più significanti della vita? Dopotutto questa è un’ottima domanda, sulla quale i genitori devono riflettere con calma prima di dare una risposta.
Perciò lo Shemà viene a ricordarci che qualsiasi siano i desideri del nostro cuore, essi devono essere diretti a D-o e al Suo servizio. Anche per coloro che non amano risparmiare troppo, i soldi sono uno sfogo. In realtà essere ebrei, quindi vivere come ebrei, non ha “un basso costo”. Acquistare carne kasher, mandare i figli a studiare in una scuola ebraica… certamente richiedono da noi un impegno finanziario. Se ci impegnassimo però con amore e non ci lamentassimo dell’alto prezzo di essere ebrei, solo così adempiremmo alla mitzvà di amare Ha-shem con tutti i nostri “meod”, i nostri soldi e le nostre risorse.
Ricordiamoci che in ogni generazione c’è il “Vitello d’Oro” che prova a farci cadere nella sua trappola.
Ci auguriamo allora che tutti noi potremo dedicare le nostre risorse a D-o con amore! Amèn.
NEVER UNDERESTIMATE THE NEED OF OUR SOUL!!!
Così come nel tuo cuore c’è un solo Dio, così anche nel nostro cuore c’è un solo Dio!
Un episodio riportato nel Talmud riguardante uno scambio tra Yakov e i suoi figli ci da un grande insegnamento sull’educazione.
Alcuni Punti della Lezione:
1. Perché lo “Shema Israel” ordina di insegnare ai figli, proprio in mezzo alla descrizione di come si deve studiare la Torà?
2. Qual è la differenza tra veshinantam e ulmadtem, che vogliono dire entrambi insegnamento, ma nel primo brano dello Shema si usa il primo e nel secondo l’altro.
3. Perché la Torà ci comanda di insegnare solo ai nostri figli e non a tutti?
4. Perché il Maimonide ripete due volte la stessa regola che lo studio dei bambini non si può interrompere neanche per la costruzione del Santuario?
Riassunto.
Così come nel tuo cuore c’è un solo Dio, così anche nel nostro cuore c’è un solo Dio!” Un episodio riportato nel Talmud riguardante uno scambio tra Yakov e i suoi figli ci da un grande insegnamento sull’educazione.
Link per ascoltare la lezione (o effettuare il download):
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Questo Shabbàt 13 Agosto 2022, 16 del mese di AV 5782 leggeremo la Parashà di Vaetkhanàn
Deuteronomio 3: 23 – 7: 11
HAFTARÀ
Italiani: Isaia 40, 1-16
Milano/Torino/Sefarditi/Ashkenaziti: Isaia 40, 1-26
Shabbàt Nachamù.
La preghiera più conosciuta nell’ebraismo deriva proprio dalla parashà di Vaetkhanàn: “Shemà Israèl Ha-shem Elokènu Ha-shem Ekhàd”, “Ascolta O Israele Ha-shem è tuo D-o Ha-shem è Uno”(Deuteronomio 4:6).
Il versetto seguente continua: “E amerai il Signore tuo D-o”, continua il verso, “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutti i tuoi meod”.
Rashi, il più grande commentatore della Torà, interpreta così l’ultima frase – “con tutti i tuoi meod”- “con tutte le tue risorse”, ossia con tutti i tuoi soldi. È normale porci ora la seguente domanda: Se ci è appena stato comandato all’inizio del versetto di amare D-o con tutta la nostra anima – il che significa che dobbiamo essere sempre pronti a sacrificare la nostra vita a D-o – perché ci viene comandato anche di amarlo con tutti i nostri “soldi”? Se siamo pronti a dare la nostra vita per D-o, è inutile specificare che dobbiamo amarlo con tutti i nostri soldi?
Rashi spiega che ci sono individui che danno più valore ai loro soldi che alla loro vita. A queste persone si dice di amare D-o non solo con tutta l’anima MA ANCHE “con tutti i loro soldi”.
Prima di Tutto i Soldi!
Si racconta la storia di un comico americano molto conosciuto, Jack Benny, che usava scherzare, con disapprovazione, sulla sua parsimonia. Raccontò al suo pubblico che un giorno camminando per le strade di New York, tardi la notte, sentì all’improvviso un freddo e duro metallo puntato sulla sua schiena e una voce rauca dire: “I tuoi soldi o la tua vita…!” Poiché non rispose immediatamente, l’arma puntata sulla sua schiena fece più pressione sulla sua carne e la voce alle sue spalle si fece più minacciosa: “I tuoi soldi o la tua vita!!” Jack allora rispose: “Ci sto pensando, ci sto pensando…”.
Purtroppo esistono situazioni della nostra vita che dimostrano che ciò accade realmente. Non manca gente, da imprenditori in Iraq a umili agricoltori nello Zimbawe o commercianti in NIGERIA, che inseguono opportunità di lavoro che mettono in pericolo la loro vita in cambio del soprannominato “Vitello d’oro”.
Perciò la Torà insiste sul fatto che dobbiamo amare D-o con tutto il cuore, anima, vita e risorse; dobbiamo essere pronti a dedicare a D-o tutto ciò a cui diamo tanto valore e a cui teniamo di più, con amore.
Spesso ho parlato di questo argomento durante le cerimonie di “Pidyòn Habèn” (riscatto del primogenito), durante le quali si partecipa a uno strano dialogo tra il padre e il Cohèn.
Secondo la Legge della Torà, ogni primogenito appartiene a D-o oppure al Suo rappresentante designato, ossia il Cohèn. Quest’ultimo, perciò, pone la seguente domanda al padre del bambino: “Cosa preferisci darmi, tuo figlio primogenito o i cinque shèkel d’argento che sei obbligato a pagarmi per il suo riscatto?”.
È decisamente una domanda assurda: quale padre normale darebbe via suo figlio quando potrebbe tenerlo per la piccola somma di cinque monete d’argento? Nessuno aspetta con suspense la risposta del padre. In realtà è una questione molto seria. Il sacerdote, ministro di D-o, chiede al padre di questo bambino: per la vita futura di tuo figlio cosa sarà di primaria importanza? La sua vita o lo shèkel?
Il significato della domanda è:
Darai più importanza alla finanza o al tempo da dedicare alla famiglia? Crescerai questo figlio dando più enfasi alle cose materiali o alle cose più significanti della vita? Dopotutto questa è un’ottima domanda, sulla quale i genitori devono riflettere con calma prima di dare una risposta.
Perciò lo Shemà viene a ricordarci che qualsiasi siano i desideri del nostro cuore, essi devono essere diretti a D-o e al Suo servizio. Anche per coloro che non amano risparmiare troppo, i soldi sono uno sfogo. In realtà essere ebrei, quindi vivere come ebrei, non ha “un basso costo”. Acquistare carne kasher, mandare i figli a studiare in una scuola ebraica… certamente richiedono da noi un impegno finanziario. Se ci impegnassimo però con amore e non ci lamentassimo dell’alto prezzo di essere ebrei, solo così adempiremmo alla mitzvà di amare Ha-shem con tutti i nostri “meod”, i nostri soldi e le nostre risorse.
Ricordiamoci che in ogni generazione c’è il “Vitello d’Oro” che prova a farci cadere nella sua trappola.
Ci auguriamo allora che tutti noi potremo dedicare le nostre risorse a D-o con amore! Amèn.
15 di AV GIORNO PIU’ FELICE DELL’ANNO
Oggi, venerdì 12 Agosto secondo il calendario ebraico è Tu Beav il giorno più felice dell’anno, ma in realtà il suo vero nome è Khamesh Esre Beav. Alcuni lo soprannominano erroneamente il “S. Valentino Ebraico”, perché questo era il giorno in cui le ragazze uscivano e ballavano nei campi e i ragazzi venivano a scegliere la loro anima gemella.
Ci sono tante spiegazioni del perché questo giorno sia così speciale, solo il Talmud da 8 ragioni, e anche nella mistica e nella chassidut troviamo un mondo intero di approfondimenti spaziali sull’argomento.
La Torà afferma «Non c’era festa più grande in Israele del 15 di Av e Yom Kippur». Il Talmud riporta diverse ragioni sul perché è una festa superiore alle altre. Ecco 5 di esse che spiegano il significato di questo giorno:
1) il giorno in cui le tribù ottennero il permesso di riunirsi e la tribù di Beniamino ottenne il permesso di entrare a far parte della comunità di Israel.
2) il giorno in cui la generazione del deserto cessò di morire.
3) il giorno in cui Hoshea ben Elah rimosse le guardie che Yeravam ben Nevat aveva posto nelle strade in modo che Israele non potesse fare il suo pellegrinaggio (a Gerusalemme) nelle feste.
4) il giorno in cui fu concesso dì seppellire i morti, dopo Betar.
5) il giorno in cui terminarono di tagliare il legno per l’altare.
L’importante è gioire in questo giorno felice e portare fiori alla moglie, alla fidanzata o a un famigliare e compiere atti d’amore verso il prossimo.
Una buona azione vale più di mille parole.
Sotto i link delle lezioni.
Un caro Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
In memoria del mio carissimo amico Rav Haim Moshe Mordechai ben Dovber Shaikevitz
e del mio maestro Rav Ghershon Mendel ben Haim Meir Garelik
La Fissione Atomica Spirituale
Moshè, quindi, incoraggia Israèl a rimanere fedele ad Hashèm in tutte le circostanze, anche se ciò significa affrontare l’opposizione di nazioni più numerose e potenti.
(כִּי אַתֶּם ַמְעַט מִכָּל הָעַמִּים: (דברים ז, ז
[Moshè disse a Israèl] «Perché siete il più piccolo di tutti i popoli». (7, 7)
Tra le nazioni del mondo, Israèl è quasi sempre stata una piccola minoranza. Questo ci potrebbe indurre a domandare in che modo ci si possa aspettare da noi, in quanto minoranza, la possibilità di realizzare la nostra missione divina. Anche se potessimo continuare a esistere, quale sarebbe il significato di questa esistenza? Come può una piccola minoranza influenzare la maggioranza? Inoltre, l’assimilazione e le guerre hanno contribuito a erodere Israèl, poi le esigenze della vita moderna ci lasciano con sempre meno tempo per le attività spirituali e sempre meno sensibili alla spiritualità. Alla luce di tutto ciò, la domanda su quale speranza dobbiamo fondare il compimento della nostra missione divina, diventa ancora più forte.
La risposta decisiva è stata scoperta solo nei tempi moderni. Come gli scienziati hanno imparato a liberare il potere dell’atomo, il mondo ha imparato che le dimensioni non sono sempre un sinonimo di potere. Ciò che importa è sapere come accedere all’energia latente attraverso la “piccolezza”. Una volta scoperta questa conoscenza, anche la più piccola particella di materia, può rilasciare una forza incredibile.
Il processo di base utilizzato per rilasciare l’energia atomica è la fissione nucleare, in cui l’atomo è scisso in componenti più piccoli. Come ebrei, questo ci insegna che la chiave per liberare il nostro potenziale infinito e latente è spezzando il nostro ego, permettendo così alla nostra essenza divina interiore di splendere. Quanto più padroneggiamo questa “tecnologia spirituale”, tanto meno abbiamo bisogno di essere intimiditi dall’essere una minoranza, apparentemente insignificante, o di avere solo un tempo e un’energia limitati da dedicare agli impegni di santità. Dentro di noi, infatti, c’è il potere di cambiare il mondo intero per il bene!
Tratto dal nuovo libro in stampa “Saggezza Quotidiana”.
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NEVER UNDERESTIMATE THE NEED OF OUR SOUL!!!
Questo Shabbat è lo Shabbàt della consolazione: il suo nome, Shabbàt Nakhamù, prende il nome della Haftarà che inizia con queste parole: “Consolate, consolate il mio popolo…”.
(dal discorso che ha fatto mio fratello Rav Avraham Bekhor)
Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.
Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
Virtual Yeshiva
se il talmid non va dal rabbi, il rabbi va dal talmid!
Non perdere l’appuntamento con la parashà mistica e psicologia nella Tora
Per informazioni: www.virtualyeshiva.it
Virtual Yeshiva non fa pagare nessuna iscrizione al sito perché la Torà sia accessibile a TUTTI e SEMPRE.
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in memoria di mio nonno Shlomo ben Hana Bekhor
Chi volesse dedicare una lezione mp3 alla memoria o in onore di un lieto evento, può contattarmi shlomo@mamash.it
Rav Shlomo Bekhor
Gentilissimo Rav Bekhor, lei dice bene, quando parla dell’esempio che si deve dare ai figli, ma non è solo quello che educa un figlio.
Essere un genitore non è facile e, ogni genitore, quando diventa tale, deve mettere da parte se stesso e pensare alla creatura che ha voluto mettere al mondo.
GUARDARE se stessi, prima di potere insegnare ad altri
RISPETTARE l’altro, la sua identità, anche se è un bambino. Rispettare, perché la persona è unica. Mettersi nei panni dell’altro e leggere quello che ha dentro.
PRESTARE ATTENZIONE ai discorsi dell’altro, perché secondo il mio misero parere, ascoltare è parte del rispetto verso l’Essere Uomo.
Io sono donna, non sono mai andata a lavorare. Forse oggi non ho tutto ciò che può avere una donna che lavora. Spesso, e non me ne vergogno, faccio fatica ad arrivare a fine mese, cosa che non sarebbe successa se io avessi avuto un impiego. Non indosso vestiti costosi, non me li posso permettere, ma, non mi interessa, perché tutto ciò che è materiale dà una soddisfazione effimera. Ho conosciuto donne che hanno abortito, pur di mantenere il posto di lavoro. Hanno ucciso una parte di loro per uno stipendio. Donne che non riescono a comprendere che la vera ricchezza sono i figli.
Educare non è facile e, se si lavora, lo è ancor meno. Se i nuovi nati hanno fortuna, vengono cresciuti dai nonni, altrimenti c’è il nido, poi la scuola materna e via di seguito. Il nido serve solo come parcheggio in cui i bimbi vengono alimentati come si potrebbero nutrire dei maialini. Con l’asilo inizia la formazione scolastica di quello che sarà l’uomo di domani. Ma l’asilo e la scuola NON BASTANO. DEVONO ESSERE I GENITORI I VERI E UNICI MAESTRI DI VITA. Come può un genitore essere un grande maestro se è impegnato con il lavoro? Che cosa vedranno i figli guardando i propri genitori? Spesso padri che non vedono l’ora di mettersi sul divano per vedere la partita. Partite che molte volte vengono trasmesse nel momento della cena, quando la famiglia ha l’occasione di sedersi e parlare…parlare. Oggi manca il dialogo, perché tutti pensano ad altro: il padre ha lo sport, la madre cerca un po’ di relax, magari in internet. I figli grandicelli si perdono con PC e videogiochi e telefonate con i super tecnologici telefonini di ultima generazione. I piccini fanno vita a sé, magari riempiti di giochi con cui possono svagarsi da soli, senza stancare i genitori.
Non so se l’ emancipazione dei costumi femminili è stato un passo avanti, oppure un disastro per le generazioni di oggi e quelle che verranno. Il lavoro femminile ha portato ad avere un benessere in famiglia superiore, però a discapito dell’educazione della prole. Una madre e un padre stanchi per il lavoro sono meno attenti all’educazione di un genitore (mamma) che è a casa a badare ai bisogni della famiglia. MA E’ SEMPRE MEGLIO ANDARE AL MARE IN VACANZA…LO STIPENDIO DELLA MAMMA CONTRIBUISCE A FARLO. E’ POSSIBILE COMPERARE LA CASA, questa è una buona cosa, però, se tutte le donne stessero a casa dal lavoro, prima di tutto ci sarebbe un posto per tutti gli uomini con famiglia a carico che ora sono a spasso. PARLO CONTRO L’INDIPENDENZA DELLE DONNE? NO! LA DONNA DEVE AVERE PARI DIRITTI CON L’UOMO, IN TUTTO, ANCHE PER UN POSTO DI LAVORO. Però la donna, una madre che lavora e che delega agli altri la cura fisica e mentale del proprio figlio perde una grandissima opportunità, un’opportunità che mai le sarà ridata…quella di veder crescere il figlio, educandolo in un modo continuativo e sempre uscito dalla stessa fonte. Non avrà un’educazione frammentata tra tata, nonni, asilo e scuole. E’ il genitore quello che insegna, è quello su cui il figlio deve fare riferimento. Genitore amico? No!!! GENITORE COME SECOLARE ALBERO D’ULIVO, dove aggrapparsi per ogni motivo della vita. Non è semplice essere albero d’ulivo, però quando il figlio è cresciuto e ha preso una buona strada e lui stesso è diventato albero d’ulivo, non rimpiangi gli stipendi che non hai preso e i viaggi che non hai fatto o i vestiti di lusso che non hai avuto, perché la tua vera ricchezza è la tua prole.
Bisogna imparare ad educare il figlio in modo che non pensi sia il centro della terra. Se sbaglieremo in questo, diventeremo succubi di un figlio despota. Un figlio che prenderà decisioni per conto proprio, che sbaglierà, perché non avrà la mente di un adulto. Un figlio egoista, cinico, forse con comportamenti devianti e distruttivi. Il genitore, se è un buon genitore, deve dettare regole. Non in modo autoritari stico (potere che tende a schiacciare l’altro), ma con autorità basata sulla stima di chi abbiamo davanti.
Ho sentito spessissimo genitori dire:”da quando mio figlio è andato a scuola è diventato maleducato”, come se la scuola fosse la vera educatrice dei nostri figli. E’ facile incolpare la scuola e la società che ci sta intorno per un NOSTRO fallimento educativo. Smettiamola di dare le colpe ad altri.